8 settembre 2009
Chiamare il precariato con il suo nome: Finis Italiae
La
valigia dei sogni e delle illusioni
Chiamare
il precariato col suo nome: Finis Italiae
Chi
può oggi credere nella bontà di tenere due generazioni in una condizione di
precariato semi-permanente. Una generazione di ventenni e una di trentenni
soffrono terribilmente il precariato e dal centro-sinistra è arrivata l’arrogantissima
offesa “Bamboccioni” e dal centro-destra un silenzio inquietante, come se
questa condizione fosse una dimensione esistenziale. Il precariato di oggi è un
fenomeno di massa che va dal pubblico impiego al privato e distrugge proprio
quella cosa che è il rapporto fra l’essere umano e il suo lavoro. Questo
comporta una disgrazia enorme per il Belpaese che vede compiacenti le sedicenti
classi dirigenti le quali si sono illuse che precariato e l'emigrazione
selvaggia avrebbero creato una situazione alla statunitense e ridotto l’influenza
dei partiti di sinistra e dei sindacati. A onor del vero con l’estromissione
per via elettorale della sinistra-sinistra dal parlamento la cosa è, dal loro
punto di vista, andata a buon fine. Ciò che hanno messo in crisi sono due
generazioni di abitanti della penisola, quel che è in discussione è la
possibilità d’accedere a un mutuo, di creare una famiglia, di costruire una
continuità. Per i nostrani e aggiornati padroni dei latifondi,
delle ferriere e del vapore è indifferente se la forza lavoro è data da
italiani, da comunità cinesi o da comunità islamiche o asiatiche. Quello che
conta è fare i propri interessi, e se generazioni d’italiani arrivano tardi al
bene-casa e alla famiglia e la natalità crolla e l’immigrazione diventa una
bomba politica e demografica a “lorsignori” non gliene frega di meno. Il ricco
oggi è ricchissimo e quindi apolide, estraneo a tutte le nazioni e a tutte le
forme di civiltà. Il Belpaese per costoro è solo un punto sulla carta
geografica, se c’è si sfrutta, se sparisce “lorsignori” si sposteranno altrove.
La
mia generazione, quella dei trentenni, ormai verso i quaranta, è colpevole di
non aver capito la reale portata dell’offesa che è stata fatta, di non aver mai
avuto gli strumenti politici e sindacali per fermare questa deriva o almeno per
darle una direzione, di essersi persa e confusa davanti a mille finzioni,
cortine di fumo, inganni. Oggi sulle spalle di una generazione ignara grava il
peso funesto di qualcosa di enorme: è il fallimento di una certa idea d’Italia,
almeno di quella solidale, unita e fraterna, che promana dalle pagine della nostra
Costituzione. Al suo posto qui e ora c’è un popolo disperso che nome non ha e
con questo precariato non ha nemmeno la certezza di un futuro, o più
semplicemente del possesso del proprio lavoro e di quella dignità minima che
proviene da un ruolo sociale e morale riconosciuto.
Forse
dobbiamo toccare il fondo dell’abiezione e della scelleratezza per trovare
qualcuno o qualcosa che ci trasformi in un popolo e in una civiltà quale oggi
non siamo.
So
che ritornerà una civiltà italiana su questa penisola, non so quanto tempo ci
vorrà, ma so che tornerà, questa è più di una profezia, è come un urlo
silenzioso che attraversa queste tenebre.
IANA
per FuturoIeri
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