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18 gennaio 2010
L'umano nuovo che si sta formando
De Reditu Suo
L’umano nuovo che si sta formando
Il passato ha reso evidente il fallimento o comunque
il termine di grandi civiltà e dei loro ordinamenti sociali. La rovina di re,
tiranni, despoti ha causato di riflesso la catastrofe del sistema politico e
civile da loro gestito o peggio costruito. L’uomo dell’Antico Regime,
l’Italiano pseudo-romano del fascismo, l’ariano nazista, l’uomo sovietico e il
colonizzatore-civilizzatore dell’Impero Britannico sono tutti miti di sistemi
politici del passato abiurati e defunti. Il problema che è di fronte agli umani
di questi tempi è il comprendere di qual
natura possa essere questo umano nuovo che si formerà nello sviluppo della
terza rivoluzione industriale, perché è evidente che la trasformazione crea le
sue forme di civiltà e i suoi soggetti umani che ne sono vittime e, per così
dire, attuatori perché vivono, lavorano e operano in quelle determinate
condizioni politiche e sociali. Cosa prenderà l’uomo della Terza Rivoluzione
industriale dal sistema sociale e politico che lo vede vittima e attuatore? Provo
ad osservare il sistema e il suo prodotto umano. Il denaro è il sistema ed è la
ragione della maggior parte delle azioni degli umani, quindi l’antica fede verrà sostituita dal culto del
denaro. Le antiche patrie sono di scarso peso nell’identità del sistema e pertanto
l’uomo cercherà di realizzare una vita simile al modello di vita veicolato
dalla pubblicità che tratta i prodotti e i servizi di lusso dedicati ai ricchi.
L’uomo modellato dal sistema sarà estraneo a qualsiasi principio lavorista,
alla solidarietà umana o alla fratellanza, egli deve raggiungere il successo
sociale ed economico e non ha tempo per valutare le conseguenze delle sue
azioni. Quindi le campagne umanitarie ed ecologiste a cui, forse, partecipa
sono esercizi di farisaica ipocrisia. L’umano modellato dal sistema presente di
produzione e consumo sarà quindi irresponsabile verso se stesso e gli altri e
di conseguenza avrà una memoria storica e personale estremamente malleabile e
confusa. Non ha bisogno di esser parte di una storia comune ad altri milioni di
umani come lui, la sua storia è la pubblicità politica, commerciale, e la
propaganda militare e aziendale. Ciò che crede è relativo, parziale,
circoscritto a interessi particolari, lui stesso non crede in senso assoluto ma
adotta un strategia opportunistica: ciò che è bene coincide con l’interesse di
qui e ora. Il sistema tende a creare ghetti sociali sulla base di ragioni di
censo o di appartenenza etnica, quindi l’umano che sarà creato dal sistema sarà
razzista o autoritario o entrambe le cose assieme, ma nello stesso tempo sarà
servile e benevolo verso colui che sfoggia i segni del successo e della
ricchezza aldilà delle origini di gruppo, di casta, di cultura di costui. L’umano
in questione ha un grosso limite: può vivere solo in questo sistema al di fuori
di esso può essere individuato e messo in condizione di non nuocere con le
buone o le cattive; se il sistema presente di produzione e sviluppo cadesse in
disgrazia egli verrebbe travolto o sarebbe costretto a reinventarsi in una
nuova forma. L’umano della terza rivoluzione industriale si stava formando
quando una serie di cose impreviste come le nuove guerre, l’immigrazione di
masse di disperati dal sud del mondo, la
crisi finanziaria globale e i limiti ecologici e materiali dello sviluppo lo
hanno colpito prima che venisse alla maturità. Ora è una strana belva che sta
mutando e neanche lui sa che cosa sarà alla fine del traumatico processo.
IANA per FuturoIeri
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29 agosto 2009
Appunti Viennesi: la vita oltre la rappresentazione televisiva
La
valigia dei sogni e delle illusioni
Appunti
viennesi II: la vita oltre la rappresentazione televisiva
La
prima impressione del mio breve soggiorno viennese è stata la constatazione
banalissima che nel Belpaese l’immagine dell’Austria è a dir poco distorta.
Dell’Austria i nostri telegiornali e giornali di solito s’occupavano per due
ragioni: il concerto del nuovo anno al Teatro dell’Opera e le vicende del
defunto onorevole Haider. Il soggiorno viennese mi ha confermato che esiste,
del resto mi era già noto questo fatto, un quotidiano e una vita concretissima
che va aldilà della rappresentazione del mondo che danno i mass-media. Alle
volte andar a vedere di persona i luoghi fa capire molto e permette anche di
prendere le distanze da ciò che viene professionalmente detto nelle sedi
consacrate, del resto non è poi così difficile farsi un’idea eterodossa in
Italia. Ad esser onesti basta davvero poco. Del quotidiano ho colto la
precisione del sistema dei servizi pubblici, la presenza quasi ossessiva delle
memorie del passato imperiale e asburgico, il legame stretto fra la musica e
l’immagine della capitale e una popolazione con la sua vita e le sue abitudini.
Ho visto perfino i viennesi accaldati che si rinfrescavano con un bagno nel
Danubio, una cosa che mi ha lasciato perplesso ma così è.
E’
evidente che la natura della normale comunicazione giornalistica rende in modo
assolutamente parziale la realtà che pretende d’interpretare, mi rendo conto
che nel mondo reale e non nella sua rappresentazione e riduzione a notizia, e
quindi a merce, c’è una complessità non riducibile, non sintetizzabile. C’è un
privata esigenza di creare la propria visione derivata dalla personale
esperienza.
Quello
che mi ha colpito è l’evidenza del fatto
che la capitale austriaca convive con le sue memorie imperiali, con i ricordi
di un tempo remoto schiacciato da due guerre mondiali; questo passato
evidentemente svolge ancora oggi un
ruolo condizionante, è lo scenario sul quale gli austriaci rappresentano tanta
parte di se stessi. Mi ha sorpreso come una dimensione di potere asburgica
capace di esercitare ancor oggi un fascino tutto suo non sia riuscita da darsi una civiltà stabile
nella quale far confluire tutte le differenze dell’impero e pacificarle sotto
una legge comune. Non bastarono gli
eserciti, la musica, l’opera di Vienna, l’arte, la capacità di persuasione dei
grandi monumenti e palazzi per imporre e
far vivere una civiltà. Questa è la lezione viennese che ho recepito e mi chiedo quale sia il punto di
svolta che rende stabili le differenze di popolazione, di lingua e di religione
di un sistema politico ed economico. Un punto nel quale le differenze vengono
contenute in un contesto politico e culturale che le armonizza e le piega alla
volontà politica e alle leggi. Il problema del potere politico che assolve
questo compito di armonizzazione e controllo è che esso deve essere percepito
come legittimo da coloro che ne sono coinvolti o ne sono i sudditi, quando la
legittimità del potere è messa in discussione le differenze che rendono potente
e varia una civiltà possono trasformarsi nelle forze che la distruggono,
qualcosa di simile è accaduto all’impero degli Asburgo che ha sopportato
situazioni difficilissime fra Seicento e Settecento, ancora nell’Ottocento
poteva far affidamento alla fedeltà di tanta parte dei sudditi e che è crollato
davanti alla Grande Guerra che ha frammentato i suoi popoli in tante realtà
nazionali indipendenti. Quel passato
remoto mi ha posto un problema che rimanda al presente che vivo qui e ora con
l’impero Statunitense in declino e nuove realtà imperiali pronte a portargli
via gli spazi egemonici che lascerà vuoti. Il potere ha bisogno di
rappresentare se stesso, ma quando esso si limita alla sola rappresentazione
esso non è più un potere ma una cosa diversa, è la sua farsa e nel migliore dei
casi la sua ombra.
IANA per FuturoIeri
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29 luglio 2008
NEL BELPAESE
Questo paese a forma di stivale è oggi alle prese con una crisi dell’economia mondiale dirompente. Per ora i provvedimenti più forti presi dal governo sono diretti contro i precari e contro il presunto cattivo lavoro degli statali. Gli uni aggrediti da un precariato senza futuro, gli altri trattati in blocco come problema sociale e come soggetti dei quali si deve verificare onestà e produttività. Va da sé che si tratta di un gioco delle parti. Chi difende e chi offende, chi vuole incendiare e chi fa il pompiere, chi impone e chi tratta. Così va il Belpaese, ma questo carnevale delle maschere tristi ha davanti a sé una crisi econmica che minaccia di essere tremenda, essa cade in un sistema Italia fragile e provato, ai limiti delle risorse umane e strutturali. Questo paese forte contro i deboli e debole con i forti come affronterà il peggio di questa crisi. Cercherà di scaricare delle colpe immaginarie su zingari ed extracomunitari e sui fannulloni degli uffici pubblici? E poi? E dopo? Se le cose andranno davvero male e le banche statunitensi in sofferenza trasmetteranno la crisi a tutto il mondo. Con chi se la prenderà il governo? Con i marziani? Con gli alieni della galassia di Andromeda?
Questa crisi è più di una crisi: è una strage delle illusioni, è la rivelazione della totale umanità e provvisorietà di quel culto del Dio-denaro che ha improntato di sé la realtà italiana dalla metà degli anni ottanta a oggi. Oggi quel Dio-denaro si è rivelato per ciò che è sempre stato un idolo, un feticcio che ha preteso vera adorazione e culto devoto. La crisi spero porti il buon consiglio dell’abiura di questo culto pagano, ma so che così non sarà. La civiltà industriale esige di produrre falsi idoli per una sua necessità di mascherare i limiti, per non rivelare la dubbia legittimità dei poteri che genera. I cambiamenti generati dagli sviluppi dell’economia e dell’industria creano fortune nuove e innalzano nuovi poteri di carattere finanziario che si traducono in potere politico. Questo potere che si rinnova si rigenera sulla demolizione parziale dei vecchi poteri, l’ascesa del nuovo si colloca in un contesto che non ha bisogno delle antiche consacrazioni per diventare potere legittimo. Non ne ha bisogno. Il potere che si dà è giusto in quanto tale e non chiede di essere riconosciuto come vero se non dalla sua capacità di produrre e distribuire ricchezza. Il culto del Dio-denaro con i VIP, le ville, le barche e le feste era la favola per le plebi, quello che conta è la nudità del potere in quanto tale e il suo decidere per la vita degli altri, la sua capacità di trasformare il mondo, di predare le risorse planetarie e di trasformarle, di controllare le sue interpretazioni e le sue relazioni, anche con la guerra. Molti nel Belpaese vivono questa realtà della civiltà industriale come se fosse la favola di Biancaneve e, more solito, aspettano un principe azzurro che salvi la sua amata dai malvagi della favoletta. La civiltà industriale è brutale e semplice. Essa vive di continue rivoluzioni e trasformazioni. Ne ha bisogno, è nella sua intima natura demolire il mondo per ricostruirlo in via provvisoria, in attesa di nuove demolizioni e di nuove trasformazioni e di relativi massacri culturali e sociali. In questa opera di distruzione creativa riposa tanta parte delle vite della stragrande maggioranza degli italiani. Ci vuole coraggio per vedere la nudità di questa civiltà industriale, forse per questo molti si ostinano a credere nelle favole, anche in quelle che racconta la politica nostrana.
IANA per Futuroieri http://digilander.libero.it/amici.futuroieri
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