21 maggio 2014
Sintesi: Il Maesto - primo atto- il consenso e l'essere umano
Franco Fusaro appoggia una mano su un
tronco. Si sostiene. Come se ritrovasse forza nel contatto con la materia
vegetale.
Franco Fusaro: La
parola chiave di quanto affermo è consenso. Proprio così. Il consenso è
l’accettazione da parte di grandi masse elettorali dell’ordine esistenze, delle
gerarchie, delle logiche di potere, del culto del Dio-denaro, degli abusi che
sempre seguono un sistema imperfetto e arbitrario frutto della contingenza
storica e della necessità del momento. Il consenso è la parte emergente di una
psicologia di sottomissione a quel che è e, di conseguenza, sembra solidissimo, granitico, sacro. In
natura l’animale ha un ciclo vitale, ciclo che segue lo scorrere delle
stagioni, sostenute queste dal senso
delle ere che sono le frazioni di tempo degli eoni. L’eone è un ciclo di tempo
che segue il ciclo del cosmo. Non c’è bisogno del consenso verso lo scorrere
delle cose e il loro nascere, divenire e
finire. Ma l’essere umano è diverso, ha un tempo suo… Il suo tempo è un tempo
di regni, d’imperi, di regimi repubblicani, oligarchici, tirannici, dispotici,
perfino popolari, un tempo di religioni, un tempo di profeti, talvolta di
messia. L’essere umano è soprattutto la sua cultura e l’accettazione dell’ordine
costituito, di una gerarchia sociale, di una creazione di modelli di creazione
di ricchezza e redistribuzione di essa. Il consenso è il lato buono del potere,
il dominio è quello cattivo. Qui in questa terra si preferisce il consenso al
potere dominante perché il dominio che è esercito, polizia, repressione,
brutalità dei servizi segreti è indigesto, è nocivo per gli affari. Il consenso
invece senza la durezza del potere convince con la televisione generalista,
persuade con la pubblicità commerciale, indottrina con i telegiornali, distorce
la realtà con il cinema, distrae con i giochi. Il consenso usa l’arma dell’immaginario
collettivo, il consenso siamo noi e siamo chiamati uno per uno a rendere conto a
noi stessi di ciò a cui prestiamo fede, ciò che ci persuade, ciò che domina le
nostre passioni e aspirazioni
Stefano Bocconi:
Giusto… Belle parole ma così chiami in causa noi stessi, chiedi molto.
Paolo Fantuzzi: Ovvio. Ciò che ci prende, che ci sospinge
verso questa o quella meta. Quello che ci fa desiderare quel paio di scarpe o
quel telefonino quello è manifestazione… come dire… Dillo tu commerciante!
Stefano Bocconi:
Del tuo consenso! Proprio così. Lui ci racconta che il consenso è in noi.
Dentro i nostri atti quotidiani. Anche il presentare della merce ai clienti,
anche un lavoro fatto bene nel settore del mercato è atto culturale, anzi, atto di consenso culturale.
L’obbedienza al sistema e ai suoi privilegi è nel quotidiano. Per questo io
soffro così tanto. Non ho sfondato. Gli anni passano e non sono diventato un
nababbo. Uno che ha vinto. Perché vincere è il qui e ora dell’essere ricchi e
ostentare il posseduto con arroganza e clamore. Come i ricchi stranieri che
finiscono sulle cronache mondane esagerati, opulenti e ricchi.
Franco Fusaro: Manca
una voce.
Clara Agazzi: La
mia. Non so. Il consenso per me è anche l’abilità da parte delle minoranze al
potere di trasformare i più profondi desideri dell’essere umano, di distorcere i
desideri , di trasformare la mentalità, di fare del consumo uno strumento
politico. Perché certe forme di consumo sono forme di consenso a un sistema di
cose nel mondo ingiusto e prevaricatore. Ma senza milioni di umani esperti in
ogni genere di pubbliche relazioni e pubblicità tutto questo cesserebbe d’essere
in tempi brevi. Questo sistema di produzione, consumi, redistribuzione dei
carichi del lavoro e della ricchezza in parti diseguali regge perché esiste la
pubblicità e la televisione. Se una radiazione proveniente dallo spazio
distorcesse interrompesse il flusso di
comunicazioni televisive per una settimana tutto il sistema andrebbe a pezzi;
questo modello può vivere senza storia e
senza filosofia, ma non senza la pubblicità commerciale.
Franco Fusaro: La
pubblicità commerciale è una parte determinante del consenso. Si tratta della
prima forma d’educazione oggi. La sua potenza è enorme per masse di capitali
investite, per la qualità di esperti e specialisti che la realizzano, per le
competenze specifiche che associa nelle sue operazioni essa è la massa potente
dell’industria dell’intrattenimento e delle pubbliche relazioni. Senza
conoscere un minimo la forza specifica del pubblicità commerciale non si può capire
la potenza del consenso. Le logiche, le parole, i costumi, i comportamenti, la
memoria stessa è condizionata dalla pubblicità commerciale. La pubblicità commerciale
è stata fortemente legata all’intrattenimento, specie a quello televisivo. Farò
ora una scomoda affermazione. Oggi l’immagine della famiglia deve molto ai
telefilm statunitensi degli settanta e ottanta mandati in onda ripetutamente sulle
televisioni commerciali. Quel mondo del piccolo schermo frammisto alla
pubblicità ha creato le forme della famiglia nella mente di migliaia di
ragazzini e ragazzine di allora che oggi l’anno infine costituita. Il che non
vuol dire che la serie di “Happy Days “ o di “Dallas” siano i modelli, ma lo
sono stati nell’immaginario e questo pesò allora e pesa oggi. L’immagine del
mondo ripetuta, ossessiva, sistematica si fissa e permane nell’essere umano,
alla fine per molte vie condiziona le ricerca della felicità, del benessere e
del proprio destino di vita. Spesso le
performance dell’attore Henry Winkler conosciuto da noi come “Fonzie” erano più
incisive di una predica in chiesa per quel che riguarda certi atteggiamenti
verso la vita, in fondo anche quella lì era l’immagine del “sogno Americano”. Il problema è infatti
l’oggi, perché stavolta non c’è più un
sogno prefabbricato chiavi in mano con attori bravi e di talento che lo
propongono alle masse davvero credibile. Oggi c’è il bivio fra il credere al sistema della persuasione dell’industria
del cinema e dell’intrattenimento e della pubblicità e il cercare da soli ciò
che si è e quel che si vuol essere. Non è una cosa facile. Occorre essere
artisti e come artisti superare l’ombra proiettata da se stessi con un salto
potente verso l’ignoto, verso la manifestazione del genio, verso il futuro
possibile.
Paolo Fantuzzi: Tu chiedi troppo. Parli difficile. Ma dimmi
non credi che anche la gente semplice, la meno provvista di sapere non abbia
diritto ad essere qualcosa di meglio.
Franco Fusaro: Ma
questa gente di cui parli… Davvero vuol essere qualcosa di diverso da ciò che
è? Vuole davvero essere in questa vita ciò che può esprimere con i suoi talenti
e le sue abilità?
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