29 dicembre 2017
Ricetta precaria n. 30
Ricetta
precaria
30 volte bischeri
Guazzabuglio alla fiorentina
Allora ci siamo. Panettoni, colombe pandori fuori stagione e a metà prezzo dopo le feste
indulgono allo stravizio fuori tempo massimo. Allora da una parte nascosta c’è
la bottiglia di Alchemes. Ossia un alcolico rossiccio dal vago aspetto di
sciroppo impiegato nella preparazione di dolci tipico di Firenze. Dall’altra
parte una confezione di dessert alla vaniglia cremoso e una panna spray. Ma meglio
ancora se possibile un avanzo di panna montata e una confezione di crema
pasticciera in tetra pack da supermercato. Per dare senso alla cosa occorre pensare
di realizzare mettendo assieme la crema e la panna una crema più fluida, sarà
necessario inserire i due ingredienti i un contenitore e operare affinchè essi
si trasformino in una cosa quasi liquida. A questo punto si aggiunga un
cucchiaio del liquore di cui si è detto prima e si sbatta tutto finchè non
diventa omogeneo. Si può allora tentare l’impresa d’usare il composto sopra l’avanzo
di un pandoro, colomba o panettone. Da avanzi vari risulterà una cosa
particolarmente ghiotta, e se l’idea del liquore non piace si può provare con
scaglie di mandorle, cioccolato o anche con canditi. Il composto in questo caso
si presterà di più ad esser consumato senza esser accorpato a un avanzo di
prodotto dolciario di natura festiva. Questa è una ricetta facile facile che si fa
sbattendo degli ingredienti in un contenitore anche con un cucchiaio, Ha però
il senso di un’abbondanza prepotente perché è un composto dolciario che intende
sommarsi a un dolce già esistente. Questo concetto d’abbondanza mi rimanda a un
lontano episodio della mia infanzia quando abitavo nel quartiere quattro a
Firenze. Mi capitò quest’episodio che mi rimase in testa. In un Supermercato
dove i miei andavano spesso c’era in uno scaffale del banco della gastronomia
un grande orcio di vetro con dei funghi porcini tagliati. Dato che avrò avuto
cinque o sei anni, o poco più; l’orcio di vetro sembrava grande e il commesso
che ricordo essere grosso e con dei baffi neri e il cappello da cuoco e il camice bianco
sembrava una sorta di guardiano di prelibatezze. Quel vaso sembrava enorme, mi
sembrò essere il tesoro della gastronomia. Stimavo che mi arriva al petto, la
ricchezza alimentare data dall’olio e dai funghi che sapevo essere costosi mi
colpì la fantasia. Pareva una sorta di tesoro, quasi un richiamo per i clienti
che prometteva abbondanza e soddisfazione, quando tempo dopo vidi che mancavano
dei funghi rimasi quasi deluso. Allora c’era qualcuno che li comprava, quell’emblema
d’abbondanza non era poi inviolabile; bastava pagare . Oggi provo simpatia per
questo ricordo e per la sua infantile ingenuità, in fondo era un segno di
quegli anni di passaggio fra gli anni settanta
e ottanta quando tanta parte della gente del Belpaese sembrò che la società
avesse svoltato lasciandosi alle spalle antiche paure e miserie sedimentate. Oggi
molto della mitologia consumistica e del facile ottimismo di quegli anni sono
argomenti di libri di storia o note su commenti a film e programmi televisivi
di tempi trascorsi. Col senno di poi non è poco aver vissuto e capito qualcosa
di quell’Italia, così posso misurare con ciò che fu il tempo presente.
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