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28 giugno 2015
Sintesi: Il Maestro - terzo atto - Dove parla il potere leggittimo
Stefano Bocconi:
Fantastico, ecco qualcosa di nuovo:un filosofo dentro un operaio; e ragiona di
borghesia addirittura! Davvero dovrò segnare questo giorno sul calendario.
Clara Agazzi:
Questa tua ironia è fuori luogo. Piuttosto che fai ?. Partecipi alla sfida, ti
va di dire la tua.
Gaetano Linneo:
Questo discorso è quanto mai vero, il passato borghese è tramontato, oggi c’è
una casta di detentori dei mezzi di produzione che sono un mondo a parte
rispetto al resto dell’umanità e in loro difficilmente si può trovare qualche
traccia di quel passato che pure in mezzo a tanti torti ha avuto delle idealità
e le sue filosofie di riferimento.
Vincenzo Pisani:
Scusate, ma a questo punto mi offro io. Però prima voglio fare una premessa a
ciò che dirò
Franco: Una premessa? Questa è nuova. Va bene ma per
non alterare questo confronto che la cosa sia breve e coincisa, poi seguiremo
la regola fin qui tenuta.
Vincenzo Pisani:
Bene, la figura mia sarà l’ultimo re, intendo l’ultimo re legittimo e la
prospettiva di un nuovo potere legittimo. Quindi il primo e ultimo re. Questa
figura mi spetta perché nei miei studi di politica e di scienze sociali da
tempo vado meditando sul confine fra potere legittimo e potere illegittimo.
Oggi è evidente che il potere devia verso la corruzione e l’illegittimità, e
per molte evidenze vedo provato questo. Si pensi ai suicidi per motivi
economici, alle migliaia se non centinaia di migliaia di giovani che non
studiano e non lavorano, al divario crescente fra ricchi e poveri, alla
corruzione e sciatteria diffusa in tutti
i ceti, all’impossibilità di condividere una storia comune, un discorso
autenticamente nazionale, anzi di popolo. Non sono forse questi i segni della
mancanza di un re legittimo, ovvero di un potere vincolante questo popolo e
questa nazione che sia giusto in quanto coerente con i suoi stessi decreti e
finalità! Bene questo è l’inizio.
Franco: Accidenti che fantasma che hai evocato. Un
vero e proprio mostro, potrebbe oscurare perfino il profilo delle montagne
ora illuminate dalla luna e dalle
stelle. Vai inizia.
Vincenzo Pisani:
Primo e ultimo Re legittimo. Primo perché tornerà prima o poi anche qui un
potere coerente e retto, ultimo perché ciò che è stato volge al termine e della
grandezza delle origini rimane solo polvere. Il compito primo di un re
legittimo che lo distingue dal tiranno e dal despota è assicurare ai suoi
sudditi o cittadini una giustizia equa e imparziale, pulita da leggi e cavilli
che piegano ora in favore di questo ceto, ora di questo gruppo o interesse di parte l’azione
giudiziaria e l’amministrazione delle sanzioni e delle pene. Oggi il potere è
minato dal sospetto dell’interesse di parte, dalla legge fatta rito processuale
dove il forte ha grande vantaggio rispetto al debole perché può permettersi
avvocati costosi e talvolta la benevolenza di gente importante che volge al sì
o al no la sua causa. Un potere legittimo in nome di una legge una e coerente
elimina questa disparità, poiché la legge non può essere il rischio calcolato
del ricco o del malvivente ma l’atto con cui il sovrano rimette ordine nel
corpo sociale che deve conservare pulito e certo nello scorrere dei decenni e
dei secoli. Il secondo dovere è la difesa. Il re secondo giustizia con sue armi
e suoi mezzi assicura lo Stato e i suoi, mai rinuncia a un solo frammento della
sua sovranità e se vi è costretto da una qualche alleanza la romperà quando non
sarà più utile per avere in mano la sua
libertà incondizionata. Mai accetta basi o fortezze straniere nella sua terra
poiché esse limitano per loro natura il suo esercizio della giustizia e
guastano il carisma sul quale si regge il suo potere. Un potere che voglia
esser santo e giusto non può far a mezzo con interessi altrui sulla sua terra e
sul suo popolo. Il terzo compito di un potere regale legittimo è che esso non
rompe in modo vile le alleanze che stipula, non si piega davanti alla minaccia
dell’amico come del nemico. Questo perché un potere legittimo non può farsi
schiacciare, deve esser più forte e più saldo delle avversità e se costretto
all’errore vi pone rimedio secondo giustizia e benevolenza. Se costretto alla
forza e alla guerra saprà in nome della coerenza e della rettitudine chiamare a sé il popolo
tutto e indirizzare le risorse al fine di ripristinare la giustizia e la pace.
Il re legittimo, suo quarto dovere, è
vigile e cura la salute mentale e fisica
del suo popolo, piega il violento, l’inquinatore, il corruttore e lo punisce
con la forza della legge e allontana dalla sua terra lo straniero malevolo o meschino. Il re
legittimo, suo quinto dovere, è
sollecito verso il benessere del suo popolo che vuol dire continuità con la
tradizione, istruzione pubblica, provvedimenti per la salute pubblica e il
decoro urbano, generosità verso le persone perbene e i giusti e mecenatismo
verso artisti e gente di cultura e di scienza, supporto verso chi lavora e fa
impresa, tasse giuste e misurate. Il re legittimo, sesto suo dovere e
privilegio, sa di poter far di conto dei
suoi sudditi, non li tradisce e da loro
non sarà tradito. Infine, ed è il settimo punto, il re legittimo sa di dover
essere, di venire al mondo come necessità e come segno dell’elevazione
dell’umano sopra la bestia; il re giusto è una necessità della vita sociale
come l’acqua potabile o il commercio. E ultimo, ma non meno importante, il re legittimo è lui; non è
un fantoccio nelle mani di finanzieri, avventurieri, speculatori, feccia. Egli è ciò che deve essere e non può esser di
meno. Ecco questo è il re legittimo, questo è un potere sano. Ora parlerò per mezzo di questo
potere. Io sono l’ombra di ciò che fu e di ciò che dovrà di nuovo essere. Oggi sono scomparso in oscure
biblioteche o in polverose lapidi, o in monumenti dimenticati e lasciati
all’usura del tempo; sono ciò che rende retto un popolo, un regno, un comando,
una nazione. Sono l’incarnazione umana di un potere legittimo. Oggi non sono
perché il potere è tradito ed è traditore; il potere è di tutti e di nessuno
perché spezzato e diviso in troppe mani di piccoli uomini di potere, di
ricchissimi, di burocrati avidi e ottusi, di demagoghi e ciarlatani che
conducono gli elettori verso il si verso il no sfruttando ogni bassezza
dell’essere umano. Come può un popolo e una nazione che non ha nome e volto essere volta al bene, come può darsi
questo popolo una meta, un futuro, un senso se chi esercita il potere non ha
altro scopo che compiacere se stesso e
arricchirsi in modo smisurato. Se si prendono insiemi diversissimi
l’intersezione che si ricava è vuota, e così è vuoto di valori condivisi lo
spazio politico senza un re legittimo che metta assieme le ragioni più profonde
e certe di una collettività politica. Io
sono l’ombra di ciò che poteva essere e non è stato e sarò nel futuro l’ombra
di ciò che avverrà per necessità. La
caduta dentro se stessi, l’implosione di
una collettività nel vizio e nell’eccesso per compensare una crisi di
senso e di fini ultimi non è una condizione fissa, essa è un ciclo. Il ciclo
della degenerazione fisica e mentale di un popolo o trova la propria cura o
finisce il popolo nel volgere dei decenni. Morto il popolo degenerato qualcosa
di diverso ne prenderà il posto o se si vuole l’eredità. Io sarò di nuovo con
queste o con un altre genti; non sono una persona fisica ma una necessità della
vita sociale organizzata. Sono l’ombra che striscia appena visibile in tutti i
palazzi e le istituzioni, sono la cattiva coscienza dei sudditi malevoli
traditi dal sistema e dei traditori che usano il potere e la cosa pubblica per
loro privilegio e loro lucro privato.
Tutti costoro, tranne i dementi e i perduti, sanno di esser nel torto. Un
giorno io sarò di nuovo e loro non saranno più. Perché a un certo punto nella vita dei
singoli come delle collettività si presenta la necessità di riempire il vuoto
dell’esistenza con dei fini, con uno scopo ultimo, con una forma di vita. Quello è il mio momento, quando si pone il
problema d’esistere dentro un limite, un confine, uno scopo, una legge. Io sono
la forza che crea la forma politica e sociale del vivere con uno scopo, con una
costituzione, con un fine ultimo. Senza un senso autentico della vita, senza
regole o finalità condivise, senza un vincolo che dà senso a ogni giorno che
passa il re legittimo resta ombra, ossia qualcosa che ha una forma ma non è
materia e neppure luce. Quando arriverò sarò luna e sarò montagna, perché i
molti vorranno così e i molti saranno un popolo, una nazione, un regno. Quando sarà queste nostre disperse genti,
se ci saranno ancora, ritroveranno se stesse e la loro ragione di vivere e
d’esistere. Perché la vita è importante
e per questo ha senso, ma la fortuna della civiltà industriale è che il senso
non è più scritto da un Dio o dalle stelle. Il senso dell’esistenza va
costruito, va vissuto, va mantenuto da chi, davvero, esercita il potere. Se non ci fossi io si potrebbe credere che
in fondo la vita è un lungo soffrire fra istanti di gioia e noia aspettando che
la decadenza fisica o qualche accidente tronchi questo passaggio in vita, ma io
in qualche modo ci sono e quindi il fatto che la vita dei molti come dei
singoli sia dotata di senso è cosa fondata. Questo è quanto avevo da dire.
Franco: Un vero e proprio messia laico.
Clara Agazzi:
Questo è davvero non poterne più. Certo che farebbe comodo avere un potere
retto, ma come si fa in un mondo corrotto e marcio.
Stefano Bocconi:
Mi pare che sia stato chiaro. Il tempo del sovrano legittimo tornerà quando
tutto questo che viviamo oggi sarà sparito, disperso, polvere dei secoli che
cade sulle cose morte che furono. A quanto pare dobbiamo crepare tutti, magari
di vecchiaia o forse di morte violenta. Poi arriverà il momento. Se non è
profezia questa.
Gaetano Linneo:
Questa è una grande incertezza, il tempo che verrà sarà quello dove era bene
vivere. Ma il presente esige una risposta mi pare. Chi affronterà la spinosa
questione del presente.
Franco: Voi mi forzate la mano. Bene io interpreterò
la totalità del presente.
Clara Agazzi:
Questa è una delle tue follie! Un tempo, voi rappresentare il tempo.
Vincenzo Pisani:
Lascialo fare, magari c’è perfino da imparare qualcosa.
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18 maggio 2015
Sintesi: Il Maestro - terzo atto - Prima recita sul ponte
Vincenzo Pisani:
Scusate amici, ma l’ora è tarda. Tuttavia mi dispiace molto dover lasciare così
una tal compagnia. Prima di andare ognuno per la sua strada vi propongo un
gioco, semplice. Ma chiarificatore, dove tutti noi possiamo concludere
felicemente questo piacevole momento conviviale.
Gaetano Linneo:
Questa è una cosa bizzarra e folle. Ma qui, in questo freddo invernale, di
notte, su un ponte fra la ferrovia e le montagne vuoi fare un
gioco? E cosa (… )sarebbe mai questo gioco?
Paolo Fantuzzi:
Quindi o l’amico scherza o ha in mente qualcosa. Parla Vincenzo; cosa dobbiamo
fare per giocare e schiarirci le idee.
Vincenzo Pisani:
Semplice. Ognuno qui e ora interpreti un personaggio, vero o immaginario non
importa. Faccia una vera e propria orazione come se attraverso di lui parlasse
uno spirito o un fantasma. In questo discorso deve dal punto di vista del
personaggio fare una profezia autentica su questo nostro mondo. Ovvero secondo
verità e giustizia interpretare il presente, il passato e il futuro e dare
delle indicazioni. Vedrete amici che la cosa è meno semplice del previsto. Si
cade in contraddizione, si cade sulla natura ridicola o infantile di molti
pensieri. Provate a pensare di esser
Napoleone e di ragionare di alta strategia di oggi, vedrete come è difficile
far discorsi sensati. Dal momento che il tempo è poco propongo la brevità.
Franco: In effetti è una buona idea. Chi parla prenderà
un piccolo peso tipo un libro o una borsetta in mano e il braccio resterà
disteso in orizzontale, quando sentirà il peso quello sarà il momento di
smettere.
Paolo Fantuzzi:
Questo è davvero uno strano cronometro. Accetto la sfida.
Clara Agazzi:
Questa è una roba strana, ma c’è un premio
Stefano Bocconi:
Giusto, quale premio.
Vincenzo Pisani:
Semplicissimo, il piacere di aver detto la propria verità. Per quanto parziale
possa esser. Qui nel Belpaese tutti si nascondono dietro opinioni prese un
tanto la chilo dal televisore e dalle riviste patinate di donnine nude, VIP,
cose strane o di moda. Tiriamo fuori le nostre ragioni, sfidiamoci, liberiamoci
della responsabilità e sotto la maschera di qualcuno che non c’è per gioco
iniziamo a dire qualcosa di sensato.
Gaetano Linneo:
Questa è una buona idea, davvero. Una sfida così la piglio al volo.
Vincenzo Pisani:
La tua opinione, che dici.
Franco: Per me si fa. Qui ho un libro di un certo
Biglino che mi hanno regalato, può far da peso. Ma chi è il primo?
Paolo Fantuzzi:
Questo è mio. Sarò il primo e interpreterò il primo e l’ultimo borghese del
Belpaese.
Stefano Bocconi: Fantastico, l’operaio che fa
il borghese immaginario, questa la devo sentire.
Clara Agazzi:
Questa non mi pare una novità. Quante volte il mondo povero, salariato,
impiegatizio è stato attirato dalla borghesia e ne ha subito il fascino. Il
mondo dei consumi e dei riti del consumo e del successo sociale sono un magnete
per tutti coloro che si sentono in condizioni di minorità.
Paolo Fantuzzi:
Io sono il fantasma del primo e ultimo borghese di questa penisola. Primo
perché oggi la borghesia è una grande illusione, ieri una promessa mai
realizzata e nel futuro uno spettro, ma ultimo perché nella mistificazione di
una grande classe sociale che ha creato la civiltà industriale tutti sono
diventati me, quindi io ho perso la mia natura e il mio nome. Tutti borghesi
ovvero nessun borghese. Invece la mia classe sociale, che qui non si è data
nella sua natura, ha spezzato le catene dell’oppressione clericale e aristocratica
ha costruito un diritto fondato sull’individuo e sull’autonomia del fatto
economico liberandolo da Dio e dalle leggi ancestrali. Sfruttando il lavoro
umano e le risorse del pianeta questa classe sociale ha creato il capitale,
ossia l’incremento continuo nel tempo del profitto che porta a creare le risorse per la
moltiplicazione dei fattori di crescita economica, di sviluppo tecnologico, di
capacità creative e distruttive. Questa classe sociale ha fatto meraviglie più
grandi delle piramidi, degli acquedotti romani, delle cattedrali gotiche o dei
palazzi dei principi del Rinascimento. Essa ha creato dalle rovine della
decadente civiltà aristocratica e agricola la grande civiltà industriale che é
dominio ed esercizio del potere sulla natura, sul pianeta e sull’intera
umanità. Oggi questo mondo che ha creato forma, senso del mondo, destino, una
sua morale borghese per l’appunto si è disfatto. Al posto del gentiluomo di un
tempo magari sfruttatore e prevaricatore ma con principi, con una moralità e un
senso dell’onore si son sostituiti dei personaggi privi di vita interiore. Sono
burocrati, funzionari di rango, tecnici del diritto, della banca,
dell’amministrazione, delle pubbliche relazioni; esseri che non vedono oltre il
proprio lavoro, che vivono senza una spinta interiore macchine di società per
azioni che muovono enormi profitti. Miliardi di guadagni che vanno ad anonimi azionisti. Macchine
enormi chiamate multinazionali che sono società per azioni e persone giuridiche
hanno sostituito il borghese:un logo, un marchio è il suo nome, la sua storia,
il senso della sua opera. Il Borghese oggi non è più un ceto sociale ma una
serie di funzioni, di atti tecnici, di soluzioni operate da esperti che si
traducono nel potere concretissimo di minoranze di oligarchi. Il nuovo potere
sono un limitato numero di famiglie di ricchissimi, perlopiù mentalmente
apolidi, proprietari di pacchetti
azionari, di banche d’affari, di multinazionali, di regni, di complessi industriali
o militar-industriali sotto di loro una stratificazione di livelli dirigenziali
indirizza l’intera piramide sociale. Basta chiedersi chi è il proprietario
della banca, chi ha il pacchetto azionario di maggioranza della multinazionale,
chi sono i personaggi che hanno l’ultima parola nel movimentare grandi capitali
d’investimento dell’ordine di decine di miliardi, chi controlla il grande
complesso industriale, chi è l’autocrate o il sovrano e quella domanda è la
risposta al problema di chi comanda al vertice della piramide. Come ritorna il
borghese, ovvero come può tornare una
classe sociale responsabile di sé e per tutta la società e consapevole di sé
che può indirizzare e dirigere la civiltà industriale? Non può finchè questo è
l’ordine delle cose. Se torna non torna nel senso di questa parola ma rinasce
in altra forma e in altra qualità. Perché il borghese è creatore del suo mondo
di ordine e progresso, quindi ci vuole un disordine estremo per imporre l’ordine a livello universale e ci
vuole l’arresto della civiltà per imporre il progresso che è una linea di
crescita culturale, tecnica, scientifica che da un punto nello spazio e nel
tempo tende a espandersi all’infinito
sfidando logica delle cose e perfino la ragione che nega all’infinito la
possibilità d’esprimersi in un mondo chiuso e limitato dalla materia. La
distanza fra l’infinito del possibile e del mutabile con la potenza industriale
e la limitazione data dal mondo materiale del pianeta azzurro è il limite di
questo soggetto; è la sua condanna a una coscienza infelice. Mi pare evidente che una classe sociale che
detiene le chiavi del progresso e dell’ordine e ha un progetto per tutta la
società e per tutte le classi sia possibile solo quando questo modello fondato
su pochissimi realmente potenti e dominanti si sarà esaurito. Una classe è una cosa collettiva e complessa
e non è una somma di singoli, la borghesia dovrebbe esser un grande coro di
cattedrale o l’esercito di Oliver Cromwell, una cosa concreta, compatta
nell’azione, che ha un progetto e la capacità tecnica e di lavoro per portarlo
a buon fine. Singoli ricchi o piccoli ceti di professionisti o di tecnici
chiusi nei loro egoismi e nelle loro ottuse visioni del mondo non sono una
classe sociale, una classe sociale è storia e fa la storia dell’umanità;
sommatorie di singoli la storia la possono solo subire. Occorre un fine, un Dio
per dare ordine al mondo e questo vale anche per una classe sociale. Il
Principio è la scienza e la tecnica impiegate per il benessere di tutti i ceti
sociali, l’uomo deve farsi protettore e guida di se stesso in un mondo mentale
scarnificato dall’assenza di principi ultimi e di finalità sacre. La borghesia è concreta, possessiva, meschina
nei fatti d’amore stretti fra piccole passioni e calcoli sui conti domestici?
Allora. Nessuno è perfetto. Esseri umani perfetti, di genetica divina
potrebbero pensare la sesso, alla riproduzione, alla famiglia con un fare
libertino, con una ricerca ludica del piacere per il piacere, mischiare sesso e provocazione; perfino
addentrarsi nell’eros, ossia perdersi nella passione d’amore e nella
contemplazione del bello. Ma questa roba non è borghesia. In fondo cosa si
vuole. Esser governati dagli DEI, da una aristocrazia dal sangue blu, dove al
posto del rosso sgorga un diverso liquido dalle ferite come scrive Omero il
grande poeta? Se non si vuol questo occorre il rinascere di una classe sociale
che detiene i mezzi di produzione, indirizza nella società umana le ricchezze
prodotte, costruisce delle Repubbliche o delle Monarchie dove si vota, ci sono
maggioranze e opposizioni parlamentari, c’è un libero dibattito, c’è una
Costituzione rispettata e attuata, diventa possibile governare con leggi e
regolamenti, esiste lo Stato di Diritto. La borghesia oggi non è una soluzione
ma la necessaria composizione in un corpo unico di forze produttive e creative
oggi disperse e spappolate, rese ottuse e sottomesse da una straordinaria
concentrazione di ricchezze, informazioni
e di poteri in pochissime mani, e queste mani non sono in grado di
determinarsi in una nuova forma di Aristocrazia che ci mette la faccia e prende il potere. Il proprietario del pacchetto
azionario, della banca, del fondo d’investimento dovrebbe lui prendere il potere e assumersi tutte le
responsabilità del caso. I ricchissimi non lo fanno usano demagoghi politici, grandi
burocrati, la manipolazione finanziaria, i media, perfino i servizi segreti.
Così c’è una finzione di Repubblica un
po’ ovunque e il concreto esercizio del potere per interposta persona di pochi
oligarchi miliardari. Allora ecco che in questo tempo post-borghese io primo e
ultimo borghese di una Belpaese che mai è riuscito a spezzare nel tempo della
borghesia trionfante le catene del mondo morto nel luglio del 1789 vi dico che
nel futuro o ci sarà una qualche forma di classe sociale borghese o queste
genti del Belpaese saranno sempre più schiave di tutti e padrone di nulla. Ora
però sono stanco di parlare. Poso il libro e passo la parola.
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1 novembre 2013
Una parabola ancora da scrivere...
-Per i pochi amici che qui ci leggono e altrove ci ascoltano-
Canovaccio per una parabola
Devo fissare subito il
canovaccio di questa parabola.
Gli anziani, i magistrati e i saggi
che insegnavano ai giovani erano fra loro impegnati nell’urlarsi addosso e nel
rinfacciarsi delazioni e meschinità quando uno straniero anziano, famoso per
essersi guadagnato da vivere come Rapsodo in molte città grazie al suo padroneggiare
gli strumenti a corda e alla memoria prodigiosa che tanto ricordava del passato
e delle cose notevoli chiese silenzio e si fece avanti. Così parlò ai molti
Aemalledes il famoso rapsodo: “o
Cittadini benemeriti. Oggi siete qui indignati e incanagliti perché i vostri
giovani maleducati e amorali non vogliono morire per voi in guerra, e anche perché voi avete dilapidato e sperperato il
tesoro di onore, rispetto e di denari
lasciato dai nonni e dai padri con la corruzione, la scelleratezza e la
dissolutezza dei vostri costumi, e anche perché le vostre figlie che si son
maritate con gli stranieri vi negano perfino il saluto, e anche perché il
vostro tradire gli ateniesi democratici e imperialisti per gli spartani schiavisti
e militaristi vi espone oggi alla vendetta dei vendicativi e sanguinari tebani che
hanno ucciso il re Lacedemone e sconfitto il suo esercito a Leuttra. Ma io che
ho avuto modo di esercitare il mio mestiere ad Atene, a Corinto, a Siracusa e proprio
io che ho ascoltato i ragionamenti di Ippia, Gorgia, Protagora, e io che ho conversato
con Socrate, e io che ho udito i detti di Diogene e io che ho litigato con Platone e io che ho udito le amare verità di Crizia il Tiranno ateo e le parole alte e nobili di Trasibulo l’eroe
democratico allora io vi dico che
sbagliate. Guardate bene dentro di voi! O cittadini di questa città! Conoscete
voi stessi? La corruzione che vi sta distruggendo e che ha perso questa città e
le sue leggi è tutta dentro di voi. Da almeno due generazioni non siete più
popolo, città, famiglia, tribù o qualsiasi altra cosa simile. Mancano in voi
quei legami familiari, quei vincoli di sangue, quel minimo di condivisione di
valori civili, quel senso di comune appartenenza a una stessa civiltà, quel minimo senso dell’onore che sta dietro
ogni governante o sacerdote sia di città sia di regno. Pretendete di educare i giovani senza
avere né scienza né dottrina, cercate di persuaderli a morire al vostro posto
in orrende guerre e temete perfino l’ultimo dei ladri di polli e li volete
pagar poco per il loro lavoro e li rovinate con le tasse e le truffe e vi
lamentate se essi alla prima occasione fuggono da voi maledicendovi e si fanno
servi del Gran Re di Persia o sudditi del re di Macedonia. Istigate e portate
in città ogni genere di corruzione, di
vile opportunismo, di mollezza e vi meravigliate se le vostre donne e le vostre
figlie hanno vergogna di voi. Siete ignoranti e cacciate i saggi filosofi e i sofisti che vengono qui a insegnare perché
dite che costano troppo, e dite che pagare il prezzo di un porco ingrassato per
capire di geografia, di matematica, di musica di poesia e perfino di storia è
un lusso eccessivo, una roba da Re Mida;
e poi vi lamentate se non sapete neanche dove i vostri alleati di turno hanno
perso le battaglie e vi stupite perché non sapete indicare dove vivono i vostri nemici o evitate di pronunciare i
nomi dei popoli a voi sconosciuti che hanno ucciso nelle vostre sconclusionate
guerre i vostri disgraziatissimi figli. O uomini di questa piccola ma antica
città! Voi vi lamentate che la città diventa più piccola e le case son vuote e
le mura ormai diroccate e rotte e prive
di sentinelle. Ma come può la gente di buoni costumi vivere ed educare qui i
suoi figli e render dignitosa una discendenza se ogni giorno vivete di
scrocchi, di truffe, di raggiri e se fuggite il pericolo o peggio cercate
qualche temerario che vada a finir nei guai al vostro posto. Tassate i poveri e
i lavoratori e li forzate a scappare in altre città e al contrario accogliete
qui ogni sorta di vagabondo e di cialtrone che con l’adulazione o il delitto si
fa vostro confidente e complice. Guardate dentro di voi. O Cittadini di questa
città! Voi non siete ignoranti, voi avete paura della verità. E si noti non di
una verità qualunque. Ma della verità che deriva dal riconoscere dentro di voi la
dissoluzione di ogni senso del sacro, di ogni disegno divino, di qualsiasi cosa
che possa avvicinarsi alla nobiltà. Oggi siete qui non per cercare una
soluzione che non troverete perché nessuno di voi vuol mettersi in discussione,
fare un gesto di pentimento, dare il senso di un cambio di vita.
Io ora vi dico secondo verità e
giustizia perché siete qui. O cittadini voi siete qui perché discutendo di gravi
provvedimenti pubblici e deliberando una nuova legge, che nessuno di voi applicherà
e nessuno di voi leggerà mai per intero, riceverete come previsto dalle vostre
leggi un obolo, ossia la sesta parte di una dracma che spenderete subito dopo
averla incassata. Questo andrà avanti finchè ci saranno oboli nel tesoro,
finiti gli oboli non farete più nemmeno lo sforzo di recarvi fuor di casa per
ragionar di leggi e di provvedimenti. Ve ne fregherete alla grande convinti di
aver fatto così un gesto da furbi e da astuti. In voi non c’è nessun popolo, nessun Dio,
nessuna legge, solo il denaro vi dà il senso di esser vivi, di manifestarvi al
mondo, di esistere. Voi siete qui e ora perché
nel pugno stasera avrete un obolo di ricompensa. Oggi però vi dico di
conservarlo. Perché per tutti voi arriverà il momento di pagare Caronte per
passare gli inferi e sparire nelle tenebre infinite. Questa nera terra è stanca
e annoiata di gente come voi, ormai siete un peso irritante, un fastidioso
ricordo di tempi ormai polvere di tomba, un fatto sanitario. Credete a me.
Conservate l’obolo di stasera e non chiedete altro. Ne avrete bisogno per non
vagare nelle nebbie della non-morte. E sappiate infine che
questo mio discorso non è mosso da un Dio o da un dovere sacro ma solo da un
generoso e irragionevole attimo di pietà”
IANA
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8 ottobre 2010
La recita a soggetto
 Le Tavole delle colpe di Madduwatta
La recita a soggettoAnno 2010 estate, nel villino di periferia di Vincenzo Pisani si presentano di notte lo zio Francesco e lo Zio Marco preoccupati da uno strano annuncio. I due dopo anni si parlano di persona.
Dove lo zio Marco trova Francesco sul divano degli ospiti in corridoio con il cellulare acceso, i due ragionano della casa e del nipote Vincenzo dove son ritornati a distanza di anni.
Francesco: Eccolo, si pensa al demonio e subito c’è l’odore dello zolfo; anzi della sigaretta. Ora spengo e son subito da te.
Marco: Non ho fatto qualche migliaio di chilometri per sentire le lamentele di un fratello maggiore, semmai la signora come sta; in fin dei conti siamo in casa sua e essendo fratelli del tale dal quale è divorziata è di cattivo gusto star in casa sua senza presentarsi. Piuttosto è in casa?
Francesco: Sì era molto stanca, così è andata a dormire del resto è notte son passate le dieci e mezzo, son rimasto con lei per un paio d’ore e me ne ha raccontate di storie. Comunque il tale come lo chiami è il nostro fratellino, e il problema è il di lui figlio, ossia nostro nipote. Lo sai che adesso il villino di famiglia è una specie di albergo, guarda attorno quel matto del Vince ha trasformato il salotto buono della zia in un ufficio ricevimento e cassa, ha tirato su due o tre muri e messo porte e finestre nuove e non è finita.
Marco: Fammi capire… La casa di famiglia è un albergo e questo divano nel corridoio è la stanza comune degli ospiti? Ecco spiegata la macchinetta a gettoni del caffè! Incredibile. Ma cosa è girato in quella testa matta.
Francesco: Tasse, tasse comunali, Acqua, Luce, Gas, tasse sulla spazzatura. Hai bisogno di altri motivi per spazzar via il passato della famiglia? Del resto cosa rimane a questa generazione di giovanotti se non un delirio di debiti passati, di cose incompiute, di stranezze create da classi dirigenti improvvisate che non sono né classi, né dirigenti. Io sarei partito subito dopo la divisione dell’eredità della zia se fossi stato al suo posto. Del resto mettere in mano al ragazzo la casa e i debiti che ci sono sopra per non caricarceli addosso giustifica una cosa del genere. Del resto chi ha detto che in famiglia la torta debba esser divisa fra parti uguali, i vecchi come noi hanno più diritti; siamo stati coerenti in fin dei conti con la nostra generazione che lascerà a figli e nipoti il debito pubblico più grande d’Europa, discariche a cielo aperto, un sistema sociale morto, un mondo politico deforme e osceno tanto criminale quanto criminogeno. Dimenticavo l’esempio: una generazione di appartenenti a una finta classe dirigente, di finti politici, di finti credenti, di finti comunisti, di finti imprenditori; oggi tutti allegramente in fuga dalla realtà e da questo paese con la cassa o senza.
Marco: Sei sempre il solito estremista, moralista, forse ex comunista. Parli, straparli ma poi… Fra noi in confidenza ammettiamolo: ma che ce frega degli altri e di questi giovani con l’I-Pad e i calzoni strappati e le scarpine firmate. Cosa hanno fatto per noi. La storia della nostra generazione e di chi ci rappresenta è semplice c’è il denaro e c’è il nulla. Se hai il denaro sei se no sei il nulla e il nulla è la morte civile e morale. Il nulla di chi non ha è la morte morale e spirituale di tutto il proprio mondo umano perché tutto si fa nero e oscuro e sei già morto e decomposto in vita. L’essere umano è un microcosmo di sentimenti, di valori, di spiritualità e se gli togli i soldi lo fai sparire perché è il denaro che circola la vita della vita. Se non c’è il potere che viene dal denaro tutti ti abbandonano: amici, banche, operai, figli, figlie, parenti. Tutto è una relazione di costi e ricavi nella vita del singolo come nei sette miliardi d’infelici che vivono sul pianeta azzurro. Come faceva dire il tuo amato Pasolini a Totò il povero nel Belpaese “muore due volte” il ricco una sola e solo per restituire una parte quello che ha avuto in più dalla vita. Solo un pazzo o un uomo malvagio non riconosce la follia di quanti non si approfittano del qui e ora strappando con ogni mezzo qualcosa alla malvagità dell’esistenza. Io rifarei quel che ho fatto perché anche se talvolta è riuscito male la natura del mio operare è perfetta perché coerente con questo sistema. Comunque tu non hai fatto cose diverse, mi risulta…
Francesco: La tua filosofia di vita mi fa vomitare, e non vedi la differenza. Io ho subito questo male che tu a tuo modo ami perché ti assolve da tutto e da tutti e ti giustifica. Ciò che tu hai fatto nel lavoro e nel commercio e nella produzione con gioia distruttiva io l’ho compiuto nel dispiacere e nel rimorso. Prova ne sia che la mia salute ne ha risentito, ho somatizzato il mio tradire gli ideali.
Marco: Un ideale che non trova campioni, martiri e forze materiali per la sua difesa non è una cosa seria e meno che mai un ideale. Forse può essere uno squallido alibi, una truffa morale fatta contro se stessi. Ammetti piuttosto che ciò che è stato fatto era necessario, perfetto nella coerenza e meschino nel suo darsi perché i nostri rimorsi e le nostre paure l’hanno corrotto. Se si lascia il passato dietro di sé occorre andar fino in fondo e in questa cosa entrambi abbiamo fallito. Ciò che è stato ci ha colpito alle spalle e ora siamo qui uno di fronte all’altro.
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30 luglio 2010
La natura seconda e le nostrane pietose finzioni
De
Reditu Suo - Terzo Libro
La
natura seconda e le nostrane pietose finzioni
La natura intima di questa
terza rivoluzione industriale sta mostrando il suo volto aggressivo e duro con
questa aspra e lunga crisi e con le nuove guerre. E’ una rivoluzione
industriale come le altre due precedenti
proprio come le sue sorelle cambia il mondo umano distruggendo ciò che è
stato prima e rimodellando il presente. Si tratta di un fenomeno noto per certi aspetti scontato nella sua
brutalità. Questa terza rivoluzione però ha un elemento di novità perché
colpisce con puntualità e brutalità il vissuto quotidiano e la cultura
rimodellandola secondo le sue esclusive necessità di profitto e di creazione
della propria potenza. Chi è ai vertici del processo ovvero gli esecutivi delle
potenze imperiali, i dirigenti massimi delle grandi compagnie finanziarie,
delle multinazionali, delle banche, la ristretta minoranza di miliardari con interessi
in decine di grandi compagnie è davvero felice perchè vede l’‘opera che crede
propria mentre prende forma nello spazio e in questo tempo, il resto degli
umani è materia vivente atta ad attuare o ad assistere questo titanico esperimento di ingegneria
sociale e di creazione di profitto e tecnologia. Questo esiste e si forma in anni
nei quali il Belpaese sembra impazzito, qui si ragiona di comunismo, fascismo,
antifascismo, e liberalismo come se il 2010 fosse il 1970. Oggi 21 maggio 2010 i giornali rendono conto del fatto che la
ricerca genetica è vicina alla creazione di forme di vita artificiale,
l’annuncio della avvenuta manipolazione
genetica con DNA artificiale di alcuni batteri viene dagli Stati Uniti ed è
nello spirito dei tempi. Questa rivoluzione industriale cambia addirittura non
solo il concetto di uomo e natura ma proprio la natura e l’essere umano nel suo
essere concreta realtà materiale dotata di vita propria. Davanti a quel che è
enorme e clamoroso vedo un dibattito politico stanco e infelice legato a cose
squallide e brutte come il coltivare antichi dissapori e miti perduti per
tenersi fette di elettorato pieno di idee confuse e nostalgiche da usare
strumentalmente come forza ausiliaria per vincere per qualche punto percentuale
lo schieramento politico avversario. La politica italiana degli onorevoli, dei
cavalieri al merito e dei commendatori da tempo non pensa più il tempo di tutti e si accontenta di amministrare
il suo tempo e se stessa e i suoi piccoli e grandi interessi; la grande finanza
non può per sua natura trasformarsi in un soggetto politico in grado di sostituire
i vigenti ordinamenti democratici e si accontenta di manipolare e indirizzare
la grande politica nazionale e internazionale. Le enormi masse di umani che
sono cittadini di Stati democratici devono cimentarsi con il problema di una
condizione di civile libertà ferita ripetutamente dalla crisi globale e dalle
diverse forme di autoritarismo che emergono in queste nuove guerre. Di fatto
non c’è indirizzo e controllo nella crescita del potenziale tecnologico, le
mutazioni anche notevoli e invasive come i telefonini tuttofare, internet o
l’E-book arrivano, si consolidano, mutano i rapporti umani e sociali e solo
dopo che la trasformazione è già irreversibile arriva il legislatore, il
moralista, il giornalista, il commento dell’uomo della strada. Non ci sono
forze in grado di determinare lo sviluppo di questa natura seconda ed essa
stessa non ha una coscienza o uno scopo: diviene ciò che può essere nel mondo
degli umani che abitano il pianeta azzurro e occupa tutti gli spazi vuoti.
IANA
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13 giugno 2010
Note italiane su Urusei Yatsura
De
Reditu Suo - Terzo Libro
Note
italiane su Urusei Yatsura
Urusei Yatsura
Altro non è che il famosissimo cartone animato di Lamù. Quello che lo rendeva
straordinario ai suoi tempi era la sintesi fra ironia, comicità grottesca,
fantascienza e trama da telenovela sui fidanzamenti adolescenziali. Adesso che
è passato più di un ventennio dalla prima messa in onda in Italia (1983) e che
son passati trentun anni dalla sua prima edizione in fumetto si può prendere
questa cosa singolare e straordinaria con intenti analitici. Occorre dire e
ribadire che mi ha colpito negativamente osservare la ristampa della serie
nelle edicole con la dicitura “consigliato a un pubblico adulto”, ho visto
quelle puntate quando frequentavo la quinta elementare! Le cose sono due o l’Italia era impazzita nel 1983 oppure è
impazzita oggi. Credo proprio che qualcosa si sia rotto oggi a livello di
buonsenso e non ventisette anni fa. L’altra nota è la dimensione ludica con cui
si racconta una bizzarra storia d’amore in un contesto grottesco di un Giappone
che convive con la presenza aliena.
Questa leggerezza, questa dimensione amabile la considero la componente
più interessante dell’assemblaggio narrativo della serie, parlare di cose anche
difficili da rappresentare con una semplicità quasi disarmante. Il personaggio
maschile il giovane Ataru è forse la rappresentazione più crudele e nello
stesso tempo bonaria di una condizione adolescenziale nei paesi
post-industriali e culturalmente e scientificamente sviluppati: da un lato la
società sembra eccitare ogni passione e ogni vanità e dall’altro non dà alla
gioventù un suo rito d’iniziazione, una collocazione morale e civile diversa da
quella dell’inclusione del soggetto in qualche fascia di consumatori a seconda
dei denari che possiede. Ataru è un personaggio universale in questi anni di
finto benessere. I suoi problemi sono
nella loro intima natura di alienazione e frustrazione condivisi da milioni di
liceali e adolescenti. Forse a ben
vedere se Lamù fosse stata nel cartone
animato accompagnata da un damerino o da un atleta olimpionico la serie avrebbe
perso tanta parte della sua capacità di coinvolgere lo spettatore. Concludo
queste brevi note riportando osservazione che ho fatto mentre ero dal
giornalaio sottocasa. Ho osservato che
il dvd di Zambot 3, che presenta
massacri e stragi di umani da parte degli alieni malvagi, non aveva la dicitura – consigliato per un
pubblico adulto – ho pensato e devo aver
detto più o meno questo:”oggi in Italia inquieta di più un cartone animato che parla di fidanzati che
vengono da lontano che non una strage
aliena con tanto di umani fatti esplodere”.
IANA per FuturoIeri
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15 febbraio 2010
La grande fortuna di Pier Paolo Pasolini

De
Reditu Suo - Secondo Libro
La grande fortuna di Pier Paolo Pasolini
Il poeta e regista forse
non se rendeva conto, o forse sì, ma la sua era una vera e propria fortuna: i
suoi persecutori che lo trascinavano in tribunale erano veri e c’era davvero gente capace di provare odio e disgusto. La sua lotta
civile e culturale s’integrava nei termini di qualcosa che era ancora vivo
anche se profondamente malato di corruzione, ignavia e cinismo. Oggi tutto è
merce, perfino la critica dura e impietosa si trasforma in prodotto, tutto è
divorato dal sistema di produzione, spettacolo e consumo anche l’urlo del
predicatore nel deserto e il monito dell’intellettuale impegnato assumono senso
se entrano nelle logiche e nei percorsi dei sistemi di comunicazione di massa.
L’odio è un sentimento forte e oggi è ormai merce rara in una civiltà a metà
strada fra il centro commerciale e la catastrofe ecologica planetaria. Al
disprezzo e al contrasto si preferisce il silenzio per malvagità, per
incapacità di comprendere e per la folle e assoluta volontà di portare a buon
fine interessi privati manipolando le leggi, gli appalti e i piani regolatori. Non dico niente di nuovo su
tutto questo, il lettore pensi a tangentopoli. La cultura alta e profonda è
estranea alle logiche del potere di oggi che è solo l’estensione della volontà
di finanzieri, manager, banchieri, sceicchi, e trafficanti di ogni specie. A
queste caste al potere interessa solo un
minimo di Stato che tuteli in qualche modo la proprietà privata e la libertà di
commercio. Non credo che esista un centro di potere malvagio, quel che è
avvenuto è stato un percorso segnato dal collegarsi e svilupparsi di più
volontà, di più progetti di dominio e controllo e dalla volontà di potenza di realtà imperiali
globali. Quindi più attori pubblici e privati di dimensioni imperiali con
interessi assolutamente egoistici e cinici hanno condotto le vicende planetarie
negli ultimi decenni e ormai tocca vedere una terza rivoluzione industriale che
sta smentendo tutte le ragionevoli aspettative di progresso e benessere. Alle
rovine della vecchia Italia e dei suoi antichi poteri si sommano le rovine di
tangentopoli e un giorno potrebbero sommarsi quelle del Berlusconismo. Una
massa informe di cose morte e miti perduti e svergognati non può creare odio,
rabbia, lotta e martirio ma solo
diserzione, fuga e furberie da strapazzo. Forse l’Italia di Pasolini era quella
della fine di modi di vivere e di essere di natura arcaica e a loro modo
tradizionali. Questa di oggi è l’Italia dove i nuovi miti e i nuovi spettacoli
rivelano la loro natura assolutamente strumentale e volta a calmare un popolo
di tapini, di impoveriti e di popolazioni piene di problemi non risolti. Il
mondo umano dell’Italia di oggi è qualcosa di talmente deforme e inesprimibile
che anche l’odio di parte cessa di essere un fatto assoluto per diventare o un
problema privato o una stramba continuazione dello spettacolo permanente nel
quale è immersa la politica e il sedicente “mondo dell’informazione”.
Sui processi di P.
Pasolini umilmente rimando al sito http://www.pasolini.net/processi_cronologia.htm
IANA per
FuturoIeri
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5 giugno 2009
Lo "Stivale" davanti alle sue troppe maschere
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Lo “Stivale” davanti alle sue troppe
maschere
A seconda dei tempi e delle situazioni i
ceti che nel Belpaese vivono di politica hanno assunto diverse maschere
ideologiche. Quelle del remoto passato avevano la loro ragione inscritta nelle
rivoluzioni industriali e nelle due Guerre Mondiali, le presenti sono grette
trovate pubblicitarie, trucchi circensi per raggranellare un po’ di consenso
tra una gioventù smarrita che osserva la mancanza di prospettive e fra vecchi
terrorizzati perché temono che l’extracomunitario gli “rubi in casa”, o che lo
Stato salti il pagamento della pensione o di qualche specie di sussidio. Le
maschere indossate dai ceti sociali che vivono di politica nel Belpaese sono usurate,
vecchie, sporcate e ripugnanti da vedere e da indossare. Le ultime recentemente indossate, ma già nate
logore, del moralismo politicamente corretto, del siamo tutti fratelli
italiani, dell’amicizia verso il diverso e l’uomo di colore si sono coperte di
ridicolo e di disgusto. Apertamente si sono rivelate fin da subito il cattivo
costume di chi voleva coprire il suo perbenismo con richiami alla solidarietà
umana e alla giustizia degni delle frasi dei baci perugina o dei biscotti della
fortuna cinesi: slogan, frasi fatte, roba priva di qualsiasi contenuto politico
o sociale. Chiunque viva per più di sei mesi nel Belpaese capisce che il primo
interesse dei ceti sociali che vivono di politica e di quelli che hanno delle
proprietà o delle posizioni dovute al rango sociale, o beni immobiliari e
fondiari è quello, in qualunque modo e a qualunque costo, di tenersi ben strette le
loro condizioni di privilegio e se possibile immobilizzare la società e la
cultura italiana. Non c’è alcuna solidarietà, vita, onore, decoro, o corso
storico o progresso; il Belpaese è solo lotta sleale per prendere dei beni, dei
soldi, dei privilegi, talvolta per accumularli o, sempre più spesso, per mantenerli.
Le maschere solidali, comunistoidi, liberaleggianti, nazionaliste o fascistoidi
servono solo a far finta di vivere altrove, in una società e in un Belpaese di
pura fantasia. Si vuole convivere con questa recente immigrazione, bene! Il
nodo aspro da sciogliere è la possibilità di ascesa sociale, si aboliscano gli
ordini professionali e tutti i lacci, si “annientino” anche le concessioni per
diventare tassisti. A chiunque ha le capacità, i titoli e i soldi, sia esso
d’origine filippina, senegalese, cinese, indiana, o di qualsiasi altra
provenienza sia data la possibilità di fare senza incontrare numeri chiusi,
concessioni, ordini professionali e via dicendo. Quanti dei nostri moralisti
che vengono dai ceti sociali altolocati come architetti, notai, avvocati,
giornalisti e liberi professionisti in genere sarebbe disposto in nome della
tolleranza ad abolire il proprio ordine professionale? Davvero le nostre borghesie potrebbero
accettare un medico cinese, un notaio filippino, un professore di colore di greco
e latino al liceo o un capo di origine rumena? Nella testa di chi fa moralismo
un “tanto al chilo” c’è l’idea che i filippini devono fare i domestici, gli
africani gli ambulanti, gli asiatici i commercianti al minuto. Quella che si
prepara è una società multi-razzista, gonfia d’odio e nel momento delle grandi
difficoltà collettive pronta ad esplodere per colpire i più deboli. Io so,anche
se non so dire come, che questo disegno funesto ricopiato sul peggio della
società Anglo-Americana fallirà, il Belpaese avrà la forza di opporsi a questa
“scienza malvagia” .
IANA per FuturoIeri
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27 maggio 2009
Chi si rivede! Il moralismo all'italiana
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Chi si rivede! Il moralismo all’italiana
L’esercizio
quotidiano della virtù come insegnavano certi filosofi illuministi è cosa da
repubbliche ben ordinate, da cittadini virtuosi, sobri e sicuri nei loro
diritti e doveri. La virtù stessa era la base morale delle forme di governo
democratico almeno quanto l’onore per le monarchie e la paura per i regimi
dispotici. Nel Belpaese dei nostri giorni ci si deve accontentare come base per
questa Seconda Repubblica di un sottoprodotto della civiltà che è il moralismo,
ossia il fingere di credere in valori e virtù avendo sempre come propria cura
il tirare a campare e l’arraffare beni e piaceri; il sottrarre alla malvagia
avidità del mondo quel che è desiderato o che semplicemente è stato preso a
qualcun altro. Non quindi vere virtù o vere credenze in questo o quello ma
finzioni, mascherate, travestimenti, il tutto con lo scopo di raggiungere un
piccolo guadagno. Questo moralismo di cose non credute ma ostentate, di
finzioni di fedeltà alla propria cultura, di mistificazione dei veri propositi
delle proprie azioni, di doppiezza morale e civile è la speciale dimensione su
cui poggia la Repubblica e con essa le sfortunate genti del Belpaese. Questa
natura moralistica riemerge con forza nel periodo elettorale e con fare
dirompente ci regala lo spettacolo della grande finzione del far finta che le
cose siano “come se…”.
La grande
recita a quel punto si fa collettiva perché gli elettori, con l’eccezione di
qualcuno davvero convinto, fingono di credere alle promesse e alle
autopresentazioni dei candidati alle elezioni e i candidati, fatte salve le
solite anime candide, si convincono di aver fatto il loro gioco e di aver in
tasca un consenso fondato sulla loro capacità di persuasione e non solo. In
realtà si tratta della grande messa in scena, di uno psicodramma collettivo nel
quale si recita su un canovaccio logoro dove son scritti abbozzi di parti e
situazioni, dove condizioni drammatiche ed emergenze sociali convivono con la
bieca propaganda elettorale, dove il narcisismo dei candidati che tappezzano le
città con i loro volti e i loro nomi fa sparire dalla propaganda elettorale quelle
lotte politiche e sociali che essi in fin dei conti dovrebbero condurre. Se non
fosse chiaro faccio riferimento ai manifesti elettorali che caratterizzano le
città al momento delle elezioni per gli enti locali, non c’è occasione se non
allora di vedere i volti di chi fa politica ovunque nelle nostre città, forse
una Repubblica sobria e virtuosa si porrebbe il problema se un simile rapporto
con l’elettorato sia un fatto decente o meno. Sia detto per inciso il momento
della propagande elettorale rende forte chi può spendere di più e può
moltiplicare pochi ma semplici messaggi, quindi è facile ottenere buoni
risultati puntando sulle paure, sull’estetica del candidato, sulla frase ad
effetto, sulla composizione del manifesto elettorale. Sarebbe auspicabile un
momento di riflessione, di presentazione di contenuti ma il modello di
comunicazione politica e il moralismo imperante impedisce però una critica
seria e spontanea al come è la nostra Repubblica, l’ipocrisia del “far finta
che tutto è come dovrebbe essere anche se non è così” domina in questa campagna
elettorale. La civiltà italiana ritornerà in vita, ma certo non ora.
IANA per
FuturoIeri
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2 febbraio 2009
L’Italia scomparsa
Ma quando fu solo, Zarathustra parlò così al suo cuore “E’ mai possibile! Questo santo vecchio nel suo bosco non ha ancora sentito dire che dio è morto!” .( Friedrich Nietzsche, Così parlo Zarathustra )
La Morte di Dio. Patria e Famiglia
L’Italia scomparsa
Molto tempo fa nel periodo compreso fra il Risorgimento e l’avventura fascista il Belpaese in modo confuso e disordinato cercò di darsi una sua identità nazionale, una sua ragion d’essere che potesse esser compresa dalla stragrande maggioranza della popolazione. I patrioti Risorgimentali e post-Risorgimentali si rivelarono incapaci di capire i problemi delle masse italiane di poveri contadini, artigiani e operai e l’amarezza dei ceti medi per una Patria unita ma povera e disprezzata all’estero. I fascisti presero il potere al di là di ogni legittimazione legale e politica, ne erano consapevoli e di solito affermavano che dopotutto la loro presa del potere era stata una rivoluzione, e la loro opera di rifare gli italiani crollò sotto il peso di un disastro militare di proporzioni mai viste prima nella penisola. L’Italia dalla forte identità, vera o presunta tale, è crepata da decenni, perfino nella retorica roboante e allucinata delle nostre classi dirigenti, le quali da un bel pezzo hanno smesso di credere a quel che affermano in pubblico. Chi esercita il potere in Italia si sente vicino al miliardario egiziano o saudita o al politicante inglese o al finanziere francese o al mercante d’armi russo. Ne è una prova lampante che i nostri leader cercano di imitare i costumi e i modi dei grandi ricchi e dei potenti del pianeta azzurro, fra queste manie c’è da segnalare il costume strano di inserire parole inglesi di carattere pseudotecnico, e l’uso di dare o di farsi invitare ai ricevimenti per VIP sulle barche di lusso. La distanza fra le ristrette minoranze al potere e la stragrande maggioranza della popolazione è enorme, credo che l’Italia intesa come insieme di popoli e di costumi ormai sia un mistero per chiunque anche per gli stessi italiani. L’Italia delle certezze, della comune identità, del decoro borghese e della famiglia unita attorno al padre o al nonno si sta sgretolando, solo la paura della grande crisi e la debolezza dello stato sociale fa sì che per disperazione molti s’aggrappino a quel che rimane delle certezze del passato, un po’ come il naufrago che cerca di galleggiare aggrappandosi ad ogni cosa galleggiante che trova. Quel che resta della passata dignità della famiglia e della comune identità non è tale per la forza dell’idea che esprimono ma per il vuoto morale e civile nel quale gli italiani oggi si trovano. La maggior parte della nostra gente forzata a far, per l’ennesima volta e in democrazia, da sé cerca di ricostruire quelle poche strategie possibili che le permettano di andare avanti. La famiglia resta centrale per far fronte a un mutuo, come garanzia per l’acquisto della macchina o del motorino di un figlio che magari lavora ma è precario e non dà garanzie alla finanziaria di turno, addirittura per cercar lavoro o per indirizzare i giovani verso le scelte professionali o di studio. Solo i ricchi e i politici di successo possono permettersi di far a meno della famiglia contando sui patrimoni privati e sulle loro reti di contatti e conoscenze, basta pensare alla facilità con VIP, dive e divette si ritrovano con matrimoni falliti alle spalle, o con famiglie con solo un coniuge divorziato. Anche questa è una grande differenza rispetto al resto del popolo italiano. Molti non possono rompere la famiglia, non possono permetterselo.
IANA per FuturoIeri
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