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22 gennaio 2011
Il Belpaese: Scala Sociale
Le Tavole delle colpe di Madduwatta: Secondo Libro
IL
BELPAESE E LE SUE PAURE NASCOSTE: Scala sociale
Il
Belpaese è nei fatti popolato da una maggioranza di umani che sono dipendenti
per stipendi e salari dallo Stato o dai privati. Quindi la maggior parte degli
italiani non sono imprenditori, manager, liberi professionisti. Ora capita che su tutto il Belpaese cali una
forma di persuasione pubblicitaria, televisiva, cinematografica che individua
proprio nelle minoranze di ricchi che sono in alto nella scala sociale la
miglior forma di vita sociale in virtù della loro capacità di accedere a beni
di consumo superflui. Quindi tutti coloro che vivono al di fuori della
ricchezza ostentata, della notorietà televisiva o politica e dei privilegi
presi con l’astuzia o ereditati cadono nella condizione di esseri grigi,
anonimi, ignoti ai più e in generale di stipendiati, di essere a modo loro
lavoratori. Si tratta delle forme
visibili della scala sociale di oggi, in essa gerarchie antiche vengono
dissolte e spariscono e nuove caste di ricchissimi e nuove categorie di potenti
s’innalzano. Oggi nella scala sociale ai livelli più alti si presentano facce
nuove e nel loro essere novità
spaventano e turbano i molti, il tutto nell’indifferenza arrogantissima e
crudelissima di chi vive di politica e ormai da decenni è estraneo alla storia
e alla vita delle diverse genti d’Italia. La nostra politica di professione è
fatta da specialisti del consenso e della mediazione sociale e legale, esseri
estranei alla sofferenza e alla quotidiana fatica di milioni d’italiani. Queste
minoranze che fanno della rappresentanza politica una professione lucrosa si
rivolgono all’elettorato per ragioni di consenso, di voti referendari, di
conteggio fra di loro per dividersi posti elettivi e cariche di
responsabilità. Tuttavia alcuni fenomeni
turbano la sicurezza relativa di chi vive di politica e dei ceti professionali
o parassitari miracolati dall’iniqua redistribuzione della ricchezza e del
carico fiscale creata ad arte dal sistema sociale e politico. Nella scala
sociale nostrana da un paio di decenni fa capolino l’immigrato di colore o
asiatico che è diventato piccolo imprenditore e talvolta assume perfino
personale italiano o è in grado di fornire merci e servizi diventando così un
soggetto importante dei fatti sociali ed economici di un territorio. Questo
accade con regolarità in Veneto e in Toscana ma sono sicuro che altre regioni
sono interessate da questo fenomeno, e così l’altro ascende nella scala sociale
e sotto di lui milioni di umani originari da più generazioni del Belpaese che
si trovano scavalcati e non sanno che cosa pensare o cosa raccontare a se
stessi e agli altri. Per chi scrive il razzismo nostrano è principalmente, ma
non solo perché è una massa informe di fenomeni diversi, il terrore di vedersi
travolti dall’altro che ascende e lascia indietro chi da secoli è presente sul
territorio con la sua famiglia e le sue storie. Una vertigine prende lentamente
e inesorabilmente le genti del Belpaese che voltandosi indietro con la memoria
osservano il passato dell’infanzia e della gioventù e non ne trovano più
traccia in questo presente che ha forse l’unico merito di aver dissolto le
troppe illusioni inquinanti del passato. Così persa la continuità con il
passato anche in relazione alla scala sociale e la speranza in un Belpaese che
assunto una forma inedita e non voluta resta solo la concretezza dei soldi, dei
terreni, delle case, dei fabbricati e capannoni posseduti. Alla fine il nostro popolo si conferma
permeato da brama di cose materiali e di piaceri misurabili in termini di
denaro contante. La sua natura collettiva sembra nel complesso estranea a
qualsiasi astrazione spirituale o metafisica, a qualsiasi giustizia che non sia
misurabile in denaro contante, a qualsiasi potere che non sia espressione di
una forza fisica e coercitiva presente e forte. Ma quanti si sono abituati a
vivere nelle certezze e nelle rendite di posizione del Novecento dovranno
subito far i conti con questo pesantissimo nuovo millennio che si presenta
dissolutore di tutte le antiche illusioni del passato e permeato di minacce e
inquietudini apocalittiche. Quando la crisi comincerà a determinare il volto
delle presenze sulla scala sociale del Belpaese quel che sarà dell’Italia sarà
qualcosa di estraneo alle vicende dei padri e dei nonni, l’altro avrà
modificato in profondità la natura stessa della composizione sociale e
personalmente stimo anche delle ragioni intime dell’attribuire senso a questa
vita. La scala sociale diversificata con l’apporto delle nuove comunità porterà
anche nell’immaginario collettivo le ragioni intime e vitali degli altri e le
genti difformi e disperse del Belpaese saranno forzate a determinare che cosa
sono e cosa sono state e cosa vogliono essere in futuro. La scala sociale non è
più un fatto dei soli italiani-italiani ma oggi appartiene anche
all’Italiano-Marocchino, Italiano-Cinese, Italiano-Filippino, Italiano-Rumeno
ecc…
La
fortuna di nostri che vivono di politica è che la maggior parte delle genti del
Belpaese che hanno l’abitudine di votare non ha ancora capito questa cosa e
pensano di vivere nel 1986 o giù di lì, dentro l’Italia dei sogni impazziti.
Una bella fortuna davvero per costoro.
IANA per FuturoIeri
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1 settembre 2010
Le Tavole delle colpe di Madduwatta
Le Tavole delle colpe di Madduwatta
Presentazione
Dalla Geo-politica degli Hittiti con furore
Questa mia nuova raccolta di scritti
ha un titolo insolito che richiama la Tarda Età del Bronzo in Medio-Oriente. Si
tratta di un ricordo personale di carattere universitario e di una curiosità di
carattere erudito. Fra gli esami obbligatori avevo un esame di storia antica e
a differenza di quel che fanno comunemente gli studenti non scelsi, credo per
motivi d’incastro d ‘orari, storia romana ma quella del vicino Oriente. Ossia
la storia degli Hittiti, degli Assiri, degli Egizi. Un mondo umano
interessantissimo a quel che gli storici han potuto ricostruire con re che si
credevano di stirpe divina o Dei (più o meno come i presidentissimi dei nostri
giorni e i consigli d’amministrazione delle multinazionali), con sacerdoti di
divinità mostruose che esigevano sacrifici e riti e oscuri profeti di sciagure
(gli economisti e i lobbisti di allora, solo che allora erano molto più umili
e utili in quanto cercavano davvero di mettere assieme il piano del volere
divino con la realtà materiale), pieno di guerre volte a far rapine per rubare
beni edibili e metalli preziosi e ad acquisire manodopera servile (come oggi,
nulla cambia), e da masse di sudditi che per una battaglia andata storta o per
un trattato iniquo potevano ritrovarsi schiavi o oppressi da tiranni forestieri
o domestici ( niente di nuovo). L’aspetto
sorprendente di questi studi fu la mia constatazione della spaventosa fragilità
del sistema palatino, ossia dei saperi e dei poteri legati a una città o al
palazzo di un sovrano-dio. La distruzione del centro di comando e controllo,
per usare i termini del 2010, poteva corrispondere alla distruzione di tutta la
cultura che si concentrava nelle mani e nelle menti di poche centinaia di
sacerdoti, di artisti e di scribi. Questo problema della vulnerabilità dei
saperi che si concentrano in ristrette minoranze al potere dovrebbe a mio
avviso esser meditato perché lo trovo straordinariamente attuale. Si consideri
le difficoltà che hanno avuto gli archeologi e gli esperti ottocenteschi e novecenteschi in merito alla traduzione dei testi che sono
stati ritrovati. Essi hanno dovuto ricostruire il senso di quelle scritture, il
vocabolario e la grammatica, la distruzione delle antiche civiltà aveva
disgregato anche le culture palatine i cui saperi erano accentrati in un
limitato numero di scribi, funzionari, esperti, sacerdoti. La distruzione della
capitale e della dinastia poteva comportare l’annientamento culturale e
intellettuale di un popolo e una carestia
esser fonte di fatti terribili e di spedizioni militari annuali
costituite per scopi di rapina e di estorsione di tributi. Non andò bene
l’esame, fu faticoso con una parte seminariale nella quale mi ritrovai a
cimentarmi con la traduzione di uno scritto di uno studioso tedesco che
ragionava sull’interpretazione di una tavoletta hittita. Nel complesso fu una
delle esperienze più strane della mia carriera di studente. Ottenni alla fine
di tanta fatica uno dei voti più bassi del mio libretto un venticinque. Nel mio
ricordo l’esame che comprendeva diversi aspetti fu legato alla parte seminariale
sugli Hittiti e anche al documento che
trattava di un principe di una città sulla costa tal Madduwatta che aveva tradito la fiducia del
Re di Hatti. Il tapino era un sovrano locale costretto a barcamenarsi fra i
nemici degli Hittiti e gli Hittiti stessi e una volta deluse così tanto il re
di Hatti che il sovrano anatolico fece scrivere contro di lui un lungo elenco
di mancanze e fellonie che avrebbe perpetrato. Da tenersi nell’archivio reale,
ovviamente. Quindi per me quello fu l’esame sulle “Tavole delle colpe di
Madduwatta”. Propongo questa mia vicenda universitaria come titolo per una
serie di scritti che si concentreranno su alcuni temi: i miei scritti letterari o presunti tali, la
scuola italiana come problema, le paure degli italiani, la guerra come
ordinario elemento della vicenda umana, i miei viaggi. Questo non toglie che il
sottoscritto presenti nella sua opera delle divagazioni o delle osservazioni
assolutamente diverse da queste appena elencate: non amo vincoli troppo
stretti.
Il legame fra l’età del bronzo e
questi anni è una sottile analogia perché anche allora poteri palatini composti
di minoranze ristrettissime e ricchissime che si credevano divinità o comunque
chiamate a ricoprire quei ruoli sociali e amministrativi dagli Dei portarono gli imperi e i regni della
mezzaluna fertile verso
l’auto-distruzione e verso trasformazioni radicali che comportarono il
loro annientamento e di conseguenza anche quello della loro civiltà. Si salvò
in parte l’Egitto per via di certe caratteristiche geografiche e politiche ma
gli altri vennero perlopiù travolti.
Oggi il rischio esiste perché il modello di produzione e consumo di beni non tiene conto del
problema delle risorse grandi ma pur sempre limitate del pianeta terra, i
sovrani oggi sono presidenti più o meno eletti e democratici ma in fin dei
conti si affidano ai consigli di minoranze ristrettissime di esperti, finanzieri,
direttori delle banche centrali, generali; talvolta questi consigli non sono
consigli ma vere e proprie indicazioni politiche. Se i re-dei e i re-sacerdoti
della tarda età del bronzo dovevano far attenzione all’ira del cielo e alle
vendette di Dei maligni e forestieri e ai re-sacerdoti rivali, qui in questa
terza rivoluzione industriale il furore che sgomina e fa precipitare nel
discredito i presidentissimi e il loro seguito sono le catastrofi ecologiche, i
crolli di borsa, le grandi speculazioni finanziarie, le nuove guerre, il caos
morale e sociale. La civiltà industriale deve divorare se stessa
per rinnovarsi e dotarsi di nuove tecnologie, di nuovi poteri politici e di un
rinnovato materiale umano. Si tratta di
qualcosa di più di un sistema sociale, io ci leggo anche l’aspirazione alla
conquista di poteri sovrumani sul mondo umano e sulla realtà materiale, dietro
c’è l’aspirazione dei pochi a giocare a fare Dio, proprio come certi re della
Tarda età del Bronzo. IANA per FuturoIeri
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12 marzo 2010
La civiltà italiana come costruirla (V)

De
Reditu Suo - Secondo Libro
La civiltà
italiana come ricostruirla (V)
Il ragionamento sulla possibile ricostruzione
della civiltà italiana civiltà deve includere una parte ragionata su quali
forze oggi possono essere motivate e coinvolte in una tendenza volta a
determinare la ricostruzione della civiltà italiana. Purtroppo i tempi non sono
felici, la civiltà da determinare e costruire è lontana; ben oltre la linea
dell’orizzonte. Occorre uno sforzo profetico nello stesso tempo pedagogico per
pensare il darsi di una civiltà sopra questa massa informe di macerie
accatastate che compongono un presente
fatto di miti perduti, di memorie distorte o dimenticate, di stagioni politiche
rovinate dalla corruzione e dallo scorrere del tempo. Per restare nell’ovvietà
osservo che una scommessa sul futuro può esser fatta solo da chi ritiene di
averne uno, dal momento che l’immediato presente e i suoi rapporti di potere e
di dominio è il territorio dove regna l’economia e la politica dei nostri tempi è evidente che
il primo motore di questo percorso va ricercato altrove. Questo altrove è da
determinare in forze sociali e di pensiero da costruire occorre che si formi
una pubblica opinione degna di questo nome e non le solite tifoserie elettorali
capitanate da rozzi ultras che fanno mestiere della politica e sono terrorizzati
dall’idea di perdere soldi e considerazione sociale ad ogni evento elettorale
sfavorevole alla causa loro. C’è bisogno di una civiltà italiana perché i tempi
esigono che delle forze morali e civili
prendano in mano gli esiti delle civiltà che sono state presenti nel
trapassato e nel passato remoto nella penisola. Scrivo questo pensando alla
grande miseria che regna fra le genti umane del pianeta azzurro, ai pericoli
delle nuove guerre a bassa intensità, alla minaccia di gravi conflitti e delle
più che probabili crisi economiche e di risorse. Una massa di disgraziati
infilati in questa penisola sedicenti classe dirigente che replica in piccolo la civiltà
Anglo-Americana non serve neanche agli statunitensi e alla NATO figurarsi alla
maggior parte degli italiani. Quello di
cui questa umanità disgraziata che ruota nel sistema solare con il suo pianeta
azzurro potrebbe aver bisogno è una civiltà che sommi il meglio di quel che si
è avuto nella penisola con le possibilità delle nuove tecnologie atte a
migliorare la qualità della vita e a ridurre gli effetti distruttivi della civiltà
industriale. La vita umana deve prendere una forma e avere un senso compiuto e
non essere abbandonata nelle mani di esperti di Marketing e pubblicità e
sottoposta ai consigli d’amministrazione delle multinazionali e delle banche o peggio al capriccio di minoranze che vivono
di politica. Queste forze commerciali, finanziarie, tecnocratiche tendono per
loro natura a manipolare gli esseri umani e non a rafforzare le loro capacità
critiche, la loro volontà di costruire qualcosa che sfidi il tempo che passa,
qualcosa che dà forma e stabilità alla propria vita. Il Belpaese potrebbe fare
moltissimo se avesse una civiltà in grado di associare il suo passato antico e
moderno con la civiltà industriale.
IANA per FuturoIeri
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20 ottobre 2009
La reggenza d'Italia e il finale alla Capitan Harlock
La valigia
dei sogni e delle illusioni
La reggenza d’Italia e il finale alla Capitan Harlock
Capita di
ripensare alla 42° puntata della serie classica di Capitan Harlock e alla
battuta che chiude tutta la vicenda bellica e umana intorno alla quale ruota il
conflitto spaziale del cartone animato. Si tratta d una serie della fine degli
anni settanta quindi con gli alieni invasori e l’eroe con la sua corrazzata
spaziale che li sconfigge; tuttavia la complessità psicologica dei personaggi e
la complessità della storia ne fa una serie di quarantadue puntate che è
riuscita a far il salto oltre l’ombra e a trasformare qualcosa di commerciale
in una creazione artistica. In quello che è l’ultimo atto della seria la regina
Raflesia al comando degli invasori alieni attende nella sua “stanza dei
bottoni” l’ennesimo rapporto, il suo esercito è stato sconfitto, le sue forze
d’invasione sono in fuga, ma ha ancora delle speranze legate a delle forze
combattenti presenti sul pianeta azzurro. Ad un certo punto mentre è seduta sul
suo trono un messaggero porta la notizia che il loro centro di comando e
controllo è stato distrutto. Sua maestà chiede che cosa significa e le viene
risposto:” Maestà, tutto è perduto”. In
questa quarantaduesima puntata tutto si dissolve in un momento e comincia una
storia diversa dove si contano i vincitori e i vinti, si fa l’elenco di ciò che
resta e di quel che è andato distrutto e perduto per sempre.
Io so che
arriverà questo momento per la Reggenza che di fatto sta governando l’Italia,
questa condizione politica e sociale è instabile e prima o poi cesserà.
Probabilmente questo fatto sarà strettamente legato alle fortune dell’Impero
Statunitense e delle sue alleanze, alla disfatta economica in corso, alla crisi
delle fonti energetiche e delle materie prime.
Oggi le
sedicenti classi dirigenti d’Italia vivono in uno strano limbo, in una stasi
dove possono ignorare le rapidissime trasformazioni del mondo esterno, possono
dilettarsi con gli scandali a sfondo sessuale o con i giudici perseguitati
dalle telecamere. Si tratta del solito teatrino, di storielle da spettacolo di
burattini, di parole al vento che devono bastare ai militanti e ai tesserati,
più o meno fantasma, mentre tutto intorno al Belpaese cambia, e le stesse genti
difformi della Penisola non sono più le stesse da almeno due decenni.
Il finale,
non so quando e non so come, sarà spettacolare perché tutto verrà giù in solo
momento. Sarà dato da un punto sottile nello spazio e nel tempo nel quale ciò
che era prima cesserà d’essere e ciò che sarà prenderà forma. Il momento esatto
dove il cambiamento sarà irreversibile e ritengo che avrà lo spazio temporale
della durata della quarantaduesima puntata. Circa mezz’ora.
Un bel
finale rapido e tagliente per la storia di una reggenza italiana indecorosa, sgangherata,
malfatta e nel complesso triste.
IANA per FuturoIeri
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14 ottobre 2009
Quale Italia sarà possibile?
La valigia
dei sogni e delle illusioni
Quale Italia sarà possibile?
Il Belpaese dovrà
pur essere qualcosa prima o poi. Le cronache di questo 2009 di crisi, non
ancora finito, mi mostrano un Belpaese preda di classi dirigenti indegne, aliene
dalle difformi e disperse genti che popolano l’Italia. Lo scudo fiscale votato
per ben due volte in modo rocambolesco e pazzo con numerose assenze nella
maggioranza e nell’opposizione aiuta coloro che si sono dilettati nella
creatività in materia fiscale. Io che mi alzo la mattina per andare a lavorare
mi chiedo come posso venir tutelato da uno Stato che mi tassa con mano
inflessibile e che si dimostra amorevole e generoso con personaggi che in altri
paesi finirebbero in galera, per anni. Perché la cattiva politica è anche questo
modo di gestire lo Stato. I rappresentanti del popolo, anche se con qualche
deformità, rappresentano tanta parte della popolazione italiana. Lo scudo fiscale proprio perché cade in tempi
straordinari di disgrazia e di miseria mi fa intendere come i poteri del
Belpaese siano deboli e divisi, preferiscono inseguire i disonesti e i furbi
perché non hanno scelta. O credono di non averne una diversa. Del resto se si
appellassero alla Nazione e alla sua volontà di riscatto cosa potrebbero mai ricavare
dal momento che la Repubblica ha quasi sempre mostrato alle genti d’Italia la
via della frammentazione attraverso le ideologie dei diversi partiti e il pertinace conseguimento di
specifici interessi di parte quando non addirittura un clientelismo spicciolo
sconfinante nel nepotismo.
L’Italia
deve diventare una civiltà; altrimenti ai primi gravi rovesci di fortuna, che
capitano ogni tanto nel volgere di un secolo, la frammentazione degli interessi
e dei gruppi porterà alla disgregazione dello Stato e della Repubblica.
L’enorme peso politico della Lega Nord è un segnale ben preciso di questo
processo in atto. Ogni interesse particolare e privato mancando dei valori
comuni a tutta la popolazione diventa una totale e assoluta esigenza politica
là dove trova rappresentanza. Ora c’è da chiedersi a chi giova un sistema
politico che cura ogni possibile frammentazione all’interno della popolazione.
Certamente ad alcuni singoli che approfittano della debolezza e dell’incertezza
generale, ai poteri finanziari che trovano una realtà debole e passibile di
ogni condizionamento, e ai poteri politici stranieri che si tolgono di torno il
problema di una potenziale potenza regionale nel mezzo del Mediterraneo.
Quest’ultima
dovrebbe essere la prima di tutte le evidenze. Il Belpaese che verrà, in un
tempo purtroppo ancora molto lontano, dovrà spazzar via i cattivi propositi dei
finti amici, dei finti alleati e dei nemici. Potrà farlo solo se troverà
qualche valida ragione per star assieme, se onorerà dei valori condivisi, se si darà un modello di
vita culturale e civile che oggi è assente; questo qualcosa deve però
prescindere da un senso di paura o d’oppressione. La civiltà italiana dovrà
essere valida e autonoma di per sé senza bisogno di poggiarsi su stampelle
militari o politiche altrui.
IANA per
FuturoIeri
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8 maggio 2009
Civiltà italiana: una, nessuna,centomila
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Civiltà italiana: una, nessuna e centomila
Per
una persona normale, incensurata, che non è scesa a particolari compromessi è
difficile far una ragionamento lineare e ragionevole sulla comune identità
italiana. Questo perché una civiltà italiana, chiara, distinta, con valori
certi come tale non esiste. Si può fare l’arbitrio d’indicare la lingua comune
come fondamento della comune identità ma essa non è quella parlata ogni giorno,
la lingua comune di cui si parla è quella dei manuali scolastici, delle
antologie, dei testi ufficiali, non certo quella ordinaria e banale della
comunicazione di tutti i giorni. In verità tanta parte del linguaggio comune
deriva dal freddo impasto fra modi di dire mutuati dalle lingue straniere e
dalla pubblicità commerciale e la banalissima vita quotidiana nella quale si
risparmia ogni fatica del linguaggio per arrivare ad argomentazioni efficaci e
rapide. Il problema del Belpaese è che la civiltà che lo anima è, per così dire,
invisibile. Si fa presto a suonare l’inno (ma nessuno si ricorda più che in
tempi non sospetti ebbe luogo un dibattito politico sull’opportunità di cambiarlo) ma una civiltà
non è solo questo ma l’insieme di ragioni che spingono esseri umani molti
diversi fra loro a fare gruppo, a star assieme, a riconoscersi in valori e in
simboli, a darsi regole, riti, vita politica. Ebbene neanche il mito
garibaldino sembra in grado di mettere assieme gli italiani, figurarsi gli
altri. Il Belpaese ha avuto una storia recente dove il passato monarchico e
fascista è strato abiurato e rinnegato per cause di forza maggiore e la
Repubblica è stata storia di partiti e gruppi diversi ed eterogenei, divisi su
tutto ciò che era comune identità e valori a cui guardare per pensare lo
sviluppo dello “stivale”. L’unico ente che si occupa -quasi per caso- di
ragionare in termini di "identità e nazione", al quale si guarda con fastidio da
parte delle “classi dirigenti” perché concepita come costo e come problema
perché limita affari lucrosi nel settore,
è la scuola italiana dalla materna al liceo. Oltre la scuola e ciò che
essa riesce a legare c’è una cultura commerciale da grande magazzino, da
rivista patinata di moda, da volantino del discount, da televendita che guarda
con fastidio alla dimensione nazionale, alla storia e alla vita. Quindi non gli
spettri di comunismi e fascismi morti, stramorti e sepolti ma il tritatutto della
società dei consumi, aggravata qui nel Belpaese dalla difficoltà dei ceti
sociali che vivono di politica di concepire l’esistenza di un “problema
italiano”, di una comune identità che si proietti oltre il qui e ora degli
slogan della politica e della banale e ordinaria cialtroneria culturale delle
campagne elettorali. In quali simboli dovrebbero riconoscersi tutti gli
appartenenti al Belpaese, in quelli più o meno politici magari legati al remoto
passato?, in quelli banalmente commerciali come se il Belpaese fosse una somma
di loghi per vendere merce magari soltanto assemblata e confezionata in Italia?
In quelli religiosi e cattolici con
buona pace delle masse d’immigrati e di connazionali che cristiani non sono? In
quelli logorati da decenni di vuota e roboante retorica patriottarda. Inoltre
chi scrive non ha fiducia nella dimensione unificante della nazionale di calcio
perché nei campionati e nelle sfide sportive fra nazioni non sempre si vince e
un simbolo unitario non può essere una variabile calcistica, inoltre milioni
d’italiani praticano o sono amatori degli sport minori e la centralità del
calcio sembra fatta più per divedere gli italiani che non per unirli. Una
dimensione di civiltà del Belpaese forse dovrà far a meno di fattori
unificanti, probabilmente si dovrà sfidare la logica comune e il buonsenso e
concepire per gli anni a venire una civiltà senza un suo centro, senza quei due
o tre elementi unificanti forti che di solito aggregano le popolazioni delle
altre nazioni. L’Italia che sarà può essere costruita solo proiettandola nel
futuro e con la rinunzia preventiva a fare di domestiche glorie e remote
reliquie di miti perduti le basi di una
civiltà che oggi non è. Sarà solo ciò che potrà essere se verrà costruita pezzo
per pezzo.
IANA
per FuturoIeri
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27 aprile 2009
Note libere sulla prima puntata della serie classica di Capitan Harlock
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Note libere sulla prima puntata della serie
classica di Capitan Harlock
Alle
volte il passato gioca brutti scherzi. Così mi capita di ripensare alla prima
puntata di un vecchio cartone animato dell’infanzia. Mi riferisco alla prima
puntata di Capitan Harlock , anno di produzione 1978, trasmesso in Italia nel
1979; se ricordo bene. Forse erano anni dove il vento dell’utopia e della
liberta ancora si sentiva, o forse semplicemente certi stereotipi wagneriani e
nicciani erano giunti fin nel lontano Giappone e là aveva trovato buone
possibilità. Del resto nel 1999, dopo vent’anni, è stata prodotta la serie
Harlock e l’anello dei Nibelunghi, libera trasposizione fantascientifica della
trilogia Wagneriana con non poche licenze poetiche, per non dir di peggio. L’eroe Harlock si muove dentro una situazione
estrema deve proteggersi dai nemici esterni, le terribili aliene mazoniane, e
da quelli per così dire interni ossia il governo terrestre. Governo
rappresentato da una democrazia imbelle e dissoluta, autoritaria e nello stesso
tempo corrotta e indolente che non trova di meglio che rincretinire i suoi
cittadini con le trasmissioni televisive che trasmettono messaggi ipnotici e
che per quieto vivere rifiuta perfino di prendere in considerazione l’invasione
aliena imminente. Il fumetto e la serie televisiva da subito ci presentano l’eroe
ribelle, piratesco, solo contro tutto e tutti con la sua “corrazzata spaziale”
Arcadia e armi potentissime e un
coraggio che va oltre la temerarietà. Un eroe che lascia il suo messaggio alla
fine di due lunghi e tormentati anni di guerra a un pugno di fedelissimi
disposti dopo tante terribili prove a ricostruire l’umanità e a vivere in un
pianeta devastato dai bombardamenti. Davanti
a lui l’umanità imbelle e dissoluta per la quale tuttavia, ha anche una figlia adottiva e una storia personale
legata al pianeta Azzurro, è deciso a battersi con il suo pugno di fedelissimi.
Mi fermo su un punto di questa serie: il governo terrestre. E’ evidente, chi
confronta la serie televisiva con il manga lo capisce subito, che l’autore ha
pensato una figura eroica contrapposta a un potere politico imbelle e corrotto
e, per contrasto, tutto il peggio dell’umanità va nel governo imbelle e
dissoluto e tutto il meglio nell’eroe solitario. Prova ne sia che le grandi
prove eroiche fatte dai personaggi minori avvengono solo se essi in qualche modo s’avvicinano agli ideali o
alla lotta del capitano. L’eroe quindi che sfida l’ignoto e la morte in
combattimento e che cerca con la sua lotta di creare un futuro possibile;
futuro stritolato da un lato da nemici esterni potentissimi e malvagi e
dall’altro dalla decadenza dei poteri pubblici e politici, il contesto è di
decadimento che coinvolge anche la natura, una corruzione che dal potere
politico si spande fino alla natura e alla vita. Il mare morente della prima
puntata, ma nel fumetto su questo aspetto si calca ancor di più la "china", è la
rappresentazione palese di questo spandersi della decomposizione. Contro questo
senso di morte della vita e della speranza ecco che arriva l’eroe solitario, il
singolo, “l’oltreuomo” che può cambiare tutto perché egli stesso è latore
dei suoi valori e della sua forza interiore ed esteriore.
Quale
riflessione da fare a distanza di così tanti anni. L’dea di fondo che è dietro
questa grande favola, che si presenta come tale del resto fin dalla prima
puntata, presenta per la nostra cultura europea
una dimensione politica. Se nella finzione del manga o del cartone
animato si critica il sistema di produzione e consumo trasposto fra mille anni,
la vicenda si svolge nel 2077, allora si finisce con svolgere una critica a
tutti i poteri e ai comportamenti dominanti. L’eroe non diventa tanto un sogno
o una fantasia ma la rappresentazione di una possibilità dell’essere umano, di
una condizione straordinaria. Un condizione che prefigura il superamento del
presente per affermare un futuro diverso e possibile. Eppure la figura eroica
in questo caso è un prodotto dell’industria dello spettacolo e
dell’intrattenimento. Industria che, in questa fortunata serie, saltò oltre la propria
ombra.
IANA per FuturoIeri
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14 ottobre 2008
LONTANI DAGLI DEI E DAGLI EROI 6
Alle volte mi chiedo se fra le cose pazze e storte della razza umana non ci sia il continuo proporre figure ideali alte e nobili, di chiara natura fantastica o leggendaria. Viviamo qui nel Belpaese tempi talmente putridi e sconfortanti che sinceramente anche il signor Buonaventura del tempo che fu con le sue piccole avventure semplici-semplici sembra rimandare la mente a un tempo remotissimo ed eroico. Questa crisi finanziaria disgraziata ha mostrato il vero volto del turbo-capitalismo che ha avuto migliaia di laudatores nelle università e nelle redazioni dei giornali: una accozzaglia di truffatori ed eversori dell’economia protetti dalla politica. Costoro sono l’ennesima prova di una decomposizione dei miti costitutivi di queste fragili democrazie all’americana. Senza la promessa di nuove ricchezze e di nuovi privilegi è improbabile che i molti riescano ancora ad identificarsi nei sistemi politici democratici. Era facile essere democratici in tempi di buona fortuna e di ordine costituito tenuto ben fermo dalla polizia e dalle allucinazioni collettive propinate dalla pubblicità. Adesso che la ricchezza si sposta verso l’Asia e verso regimi a dir poco autoritari quanti saranno disposti a credere a un sistema che pretende di difendere le libertà dei singoli e delle minoranze e nello stesso tempo deve andare con fare da mendicante dai suoi contribuenti più poveri a chiedere i loro soldi per salvare i miliardari e i banchieri dalla loro stessa criminale avidità. Non può un sistema imbelle, scellerato e dissoluto sopravvivere ai rovesci della fortuna se non si aiuta da solo; i criminali della grande finanza vanno messi in galera e i loro beni pignorati, questo è lo spartiacque fra una democrazia che vuol sopravvivere e una che vuol morire. Dove andrà a schierarsi l’Europa? Forse fra quei sistemi politici che scelgono il lento suicidio o forse fra quelli che vogliono affermare se stessi e urlare in faccia la mondo e ai loro nemici che ancora non sono vinti? Sarebbe eroico auspicare per l’Europa e per il Belpaese un regolamento di conti fra questi killer in doppiopetto dell’economia e gli Stati Sovrani, per quanto duro possano picchiare quei malviventi non hanno nessuna legittimazione politica di per sé, in realtà sono delinquenti senza Dio e senza Patria. Non possono esercitare nessun potere, ad eccezione di quelli squisitamente criminali, senza appoggiarsi alla legge riconosciuta. Basta l’applicazione di buone leggi per distruggerli e se essi si dissolveranno nella criminalità organizzata questo fatto dimostrerà solo che sono tornati alla loro natura e alla loro prima origine.
IANA per FuturoIeri http://digilander.libero.it/amici.futuroieri
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