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9 agosto 2015
Sintesi: Il Maestro - terzo atto - il tempo del dominio
Clara Agazzi: Adesso
occorre finire. Sta a te
Gaetano Linneo:
Certo ho qualcosa da dire, ma non sono bravo come attore o come improvvisatore.
Preferisco allora presentare un ragionamento sui tempi. Sulle differenze del tempo
che siamo soliti percepire.
Franco: Mi pare una roba strana per un esperto di fauna
e flora.
Stefano Bocconi:
Un argomento singolare, ma poi perché un ragionamento e non interpretare una parte.
Paolo Fantuzzi: Giusta
osservazione, c’è un motivo?
Gaetano Linneo:
Certamente, perché quel che voglio comunicare in parte appartiene a una dimensione
della realtà che sfugge alla possibilità di comprenderla integralmente da parte
di quasi tutti gli umani. Mi sento di dover ragionare del problema della civiltà
davanti allo scorrere dei secoli e dei millenni, ma per far questo devo passare
dalle cose semplici da capire a cose più difficili; quindi incastrare il mio ragionamento
su un solo soggetto mal si combina con quanto devo fare.
Vincenzo Pisani:
Fa freddo, io dovevo già esser via. Dai fallo. Voglio finire questa notte magica
sentendo qualcosa che riguarda l’eternità e la natura: Son qui, ti ascolto.
Gaetano Linneo: Per
prima cosa partirò da un tempo semplice quello del quotidiano. Il tempo percepito
da parte di quasi tutti noi gente incastrata nella civiltà dei consumi e della produzione
è nella maggior parte dei casi il tempo quotidiano. Il tempo quotidiano è il tempo
della settimana, del mese scandito dai gironi feriali e dai giorni festivi. Nei
giorni feriali solitamente si consuma , si lavora, si produce, si vive nel proprio
ambiente mentre nei festivi è lecito e consigliato spendere denari per viaggi, divertimenti,
piccoli piaceri, attività di cultura quando ci sono. Esiste una scansione del tempo
di vita e di lavoro che tende a far omologare le moltitudini per farne masse informi
ma ordinate di consumatori e di lavoratori. Questo determinare il tempo di quasi
tutti è uno dei principali aspetti del dominio dei pochissimi sui molti. Il dominio
dei pochi sulle moltitudini definisce i tempi di vita, di lavoro, di consumo, di
divertimento, di acquisizione di conoscenze, capacità, abilità, beni materiali.
Il sistema sociale e lavorativo t’inquadra per fasce d’età. Ne consegue che il lavoro, lo studio, la famiglia, il matrimonio,
il tempo libero e anche lo sport hanno i loro termini d’età entro i quali è serio
o idiota fare o non fare una certa cosa; talvolta se si superano certi limiti fare
alcune cose è strano, sbagliato, sconsigliato,
perfino proibito. Gli esempi si sprecano ne richiamo alcuni: il soldato va fatto
a partire dalla gioventù e non oltre, il diploma è opportuno prenderlo entro i vent’anni,
la laurea va presa sui trenta, la moglie non oltre i quaranta, il lavoro serio che
deve durare va preso non appena è disponibile. Non sono forse queste condizioni
di vita che chiamano in causa il tempo? Il dominio di oggi
è tale che crea tempi artificiali, innaturali, estranei al volgere delle cose in
natura. Questo scandire i tempi di tutti e di tutta la società è esercizio concretissimo
del potere, si tratta di una grande stregoneria che fissa dei confini immaginari
e fa muovere e vivere miliardi di esseri umani entro le logiche della civiltà industriale,
entro i termini di un sistema industriale e capitalistico che non s’interrompe mai
nemmeno di notte; l’apparenza di tutto questo sembra ricondurre a concetti generali
di efficacia, funzionalità, apparenza d’ordine.
Franco: Aspetta un attimo, cosa vuoi dire davvero. Che
il tempo è strumento di questo potere?
Gaetano Linneo: Non
proprio, non siamo in presenza di orologi che hanno ingabbiato il tempo, siamo in
presenza di qualcosa che ha a che fare con il rituale e con l’abitudine. Il sistema
di spezzettare il tempo di vita e renderlo funzionale al sistema industriale e di
commercializzazione e vendita di beni e servizi di tutti i generi è un fatto intriso
di mitologia, di simboli e di riti dal vago sapore magico. Cercate di capire che
la moda, i piccoli piaceri a pagamento, i divertimenti, le distrazioni, il tempo,
libero organizzato, il conformismo verso i consumi sono riti sociali e sono anche
regole che senza una dose d’irrazionale e di mito non potrebbero reggere. Le moltitudini
devono credere che il sistema vada verso il progresso, il benessere, la pace, la
dignità delle forme di vita, la sostenibilità con il pianeta azzurro, la vittoria
in guerra o una cornucopia di beni regalati o scontati; solo con questa dimensione
che intreccia il mito con aspetti magici di negazione della realtà a vantaggio di
illusioni o verità parziali può funzionare questa divisione del tempo quotidiano
e l’oppressione che genera. Perché in questi termini non è il sistema industriale
e la tecnologia a esser a servizio delle moltitudini di esseri umani ma al contrario
le grandi masse si ritrovano sottomessi a metodi sociali e di controllo che alla
fine premiano una ristrettissima minoranza di ricchissimi che hanno nelle loro mani
posizioni di privilegio e di potere. Questo dominio ha poi due grandi colonne: una
si chiama rassegnazione degli anziani e l’altra il divertimento programmato dei
giovani. L’ignoranza delle moltitudini di consumatori e di lavoratori intorno alle
cose veramente importanti da sapere e da conoscere fa poi il resto e completa la
stabilità di questo scandire il tempo di vita e di lavoro. Vi invito a considerare
che il denaro perso o speso male può esser in un certo senso di nuovo guadagnato
o acquisito, questo non vale per il tempo che è passato. Il tempo va in una direzione
e non risulta possibile modificare questa legge universale. Se il presente avesse
come orizzonte di durata l’eternità la cosa potrebbe durare, ma le cose non stanno così perché questo tempo non solo è artificiale
ma è vincolato all’esistenza della civiltà industriale oggi al suo terzo atto rivoluzionario;
come è noto questo sistema sta incontrando i suoi limiti. Il pianeta ha grandi risorse,
ma queste risorse non sono infinite, invece il funzionamento corretto del sistema
di produzione e consumo prevede proprio risorse illimitate come sua condizione di
pieno sviluppo senza collassi, crisi o guerre di grandi dimensioni. Quindi se non
interviene a breve termine una modifica sostanziale
si deve ragionevolmente stimare che il sistema incontrerà i suoi limiti, se non
si scatena una guerra mondiale è ragionevole
pensare a un collasso della vita sul pianeta per eccesso di sfruttamento.
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30 settembre 2014
Sintesi: Il Maestro - secondo atto - ricordo di un maestro di judo
Stefano Bocconi: Vero.
Maledettamente vero. Questa nostra società è priva di un punto
fermo. Di un centro su cui convergono quelli che una volta erano i valori e le
tradizioni. Mi chiedo come si possa
riconoscere un buon esempio, un buon insegnante, un… Non
so. Ditemi un po’ come la pensate.
Paolo Fantuzzi: Un
punto fermo diverso dal conto corrente. Chiedi molto. Oggi che la vecchia
società è disgregata e disfatta manca proprio il terreno su cui dovrebbe
poggiarsi un sano insegnamento o un vero discorso sul mondo. Qui nel nostro tempo tutti i valori o sono
oggetto di commercio o sono relativi, di conseguenza solo la legge nel senso
della polizia e del tribunale può tener assieme una società disfatta sul piano
sociale e priva di valori condivisi. Va da sé che tribunale, polizia,
burocrazia sono poteri, sono poteri dello Stato e quindi le minoranze che controllano
lo Stato sono il nuovo Potere che governa senza autentiche forze d’opposizione.
Quello che salva un po’ la gente comune da una più grande oppressione è che
queste minoranze al potere sono divise fra loro e piene di contrasti e spesso
non riescono a far morire il vecchio per creare il loro mondo. Lavorare per una
società umana disgregata è stato un loro successo, ma nello stesso tempo non
son riusciti a metter assieme i pezzi. Bravissimi nel dividere e nel
frammentare e nel trarre profitto da leggi svuotate di senso e da società in
disfacimento ma pessimi nel costruire un loro mondo stabile e forte. Questa per
me è la decadenza di oggi. Questo tempo di decadenza è reso più amaro dal fatto
che c’è poca speranza, non si comprende come possa determinarsi un futuro
migliore. Inoltre se si guarda sul serio il futuro si notano che queste guerre nuove
e spettacolari fatte di spedizioni militari, lotta al terrorismo, lotta agli
insorti e chi più ne ha ne metta s’avvicinano ogni anno sempre più
pericolosamente ai confini dell’Europa e di riflesso del Belpaese.
Franco: Infatti eccoci qui a lamentarci. Almeno nel
medioevo le confraternite potevano fare una bella e collettiva recitazione di
preghiere e processioni varie allo scopo di incorrere nella benedizione e
nell’intervento della Madonna e dei santi. Vi ricordo che è l’essere umano colui che dà
senso alla sua vita, e in questo giudizio e personale convinzione sono
confortato dai numerosi testi di religione e mistica che ho letto e studiato. Quindi
anche se l’evidenza ci comunica la nostra marginalità davanti ai grandi poteri
del mondo occorre ammettere che esiste uno spazio interiore che è il primo
luogo da liberare e da far nostro. Ripeto. Occorre prima liberarsi dal
pregiudizio e dalla pigrizia e dall’ignoranza, e dopo si potrà costruire un
proprio sapere e una propria visione del mondo umano e della natura. Oggi i molti desiderano e vogliono comprare verità
preconfezionate, seguite da qualche evidenza, da immagini edificanti o
terrorizzanti. Insomma chiedono non percorsi spirituali o culturali da seguire
e su cui impegnarsi ma miracoli, profezie di santoni, magie facili e popolari,
in una parola illusioni. Di sicuro occorre qualcosa di più di qualche
illusione, di qualche gioco intellettuale per trovare un punto fermo nel
divenire delle cose di oggi.
Vincenzo Pisani:
Scusate ma ho l’impressione che sia opportuno tacere. Sento che al tavolo del
professore stanno parlando di qualcosa di simile. I maestri di arti marziali
stanno ragionando del loro maestro defunto. Credo ci riguardi. So che non è da gran signori. Ma intuisco che sia opportuno
ascoltarli facendo finta di niente. Aspettate sta arrivando anche il capo.
Il padrone del locale: signori tra poco
faccio portare la bistecca, ho preso dei bei pezzi dal mio fornitore, per voi
ho messo a cuocere la migliore. Aspettate
e sarete ben serviti, la faccio semplice ma buona.
Clara Agazzi:
Questa bistecca è più che altro vostra.
Paolo Fantuzzi: Aspettate
un momento mi pare che al tavolo in fondo il tuo amico il professore stia per
prendere la parola. Ci vuole altro vino. Altro vino per favore!
Stefano Bocconi:
Accidenti sono confuso. Mangiare o ascoltare. Non riesco a far bene tutte e due
le cose.
Franco: Fate
quel che vi pare, per quel che mi riguarda voglio proprio sentire cosa dice.
Si sente la voce del professore. Si rivolge
ai maestri e ai vecchi allievi del suo defunto maestro di Judo.
Ora voi avete rammentato il maestro
ricordandolo in molti modi. Ora poiché tutti avete parlato e raccontato
qualcosa adesso tocca a me. Confesso un certo imbarazzo perché devo scendere
nei ricordi personali, proprio come avete fatto voi. Questo è necessario per sviluppare il mio discorso. Il mio ricordo
è questo ed è molto lontano nel tempo. Ero nei primi anni dell’adolescenza
quando stanco per l’allenamento e l’esercizio cercai di andar via dal tappeto.
Il maestro mi fu subito addosso e mi disse che dovevo restare, perché ero sul
tappeto e non potevo andar via. Sarei andato via quando lui l’avrebbe
stabilito. Quella per me fu una lezione importante di vita. Perché in quel caso
il carisma del vecchio Ivo fece il suo effetto. Mi resi conto allora che nella
vita, anche nei fatti apparentemente banali, ci sono dei momenti nei quali non
ci si può sottrarre, non ci si può ritirare o nascondere dietro una scusa. Non
si può uscire dal tappeto quando fa comodo. Questa è la morale di questo
ricordo. E qui devo tornare su una cosa che era un po’ sospesa nei vostri
discorsi. Ossia la differenza fra un comune docente e un maestro. Il maestro
diventa parte della propria esperienza di vita. Questo non sempre si può dire
del docente, dell’insegnante, del professore i quali sono figure che
istruiscono, che giudicano, che formano ma non sempre sono maestri. Questo
perché la figura tipica del maestro che oggi onoriamo è per l’allievo
formazione del fisico, del carattere, è stare dentro le regole del judo,
seguire la vita di palestra, è esperienza viva e concreta che si trasmette e si
fortifica nelle prove, nelle competizioni, e nella pratica sportiva. Il maestro è più di
una somma di risultati sportivi o di ricordi di tempi passati, è parte della
costruzione fisica e mentale di un praticante di arti marziali. Il docente. Il
professore è una figura che è simile al maestro sotto molti punti di vista ma che spesso non ha il carisma, o le
condizioni, o la cultura, o l’ambiente giusto e ovviamente la considerazione
per assumere l’importanza che ha la
figura del maestro di arti marziali verso i suoi allievi. L’insegnate spesso è una figura di passaggio nella
vita dell’adolescente e di solito non si tratta di una scelta. Per caso questo o
quello in qualità di docente entra nella vita di ciascuno. Il maestro di judo si
segue o si lascia. Quindi c’è differenza fra i due casi.
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30 settembre 2012
Diario Precario 27/09
Data. 27/09/2012
Note.
Sono al punto. Nuovo
incarico, stessa scuola. Per fortuna ho ritrovato la stessa segreteria, i
colleghi e la vicepreside dell’anno prima. Almeno posso già orientarmi. Mi preoccupa la maturità di quest’anno, sarò
molto probabilmente membro interno.
Comunque per ora inizio
morbido: una supplenza, una lezione. Eppure la sensazione è che mi aspetta un
periodo di lavoro difficile.
Considerazioni.
C’è
la cattiva abitudine in Italia di sostituire troppo spesso il mondo reale e
concreto con un mondo di fantasia, finto, sfacciatamente falso o ideologico. La
condizione reale delle scuole superiori non coincide con la fantasia delle cose
che devono essere in un certo modo, magari per finta o magari per forza. Così è
per molte manifestazioni della vita in Italia. La fantasia e l’immaginazione
tendono a sostituire le realtà scomode. Penso ad alcuni esempi:” La squadra del
cuore perde di brutto allora l’arbitro è corrotto o l’allenatore un cretino. La
realtà politica è spiacevole ecco che arrivano opposizioni politiche pronte a
regalare alle plebi elettorali il sogno della rivolta, dell’insurrezione o
dell’albero della cuccagna per tutti e senza fatica. I figli sono vagabondi e arroganti e
ignoranti, la colpa è dei docenti che non li valorizzano e delle cattive
compagnie. La sfortuna colpisce la famiglia allora c’è il malocchio, qualche
invidioso ha fatto fare la fattura malvagia al mago o a una qualche stregona di
provincia”. Manca l’assunzione delle proprie responsabilità, del resto quasi
impossibile in un sistema sociale e morale dove “ognuno è per se stesso, tutti
sono contro Dio e Dio è contro tutti”. Solo un santo, un profeta, un visionario
o chi ne possiede la potenza creativa e la chiaroveggenza può trovare le colpe
proprie e altrui e non negarle nella finzione comune e nell’autoinganno. Poi si
apre l’abisso del che cosa fare. Sembra di rivedere il mito della caverna di
Platone con il filosofo illuminato che deve ritornare nelle tenebre cavernose
per aiutare umani schiacciati da false verità e da visioni distorte e fallaci.
L’opposizione a un sistema di cose sentito come malvagio e ingiusto credo sia
simile a un sentimento di quelli forti, a suo modo è un fatto oggettivo,
concreto, reale; talvolta perfino più del denaro o del conto in banca. Quanti
sono disposti a cedere fino in fondo ai loro sentimenti, a farne una malattia,
una mania, una persecuzione di se stessi operata con le proprie mani?
Ricordare.
Si
vive una volta sola.
Forse!
Questo
è il limite d’importanza della propria esistenza e proprio questa dimensione
oggettiva impone all’esistere qui e ora di trovare il senso del proprio stare
al mondo. C’è qualcosa che è proprio del singolo nel decidere sul senso della
propria vita e in modo ordinario, banale e stupido. Cosa è per te la tua vita? Questa è la domanda da farsi davanti alle difficoltà e al
male di vivere. Poi arrivano le risposte. Magari sgradevoli, ma arrivano da sé
anche se non volute o richieste.
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9 gennaio 2008
MA NON ERA UN DIRITTO?
Fra il caos mediatico delle vicende napoletane e gli annunci dei successi professionali, anche futuribili, di signorine e signore della televisione e dei personaggi di quello che è il circo della televisione in Italia può capitare, come è successo a chi scrive, che l’attenzione cada per un attimo su un giornale di quelli gratuiti e su un problema non da poco. Titola City del giorno 8 gennaio 2008:”SEI UN UNDER 25 PER TE NIENTE POSTO”. L’articolo tratta brevemente della disoccupazione giovanile in Italia e riporta dati allarmanti, risulta che essa è molta alta nel sud con punte del 40%, in media essa è del 20,2%, peggio di noi stanno solo Grecia, Romania, Polonia. La statistica, si sa è una cosa che può trarre in inganno, alle volte torturando i numeri si fa dire loro tutto ciò che si vuole; eppure è evidente che l’articolo anche in questa forma così espressiva rappresenta la situazione. Due considerazioni meritano di essere esposte al gentile lettore. La prima è che il lavoro è un diritto sancito dalla Costituzione Italiana, certo potrebbe anche non essere così ma il caso vuole che la presente Costituzione faccia esplicito richiamo ai diritti sociali, anzi essa sarebbe fondata sul lavoro. C’è da chiedersi cosa rimane di applicato e di vero della nostra Carta Costituzionale se quella dichiarazione solenne vale per molti fra le generazioni più anziane ma poco o nulla per le generazioni più giovani. Alle volte viene il sospetto lucidissimo che proprio coloro che fanno parte delle generazioni più anziane siano per la maggior parte i meno entusiasti e i meno interessati al dettato costituzionale, un po’ come se venisse fatto capire che in definitiva ciò che è reale e importante è il proprio interesse particolare e di parte e non le regole che fissano la vita civile e politica. Di contro c’è il sospetto altrettanto fondato che la Costituzione sia tirata da una parte e dall’altra per difendere interessi già costituiti di gruppi organizzati e partiti politici. Forse questa mentalità è anche quella dimensione di disprezzo della gioventù che prende i popoli senescenti e in decadenza. Eppure c’è qualcosa di più grave ed è l’italico nichilismo non dichiarato, ma che a ben vedere ogni tanto affiora nei discorsi a denti stretti o privati. Mi riferisco a quell’atteggiamento dei singoli per cui si fa finta di non vedere o di non capire o si afferma che non si può arrestare i disastri incombenti in quanto: ormai è troppo tardi, si è troppo deboli per agire, si è soli, o molto semplicemente questi sono problemi non interessano perché quello che interessa è l’immediato presente in quanto il futuro non esiste. Quest’ultimo atteggiamento è specificatamente nichilista, è la rassegnazione dell’uomo anziano davanti alla fine della sua vita che vuol lasciarsi andare e afferma che nulla dopo di lui merita pietà o attenzione. Questo perchè con la fine della propria vita finisce l’intero mondo personale e quindi, da questo punto di vista, finisce l’intero Universo; i problemi sono di chi resta e non di chi muore. Credo che al fondo del menefreghismo nazionale verso questi problemi del lavoro e della gioventù vi sia la connessione fra gli egoismi privati e questo atteggiamento negativo-nichilista. Da filosofo, per cause di forza maggiore, ritengo che sarebbe una buona cosa pensare a un momento positivo-nichilista dove alla constatazione della fine si sommi la speranza di un rinnovamento e di una rinascita in continuità con quel pochissimo di buono che si è compiuto in vita. Questa cosa è un lavoro da giovani, almeno spiritualmente.
IANA per FuturoIeri http://digilander.libero.it/amici.futuroieri/liber.htm
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