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30 novembre 2009
la scuola del Belpaese, ultima pate della comune identità

De Reditu Suo
La scuola del Belpaese, ultima parte della comune
identità
La scuola
italiana, forse una delle realtà più infamate nella Penisola, rimane ad oggi
l’unico ente che crea un minimo di uniformità culturale e civile nel Belpaese. Senza
quest’istituzione il Belpaese si sfascerebbe in tante isolette culturali e di
quartiere e a questo dato s’aggiunge il peso delle recenti comunità di nuova
immigrazione che portano i loro valori e le loro ragioni. Perché una simile
realtà deve far i conti con fondi limitati e i tagli? Credo perché le minoranze
al potere nel Belpaese sono diventate estranee alla loro gente, ormai si tratta
di apolidi culturali che possono vivere a Milano come a New York. La loro
patria è solo il Dio-denaro, il metodo che preferiscono è delegare alle forze
dell’ordine, magari militarizzate, i problemi sociali e se questo non è
possibile ecco che si ricorre alla propaganda televisiva, pubblicitaria, ai
politici di professione che ricevono fondi da gruppi di pressione e da privati
per fare interessi particolari contrabbandandoli alle loro plebi elettorali per
soluzioni miracolose. Ora è evidente che con una politica di professionisti
perlopiù al soldo o con problemi di cassa di natura personale, con classi
dirigenti di apolidi che pensano il Belpaese come se fosse un supermercato e un
possibile valore aggiunto per certi prodotti di nicchia in nome del Made in
Italy, con i popoli dello Stivale che hanno smarrito la loro storia e le loro
ragioni di stare insieme allora proprio la scuola diventa il primo degli strumenti
per creare dei legami comuni. Scrivo questo in un giorno di sconforto nel quale
sulle pagine di “Repubblica” uno dei tanti “Superdirettori” del Belpaese firma un
articolo dal titolo “Figlio mio, lascia questo paese”. L’evidenza del fallimento integrale delle
nostrane sedicenti classi dirigenti è bollato perfino dai privilegiati e dalla stampa
integrata nel sistema. Allora occorre a mio avviso rovesciare i termini del
problema e porsi la domanda perché le nostre sedicenti classi dirigenti puntano
alla frammentazione del Belpaese? Io temo che sia presente una fascinazione per
il modello sociale inglese o statunitense nel quale convivono comunità diverse
con valori diversi. Evidentemente l’ammirazione per i vincitori della Seconda
Guerra Mondiale porta le nostre senescenti classi dirigenti a concepire una
superiorità manifesta dei metodi e la civiltà degli stranieri; mi consta
comunque che si tratta di un modello di società di gran lunga più duro e
materialista del nostro. Questo modello germanico e calvinista di società crea
la possibilità per i ricchi di vivere in un mondo ideale dove sono ammirati e
idolatrati, i rapporti sociali sono disgregati, i sindacati indeboliti dalle differenze
etniche e culturali, e la guerra è una ovvia opzione del potere politico. Nel Belpaese sono presenti, anche se
mutilate, le tracce di una cultura cattolica di fondo e di antiche solidarietà
operaie e contadine; la durezza calvinista e luterana in materia di rapporto
con il povero, con l’infelice o con il sofferente è estranea alla maggior parte
degli italiani che conservano tracce delle loro culture d’origine. Creare a
Firenze o a Roma una ripetizione della divisione etnica e culturale per
quartieri e zone vuol dire disgregare non il loro ma il nostro modello di vita
cittadina. La scuola italiana nelle sue diverse articolazioni va finanziata e
rafforzata e non messa in crisi da tagli e affini; si tratta del Belpaese,
della sua storia, del suo futuro. Inoltre mentre scrivo il paradiso dei ricchi
WASP non se la passa bene: emergono critiche feroci, perplessità di ordine
morale, integralismi religiosi e miseria diffusa che trasformano in senso
conflittuale quella forma di civiltà Statunitense che pretendeva di essere
egemone nel mondo e perfino le guerre che hanno fatto di recente vanno male.
A chi raccomanda la fuga
chiedo: DOVE, COME E CON CHI? Difendiamo noi stessi e difenderemo tutta la civiltà.
IANA per FuturoIeri
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24 giugno 2009
Fra noi in confidenza: parliamo di scuola e del Dio-denaro
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Fra
noi in confidenza: parliamo di scuola e del Dio-denaro
La scuola è forse il mio
cruccio maggiore, forse perché è anche il mio lavoro e mi rendo conto che oggi
è schiacciata fra una società italiana che ama il denaro sopra ogni altra cosa
e i suoi limiti strutturali. Ritengo che la centralità del culto del denaro che
gli italiani onorano, anche se inconsapevolmente, sia il centro della logica di
tanta parte del decadimento della considerazione della scuola italiana e del
rispetto che nel complesso la società italiana ha verso il corpo docente. Il
giornalista Giovanni Floris nel suo recente “La fabbrica degli ignoranti, la
disfatta della scuola italiana” pubblicato da Rizzoli scrive a pag.91: “…a ripitturare l’appartamento di un mio
collega del TG, qualche mese fa si è presentata una squadra di albanesi e un
italiano. Questo italiano era professore di lettere del liceo, tuttora in
attività. A potare le piante del terrazzo di un mio amico l’altro giorno si è
presentato un maestro di musica, diplomato in flauto al conservatorio.” Questa citazione mi serve per far capire ai
miei pochi lettori quanto la dimensione economica sia dominante, e come certe
farneticazioni sulla professione docente come missione morale e civile si
schiantino sul muro del dato reale e concreto. In Italia è amato il denaro e
l’insegnante, la maestra, la professoressa, il docente sono figure sociali non
più “borghesi” ma ancora troppo specializzate per essere collocate nel numero dei nuovi poveri e dei
ceti disagiati. L’insegnante è quindi sospeso in un vuoto sociale e i poteri
dominanti che sono tutti di natura economica e finanziaria vorrebbero attuare
attraverso il potere politico la grande semplificazione: privatizzare la scuola
pubblica e spaccare con ancor più forza
la società in classi sociali segnate da enormi disparità economiche e
culturali. L’amore per il denaro e per i suoi poteri è tale nel Belpaese da
distruggere qualsiasi altro sentimento di natura privata e collettiva, credo
che al fondo di questo ci sia una profondissima disillusione verso tutto ciò
che è frutto di una qualche azione collettiva, o forse è una reazione di massa
ad eccessi ideologici di un remoto passato nei quali chiesa, partiti politici, associazioni
di parte si proponevano come modelli di vita civile e di condotta etica. Di fatto con questo culto del denaro
non è l’individuo con la sua dimensione “eroica” ad emergere, né la volontà del
genio, né l’opera dell’artista, né l’esito dell’impresa dell’uomo d’azione, né
il paziente lavoro dell’erudito, e neanche lo sforzo del singolo che conquista
il suo spazio di mondo. Quello che prevale è il gregario, il raccomandato, il
vile, l’opportunista, l’adulatore dei ricchi, il criminale col colletto bianco,
il furbo, l’erede di patrimoni, il proprietario, il detentore di rendite, il
privilegiato. Il distanziare dal successo dell’individuo l’elemento della
cultura e del lavoro intelligente e meditato produce un popolamento italiano
che aspira ai miracoli, alle vincite alla lotteria, alle fortune che derivano
dall’essere gratificati da un potente, e in generale crea una vasta plebe di
soggetti umani pronti a servire qualunque padrone prestando ad esso interessata
e vigliacca devozione. In breve l’Italia di oggi non è che conosca di meno di
meno rispetto al passato è che non vede possibilità nell’esercitare ed
applicare le sue reali e sobrie capacità intellettuali. Un giorno lontano chi
verrà dopo di noi, quando cercherà di
capire questo tempo si domanderà il perchè di tanto spreco di talento e di
possibilità. Forse questo tempo e questo Belpaese apparirà nel remoto futuro come
una gabbia di matti e d’illusi, di sciagurati che si son rovinati con le loro
stesse mani. O forse no. Il fallimento del sistema potrebbe essere così pesante
da costringere chi verrà dopo a censurare e a dimenticare questo tempo. Le
illusioni dei molti potrebbero venir incenerite e vaporizzate come la
spazzatura nei termovalorizzatori.
IANA per FuturoIeri
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