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3 agosto 2012
Le Tavole delle colpe di Madduwatta Terzo Libro. Un cocomero ben tagliato
"Segreto svelato" di I. Nappini
Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
Il Cocomero ben tagliato
( anticipazione da uno scritto ancora tutto da
scrivere)
Il numero due degli Xenoi mi congedò
ed io lo salutai come talvolta si salutano ossia con un leggero inchino della
testa e mettendo la mano aperta sul petto. Ciò fatto andai verso il comandante,
l’impressione di quel breve incontro era stata enorme. Il comandante mi sembrò
sereno e con aria confidenziale mi disse:”Ein Stück der
Wassermelone?”, sulle prime non compresi. Aveva usato il tedesco per chiedermi
se volevo andare con lui, voleva offrirmi una fetta di cocomero. Che cosa
curiosa. C’era una tradizione da quelle parti, in quella città; d’estate alcune
bancarelle offrivano cocomero gelato per pochi spiccioli ai passanti. Precisò:”
Fa caldo, perché non ci concediamo una fetta di cocomero bella gelata, so io un
posto straordinario.” Accettai subito stupito dell’offerta. Fece un cenno e la
macchina si avvicinò all’uscita. Disse all’autista:” Sulla
passerella, quella prima del ponte rosso”, mostrò su un tablet la mappa e una
foto del punto, il tipo al volante fece un cenno di aver capito e in pochi
minuti eravamo già in strada diretti dalla parte opposta della città. Lui mi parlò con tono amichevole:” adesso la
porto nei pressi del principale parco della città, troverà ben poco di monumentale ma è comunque
un posto gradevole. Personalmente mi sono cari certi luoghi popolari,
semplici.” Arrivammo in un quarto d’ora, non c’era traffico sulla strada, la
macchina parcheggiò presso una piazzetta e ci avvicinammo al banco del
rivenditore di fette di cocomero collocato
nelle vicinanze di un ponte pedonale sul fiume, il luogo era semplice e
privo di decorazioni e di cose notevoli. Il caldo era forte e la polpa rossa
fredda, dissetante e dolce proprio quello che ci voleva, con due soldi il
comandante mi aveva dato una piccola lezione di gastronomia da strada locale.
Lo ringraziai per il gustoso sollievo, l’emozione era stata grande e un piccolo
momento di calma era prezioso, la tensione si allentava; fu allora che m’invitò
a far due passi, dietro il chiosco si apriva un piccolo viale alberato. Fu
l’occasione per fare due passi e parlare del più e del meno, ad un certo punto
della conversazione il comandante volle mostrarmi un punto dal quale
s’osservava il fiume dall’alto di un argine, una pescaia, le rive sassose e il
parco alberato sullo sfondo. Il tutto aveva un fascino da cartolina, da
acquerello comprato in qualche negozio di souvenir. Chiesi qualche notizia su
quel posto, cose comuni, se c’erano delle storie al riguardo, se c’erano
racconti di battaglie…
Lui mi parlò così indicando una
pescaia semplicissima sul fiume:” Vede questo
luogo è un luogo semplice, è la periferia del fiume; la parte storica
della città è dall’altra parte. Questo è un quartiere dove vive la gente
comune, gente semplice. Il potere che abbiamo conquistato assieme agli Xenoi
viene dal conoscere queste pietre, queste case, questo fiume, questi alberi e
questi prati. Viene dalle cose piccole, dalla banalità, dalla semplicità.
Sapere è potere e noi come certi guerrieri d’altri tempi ci siamo messi a
conoscere noi stessi, il proprio luogo di vita, la propria storia, la natura. Ci
ha aiutato ad avere una disciplina, ad aprire la mente, a prepararci ai disagi
della guerra e della vita in clandestinità e della normalità nella gestione del
potere.”.
A quel punto compresi al volo che
dovevo approfittare di questa inaspettata confidenza:” Quindi una sorta di
consapevolezza interiore, di spirito guerriero, di forza morale d’altri tempi
era per voi fonte d’ispirazione, di coraggio?”
Lui fece una smorfia e disse: “
Perché tante e tante volte le genti di questa penisola hanno fallito nel corso
delle loro rivolte, delle loro congiure, delle loro ribellioni? Perché andavano
in ordine sparso, senza disciplina, senza logica, avendo in testa interessi
personali, speranze private di ricchezza, desideri di vendetta, odio. Per ciò che riguarda i capi le ambizioni
personali, il doppiogioco, l’ indisciplina, le affinità con la delinquenza erano
la regola e questa era la zavorra di tanti movimenti e gruppi politici del passato
con ambizioni rivoluzionarie o sovversive. Sono miseramente affogati, la loro
memoria si è perduta, le loro ambizioni dissolte, le loro speranze sparite. Noi
non potevamo fallire in modo miserabile, in modo meschino come era già accaduto
nel passato. Quindi ci siamo forzati alla disciplina e allo studio delle arti
marziali. Troppi movimenti politici nel passato sembravano la cattiva copia della
delinquenza comune, delle bande mafiose, della feccia di strada che vandalizza
qualche quartiere popolare, che fa casino per svaligiare un supermercato o solo
per far a botte con la polizia. Questo Belpaese merita qualcosa di più , molto di più dell’ennesimo
bivacco di ladri, teppisti e cialtroni travestiti da politici, da tribuni, da
rivoluzionari. Poi c’è una cosa ancora. Erano spesso gente priva d’arte, di
poesia, di filosofia , di retto e
corretto sapere. Con gente simile anche le migliori cause scadono nelle
degenerazione e nel disastro“. Il comandante aveva le idee chiare e precise.
Non potevo dargli torto, in fondo il vecchio ordine era pieno di cose corrotte
e disastrate; in quelle frasi vi fossero
dosi forti di verità mischiate a risentimento e rabbia. Poi era anche vero che
queste popolazioni erano state governate da potenze straniere, da despoti e
tiranni domestici, da politici espressione della criminalità organizzata. Mi
sembrava sicuro di sé. C’era un che di fastidioso nel suo fare.
Volevo smontarlo, almeno un po’;
volevo approfittare della situazione venuta in essere con questo dialogo.
Quindi chiesi in cosa davvero lui e i suoi amici e compagni d’arme ritenevano
di essere migliore di tanti altri che avevano provato a far cose simili, a far
rivolte, sommosse, rivoluzioni. In fondo con così tanti esempi cattivi del
passato c’era da pensare che anche sua eccellenza potesse essere incluso nel
numero dei candidati al fallimento.
La provocazione lo scosse solo un
poco. Mi sorrise. Indicò il fiume, le due rive
e la pescaia
Poi mi disse più o meno queste cose: “
Il pericolo del fallimento è forte, ma proprio per questo ci proponiamo una
disciplina di partito e marziale. Si tratta di far molto di più e meglio di
quanto da queste parti si è visto in passato. Vede non è che in passato
mancassero buone idee o buoni ideali. Mancavano gli esseri umani in grado di
realizzarli, di portarli a buon fine. Anche
il materiale umano conta. So che è una brutta espressione ma le cose stanno
così. Se non liberiamo noi stessi dalla spazzatura che abbiamo in testa, dalle
ambizioni sceme, dal cretinismo portato dall’egoismo falliremo di nuovo, come è
successo tante volte. Ecco la necessità di fare un salto, di andare oltre
grazie ai nostri alleati Xenoi. Non possiamo oggi scappare nel ricordo del passato
come tante volte hanno cercato di fare i rivoluzionari, i ribelli, gli
eversori. Inutile il cercare in cose morte, nei detriti di storie politiche e
sociali finite da generazioni l’ispirazione per un riscatto collettivo, per una
salvezza di tutti o di qualcuno. La salvezza può venire solo da una proiezione
in avanti, da una rivoluzione sì; ma non come ritorno alle origini. Non c’è un
paradiso perduto nel passato recente o remoto che sia, ciò che siamo e che
potremo essere si decide qui e ora. Il passato serve forse a non perdersi, a
capire da dove si è partiti, ma non può essere il suo ritorno la nostra causa.
Vede il fiume, oggi è lento e pigro nel suo scorrere, in inverno è forte e
impetuoso. Il fiume non è mai uguale e quella pescaia oggi è emersa, visibile.
In altri momenti pare sparire sotto la forza delle acque. Il fiume non si ferma
mai. Cercare l’acqua del fiume di venti o trent’anni fa è pazzia, ogni presente
scrive da sé la sua storia. Anche il nostro presente scriverà la sua storia e
costruirà da sé le sue regole. Quindi siamo forzati per così dire all’esercizio
della virtù, alla disciplina, ad essere una forza che si muove tutta assieme
con uno scopo collettivo; dobbiamo fare il nostro percorso, costruire un mondo
materiale e umano e non rapinare i detriti di società umane rovinate e di
realtà politiche scomparse. Rapinare i vinti, gli scemi e la gente ignorante è
stata per secoli l’abitudine delle minoranze al potere da queste parti, ossia
abitudini criminali e criminogene”.
C’era molto di vero nelle sue parole
e c’era anche il desiderio di giustificare se stesso, le proprie azioni, i
ricordi. Sorrisi e dissi due o tre parole di circostanza mentre ammiravo il
paesaggio.
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5 luglio 2012
I primi appunti sul processo - note e scritti su un testo tutto da scrivere-
 Assedio di I. Nappini
Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
I primi appunti sul processo
( anticipazione da uno scritto ancora
tutto da scrivere)
Ripetevo gli stessi gesti, in modo
nervoso e un po’ seccato. La camera presa in affitto mi sembrava maledettamente
piccola e la mia raccolta di vocabolari e di testi mi sembrava inadeguata. Andavo dalla scrivania dove avevo collocato
il computer per scrivere i miei appunti
e le mie note al materiale cartaceo. Non ne uscivo fuori, rimanevo incastrato
in cattive immagini, mi perdevo in pensieri oziosi, in visioni deludenti, in
letture parziali; in breve perdevo tempo. La mia curiosità e il mio interesse
si disperdeva in mille cose diverse. Poi arrivai alla prima domanda seria.
Perché loro?
Perché proprio degli esseri
squallidi, dei guitti dell’informazione e dello spettacolo, dei personaggi
vissuti di pubbliche relazioni, di pubblicità commerciale e propaganda
travestita da notizie vere, di delazioni vergognose, degli squallidi
pubblicisti al soldo di chi paga dovevano essere al centro di un processo
esemplare. Perché proprio loro. Sulle prime pensai a un processo ridicolo, ai
capri espiatori, a una sorta di sacrificio animale. Poi mi resi conto che la
cosa era più complicata. Volevano quelli
lì e proprio quelli. Dovevano esser messi davanti ai loro delitti, alla loro
miseria morale, al loro vendersi per
soldi o per qualche favore; dovevano essere l’esempio negativo. Il senso del
processo era la messa in stato d’accusa di tutto il passato “occidentale” di
queste popolazioni, ciò che era stato prima doveva prendere l’aroma della
vergogna e della truffa, dietro questo
regime nuovo più o meno rivoluzionario non doveva restare nessun punto di
ritorno, nessun tempo delle origini. Ma perché allora proprio delle cialtrone
televisive, dei giornalisti venduti, dei pubblicisti usi alla menzogna. Poi
compresi. Quelle categorie umane erano state per decenni l’immagine della
cultura popolare della lega più bassa e vile, ma erano stati un pezzo del
quotidiano e del vissuto, i servi squallidi
delle minoranze al potere e degli alieni nemici degli Xenoi e intrattenitori
della popolazione di questo paese. Non le rovine degli antichi, i ruderi delle
fortezze medioevali, le ville del Rinascimento o le meraviglie architettoniche
dell’età Industriale, ma al contrario i
miserabili della televisione e della stampa e della rete erano il passato da
stroncare, il passato pericoloso. Pericoloso perché molti non si ricordavano di
coloro che avevano costruito la ferrovia, il mercato coperto, il castello, la
villa reale, il rudere dei cavalieri crociati o la villa romana, le mura
cittadine. No i molti si ricordavano del tale che si era presentato nel salotto
televisivo con la cravatta color aragosta, della presentatrice bellicista con la
minigonna e la magliettina, del demagogo sudato e cialtronesco nel discorso con la canotta
militare presa al mercatino etnico, della cicciona volgare della televisione
che insultava a destra e a manca, del politico che si presentava alla tribuna
politica con i colori della squadra della città o della nazionale di calcio. Il
cretino televisivo e la scema di turno da film amatoriale erano i campioni della civiltà
da poco scomparsa e quelle dovevano essere le bestie da uccidere, il lupo al
quale doveva esser fracassata la testa per far felici pecore e pastori. Era
così evidente che mi son chiesto perché non avevo capito subito la cosa, ma questo
poi mandava la mia persona a sbattere contro un diverso problema. Una volta stroncato questo modello scellerato
con cosa sarebbe stato poi sostituito? Cosa volevano fare di questi popoli?
Come volevano integrare gli alieni Xenoi dentro la popolazione locale? Quel
processo conteneva molte risposte. Una delle cose che gli eserciti fanno
durante un conflitto è conquistare appoggi presso le popolazioni invase con la
propaganda di guerra o manipolare con soldi, corruzione, ricatti, favori
associazioni umanitarie, gruppi culturali, minoranze religiose per far passare
come cosa buona e giusta la loro impresa militare e i loro propositi di
conquista. In particolare nella guerra a bassa intensità è vitale per un
esercito occupante costruire attorno alla sua presenza una rete di consenso. Qui
era però diverso. Questa non era esigenza di guerra, e neanche un tentativo di
stroncare qualche gruppo di dissidenti o di ribelli locali distruggendo la rete
di complicità e la loro credibilità. Questa era volontà di mettere una
sepoltura su un tempo finito e di criminalizzare l’immagine del passato. Ciò
che era stato il precedente regime in blocco era quella cosa lì: l’ultimo esito e
tragico esempio umano di decomposizione civile e morale. Questi i nomi: Michele
Tito Stano, Giorgio Meschini, Gano Serrat, Pina Riccobaldo da Ferrara, Maurizia
Pigalle, Maria Battista de Melis e infine Puddu Maligni. Quattro uomini e tre
donne messe davanti al fallimento del loro regime e della loro esistenza. La
sentenza di morte era già scritta, il problema era come ci sarebbero arrivati. So
come ce li voleva portare il comandante Giosia: in ginocchio, anzi strisciando
fino al patibolo.
Cominciai a vedere la cosa nel suo
complesso; questo non era un caso minore, uno studio da tesi o da ricercatori
di seconda fila, dietro questi fatti c’era il senso di un passaggio di stato. Era
la mia occasione, poteva essere il mio biglietto per la carriera accademica se
fossi riuscito a trovare il senso politico e propagandistico di questo
processo. Inoltre la sfortuna aveva fatto sì che molti degni compari e complici
di questi sette fossero dispersi, stati linciati, massacrati dalla folla,
uccisi sul posto. Avevo trovato la ragione del mio lavoro, del mio studio e una
forse carriera.
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27 giugno 2012
Appunti profetici e sparsi su uno scritto da fare
 opera di I. Nappini
Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
Una notte difficile
( anticipazione da uno scritto ancora
tutto da scrivere)
Fra le cose notevoli che voglio
presentare ai miei lettori una mi resta difficile da esprimere. Si trattò della
notte prima dell’incontro con il numero due del regno Xenoi. Ero pieno di paura
e di tensione, si trattava di una breve udienza, forse venti minuti; ma a parte
alcuni leader politici e ministri degli esteri delle grandi potenze imperiali
quasi nessuno aveva avuto occasione di rivolgere la parola a un capo politico e militare Xenoi di rango così alto. Non
riuscivo a dormire, mi giravo nel letto, dovevo essere lucido ma la tensione mi
forzava a bere una o due bottiglie di birra locale, curiosamente era di ottima
qualità. Cominciò a farmi male la pancia, sudavo, poi mi addormentai e sognai
di essere una persona diversa, in un paese diverso, con un lavoro che non era
il mio. Ero uno che viaggiava, parlava, incontrava gente, la cosa era
piacevole, divertente. Poi mi svegliai. Era mattina tardi e un sole caldo e
generoso inondava con i suoi raggi il letto, le lenzuola e la mia persona. La
testa era pesante ma subito compresi cosa dovevo fare; prepararmi
convenientemente per l’appuntamento. In frigo avevo lasciato la colazione una
cosa semplice e leggera: caffè, latte, una mela, qualche fetta di pane, burro, la
locale crema di cioccolato peraltro ottima. Volevo star leggero, senza digestioni
complicate avrei avuto più lucidità. La primavera era ormai tarda e era
necessario lavarsi bene per non sudare, profumarsi, prendere gli abiti migliori
e indossarli. Il tutto andava fatto con semplicità e senza ostentazione. Mi ritrovai vestito di
bianco e color crema, a ripensarci c’era qualcosa di funereo in questo mio
abbigliamento. Aspettai per una o due ore fino a quando due auto mi vennero a
prendere, una era per la scorta e la seconda era per me, entrai. C’era il
vecchio comandante nell’auto. Mi parlò brevemente dando alcune raccomandazioni
generiche, il luogo dell’appuntamento era nella zona signorile della città, sul
colle dove era posto il Belvedere; in un giardino ben curato, aperto al
pubblico per alcuni giorni dell’anno, sua altissima eccellenza mi avrebbe
ricevuto per pochi minuti. Ella era interessata alle rose che là erano
coltivate e alle piante ornamentali, in un certo senso ella esprimeva così un
sentimento gentile, quasi umano. O forse no, si trattava magari di una
curiosità scientifica legata alle proprietà farmacologiche e alimentari delle
piante ornamentali e da giardino locali. La strada salì per poche centinaia di
metri fra ville immerse nel verde e alberi bellissimi, fiori, erba freschissima
e odori molti forti, fra i quali quello di magnolia. Sul marciapiede qua e là c’erano a gruppi di due o di tre dei
soldati dei corpi speciali, gente a passeggio, qualche operaio, qualche
giardiniere. Le vetture si fermarono sul piazzale del belvedere della città,
subito una scorta comandata dallo stesso comandante mi condusse nel luogo
dell’incontro. A quel punto la situazione cambiò, ad aprire i cancelli del
giardino c’erano due Xenoi in alta uniforme. Mentre entravo uscivano degli
umani con delle borse e dei comunicatori, forse miliardari in cerca di
protezione, forse ambasciatori, o forse capi politici di qualche nazione umana.
La scorta rimase a breve distanza, il comandante mi prese per un braccio con
gentilezza, sapendo il misto d’imbarazzo e di paura che covava dentro di me,
era un gesto carino; in un certo senso voleva aiutarmi e stava facendo di più
del dovuto. O forse sapeva che quella del primo incontro con uno dei capi Xenoi
era una cosa traumatica, una sorta d’iniziazione al futuro. Il comandate mi
portò presso un pino in un angolo del giardino e disse: Eccellenza, ecco l’uomo
di cui vi ho detto”. Allora mi accorsi di essere vicino a una creatura di quasi
due metri, sembrava una divinità egizia, una sorta di Dea Iside tutta bianca,
con una pelle lucida che pareva riflettere la luce solare, o forse l’assorbiva,
non so. All’inizio non riuscivo a vedere il volto, era una sorta di creatura
accecante, comunque doveva essersi ambientata piuttosto bene, non sembrava
usare apparecchi sofisticati di supporto vitale. La sua tuta era molto
semplice, elementare e sembrava spalmata sul corpo più che rivestirlo era di
colore Rosso scarlatto, qualche fregio semplicissimo color oro, pantaloni
bianchi, stivaletti neri, guanti neri. In effetti faceva paura e suscitava un
senso d’inferiorità. Quella creatura lì era il numero due degli Xenoi la sua
scorta visibile era di quattro unità, due evidentemente addette alla sua
sicurezza con le armi del caso e due con della strumentazione, evidentemente
erano delle segretarie o esperti di comunicazione o qualcosa del genere.
Probabilmente c’erano altri Xenoi a dovuta distanza, tuttavia quella piccola
folla mi rendeva inquieto, se fossi stato nudo e legato davanti a un campione
di boxe mi sarei sentito molto più forte e sicuro. Quella creatura emise delle
parole, non le compresi sul momento, il comandante mi disse: presentati e dopo
ti lascerò solo per circa venti minuti. Poi verrò a riprenderti, mi metterò là
vicino al roseto grande. Indicò un punto nel giardino. Così iniziò il colloquio
con una presentazione impacciata che suonava più o meno così:” professor
Ulmann, da Berlino; sono estremamente onorato di poter parlare con sua
eccellenza illustrissima e la ringrazio dell’udienza in forma privata”. La
creatura usava un traduttore sofisticato, riproduceva una voce che forse era la
sua, c’era qualcosa di singolare, non era qualcosa di artificiale, l’essere
aveva una padronanza di sé spirituale e mostrava una cultura e un talento
geniale profondissimo, maturato in secoli e secoli di vita. Rispetto al grosso
dell’umanità era un Dio, o qualcosa che assomigliava ad uno degli esseri
immortali dei miti e delle leggende. Così mi rispose: ”Ho stabilito che questo
luogo confortevole e bello per voi umani potesse metterla a suo agio. So che la
primavera e i fiori e gli odori delle piante più belle hanno un positivo
effetto sul vostro carattere. Questo è uno dei luoghi più confortevoli della
città per fare della contemplazione della natura e dei suoi odori e dei suoi
colori.” Mi aveva preso per il verso giusto, e disarmato intellettualmente,
risposi subito:” Ringrazio sua eccellenza per la cortesia di parlarmi in uno
dei luoghi più belli della città, segno della stima e del rispetto che voi
Xenoi avete per gli umani. Del resto è noto che quanto avete conquistato sul
pianeta Azzurro o sottomesso alla vostra volontà è stato da voi curato con
attenzione e come dite spesso “migliorato”, anzi “redento”. Non capita spesso
di trovare invasori così belli, forti, potenti e amanti del bello e della natura. Mi permetta quindi…
L’essere parlò prima che potessi
finire: “ Professore devo chiederle io
una cosa prima d’iniziare, a cosa o a chi va la sua fedeltà, ovvero l’essenza
più intima e profonda del suo comportamento in questa vita.”
Non sapevo che dire ma risposi” A me
stesso… voglio far carriera. Per quelli come me è importante.”
Lei:” Al mio sovrano, che è il mio
Dio Vivente e il mio popolo, e la mia anima, e l’anima di tutti gli Xenoi che
si fanno uno in esso. Noi siamo unità, molti e uno nello stesso tempo. La
volontà del sovrano è coincidente con quella delle sue genti e dei suoi schiavi
e delle forme di vita inferiore che voi definite animali o beni di consumo,
abbiamo le nostre forme di rappresentanza, perfino di scelta dei capi e dei processi elettorali. La nostra autocoscienza e natura
spirituale e sacra si fa uno con il Dio
Vivente che assomiglia a uno dei Cesari
dell’antichità, a una sorta di re-sacerdote delle epoche umane più oscure. Il nostro
sovrano è il garante di una forma d’identità collettiva che è anima e
autocoscienza viva . Questa guerra contro i nostri nemici locali ci ha rivelato
degli alleati imprevisti e utilissimi, senza i quali l’impresa non sarebbe
riuscita così bene. Queste genti di
queste terre hanno conosciuto per secoli e per generazioni diarchie tragiche,
rovine di regni, distruzione di Stati, scomparse di grandi imperi perché i
poteri si spaccavano in due, tre, quattro parti, la religione di Stato cercava
di strappare privilegi allo Stato, lo stato cercava di sequestrare i beni dei
religiosi, i ricchi opprimevano i poveri e i poveri si rivoltavano contro di
loro o li tradivano in mille modi, troppi rubavano o erano meschini e dissoluti
e intanto popoli stranieri invadevano, rapinavano,
violentavano, rubavano. Noi come Xenoi
possiamo con la nostra civiltà porre dei limiti a tutto questo, loro
possono aiutarci a mettere solide basi qui e a stabilirci in via permanente.
Ecco la fondazione di questo matrimonio di civiltà che là nelle vostre terre temete,
noi meno alieni e loro un po’ meno umani. La speranza nello scorrere dei
millenni è fondare una sola civiltà e un tipo di umano del tutto nuovo, una
sorta di popolo nuovo in grado di vivere qui e di esser il meglio di entrambe
le specie umanoidi. ”
Un bel colpo, accidenti! Tutto era
chiaro e senza giri di parole. Il problema è che essi con questa fusione
creavano una potenza imperiale nuova, certo volevano pagare il biglietto per
così dire ai popoli umani, ma le loro intenzioni erano di restare e di fare qui
il loro regno. Mi apparve in tutta la gravità il problema del Belpaese e delle
sue genti. Lo sdoppiamento dei poteri, la doppia, tripla, quadrupla morale per
sopravvivere e arrangiarsi in mezzo
potenze dispotiche e straniere o a mafie domestiche. Certo che questa
era una soluzione rapida e decisiva. Un solo potere al posto di poliarchie di
ladri, di partiti politici al soldo
delle banche e dei miliardari popolati
di farabutti e mascalzoni, di oligarchie criminali, di diarchie istituzionali
inutili, dissolute e farneticanti. Un progetto ambizioso. La cosa grave è che
si tratta di un patto compreso dalle genti del Belpaese, loro non riuscivano ad
uscire dai loro limiti storici, morali, civili e questi Xenoi non potevano non
stare qui, altrimenti i loro nemici alieni ne avrebbero tratto vantaggio. Un patto, uno scambio, una fusione. Avevo
capito. Altro che invasione! Questa era politica e che politica!
Rimasi due minuti in silenzio e dissi:”
Eccellenza…Voi avete una grande visione politica, ma comprenderete che nell’Europa
del Nord i vostri progetti suscitano sorpresa, timore e stupore. Inoltre come
metterete assieme gli umani con esseri come voi la cui natura è per noi di
difficile comprensione. Ad esempio perché tanta pressione politica e poliziesca
contro le fedi diverse da quella di Stato, perché una forte presenza numerica,
come mai una fusione di forze di origine umana e di forze armate vostre in
uniche organizzazioni o unità militari
miste… ”
Rispose: “ Avete trovato da voi la
risposta, ma la confermerò. Per restare qui. Restarci per secoli, per millenni,
di più se possibile. Restarci non in piccoli gruppi, o in strutture scientifiche
o di ricerca ma con comunità numerose e
operose. Per questo è per noi indispensabile finita la fase militare e di
distruzione trovare accordi politici e di convivenza con esseri già abituati
all’ambiente, capire come si vive qui ogni giorno. Inoltre ai fini generali dell’evoluzione
del sistema biologico e di autocoscienza nostro è importantissimo creare delle
città e dei centri di produzione di beni e di consumo. Dobbiamo misurarci con
il difficile Pianeta Azzurro. So che avete compreso”
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