8 ottobre 2009
Cari amici, così fra noi, parliamo un pò della Patria e dell'ipocrisia
La valigia dei sogni e delle illusioni
Cari amici, così fra noi, parliamo un po’ della Patria
e dell’ipocrisia
Il Belpaese è un unico grande fascio di mezze verità e
pietose finzioni. L’ipocrisia, la frode, le doppie, le triple verità, le
quadruple verità rivelano l’essenza di una massa eterogenea di esseri umani
molto diversi fra loro che si son ritrovati italiani quasi per accidente.
L’assenza di qualsiasi progetto comune, di qualsiasi calcolo collettivo rende
indispensabile l’opacità delle reali intenzioni dei singoli, del resto cosa si
pretende dalla popolazione italiana: forse che sia migliore delle sue sedicenti
classi dirigenti e dei poteri stranieri presenti sul territorio. L’ipocrisia
italiana non dipende dalla malvagità dei singoli ma dall’assenza di regole e di
fini. L’umano che è casualmente italiano sa che nulla di davvero
importante lo lega ad altri italiani, di fatto il suo patriottismo è di
facciata. Il suo nazionalismo è blandamente ideologico quando si tratta di cose
militari e politiche. Il suo patriottismo è da tifo calcistico e solo per gli
eventi vittoriosi dei campioni sportivi, per il resto l’appartenenza odierna
del signor Mario Rossi è perlopiù scaturita dal confronto quotidiano che
deve tenere con le comunità forestiere insediate in tutte le città italiane.
L'altro, in quanto umano presente qui e ora in Italia, forza l’abitante
originario del Belpaese a conferire un senso alla sua appartenenza a un qualcosa di indefinito che lo lega a esseri umani simili a lui.
Ipocritamente ecco che dalla mattina alla sera e per
motivi i più strani ritornano discorsi sull’appartenenza verso un
qualcosa che viene chiamato Italia, discorsi strani che cancellano due secoli
d’emigrazione nostrana, due sofferte e tragiche guerre mondiali, e
perfino una Prima Repubblica crollata sotto il peso delle inchieste su
Tangentopoli. Non c’è vera assunzione di responsabilità verso il Belpaese ma
solo l’ostentazione di un’appartenenza che è l’affermazione di una diversità
verso le nuove comunità da poco inserite in Italia. Si capisce perché: la
seconda generazione d’immigrati è in cammino ed essi intendono fare un po’
d’ascesa sociale, non molta solo un po’. Ecco allora materializzarsi la
prospettiva di un giudice di colore, di avvocato o pubblici impiegati di
origine cinese, di architetti filippini o indiani, di carabinieri figli di
peruviani o di marocchini. In breve l’entrata reale e concreta delle comunità
straniere nella vita del Belpaese. Il loro diventar parte di una cosa strana e
difforme che è comunemente nominata Italia è la grande inquietudine non detta
ma avvertita. Credo siano pochissimi gli italiani di recente immigrazione che
non abbiano da tempo capito di che materia è fatta la morale della gente del
Belpaese, il loro razzismo è paura di perdere il posto prenotato; altro che
identità. Si rassegnino le genti del Belpaese se i nostri padroni del vapore e
del commercio possono portare merci e imprese all’estero è ovvio che si
sposteranno milioni di esseri umani e qualche milione di essi verrà qui nello
Stivale. Se la merce e i soldi si spostano si spostano anche gli umani e gli
umani non sono solo braccia: sono storie, famiglie, culture, fedi diverse da
quella cattolica. Sarebbe miglior cosa e buona cura contro il male di vivere se
le genti diverse del Belpaese iniziassero a creare la loro civiltà, a darsi un nome
e un volto. Almeno ci sarebbe qualcosa di più onesto e solido su cui unirsi o
su cui dividersi.
IANA per FuturoIeri
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