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29 maggio 2012
L'Italia del remoto futuro:applausi e note sparse
 
Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
Applausi e note sparse
( anticipazione da uno scritto ancora tutto da
scrivere)
Fra le cose che mi suscitarono
incredulità e senso di smarrimento durante il mio soggiorno vi fu una scena,
l’applauso collettivo dei capi e dei quadri delle milizie del nuovo regime
quando venne proiettato l’ultimo rifacimento del film su Harlock. La scena
della Nave pirata spaziale con la bandiera nera che si schierava a difesa
dell’umanità contro gli alieni invasori era la ragione di quel gesto, la
bandiera pirata nelle sue centinaia di versioni diverse era quella che spesso
questi rivoluzionari istituzionali usavano; di solito le loro bandiere erano diverse
da quella del film spesso senza il teschio con le tibie ma solo con ossa,
frasi, armi incrociate, teste tagliate, arti amputati e parole tutte scritte nelle varie sfumature del
bianco e qualche volta in giallo oro. C’era una forte identificazione fra i
ribelli e i pirati da fumetto e da
operetta romantica e i capi e i quadri questo nuovo regime. Era successo più
volte durante l’Antico Ordine che nei multisala quando compariva una bandiera
nera o un personaggio identificabile come alieno o ribelle, o come bandito
schierato contro un potere corrotto nel
silenzio della sala si levasse un grido d’entusiasmo o scoppiasse il solito
applauso improvviso. Perché personaggi ormai di potere, legati al quotidiano,
vincolati alla gestione del presente s’entusiasmavano per una cosa del genere.
C’era qualcosa che non avevo capito, qualcosa di misterioso dentro la
psicologia di queste popolazioni del Sud. In realtà la tradizione del ribelle,
dell’eversore, del bandito popolare e vendicatore dei torti era una sorta di
luogo comune nella psicologia e nella storia culturale. Il delinquente eroico,
il fuorilegge per motivi politici, il partigiano di una causa temeraria spesso
erano oppositori naturali di capi degenerati, despoti stranieri, padroni
criminali. Questi nuovi rivoluzionari si collegavano a un qualcosa di già
esistente a livello d’immaginario collettivo. I capi di questi gruppi avevano
lavorato molto per creare un legame fra la loro opera e certe parti
dell’immaginario collettivo, anche se non si può non rimanere sbalorditi davanti al fatto che
ribelli, pirati, banditi siano presi a modello da parte di un regime che in
fondo è alleato di potenti alieni e punta a creare un tipo di Stato con
elementi di autoritarismo e di controllo sulla popolazione umana. Hanno
inserito nel sistema centinaia di migliaia di umani artificiali usati per
impieghi di tipo speciale, creati con la potenza bio-tecnologica dei loro
alleati e contemporaneamente creato l’illusione che qualcosa del passato fosse
rimasto vivo; l’efficacia del sistema mette in discussione anche le forme
tipiche del popolamento di queste terre. C’è da dire che la potenza tecnologica
e la capacità amministrativa acquisita ha portato grandi benefici, infatti
intere regioni sono state messe in sicurezza, milioni di fabbricati ed edifici
riparati o restaurati, milioni di tonnellate di rifiuti sono stati trattati e
riciclati o distrutti in via definitiva, alcune zone sottoposte a interventi
urbanistici e di risanamento ambientale. Il contro di questo è la brutalità e
l’autoritarismo con cui i processi sono stati portati avanti, nelle fosse
comuni nascoste fra boschi e periferie ancora in rovina non ci sono solo ex
soldati, feccia, mercenari, notabili ma centinaia di migliaia di innocenti, di
morti ammazzati per caso o per sbaglio. Del resto c’è qualcosa di militante, di
partigiano nel senso più bellicista del termine in questo nuovo regime e nella
sua determinazione a rinnovare e trasformare un corpo sociale e culturale
degenerato attraverso una diversa storia e con nuovi modie mezzi di vivere e di stare al mondo. Tuttavia
quello che era impressionante per le genti del Nord, e il motivo principale del
mio studio e della cura con cui ho seguito questa vicenda, è legato
all’incrocio fra vecchio e nuovo che si è formato. Suggestioni del Mondo
Antico, del Medioevo, dell’Età Moderna convivono con un culto laico del nuovo
potere alieno in una sorta di tentativo di portare a unità pezzi rotti di miti
fondativi e memorie perdute. Mi spiego così certi strani costumi come le divise
da miliziani che sono un misto di abiti per le arti marziali, tute da
ginnastica, calzature militari, qualche mimetica, giberne, cinture, cinturoni, tascapane e
fondine di pistola; lo sportivo diventa marziale, l’abito per il tempo libero
diventa strumento di guerra e di polizia e divisa informale per parate e
convocazioni.A questa divisa informale hanno aggiunto mostrine, qualche
medaglia, ricami con teschi, pianeti, stelle e comete, per coprire la testa qualche
maschera antigas, una scelta d’antiquariato di elmi e caschi da motociclista e per i piedi, stivali, anfibi da paracadutista,
scarpe da tennis, scarpe da montanari. Piani diversi e logiche diverse si
confondono anche negli abiti, l’esito di questo primo periodo di trasformazione
sembra essere proprio la confusione, il mischiare, il confondere. Mi sono dato
una ragione e una spiegazione: nella storia di queste genti del Belpaese le
grandi trasformazioni hanno avuto forti elementi di continuità formale con ciò
che era stato prima, il vecchio veniva portato nel nuovo per essere trasformato
o distrutto. Così la confusione apparente è amica di questo nuovo regime, è
utile perché associa il vecchio con il nuovo; il vecchio nel passare del tempo
muore o si trasforma mentre il nuovo prevale.
Le divise bizzarre, le bandire nere
con immagini orripilanti o frasi o parole inquietanti, le armi aliene o umane
lucidate per la parata, le canzoni piene di odio e rancore per ciò che è stato,
la musica classica diffusa dagli altoparlanti, i muri con frasi politiche o
immagini forti sono la naturale coreografia di una grande recita collettiva che
vuol trasformare i corpi, le menti, la vita quotidiana. Si tratta di una recita
di massa, di un rito collettivo, di un potente esorcismo contro ciò che si è
stati nel passato. Mi chiesi come è possibile esorcizzare, ritualizzare una
grande abiura, ripensarsi diversi con questi modi, con questa logica a metà fra
il circo e il rito da stadio. Ma i miei viaggi da studioso mi hanno anche
rivelato una vecchia verità: creare l’uomo nuovo comporta distruggere il vecchio. Nel corso della storia umana tante volte è stato
tentato questo, con passione ideologie di colori diversi, rivoluzioni
tecnologiche, con imposizioni di dominatori, di eserciti invasori, di banche
internazionali, con l’uso dei mass-media. Tutte le volte i risultati sono stati
inadeguati, cattivi, spesso meschini quando non orrendi. Stavolta c’è qualcosa
in più, ovvero la possibilità d’attingere a tecnologia e conoscenze Xenoi. Forse
questo sarà l’ultimo esperimento di rifare gli esseri umani, o forse l’ultimo
in ordine di tempo. Il caso, il disordine del mondo, la bizzarria del destino
hanno voluto che fosse provato qui, in questa penisola, fra questi popoli così
singolari e di antica stirpe; come studioso di scienze politiche devo piegarmi
all’evidenza di un nuovo esperimento, di una nuova trasformazione, di una sorta
di rivoluzione antropologica tentata e gestita da umani e alieni xenoi. Romanticismo rivoluzionario, miti da fumetto, vecchi film, guerra reale
e concretissima, riti collettivi, alleanza stretta con gli alieni confluiscono
in un solo calderone politico e ideologico. I prossimi anni diranno se questa
massa di cose diverse e bizzarre porteranno alla creazione di una nuova società
integrata e interfacciata con la potenza
aliena e supportata da uno straordinario sviluppo tecnologico e di potenza. Di nuovo quanto accade in questo
pezzo di mondo incastrato fra tre continenti avrà un peso enorme sulla
popolazione umana di questo pianeta, è più di un gigantesco esperimento; è una
profezia concretissima e vivente sul futuro del mondo umano. Confesso che alle
volte sono sopraffatto dallo stupore, altre volte dalla curiosità, talvolta
provo un disgusto perché intuisco i pericoli di questo esser profeti sulla
propria carne e sulla propria terra.
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23 maggio 2012
L'Italia del remoto futuro:note politiche e omicidi di follia

Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
Note politiche e omicidi di folla
( anticipazione da uno scritto ancora tutto da
scrivere)
Fra le note che segnai in quel
momento c’erano queste parole.
Il destino dell’Antico Ordine nel Belpaese di cose mi sembrò crudele e beffardo,
i vecchi poteri crollavano sotto il peso delle macerie sociali e civili che
avevano causato per creare un facile consenso e una stupidità di massa che portasse
il peso dei loro errori e della loro corruzione e della loro avidità criminale.
Proprio la demenza e il cretinismo televisivo e virtuale che avevano profuso per decenni
aveva creato quella massa amorfa, imbelle e dissoluta di plebi elettorali
cittadine che non aveva nel momento del bisogno mosso un dito per loro. La
feccia instupidita da nani e ballerine, da donnine con le labbra e le tette
gonfiate, da presentatori pieni di problemi psicologici e sessuali, da
demagoghi irresponsabili e malvestiti, da capi politici creati da agenzie di
pubblicità e di pubbliche relazioni, da cantanti e intrattenitori di bassa lega,
da videogiochi infantili e dementi li aveva abbandonati alla prima difficoltà.
L’opera di questo strano regime alimentato dagli alieni Xenoi, del tutto nuovo
nel mondo umano, pare essere proprio quella di stroncare le ragioni del passato
e di creare una forma altra di cittadinanza. Sempre che si tratti di
cittadinanza e non di altro. I disegni di questo regime mi sono infatti oscuri.
In questi capi c’è un bisogno di aver ragione per forza, di darsi un sapere e
un potere unitario, potente che fatalmente emargina le opposizioni anche quelle
banalmente culturali o di pensiero; sono in presenza di un disegno nicciano, o
forse di una potente alchimia sociale dovuta alla disperazione e al fallimento
delle precedenti generazioni e dei regimi che hanno preso possesso di questa
penisola. Come hanno fatto ha portare dalla loro parte milioni di ex depravati,
di consumatori compulsivi, di vigliacchi patentati? Dove portano le note e gli
appunti che ho scritto?
Ero confuso ma nello stesso tempo determinato
ad arrivare al punto, dovevo trovare una spiegazione, o una combinazione di
possibili spiegazioni; descrivere la dissoluzione dell’Antico Ordine non era
abbastanza per me. Oggi sono arrivato a una determinazione che posso con senso
di responsabilità presentare ai lettori: il regime si è dissolto sotto il peso
della sua corruzione in combinazione con una straordinaria pressione militare
dovuta alla Guerra Xenoi. Guerra e corruzione interna hanno distrutto un certo
modo di essere abitanti della Penisola, la potenza culturale dei nuovi
occupanti unita al disgusto profondo che una parte dei popoli di questa terra
nutrivano per se stessi e il loro passato hanno annientato l’Antico Ordine.
Quanto penso alla dissoluzione penso ai capi e ai gregari che scappavano con la
cassa in mano abbandonando alla strage figli e parenti ma avendo cura di
portarsi dietro un sacchetto o una borsetta con dentro le loro droghe preferite,
documenti compromettenti, certificati di credito. Ne hanno beccati tanti con
rotoli di banconote, orologi d’oro, gioielli rubati e una manciata di pillole
blu e verdi o qualche pacchettino di polvere bianca, spesso per divertirsi li
lasciavano andare in crisi d’astinenza e in quelle condizioni li esponevano al
pubblico ludibrio via internet o peggio per le strade e le vie. Quando le scene
dei capi, dei miliardari e dei funzionari di rango sbavanti e farneticanti arrivarono
in Germania e nel Nord molti si chiesero se non fosse un trucco o plagio.
Invece no. Era tutto vero, erano vere
anche le folle incrudelite che
prendevano a calci e colpi di bastone i vecchi padroni, gli urinavano addosso,
gli lanciavano ogni sorta di spazzatura mentre venivano colpiti dai malori
dovuti all’astinenza, spesso le vittime legate a dei pesi o a dei pali e non potevano
sottrarsi alle pubbliche umiliazioni. La violenza contro le donne era poi
bestiale, vi furono casi, in episodi di omicidio di folla, di sfondamento del
cranio causati da oggetti contundenti e pietre e le vittime erano le donne dei
capi o le loro amanti o peggio ancora delle escort. Forse la violenza sulle
donne, spesso compiuta da altre donne si rivelò più decisa e crudele di quella
dei loro padroni e amanti un tanto a servizio; per farle soffrire di più
arrivavano ad ammazzargli i figli. In effetti questa esplosione di violenza
sorprese molto le popolazioni del Nord, tutto sui pensava tranne che nel paese
della gente che cucina la pizza e i
maccheroni, porta i baffi e suona i
mandolini si potesse dare una punizione così atroce e sproporzionata. Si
parlò allora di bestialità innata, di natura mafiosa, di turbe culturali e
biologiche, perfino di razza. In realtà cose simili si erano date già nella
vicenda di queste terre e di questi popoli. In realtà i capi vicini agli Xenoi
volevano spezzare il legame con i boss e i podestà stranieri, l’umiliazione
pubblica prima dell’annientamento fisico era utile, c’era poi qualcosa che
portava al peggio delle pulsioni sessuali, della pornografia, delle torture
delle guerre imperiali d’inizio secolo. La popolazione doveva sfogarsi,
scaricare sui vinti le pulsioni sadiche, provare il piacere del distruggere per
stroncare il legame che li univa al passato, perché era il passato la bestia
che il nuovo regime voleva uccidere e spellare. Non doveva essere possibile il
ritorno al passato o il recupero di quella storia, oblio, umiliazione, calunnia
e l’evidenza della corruzione e della
natura mercenaria dei piccoli capi del Vecchio Ordine dovevano essere
confezionati per stroncare ogni ricordo positivo, ogni nostalgia. Il passato
era il male, era una cattività a Babilonia, era la schiavitù d’Egitto era il
punto più basso e degradante della vicenda umana su quella striscia di terra
fra Europa e Africa. Le bandiere nere con i disegni di morte e le deliranti parole bianche erano il sudario che copriva
una storia sbagliata fin dalle origini. Oggi mi sento di scrivere che quei
fatti erano l’esito di un odio antico marcito e ingigantito dai continui fallimenti
delle minoranze al potere, ma non dovevano sorprendere, non dovevano portare a
una moltiplicazione delle giustificazioni e delle ipotesi. So che il gentile
lettore potrà esser scandalizzato da quanto scrivo ma il sistema era un sistema
di corruzione, di degenerazione, di plagio continuo che eccitava la parte
peggiore dell’essere umano. Quella parte peggiore non porta al coraggio,
all’onestà, alla forza ma alla degenerazione fisica e morale, alla viltà fatta
sistema e quindi nel momento della disgrazia e della sconfitta le plebi
dissolute e imbelli si rivoltarono
contro i loro padroni e i loro meschini protettori; colui che vive nella
corruzione e nella degenerazione non conosce fedeltà o nobiltà di sangue.
L’impasto di degenerazione, uso sistematico della menzogna, servilismo
meschino, elevazione di personaggi impreparati a posti di responsabilità,
collusione del potere politico con la criminalità organizzata aveva creato una
società debolissima, inesistente sul piano della cultura e del rispetto di se
stessa, così lo Xenoi ha potuto puntare su questa grande debolezza per insinuarsi
e associarsi agli umani e segnare il suo controllo sul pianeta Azzurro. Il
problema è che parte della vicenda umana sul pianeta passa da questo territorio
e dai popoli che abitano questa terra e integrare la civiltà del Belpaese con
la cultura Xenoi ha permesso agli alieni
di inserirsi nella vicenda storica e artistica di tre continenti. Oggi posso
dire con assoluta calma che questo è il portato di un grande fallimento della
civiltà umana, senza le lotte imperiali per l’egemonia sul pianeta e senza i
sistemi di dominio e controllo fondati sui peggiori istinti e paure delle masse
popolari questi estranei non sarebbero mai riusciti a inserirsi e a portare a
buon effetto la loro guerra vittoriosa. In un certo senso le genti del Belpaese
ci hanno tradito, infatti si sono consegnate a questo nuovo dominio attraverso
una grande abiura per non dover rendere conto dei loro errori e dei loro
peccati. Confesso di essere irritato da questo comportamento, eppure non posso
non riconoscere talento in chi ha gestito questo passaggio e determinazione ai
confini del cinismo e della criminalità da parte delle popolazioni che hanno
trasformato la loro condizione da vinti a vincitori diventando una strana
appendice degli Xenoi. Certo che non è proprio un popolo alla Capitan Harlock,
l’avventuriero salvatore dell’umanità
eroe dei fumetti e dei film giapponesi, quello che è sorto dalle ceneri del
Vecchio Ordine. In fondo è l’esperimento di un nuovo uomo, o forse la venuta di
una gnosi aliena estranea a ciò che è stato il corso
delle civiltà umane negli ultimi due millenni.
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2 maggio 2012
Note e annotazioni sul cambio di regime nel remoto futuro
Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
Note sparse e testimonianze
( anticipazione da uno scritto ancora tutto da
scrivere)
Il materiale cominciò a esser troppo,
a mostrare la sua grandezza e vastità. Mi fermai per una pausa di riflessione.
Il dubbio di non aver capito i fatti di cui ero testimone e quelli di cui
raccoglievo la documentazione si fece pressante e cominciò a infastidirmi. Fu
nel principale parco pubblico della nuova capitale che mi sorprese l’idea di
dover fissare qualche dubbio, qualche evidenza lasciata in ombra, non capita. Che terra era mai questa dove gli esseri umani
passano da una causa all’altra con facilità e indifferenza? Dove è così facile
nel resto del mondo umano cambiar
patrono e protettore per interesse, alleato militare per opportunità, ammazzare
conoscenti e parenti per adesione partigiana a un partito armato? Domande senza
risposta, più mi addentravo dentro questa storia e più il terreno concettuale
su cui mi muovevo si trasformava in pantano. Sprofondavo dentro qualcosa che
era passato ed era futuro nello stesso
tempo, una sorta di saggezza corrotta, di sapere sul mondo e sul cosmo, ma un
sapere maligno, qualcosa di cattivo
spiritualmente, di machiavellico nel senso peggiore della parola. Mi trovavo
nell’imbarazzo e nel dubbio. La mia mente vagava verso tante risposte senza
accettarne alcuna. Ero confuso come non mai. Cercai d’immaginarmi una
popolazione sottoposta nel corso dei secoli a tante invasioni, cambi di
padrone, regimi dispotici. Cosa può uscir fuori da una cosa del genere se non
tribù disperse, gruppi di umani dediti a ogni sorta di traffico e di mezzo
discutibile per vivere. La corruzione diventa un sistema, il servire due o più
padroni un fatto banale, mettersi fra i potenti per cercare protezione una
seconda natura. Ma quello che era capitato non era il frutto di qualcosa di
remoto, di un fatto antico che si ripete; nel darsi al nuovo potere alieno
degli Xenoi c’era qualcosa di diverso. Era una vera e propria abiura di sé
stessi, il rifiuto di appartenere a un tempo dei padri e degli antenati non più
accolto, non più capito, ripugnante se letto con le prospettive presenti. Questa è una diversa forma di abiura, non è
un fatto occasionale, semplice, dettato dalla necessità; è dissoluzione di ciò
che si è e rinascita in altra forma. La radicalità estrema della soluzione
Xenoi offre a questo regime la soluzione per cancellare il passato, per fondare
un nuovo privo di compromessi, tanto potente quanto inquietante per i suoi
vicini. Forse perfino per il resto dell’umanità, stavolta gli eredi di più di
una antica civiltà umana si erano dati agli alieni Xenoi, era più di un patto
era la smentita dell’importanza della civiltà umana, la loro aveva bisogno di
negarsi e di chiedere una mano così improbabile per risorgere e di nuovo
essere. Nella penisola era stato allestito un laboratorio pericoloso,
inquietante che fatalmente avrebbe prima
o poi attraversato i mari e i monti. Provai a raggruppare i problemi per
argomenti e per osservazioni. Per prima cosa segnai il fattore guerra. In fondo
c’era stata una guerra globale supportata da sponsor alieni e combattuta con
forze miste. La Guerra aveva influito nella creazione di un regime che
altrimenti mai avrebbe preso forma. La seconda cosa da segnalare era la
presenza di forti opposizioni interne nate da un malcontento generale e dalla
guerra mal gestita e combattuta in modo fallimentare, la terza cosa è
l’entusiasmo con cui una parte dei popoli di queste terre hanno accolto gli
Xenoi. Ma la quarta non rimanda ad alcuna di queste cose. La spinta interna a
distruggere se stessi per rigenerarsi arriva dal profondo, da qualcosa che la
sociologia e la storia possono intuire ma non spiegare del tutto; un fenomeno
quasi naturale di morte del vecchio e del degenerato e del corrotto per far
spazio a qualcosa di diverso che maturerà e farà un suo ciclo.
Cominciai ad appuntare alcune frasi,
impressioni di vario tipo che qui riporto in neretto per il lettore.
Certezza della disfatta in guerra, forse…ma è stata la causa principale?
Se così è perché le opposizioni si formano anni prima, perché un tessuto
sociale dava supporto a proteste silenziose o aperte contro l’ordine
costituito? Come mai milioni di umani che traevano beneficio dal sistema
corrotto e dissoluto non hanno difeso i loro capi e i loro benefattori e
protettori? Da dove viene questa voglia di distruggere, criminalizzare,
dissolvere, annientare il passato per creare un mondo umano nuovo? Ci sono dei
precedenti? Da dove parte questa volontà di annientare il passato che ricorda
roghi da inquisizione e mito del progresso di matrice colonialista? Qualcosa
che viene dal passato? Qualcosa che viene dal futuro?
Il mio animo era scosso, non trovavo
la soluzione. Mi sovvenne un consiglio di Rodolfo il tale che avevo più volte
incontrato per scrivere del processo. Osservare la città, in particolar modo
ciò che non si osserva di solito. Non
avevo capito bene a cosa si riferisse. Poi intesi. Avevano cambiato le
titolazioni di alcune piazze o vie. Questa non fu l’unica sorpresa. Tutti i monumenti ai caduti erano stati
riconsacrati, non c’era opera che non avesse una targa magari minuscola che
ricordava la guerra Xenoi e il nuovo
regime. Compresi che quella era una strada. Mi ricordai anche di un particolare
insolito. Un dettaglio a cui non avevo prestato attenzione. Invece aveva un
peso enorme. Il comandante era nel comitato promotore di una grande opera
monumentale da erigere in onore degli Xenoi. Un volto raffigurante l’immagine
idealizzata del Dio vivente di quelle creature da realizzare in materiali
nuovissimi, preziosi e brillanti. Doveva riconsacrare l’arco della città. Il
quale era stato più volte riconsacrato nel corso della sua storia.
Questa storia era frutto del caso,
nel senso che per una combinazione ero capitato proprio nell’ufficio del
comandante mentre egli visionava i verbali della commissione per il monumento.
Mi aveva mostrato alcuni bozzetti e il progetto. Sul momento non avevo dato
peso alla cosa, per il mio gusto era una cosa bizzarra, curiosa, strana. Da
quando in qua un regime che deve rimuovere tonnellate di macerie, stravolgere
la vita quotidiana degli abitanti, convivere per generazioni con una presenza
aliena si mette a ragionare di monumenti. Un volto gigante iscritto in un
cerchio tutto dorato e lucente per fare
uno spettacolo ottico quando il sole colpisce l’opera. Non avevo capito che
questi stavano creando un loro universo simbolico e mitico che doveva sostituire quello
distrutto. In una sorta di ruota del destino medioevale al tracollo di una
civiltà e dei suoi miti e delle sue ragioni d’esistenza andava a sostituirsi un
nuovo modello. Un modello che stava liquidando le macerie mitologiche,
simboliche e di vita quotidiana. Poi con calma avrebbero i nuovi padroni della
penisola pensato al resto. Così fra miti
da creare e volontà di potenza si consumava la trasformazione. Non avevo capito
quanto fosse profonda la cosa e quanto preciso fosse il progetto.
Questo fatto mi aprì la mente ad una
evidenza. Il processo di cui dovevo occuparmi per motivi accademici e di
carriera era parte della distruzione del mito e delle immagini del regime
precedente. Non era una questione di giustizia come è comunemente intesa nel
Nord Europa ma al contrario di una demolizione controllata del potere di
persuasione di miti e di bugie pietose a sfondo storico che erano state la
patina di legittimità dell’antico ordine sociale e politico. “Antico Ordine”, forse questo è
il termine giusto per indicare quell’impasto di credenze, miti, pubblicità
commerciale, illusioni da centro commerciale che avevano segnato quasi due
secoli di civiltà industriale. Il
Belpaese era una cantiere, un grosso esperimento sociale, un opera da ingegneri
della genetica e delle istituzioni; ero davanti a una trasformazione di civiltà
che aveva come suo fine la realtà umana.
Iniziavano per gradi e iniziavano con trasformare le cose immateriali come la
memoria del passato, l’immagine della realtà, il senso della vita quotidiana, i
miti, i simboli. Questi nuovi
personaggi al potere erano un pericoloso e creativo incrocio fra i maghi del
Rinascimento, i rivoluzionari del Novecento e i contattisti del ventunesimo
secolo, ma stimo che la loro ispirazione più forte venisse dagli eretici gnostici al tempo dei Cesari.
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17 marzo 2012
Abiure e riti punitivi

Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
Abiure e riti punitivi
( anticipazione da uno scritto ancora
tutto da scrivere)
Dal momento che questo mio libro non
è esattamente un saggio ma qualcosa di biografico sono in dovere di descrivere questo
episodio che mi aiutò a capire i fatti e le circostanze di quanto avevo in
animo di studiare. Avevo seguito il consiglio del comandante. Mi ero recato
nell’ala della grande Biblioteca dove si tenevano le esposizioni, la mostra
aveva un titolo filosofico e artistico “Dalla dissoluzione alla forma”; ma
trattava di cose che non avevano nulla a che fare con la filosofia e con
l’arte. Quello che avevo visto mi aveva
profondamente turbato, era la rappresentazione da parte del nuovo regime
dell’ultimo secolo di storia della Penisola, per il nuovo potere tutta la
storia precedente era da buttare, un regno dei delitti e dei crimini imposto da
forze straniere sopra un popoli tenuti artificiosamente divisi e oppressi da
ignoranza e delinquenza. L’esposizione mi colpì subito per il fatto che il
percorso cronologico dei fatti era invertito, dal presente al passato; c’era un
senso di oppressione e di buio via via che il visitatore si allontanava dal
presente e si calava nel passato. Le ultime stanze erano in penombra, e
l’ultima era buia, con solo dei pannelli
e degli indicatori rossi fosforescenti che segnavano la via. Era la sala
dedicata alle guerre della passata Repubblica. Una discesa dalla luce verso un
buio tetro e oppressivo. Come primo impatto pensai a una trovata estetica, ma
mi resi conto che c’era qualcosa di più. Non capivo fino in fondo il perché di
questa scelta che mi fu chiara quando a distanza di settimane ne ragionai con
Rodolfo che mi aprì la mente con queste parole:
Certo. Provi a pensare una discesa agli inferi. Enea, Dante, Ulisse…tanto
per fare dei nomi di prestigio. Del resto molti di questi nuovi signori sono
gnostici, o forse dovrei dire neo-gnostici e per loro la luce è anche
rivelazione della vera natura umana, del sacro e del divino che è dentro
l’essere umano. Quindi la discesa al regno delle ombre e delle tenebre è la
distinzione fra un tempo della luce e del bene, ovvero questo, e un tempo della
materia, della corruzione spirituale, del caos bestiale di poteri forestieri e
alieni dominanti e prepotenti che è il passato ormai morto. Lei si è calato
nelle tenebre del tempo che è stato, è come entrato in un tunnel dove ha visto
un passato di tenebre funeste, dopo dal buio è tornato alla luce del presente.
Ma mi dica sono curioso di sapere se quanto ha visto ha suscitato in lei
stupore, indignazione, disagio. Non è una bella storia, di certo non è una
favola per bambini la storia delle popolazioni nostre.
Il mio interlocutore mi sorprese di
nuovo, la sua aria cordiale si era contaminata con una sorta di curiosità
beffarda e bonaria. Così parlai liberamente.
Il passato di questa Penisola visto con la logica di quella mostra è una
discesa verso le tenebre della follia e della malattia mentale, ogni atto,
gesto o segno del passato è criminalizzato e demonizzato. Mi sembra una
fortissima presa di distanza da se stessi. Non so…
Lui subito precisò il mio pensiero
La parola giusta è abiura. Queste genti del Belpaese abiurano se stesse,
o per meglio dire ciò che sono state. Questi che oggi sono al potere sanno
benissimo che le genti del Belpaese son ben disposte a far abiura del passato,
a pensare ogni regime, anche quello dove hanno prosperato e son vissuti per
generazioni come un potere forestiero, artificiale, estraneo. Questo fa parte
di un meccanismo di difesa per il quale nessuno è mai responsabile di quel che
fa nella vita pubblica; del resto da secoli minoranze di criminali organizzati,
famiglie di miliardari apolidi, generali stranieri, condottieri imposti da
questo o da quel potere alieno hanno determinato la vita pubblica del Belpaese.
Quando non esiste alcuna identificazione che non sia farisaica o squallidamente
opportunistica con il governo del proprio paese è normale che si scateni
l’abiura del proprio passato e il ripudio di pezzi fondamentali della propria
esistenza privata. So che per un uomo del Nord come è lei questo può suscitare
raccapriccio, ma se osserva con animo sereno e commosso la storia delle genti
nostre non potrà non osservare quanto sia comune la dissoluzione di regimi
sedicenti sacri e retti e la necessità per milioni di umani di cambiar colore
della divisa o del vestito prima di essere uccisi dai militari del nuovo regime
o linciati da una folla di traditori e opportunisti saliti sul carro del
vincitore all’ultimo minuto. Ho visto la mostra, tre o quattro volte perché ho
dato una mano a trovare certi materiali, non che fossi felice della cosa, ma
capisco che non c’è nulla da fare. Una storia antica di riti di abiura
collettiva e di divorzio dalle proprie
idee di un tempo si è ripetuta, mi è toccato in sorte assieme alla gente del
mio tempo di vedere l’atto patetico della dissoluzione di un sistema e di un
regime marcito e dell’ascesa di un nuovo sistema.
C’era qualcosa che non mi piaceva in
queste parole, sì quello che mi raccontava era vero ma comprendevo che c’era
molto di più in quel che avevo visto. Risposi alle sue parole.
Mi permetto di rammentare che non tutti in Europa si dimostrano così
disinvolti e pronti, e devo dire che pochi popoli sono così feroci nei
confronti di quelli che per motivi di sfortuna o di fede rimangano tagliati
fuori dal cambiar il colore della divisa. Devo, con onestà, confidarle che sono
rimasto negativamente impressionato della cattiveria e della ferocia con la
quale questi popoli della penisola si scagliano contro i gruppi sociali e le
fazioni perdenti al pesante gioco della guerra. Ma proprio perché lei è a conoscenza dei fatti
e mi ha mostrato una certa familiarità mi preme ricordarle la parte finale di
tale mostra. Una delle ultime stanze è dedicata alla criminalità comune al
tempo della Repubblica controllata dai militari dell'Esercito Atlantico. Capisco
tutto, ma affermare che la delinquenza di strada, lo spaccio di eroina, la
violenza privata, i delitti di sangue fossero uno strumento di repressione per
schiacciare la popolazione e tenerla nella paura e sempre disposta ad accettare
capi autoritari e leggi liberticide mi pare esagerato. Come si può pensare che
un governo sia pure marcio per aver mano libera nelle sue ruberie usasse la
delinquenza comune per scatenare ondate di paura e confondere la popolazione.
Il mio accompagnatore mi rivolse un
sorriso beffardo. Rispose così.
Avrà visto immagino quello che per anni la televisione e i media non
mostravano. Per anni le genti delle nostre terre potevano solo immaginarsi le
teste rotte e delle vecchine scippate e trascinate sull’asfalto dalla feccia, i
papponi presi assieme alle loro donnine allegre a cui avevano spaccato la
faccia per un paio di banconote imboscate, il delinquente spacciatore con il
volto da straniero con i morti da overdose sulla coscienza, la manovalanza
ripugnate della bassa forza della delinquenza, la vittima della rapina o della
piccola truffa in lacrime, la bambina picchiata dai teppisti minorenni per
rubare un braccialetto o una collanina e cose simili… Bene di questo si parlava
spesso e la popolazione era sempre preoccupata, in un continuo stato d’ansia
tenuto artificialmente alto dai telegiornali. A seconda delle stagioni
politiche le notizie venivano gonfiate oppure sparivano come per magia, la
presenza del delitto era sempre presente. Il male quotidiano non aveva un volto
o un nome, arrivava, spariva, ritornava; ma tutti avevano paura ed erano
disposti ad accettare misure discutibili di polizia e leggi restrittive della
libertà, intanto caste di miliardari e politicanti corrotti si riempivano le
tasche di soldi e portavano il contante delle tangenti e delle truffe
all’estero. Mi creda, aldilà delle esagerazioni c’è molto di vero in quella
mostra e proprio dove l’animo umano rifiuta di accettare la verità. Qui da noi
la vittima e il carnefice si confondono,
e ogni diritto si sfarina nell’arbitrio e nell’opinione, e ogni regime che arriva ha il marchio
d’infamia di esser arrivato sulla punta delle baionette straniere o per mano di
violenti e di faziosi o come accade oggi grazie ai bombardamenti orbitali e
alle macchine biologiche da guerra di
questi alieni Xenoi. La paura dell’altro, del diverso, del delinquente, del
nulla è l’arma più forte del potere corrotto. Ogni persona onesta quando dilaga
la paura inizia a temere per i propri cari, per i figli, le figlie, la moglie,
padre, madre e così via… La paura uccide la razionalità e la capacità di capire
e di stare al mondo, allora diventi
manipolabile, oggetto di dominio di chi tira le fila del sistema di comando e
controllo della società, del sistema dei media, della finanza, della gestione
dello Stato.
In me cresceva però un certo
fastidio, dovevo rispondere, qualcosa mi aveva disturbato e offeso.
Mi perdonerà certamente, ma devo dirle che mi ha turbato la scelta delle
canzoni abbinata ai quadri e ai reperti storici della mostra, in particolare le
canzoni mi sembravano davvero insensate. Erano un sottofondo spesso inquietante
e triste, la cosa mi è sembrata strumentale e malevola. Sul serio la cosa era
forzata e inquietante. Eppure devo riconoscere che una certa continuità fra questo tempo e il passato che è polvere permane, è
come se si ripetesse una storia antica di abiure, maledizioni e rancori
antichissimi; dove l’alieno è solo uno dei tanti autori di un rinnovarsi
catastrofico della vostra civiltà. Sembra quasi che la vostra gente abbia
bisogno di un dominatore straniero per liquidare le caste al potere e
sostituirle con altro.
Non era offeso ma felicemente
sorpreso e così mi rispose
Caro professor Ulmann, voi avete visto bene. Gli autori di quelle canzoni
erano straordinari per i loro tempi e bene compresero le genti nostre. Certo
spiace vederli ridotti a strumento, prendendo quello o quel brano e togliendolo dal contesto e trovarlo posto
in una cosa simile. Io avrei preferito il silenzio, un silenzio da sepolcro
abbandonato, da cimitero di campagna perso fra le nostre montagne. Ma così va
oggi. Piuttosto si prenda qualche giorno di libertà e osservi questo presente,
cerchi di capire la natura vitale delle nostre genti, il rinnovarsi dei tempi e
delle diverse forme d’umanità. Cosa crede: siamo un popolo vivo, siamo un
popolo che vive sopra il cumulo delle macerie delle civiltà che gli sono
crollate sulla testa. Ogni volta dobbiamo rifare tutto da capo come se l’ultimo
crollo fosse un nuovo inizio.
Ero talmente colpito che ringraziai
per la risposta e mi congedai stupito da tanta verità.
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29 febbraio 2012
Vita vissuta e stracci che volano

Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
Vita vissuta e stracci che volano
( anticipazione da uno scritto ancora tutto da
scrivere)
Il Rodolfo Brandimarte osservò il
cielo mi fece cenno che era tempo di rientrare. Ero curioso e spinto quasi da
un desiderio di conoscere e di carpire i segreti della sua vita, non che ci
fosse molto, ma quel poco che doveva pur esserci era per me materiale per due o
tre pubblicazioni universitarie. Confesso che ero ossessionato dalla carriera,
ero come un cane che cerca il suo osso nel prato per far felice il padrone.
Volevo sapere. Era la mia professione, ero uno scienziato della geopolitica
e della storia, un futuro professore
dell’Università di Berlino. Un tipo serio. Oggi mi vergogno di quei sentimenti,
il tempo mi ha reso umile, e la vita ha ridimensionato le mie ambizioni e le
mie aspettative. Mentre lo accompagnavo a una stazione della metropolitana di
superficie, egli parlò di nuovo.
Il mondo umano ha avuto a che fare con diverse tipologie di rivoluzionari
e teppisti della politica, qui è
avvenuto un fatto singolare, e capisco che nella sua fredda terra sia così
difficile inquadrare i fatti. Dal momento che la voglio aiutare la devo
istruire su un fatto: nella trasformazione presente c’è un impasto di vecchio e
nuovo. In questa Penisola sotto i Cesari abbiamo avuto almeno cinquantafra colpi
di Stato e guerre civili.Tutte le volte quando un potere umano e personale
crollava arriva il potere nuovo che demoliva, bruciava, uccideva, confiscava,
puniva, razziava i vinti. Poi il potere nuovo subito corrotto e precipitato
nella violenza diventava a sua volta preda di altri e il ciclo si ripeteva.
Questa diarchia fra potere degli alieni Xenoi
e governo in carica è in continuità con il nostro passato. C’è un misto
di passato e di presente in questa situazione, mentre per altre civiltà questi
eventi della Terza Guerra Mondiale e della successiva conquista aliena sono
stati una catastrofe senza alcun possibile paragone, qui è la durezza della
cosa è stata attenuata da una continuità di tipo storico e culturale. A un
tempo dove domina un potere blu si sostituisce un tempo dove domina il nero e
l’oro, coloro che erano schierati con le armate blu sono passati alle milizie
nere e alle armate color oro, chi è rimasto preso in mezzo è stato razziato,
violentato, rapinato, ucciso, mutilato, bruciato, fatto a pezzi, fatto sparire,
trattato con psicofarmaci, detenuto, riabilitato. Stavolta è solo la qualità
della persecuzione e della cura dei
malvagi ad essere diversa. La potenza del nuovo regime indica che per qualche
secolo vivremo a stretto contatto con gli Xenoi. Attuali protettori di chi in
questa parte di Vecchio Mondo ha il potere politico, finanziario e militare.
Mi stupì questa franchezza, compresi
che era sincero, che non aveva nulla da perdere, e forse non aveva altro
desiderio che di dire la sua piccola verità. Quella che cercavo. Quel sapere e
quel tanto di rivelazioni che potevano
far di uno studioso con l’assegno di ricerca un professore di ruolo. Allora
così parlai.
Quel che dite mi fa pensare, dunque per voi c’è continuità? Perché
parlate di Nero e di Oro contrapposti al blu?
Mi rispose subito.
Il Blu era il colore dominante del potere antico e della sua alleanza
militare, il nero è il simbolo di questo nuovo sistema, abbondano sulle nere bandiere
anche teschi, ossa, armi, fiamme e cose del genere; l’oro è invece il colore di
questi Xenoi. L’oro del resto è il metallo degli Dei antichi, in un certo senso
essi sono come divinità. Poi l’oro è un metallo straordinario, unico nel suo
genere e viene usato per creare i
microscopici meccanismi inseriti nei corpi delle facce di plastica che servono
a renderli sani e forti e a prolungare la loro vita che si conta in migliaia di
anni terrestri. Il nero e l’oro sono i colori del nuovo potere, e forse di una
forma di civiltà che si sta formando alimentata dalle macerie delle precedenti
disfatte sotto il peso dei secoli, della malvagità delle minoranze al potere e
della corruzione interna e delle miserie e guerre da esse provocate. Ma le
ultime forme della civiltà erano ancor più miserabili delle precedenti, le
minoranze al potere erano fatte da grandi burocrati, miliardari, despoti di
paesi dell’Est e del Sud e costoro erano senza rispetto per l’arte, la poesia,
il rapporto con la natura, la filosofia. La miseria grande del potere morto è quello
di non aver avuto forma ma di adattarsi ai contenitori che trovò, queste
minoranze hanno lasciato solo inquinamento, tecnologia in obsolescenza,
disastri ambientali, povertà, caos sociale e infine questa grande disfatta. Almeno
con questa cosa del salire sul carro del vincitore prima della fine della
guerra queste nostre genti si son salvate da ben più dure punizioni e amarezze.
Ma una storia antica si è ripetuta, al potere vinto si è sostituito uno nuovo
dove i livelli più bassi sono occupati da gente che ha gettato nelle fogne la
vecchia divisa e ha preso la nuova giacchetta da cameriere, da domestico. Chi è
arrivato tardi, o non ha capito che il crollo del fronte occidentale era
questione di pochi giorni ci ha rimesso i beni e spesso la pelle. Ecco sono
arrivato.
Prima di andar via devo però avvertirla. Non cerchi cose eroiche, storie
belle, eroi, oscure trame fatte da spie e diavoli. Non troverà altro che uomini
e donne alla ricerca del loro posto al sole, del loro guadagno, dei loro
desideri, della loro fortuna materiale.Nel mio Belpaese questa è una storia
antichissima, che si ripete tutte le volte che un esercito straniero si fa
signore di queste genti e di queste terre. Regimi all’apparenza solidissimi si
sono dissolti in un pomeriggio o in una
sola notte a seconda della velocità con cui arrivava la notizia della disfatta
finale. Allora scattava la corsa per entrare nelle file dei vincitori; ma non sempre questa cosa è possibile. Stavolta i pochi che
hanno capito in tempo non hanno avuto bisogno di far a mezzo, i posti erano
liberi; la bassa cultura e le scarse capacità intellettuali dei gregari della
gente di potere ha impedito a decine di migliaia di burocrati, funzionari,
miliziani e poliziotti di andare dalla parte giusta all’ultimo momento; non
avevano capito che era arrivato il nuovo potere e che aveva già della gente sua
sul territorio. Non ci sono vittime innocenti nelle fosse comuni, solo idioti e
ignoranti e qualche delinquente comune
che non è scappato in tempo con la refurtiva.
A questo punto ero senza parole, non
mi aspettavo un discorso così da una persona colta e amante dell’arte e della
filosofia. C’era una brutalità e un cinismo politico che sconfinava nel
disprezzo. Non avevo molto tempo, tra pochissimo sarebbe arrivato il mezzo, lui
era in attesa per salire e andarsene, volevo avere l’ultima parola. Così
risposi per congedarmi.
C’è del vero in quanto raccontate, la storia dei popoli oppressi è piena
di mezzi discutibili per evitare le punizioni dei padroni di turno. Credo però
che questo salvarsi sia un fatto naturale, l’essere umano come elemento
biologico deve salvare se stesso se può, alla fine se cessa la civiltà ritorna
la naturalità.
Non avevo finito la frase che
replicò.
Non è natura, non è biologia. Questa è una strategia culturale che
consiste nell’imitare il signore del momento, fingere di essere lui, travestire
se stessi con panni diversi. In verità è una forma di adulazione, di richiesta
di benevolenza. La Germania non è abituata a queste cose, il carattere della
maggior parte degli abitanti impedisce l’uso di una simile strategia politica,
per questo le chiedo di capire quel che vedrà aldilà delle apparenze. C’è un
modo apparente di essere e una sostanza intima. Cerchi quella natura intima nel
nostro agire politico e troverà le sue risposte.
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23 febbraio 2012
Viaggio nell'Italia del remoto futuro - Continuità e mistero del mondo umano
Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
Continuità e mistero del mondo umano
( anticipazione da uno scritto ancora
tutto da scrivere)
Il mio accompagnatore si mostrò di
passo lento, ma dotato di una strana energia fisica e intellettuale che stonava
con l’apparenza e con la sua età peraltro avanzata, forse aveva ricevuto
qualche cura contro la vecchiaia di origine xeno. Con una rara cortesia mi
portò a vedere il quartiere nella zona
dell’aeroporto, una vasta area di tre chilometri di raggio che fu devastata dai
bombardamenti orbitali e che conserva ad oggi le tracce di quelle devastazioni.Alcune
depressioni dovute alle bombe a pressione sono diventate dei piccoli giardini
condominiali, certi edifici sono del tutto nuovi, mi spiegò che perfino le
strade erano cambiate a causa dei
bombardamenti. Mi citò più volte il caso di Berlino dopo la Seconda Guerra Mondiale
e la riunificazione delle due Germanie, mi confidò che aveva passato dei mesi
in Germania per ragioni di studio e amava molto la capitale e in particolare i
suoi musei e il Mitte, questo fu una fortuna perché si dimostrò aperto e
ragionevole nei miei confronti, non tutti gli abitanti della Penisola son
disposti a dar confidenza a un deutsch. A un certo punto quando si era sulla
via del ritorno e non avevo neppure iniziato a far domande sulla vera ragione
del mio viaggio ossia il suo caso nell’ambito del processomi portò davanti a
una chiesa, una piccola chiesa, con un portico aperto; forse una reliquia del
passato salvatasi per miracolo dai bombardamenti. Mi indicò una lapide. Era una
lapide in onore dei caduti della Grande Guerra con il suo elenco, le figure
allegoriche scolpite, alcuni simboli, le frasi di rito incise, e le foto dei
caduti, sotto la riconsacrazione ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, altre
foto, altri volti fissati per l’eternità. In un altro punto era stata posta una
nuova un nuova lapide, quella in memoria dei caduti della nuova guerra Xeno;
non una manciata di foto ma un centinaio di fototessere piccole trasformate in icone piccole di pietra
con eternati i volti di civili,
militari, miliziani, profughi. Un mosaico delle atrocità subite dal quartiere,
un microcosmo della grande violenza tecnologica e militare.La targa nuova era molto
diversa, materiale diverso, solenne a suo modo, le figure eroiche non erano
umane e presentavano quei volti tipici
inespressivi e dai tratti allungati della popolazione Xenoi, completavano
il ritratto dei arrivati gli arti sottili, le tute e i contenitori da
esplorazione, le armi e le dotazioni tecnologiche. I simboli umani e alieni erano
posti a decorazione del tutto, come se si fosse trattato di un Tabernacolo del
Rinascimento o di una targa del Novecento. I nuovissimi morti ammazzati erano
stati ben sistemati con un lavoro ben fatto e quasi artistico come suggerì ironicamente
il mio amichevole accompagnatore che non voleva per nessun motivo cedere alla
tentazione di chiamarli caduti, vittime, martiri, eroi. Per lui dei corpi sfatti
e sfracellati che diventano decomposizione chimica sono morti e la morte
livella ogni cosa, anche le illusioni sublimi e la retorica degli scellerati
che vivono di cattiva politica e di parassitismo ideologico.Restò impassibile
per due o tre minuti a fissare quella cosa, quella riconsacrazione umana e aliena
della morte in guerra. Mi permisi di interrompere quel silenzio.
Certo che c’è una bella differenza fra il prima e il dopo, questo angolo,
questa chiesa rionale in poco spazio rivela la distanza tra tempi molto
diversi.Certo che il passaggio della storia con le sue tragedie e i suoi lutti
dissolve e recupera il passato e le sue forme. Davvero suggestivo il luogo dove
mi avete portato. Interessante comparare il volto degli Xenoi vincitori con
questi bassorilievi con il caduto della Grande Guerra, la bandiera, la vittoria
che sorregge …
Il mio interlocutore mi fece un
segno. Era quasi infastidito. Voleva dire qualcosa, usai il comunicatore
universale per registrare e questo è quanto disse.
I simboli sono come armi, mezzi di distruzione di massa se usati senza
onestà e decenza; solo che colpiscono le parti migliori dell’intelligenza umana,
impediscono di uscire dai limiti, dai confini segnati dagli stereotipi. Di
solito hanno una funzione consolatoria, di conservazione di una certa immagine
del passato, di esaltazione delle minoranze al potere, di far calare su tanta
parte della popolazione una lettura dei fatti. E solo quella lettura e nulla di
diverso!Ma per chi comanda è molto di più, è lasciare un segno del proprio
tempo, una forma del proprio dominio, dare un nome e un volto alle cose. Ma qui
c’è di più, questi vogliono rifare anche la religione e la spiritualità; è
l’ennesimo frutto dei tempi. La sconfitta dei secoli che furono era già in
essere e questi tipi calati dal cielo hanno solo dovuto dar una botta a un
mondo umano marcio, inquinante, corrotto oltre ogni limite e infine bellicista
e sconfitto sotto il peso dei suoi egoismi e dei suoi vandalismi contro la
natura, la propria stessa civiltà industriale.
Ero incuriosito, stava per dire
qualcosa di notevole. Feci un cenno di approvazione e il mio interlocutore
continuò.
Da quando sono arrivati questi qui da Andromeda e dintorni perfino la
fede è crollata oltre a tutto il resto e molte chiese e templi di culto di
varie religioni sono andati distrutti o spesso
riconsacrati al nuovo culto gradito agli Xenoi.
Qualcuno è scappato, qualcuno fa il bandito ma molti si sono adattati e
senza troppe storie hanno cambiato la giubba e son passati alla nuova fede.
Intendo per fede quella specie di gnosi che dovrebbe associare in una sola
visione mistico-scientifica noi umani con gli alieni Xenoi. La nuova gnosi, il
nuovo Culto Nazionale di Stato è stato un grosso affare, in tanti ci hanno
cavato denaro e beni e spesso un mestiere.Corretti a modo loro i Vangeli,
espulso il Vecchio Testamento, perché fa riferimento a qualcosa che non gli è
gradito, inseriti i Vangeli Gnostici è stata creata la base della nuova fede.
Fede gradita al nuovo potere e ai suoi protettori dalla faccia di plastica.
Alle popolazioni del nostro Belpaese non importano le basi dottrinali dei
culti, le ragioni profonde, basta che la nuova religione non sia troppo diversa
dalla vecchia e recuperi abbastanza dei culti precedenti. Alle volte rimango
sconvolto dalla facilità con la quale gli umani della mia cultura passano dalla
fedeltà all’abiura; questi quiche ora comandano non hanno neanche creato una
teologia, il sovrano Xenoi si manifesta con la sua potenza e questo basta. Risolto
grazie a loro ogni questione di fede,
ogni riforma, Dio è l’estensione naturale del sovrano alieno; una soluzione
semplice e rapida che unita a generose elargizioni di nanotecnologie mediche,
nuove possibilità di lavoro, e elargizioni didenari ha causato un passaggio
dalle vecchie fedi alla nuova. Del resto questi qui non chiedono soldi, non
chiedono riti purgativi dell’anima come preghiere, penitenze, digiuni, donazioni, dicono solo che la parte
indistruttibile e incorruttibile che è in noi va cercata, va svelata e deve
diventare potenza e energia da usare per avvicinare le nostre vite terrene al
loro sovrano che li guida. Le anime liberate dall’ignoranza di se medesime dovrebbero
fare come loro e creare una forza collettiva, questa potenza dovrebbe essere
una parte autocosciente del tutto che è dietro l’Universo materiale e
fenomenico, possibilmente loro amica devota. Vorrebbero da parte nostra la
creazione di una sorta di mente collettiva, come hanno loro a livello di
comunità e di gruppo, ma sul momento la nostra spiritualità umana è lontana dal
determinare un corpo sociale nuovo. Se riuscissero nell’impresa di avvicinare
gli umani alla loro mente potrebbero capire meglio quella cosa per loro un pochino
misteriosa che è l’individualità e
l’unicità di ogni singolo umano. Mi sono fatto l’idea che queste creature hanno
l’anima, ma collettiva. Quindi il nostro essere spirituali e sacri deve per
loro essere un fatto collettivo, i loro capi hanno una propria individualità
perché ricevono una sorta di mandato dal gruppo, magari sono autenticamente
loro ma se devono ritornare a un diverso incarico non più di dominio e
controllo, dirigenza o rappresentanza perdono gran parte della loro
individualità. L’idea che un tipo qualunque sia se stesso alla maniera nostra è
per loro un fenomeno ai confini delle loro capacità di comprensione. Va da sé
che sono bravissimi nel lavoro coordinato e nella ricerca e in tutti i campi
della scienza e della tecnologia, del dominio su altri, e ovviamente della
guerra.
Ero colpito da questo discorso che mi
apriva gli occhi davanti alla grande mutazione avvenuta e allora mi feci forza
e pronunciai la seguente affermazione:
Ma non crede che questa chiesa rappresenti un balzo verso il futuro, un
nuovo fatto straordinario che potrebbe portare mutazioni positive e buone. In
fondo qui c’è l’incontro fra specie diverse e la determinazione di una nuova
civiltà.
Il mio accompagnatore mi rivolse un
sorriso beffardo. Rispose così.
Di questa chiesa non sanno che fare, e parlo di questo edificio. Tante volte i nostri luoghi di culto si sono
riempiti con elenchi di caduti, di ex voto, di lapidi tombali, di targhe. Ogni
ricordo passato si perde nella memoria, ogni storia diventa discorso politico
staccato dai fatti e dalle sofferenze, ogni simbolo perde senso e va
reinterpretato. Di questa storia umana passata, del sacro che ha per secoli
dato forma alle genti nostre nessuno sa che cosa fare; ma li conservano questi
resti, i molti rispettanociò che è stato come si conserva il ritratto del nonno in qualche angolo della
cucina o del salotto di casa. Loro ci hanno permesso di conservare quel che non
capiscono del tutto, in questo sono migliori di gran parte delle civiltà umane,
lo riconosco. Questi nostri ultimi anni sono i resti dei resti del naufragio di
tante civiltà della Penisola, civiltà naufragate una sull’altra. Antichità, Medioevo,
età Moderna, e ora la Contemporaneità sono tempi crollati uno sopra l’altro
creando questa nostra enorme collina di detriti culturali e di simboli e miti
morti, il tutto implacabilmente sbiadito dal passare dei decenni e dei secoli. Ma
siate sincero. Voi volete chiedermi di quel processo e di ciò che ho visto e
fatto in quel periodo.
Il discorso mi colpì come una
nerbata, ero in agitazione e così risposi:
In verità sono qui per questo, e penso sinceramente che sia per la vostra
persona quasi un dovere mettere a disposizione dei secoli e degli studiosi la
vostra testimonianza sincera e veritiera.
Mi fissò con curiosità, come se
avesse visto qualcosa di comico nella mia risposta.
Verità, quale verità? Le racconterò come ho vissuto, questo lo posso
fare, ma non è da pensare che la mia povera persona possa donare verità di
durata secolare e autenticamente sincere.
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17 ottobre 2011
Ammazzare la memoria, costruire il discorso politico
Ammazzare la memoria, costruire il
discorso politico
La lotta politica si fa anche con i simboli
e l’opposizione proletaria e socialista comprese subito di dover contrapporre
la propria simbologia e la propria lettura del conflitto a quella dei ceti
dominati, una lotta fra Davide e Golia,
e vinse Golia. In fondo in Italia è comune che vinca il più forte a scapito del
più debole. Il fascismo riuscì a controllare questo processo di creazione di
mito e gestione della morte di massa ma di sicuro non lo inventò. In realtà in
questa storia che il fondamento del fascismo stesso non c’è molto di più se non
la creazione del fascismo di se stesso attraverso l’abilità politica e
giornalistica di Mussolini. Tuttavia non era una cosa così scontata e non era
facile prevedere l’oblio che colpì la resistenza spesso eroica di tanti che
negli anni venti s’opposero al fascismo. Anche quella fu Resistenza
antifascista, ma non gode della stessa fama e fortuna di quella della Seconda
Guerra Mondiale. Credo che questa differenza di trattamento sia da riferirsi a mio avviso al modo arbitrario con il quale i
partiti politici dell’Arco
Costituzionale si son fatti strumentalmente forti della Resistenza per costruire un discorso di apologia continua
del loro sistema politico privo di reali alternative che solo Tangentopoli ha
saputo chiudere aprendo la via a una Seconda Repubblica. Infatti da quando è
arrivata una Seconda Repubblica priva dei partiti dell’Arco Costituzionale si
sente poco rammentare come fondamento della democrazia le prime forme di
resistenza al fascismo e per la verità
non sempre sono ricordate le seconde. Credo che questo sia dovuto al
fatto che il potere politico di ogni colore non si occupa mai di storia ma di
uso pubblico della storia o di propaganda politica che sono cose molto diverse dallo
studio della storia fondato secondo dei criteri e sulla base di dnti e testimonianze. Sul fascismo voglio aggiungere una
riflessione: non era sua invenzione il saluto romano, la camicia nera, il
fascio littorio, il grido Eia Eia Allà, il mito della Roma dei Cesari, l’aquila
come simbolo di potere, il martirio per la salvezza della Patria, e neppure
gran parte dell’iconografia e dei simboli della
retorica guerrafondaia e perfino il concetto di sangue e di stirpe. Perfino
le bande armate anticomuniste non erano così originali visto che già nel 1919 in
Germania i Freikorps massacravano centinaia di cittadini della Repubblica di
Weimar sospetti rivoluzionari. Il fascismo è stato un modo di gestire e di dare
un senso a tutto questo attraverso il potere politico. Se così non fosse
sarebbe inconcepibile la rete di complicità e di simpatizzanti che trovò quando
s’impadronì dello Stato. L’opportunismo, la corruzione e la decadenza delle
minoranze di ricchi liberali al potere e il re non spiegano come mai un
movimento politico così singolare e inquietante sia riuscito nella presa del
potere e nell’imporre la sua visione della realtà. Il linguaggio simbolico
fascista e le dichiarazioni belliciste e nazionaliste risultavano familiari a
tanta parte degli italiani dei ceti medi e medio-bassi, il perchè spero sia
chiaro.
La simbologia della morte divisa fra destra, centro e
sinistra
Ma ciò che colpisce è che la tendenza a tradurre in chiave di rito, di
“culto”, di “religione”, intenzioni e progetti della politica con segno
rovesciato era presente anche tra le
forze di sinistra, anche se con qualche eccezione. I socialisti e le forze politiche di
sinistra, spinte dal mito dell’esempio sovietico e dal prezzo pagato dalle
classi lavoratrici alla guerra, costruirono nel dopoguerra lapidi e monumenti,
analoghi e contrapposti a quelli espressi dalla memoria “ufficiale”. Tali
ricordi enfatizzarono alcuni aspetti antimilitaristici e anticapitalistici
della cultura anarchica e socialista.
Scrisse “La Difesa”, settimanale della Federazione Socialista fiorentina,
subito dopo il grande evento del 4 novembre:
“L’ENTUSIASMO CITTADINO
E’ stato grande. Non contestiamo. Le notizie militari e quello della
firma dell’armistizio sapientemente comunicata hanno fatto esultare la
cittadinanza, la quale, più che di ogni altra cosa è stata lietissima della
cessazione delle ostilità. Il censore non ci permetterebbe di esporre quello
che noi pensiamo sugli ultimissimi avvenimenti perché il nostro sereno e calmo
ragionamento potrebbe fare sui bollori dei giorni passati l’effetto di una
doccia fredda e noi, per non guastare l’amicizia non vogliamo disturbarlo.
Però non
possiamo lasciare passare sotto silenzio quello che nelle dimostrazioni è
avvenuto.
Ci si
dice per esempio che l’avvocato Meschiari ed
altri suoi degni compari non
si siano
lasciati fuggire neppure questa occasione per lanciare le solite stupide
invettive – tra le approvazioni degli imbecilli – contro il partito socialista. I nostri informatori sono persone
serie e degne di fede e non c’è quindi da porre in dubbio che questi signori
oggi abbiano vomitato le loro insolenze contro di noi…”.
La tensione
dovuta alle necessità di regolare i conti in sospeso fra le forze politiche e
sociali, aperti con l’entrata in guerra e acuiti oltremisura dagli anni del conflitto
era fortissima in città. Un primo segnale fu l’aggressione fatta a Giuseppe
Pescetti ad opera di gruppi di studenti e soldati organizzati nel corso della
commemorazione proletaria per i morti in guerra
avvenuta il 15 dicembre 1918. Furono i socialisti a dover affrontare una
reazione violenta, secondo loro portata avanti da quelle minoranze di soggetti
economici, ossia i “pescecani” di guerra, che trovarono i loro naturali alleati
in questa azione nei gruppi politici nazionalisti. Scriveva “La Difesa”:
“Numerosi ufficiali in congedo che si valgono della divisa militare e del grado
per imporsi, spadroneggiare e compiere indisturbati e impuniti tutti gli atti
teppistici che loro talenta”.
I socialisti
fiorentini, seguendo una polemica presente anche a livello nazionale,
evidenziarono la presenza fra questi avversari non solo dei pescecani ma anche
degli imboscati.
I socialisti
fiorentini risposero all’abuso che veniva fatto dei simboli militari da parte
degli avversari politici attraverso il ribaltamento concettuale del valore
attribuito alla divisa, alle medaglie ed alla bandiera. “La Difesa” lanciò, il
4 ottobre 1919, un appello “AGLI EX
COMBATTENTI” in cui si affermava: “Non resta perciò ai proletari
smobilitati che di ricorrere alla stessa arma dei nazionalisti, di scendere
cioè in piazza in divisa militare coi distintivi di guerra indicanti le
campagne fatte e le ferite riportate. Lanciamo l’appello che, verrà certamente
raccolto dal proletariato. Si tratta di vita o di morte. E’ in gioco la stessa
libertà di pensiero, di riunione e di organizzazione.
Siamo intesi!
Al primo ordine del partito socialista migliaia di ex-combattenti sovversivi,
dei quali non pochi sono ufficiali e graduati, devono partecipare alle nostre
dimostrazioni, vestiti in divisa, al canto dell’inno dei lavoratori e dietro i
vessilli rossi (…) Faremo vedere agli imboscatissimi eroi del marciapiede chi
veramente ha fatto la guerra.”
I socialisti,
anche a Firenze, usavano termini e parole dei loro avversari in contesti
diversi e rovesciandone i sensi. Il mondo dei
simboli e valori socialisti, come tutta la società italiana, era stato
costretto a confrontarsi con l’esperienza di guerra.
Esso si trovò
a condividere con i suoi avversari espressioni e parole di stampo religioso,
mistico o bellicistico che nel corso del conflitto avevano acquisito senso e
popolarità. I due insiemi culturali disomogenei, quali erano in quel
tempo il mondo socialista e quello cattolico-reazionario e fascista, avevano in
comune delle parole in grado di rappresentare valori mitici e simboli come:
“forza”, “bellezza”, e sopra ogni altra, “fede”, oltre ad affermazioni verbali
come “consacrare”, “vincere”, “combattere”, “infrangere la resistenza”.
Se ne ha un esempio nell’inaugurazione fiorentina del
vessillo della lega proletaria dei reduci di guerra. I socialisti descrissero e
qualificarono l’evento in
questi termini: “un imponente corteo, un comizio vibrante di entusiasmo, la
bandiera della lega consacrata alle battaglie per l’internazionale operaia in
una cerimonia religiosa.” Tale modo di parlare e quindi di veicolare messaggi
era adatto a portare avanti quella tensione e quella radicalità politica
ereditata dal periodo bellico, e diventata parte del linguaggio politico del
dopoguerra. Inoltre, le forze della sinistra attuavano lo smascheramento dei
simboli e delle parole d’ordine nazionaliste e clericali accompagnando
l’uso dei medesimi simboli e parole per affermare
concetti e progetti opposti. In quest’attività che
intendeva sovvertire le
categorie della
“memoria
ufficiale”
si distinse la rivista “l’Ordine Nuovo”.L’uso di tali strumenti simbolici e
linguistici, mutuato dagli avversari, non fu solo negativo, la dissacrazione e
la negazione dei valori fatti propri dalle forze di destra poteva avvenire
contemporaneamente alla rivendicazione del proprio ruolo avuto nel conflitto e
del sacrificio subito dal proletariato.
Gli
esiti di questa lotta simbolica sembrano confermare l’analisi generale dello storico George. L. Mosse a proposito
dell’uso politico
dei culti laici e della loro articolata simbologia: “I nazisti sapevano quel
che facevano quando posero il culto dei morti in guerra e il culto dei propri
martiri al centro della loro liturgia politica. Il culto dei caduti aveva
un’importanza diretta per la maggior parte della popolazione: maschi adulti
aveva combattuto nella guerra e perduto un quasi tutte le famiglie avevano
perso uno dei loro membri, e una maggioranza dei maschi adulti aveva combattuto
nella guerra e perduto un amico. Ma fu la destra politica, e non la sinistra,
che si dimostrò capace di annettersi il culto e metterlo a profitto. L’incapacità
della sinistra di dimenticare la realtà della guerra e di far proprio il Mito
dell’Esperienza di Guerra si risolse in un vantaggio per la destra che poté
sfruttare ai propri fini politici le sofferenze di milioni di persone”.
Il far proprio il mito politico del rappresentare i caduti per la patria
conferiva alla forza politica che ne assumeva, per così dire il monopolio, la
possibilità di presentarsi come una forza erede del passato storico in grado di
rigenerare la Nazione. L’appropriazione del mito da parte delle forze di
destra, nel caso di Firenze, fu resa più facile grazie alla presenza di
intellettuali reazionari e interventisti che erano schierati ed avevano operato
in funzione antisocialista fin dal periodo dell’amministrazione del sindaco
Orazio Bacci.
La giunta del
sindaco Antonio Garbasso
ereditò la politica culturale incentrata sull’esaltazione della vittoria, degli eroi e dei caduti; e adattò
alle nuove circostanze gli strumenti culturali e propagandistici. Per le forze
di sinistra era difficile affermare le proprie ragioni, poiché durante e subito
dopo la guerra fu attuato un gioco pesante contro i socialisti fatto di offese
e accuse di disfattismo e tradimento mentre la censura, che fu abolita solo a
distanza di diversi mesi dalla fine del conflitto, colpiva la stampa socialista. Difatti l’appello per la ricorrenza del 2
novembre 1919, pubblicato da “La Difesa” del 1 novembre 1919 uscì censurato; le
autorità non ammettevano la presenza di una liturgia diversa e di memorie alternative intorno alla straziante questione
dei caduti in guerra. La parte non censurata del testo riporta: “ 2
NOVEMBRE. Giorno dei morti. Le vittime della guerra reclamano e
attendono giustizia riparatrice. Ricordalo o popolo! E nei fiori vermigli che – al pensiero dei
tuoi dolori – butti al vento per ricoprire…CENSURA”.
Il fiore, simbolo della continuità della vita e di una speranza nella
morte, diveniva in questo appello un monito a non dimenticare le responsabilità
di quelle morti e di quel conflitto. Tale omaggio simbolico era un gesto che
era stato fatto proprio dalle giunte comunali che destinarono, per la
ricorrenza del 2 novembre, fondi per adornare le tombe dei caduti in guerra al cimitero di Trespiano.
Nel 1919, in occasione del giorno dei morti, il regio
commissario
aveva predisposto una cerimonia per la
deposizione di fiori sulle tombe dei caduti nel cimitero di Trespiano
cooptando le rappresentanze delle scolaresche comunali, dei sodalizi
patriottici e contando sull’appoggio de “La Nazione”.
Una vera e propria svolta verso una complessità simbolica e rituale più
consona all’esigenza di far partecipare le masse ai riti pubblici si ebbe solo
durante la giunta Garbasso. Una lettera del sindaco inviata nell’aprile del
1921, d’accordo col Consiglio comunale, al comitato di Treviso con l’offerta di
fiori del vivaio comunale, da deporre sulle tombe dei caduti del Piave, rivela
la volontà di superare i limiti della solita retorica. Il sindaco concluse la
lettera di omaggio
inviata al comitato affermando: “Portino queste fronde e questi fiori il memore
saluto di Firenze agli Eroi che attendono una Patria più grande, quale
sognarono cadendo… ”.
In questa lettera emergono due aspetti, che evidenziano un cambiamento
profondo rispetto alle esperienze precedenti: il primo è che i fiori assumevano
un valore simbolico, oltre a quello ovvio di rinascita e di continuità della
vita dopo la morte, in quanto consacrati al culto dei caduti; il secondo è la
mitizzazione e le strumentalizzazione della morte in guerra per fini politici.
Formalmente Garbasso affermava che i morti volevano un’Italia più grande e
diversa e affermando che era compito dei vivi rendere piena soddisfazione a
questa “attesa dei morti”. Non si trattava più di ricordare i morti in guerra
come portato di una lotta intrapresa per salvare la Patria, ma, al contrario,
di fare dei gloriosi caduti la ragione per cui era necessario mutarla a partire
da quel preciso momento storico.
“L’attesa dei
morti” è il dato palese di un profondo cambiamento culturale e politico che non
avrebbe mancato di inserirsi nelle forme dello stato totalitario; infatti, se
in tutti i paesi usciti dalla Grande Guerra il culto dei morti divenne un nodo
cruciale della vita pubblica fu, tuttavia, in Germania e in Italia che esso
“assunse un’importanza speciale.
Ancora negli anni 30, durante il regime fascista, l’Italia era
impegnata a sviluppare e ricostruire i suoi cimiteri militari, mentre in
Germania pellegrinaggi e cerimonie mantennero la memoria dei morti
costantemente viva fino allo scoppio della seconda guerra mondiale”. I riti dedicati ai caduti della Grande
Guerra, che vennero utilizzati dal fascismo nel contesto del costruendo stato
totalitario erano, infatti, stati elaborati e sperimentati già prima della
presa del potere da parte di Mussolini. Il 4 novembre del 1921, mentre Garbasso
nella veste di sindaco di Firenze si trovava a Roma per assistere al rito
dell’inumazione del Milite Ignoto nel Vittoriano, le principali autorità civili
e militari fiorentine onorarono la vittoria del 4 novembre con una Messa in
Santa Croce, celebrata su un altare da campo sopra cui fu stesa la bandiera
tricolore.
La cerimonia riuscì imponente, la suggestione del passaggio fiorentino
dell’Ignoto giocò certamente un ruolo e l’evento ebbe come ospite d’onore il
cattolicissimo generale Luigi Cadorna.
La commemorazione in onore dei
caduti raggiunse una sintesi fra il culto della fede cattolica e quello della
patria uscendo dai limiti della cerimonia elitaria e divenendo un evento
pubblico coinvolgente per le masse. La sacralizzazione dei caduti della Grande
Guerra in chiave di uso pubblico della storia e di manipolazione politica delle
masse, fu fatta propria dal fascismo. Nel caso fiorentino il fatto che il
sindaco si fosse “convertito” al fascismo facilitò la strumentalizzazione e
l’uso di parte del mito dei caduti. L’anno successivo il generale Cadorna ed il
sindaco furono i traghettatori verso il fascismo di questa cerimonia solenne
del 4 novembre. Il sindaco aveva del
resto manifestato la sua passione politica il 31 ottobre 1922, quando assieme
ai gerarchi fiorentini, aveva improvvisato un comizio a favore di Mussolini in
piazza Vittorio Emanuele mentre i fascisti andavano a liberare i loro camerati
rinchiusi in galera, alle Murate, per
svariati delitti. Pochi giorni dopo il 4 novembre del 1922 la Messa solenne in
Santa Croce e la cerimonia in Palazzo Vecchio videro ancora protagonisti i
fascisti fiorentini, ormai “padroni” della città. Kurt Suckert, ossia Curzio Malaparte, si
ritagliò un suo spazio quando tenne un comizio fascista nel salone dei
Cinquecento, inserendo la propaganda politica nel rito solenne. La cerimonia proseguì poi con un corteo i cui
partecipanti, dopo aver percorso il centro storico, ritornarono in piazza
Signoria, dove Cadorna prese la parola per lodare la marcia su Roma avvenuta
pochi giorni prima, evento che, egli
disse, avrebbe “salvato la Patria”. "Il Nuovo Giornale” e “La Nazione”
diedero un grande rilievo a questi fatti mentre il genetliaco del Re,
festeggiato anche a Firenze, ebbe poco spazio nella cronaca. “Il Nuovo
Giornale” gli dedicò, il giorno dopo, solo un piccolo trafiletto. Quanto ai
giornali non allineati con la giunta, essi non ebbero in quei giorni la
possibilità di circolare, perché i fascisti li bruciarono prima che potessero
arrivare nelle edicole.
Cfr. Gianni Isola, Guerra
al Regno della guerra, Storia della Lega proletaria mutilati invalidi reduci e
vedove di guerra (1918-1924), Le Lettere, 1990, Firenze, pp.166-181. In
generale sulle memorie dedicate ai caduti
di orientamento socialista cfr. Mario Isnenghi, La Grande Guerra, Giunti, Firenze,1993, pp.147-148
L’Avvocato
Gino Meschiari, (1883-1947) uomo politico repubblicano ed ufficiale dei
bersaglieri, in quel periodo era un
antisocialista convinto. Successivamente avrebbe legato il suo nome alle
associazioni combattentistiche; aderì al fascismo dopo il delitto Matteotti.
Esponente di prestigio della corrente repubblicana divenne “l’ultimo federale”
di Firenze durante la Repubblica Sociale. Il partito repubblicano lo espulse nel 1920 a causa della sua accesa difesa delle
proprie posizioni politiche scioviniste. Cfr. “Il Nuovo Giornale”, 26 novembre
1920. Cfr. Carlo Francovich, La
Resistenza a Firenze, La Nuova Italia, Firenze, 1969, pp. 49-50 e p 364.
“La Difesa”, Cronaca cittadina, 8
dicembre 1918. L’articolo che commentava la fine delle ostilità terminava con
un minaccioso giudizio sugli avversari politici: “Ma il gioco non è terminato e
non si sa come possa chiudersi la partita. Non sempre saremo disposti a
tollerare. Ed allora sapremo servire a dovere questi repubblicani passati al
servizio della monarchia, questi… socialisti che vanno puntellando la borghesia
traballante. Il tempo è galantuomo.”. Sui motivi che scatenarono le tensioni
che erano intercorse tra la giunta al potere e i socialisti fiorentini durante
il conflitto cfr. Luigi Tomassini, Associazionismo
operaio a Firenze fra 800 e 900, La società di Mutuo Soccorso di Rifredi
(1883-1922) Olschki Editore, Firenze,
1984, pp. 293 –299; e anche Giorgio Spini e Antonio Casali, Firenze, Editore Laterza, 1986, pp. 112
– 113. In generale sulle tensioni
sociali e politiche in Toscana nel 1919 cfr. Roberto Bianchi, Bocci-Bocci, i tumulti annonari nella
Toscana del 1919, Olschki Editore, Firenze, 2001
Cfr. “La Nazione”, Cronaca di Firenze, 16 dicembre 1919.
Cfr. “Il Nuovo Giornale”, Cronaca di Firenze, 16 dicembre 1919. Cfr. “La
Difesa”, 14 dicembre 1918 e 28 dicembre 1918.
Cfr.”La Difesa”, 4 ottobre 1919.
Cfr. Antonio
Gibelli, La Grande Guerra degli italiani,
1915-1918, cit., pp. 240 – 246 e pp. 322 – 329. In generale sulla storia
del linguaggio politico in Italia nel 1919. Cfr. Roberto Bianchi, Pace, Pane, Terra il 1919 in Italia,
Odraedek edizioni, Roma, 2006. Per quel che riguarda l’organizzazione di ex combattenti che militavano
politicamente a sinistra e il loro linguaggio Cfr: Eros Francescangeli, Arditi del popolo, Argo Secondari e la prima
organizzazione antifascista, Odradek, Roma, 2008.
“La
Difesa”, 1 novembre 1919. Tale
tendenza non era un dato solo fiorentino, lo stesso “Ordine Nuovo” usò, il 1
maggio, questi termini per celebrare la data solenne: “Perché il mondo si salvi
è necessario che la fede socialista diventi il soffio animatore dell’opera di
ricostruzione, è necessario uno scatenamento di energie morali che torni a
potenziare l’umanità, a ridarle il vigore e la giovinezza adeguate allo immane
compito”.
“L’Ordine Nuovo” ad esempio
pubblicò racconti strazianti che alla denuncia sociale accompagnavano la
denuncia del conflitto e fra questi un articolato e concettualmente complesso
racconto “il Congresso dei morti” che fu pubblicato a puntate. Questo racconto immaginava che la grande
strage avvenuta con la guerra avesse convocato agli inferi così tanta folla da
scatenare un congresso fra i defunti. A
tale evento presero parte le grandi personalità della storia come Attila,
Alessandro Magno, Giulio Cesare, Garibaldi e tanti altri. Il congresso viene chiuso direttamente da
Gesù Cristo e da un Milite Ignoto; lo stesso Messia pronuncia una aperta
condanna del capitalismo, della chiesa, e della guerra. Cfr. “L’Ordine Nuovo ”, 24 maggio, 7, 14, 21
giugno; 17, 26 luglio, 9, 16 agosto 1919.
George L. Mosse, Le guerre
mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Editori Laterza, Roma – Bari,
1990, pp. 117 –118.
Il “Gr. Uff. Prof. Dott”. Orazio Bacci morì la notte fra il 24 e il 25
dicembre 1917, mentre si trovava a Roma per motivi d’ufficio. Nato a
Castelfiorentino il 17 ottobre 1864, intraprese a Firenze la carriera di insegnante
fin dai più bassi gradini arrivando ad essere prima un professore di Liceo, poi
un accademico della Crusca e infine un professore universitario. Nel 1910
ricoprì la carica di assessore alla Pubblica Istruzione. Dal gennaio del 1915 fu sindaco di Firenze, il suo mandato lasciò un
segno a causa delle molte iniziative culturali e benefiche attuate durante il
difficile periodo della guerra. Genero di Isidoro Del Lungo, ebbe una
formazione culturale e politica che fu determinante nell’impostare momenti e
riti di propaganda patriottica.
Antonio Garbasso ultimo Sindaco di Firenze e primo Podestà fascista della
città era nato a Vercelli nel 1871. Accademico dei Lincei, e docente di fisica
– matematica a Pisa e a Firenze. A
Firenze si occupò specificamente di ottica e di magnetismo. Fu eletto
Sindaco nel 1920, fu nominato senatore del Regno nel 1924, nominato podestà
mantenne la carica fino al 1928. La sua
opera politica e culturale a Firenze fu notevole, tant’è che attualmente esiste
una via Antonio Garbasso nella zona di San Gervasio che non ebbe una nuova
denominazione dopo la guerra. I frati
francescani della Verna gli diedero
sepoltura nel cimitero del convento nel 1933.
Tale consuetudine, che
aveva assunto le vesti della ritualità pubblica fin dal 1916, proseguì nel
decennio successivo e oltre. Cfr. ASCFi, f. 4445, doc. 119.
Cfr. “La Nazione”, 2 novembre
1919. La crisi politica e morale
della giunta Serragli impose la nomina di un commissario Regio nella persona di
Vittorio Serra Caracciolo. Cfr. Roberto
Bianchi, Bocci-Bocci, i tumulti annonari
nella Toscana del 1919, Olschki Editore, Firenze, 2001, p. 75 e p.112
Atti, CFi,, I, 19
aprile 1921, p.318
George L.
Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia
al mito dei caduti, Editori Laterza, Bari, 1990, p.103
Cfr. “La
Nazione” e “Il Nuovo Giornale”, 5
novembre 1921
Cfr. “La
Nazione” e “Il Nuovo Giornale”, 4 e
5 novembre 1922. Su Firenze e la marcia
su Roma cfr. Roberto Cantagalli, Storia
del fascismo fiorentino, cit., pp. 316 – 319.
Cfr. “La
Nazione”, 11 novembre 1922 e “Il Nuovo Giornale”, 12 novembre 1922. In
particolare “Il Nuovo Giornale” con una punta di malizia scrisse che nella
cerimonia solenne in Comune i presenti avevano gridato: “Viva il Duca d’Aosta,
viva casa Savoia.” Il duca D’Aosta era
stato preso in considerazione da alcuni gruppi politici d’estrema destra come
potenziale alternativa al sovrano legittimo Vittorio Emanuele III in caso
d’abdicazione da parte di quest’ultimo, e come probabile candidato alla
presidenza di un governo autoritario e antidemocratico. Cfr. Denis Mack Smith, I Savoia Re d’Italia, cit.
p. 314, e p. 325.
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13 ottobre 2011
Il terzo libro delle tavole: Gestire la Morte di massa
Gestire la Morte di massa
Gestire la morte di massa è una cosa
difficile e non tutti possono esser d’accordo, ma chi ha il potere deve provare
a gestire l’ingestibile o fatalmente perderà il potere con tutte le conseguenze
del caso. Se ripenso ai miei studi osservo che questo era il problema delle
minoranze al potere a Firenze nel biennio finale della Grande Guerra. Allora la
“consorteria” al potere in quel di Firenze fra il 1917 e il 1918 cercò almeno
di creare la sua immagine di morte in guerra e di trasformarla da massacro in
scala industriale con le sue logiche di profitti industriali e di finanza
legate alla guerra e al debito che produceva a qualcosa di comprensibile e
accettabile: un sacrificio per la Patria e la collettività. In qualche misura
riuscirono nel loro intento perché crearono riti, simboli ostentati, atti
pubblici in collegamento fra loro, i quali pur avendo numerosi precedenti erano
tuttavia frutto della Grande Guerra. Le
minoranze al potere riuscirono a far convivere per due decenni la
memoria della morte di massa con i detentori del potere trasfigurandola,
distorcendone il senso e mitizzandola, e riuscirono a farne qualcosa di
quotidiano presente nella titolazione delle strade e delle piazze, nelle
lapidi, nei monumenti, nei programmi scolastici, nell’immaginario collettivo. La
popolazione subì questa immagine pubblica della morte di massa, dal momento che
il linguaggio delle minoranze al potere
non riusciva a far adeguata opera di persuasione la creazione della
pedagogia patriottica s’integrò con i riti religiosi e con iniziative benefiche
volte a procacciare un facile e immediato consenso. Ma mancava ancora
l’elemento politico in grado di blindare il culto della Patria entro i termini
di un blocco sociale di partito, mancava l’anello di congiunzione fra una
cultura nazionalista e conservatrice timorosa di ogni minimo cambiamento sociale
e una prospettiva politica in grado di mobilitare le masse della popolazione
che, dopo l’enorme bagno di sangue, chiedevano di contare e di essere parte
della vita politica. Mancava alle minoranze al potere il fascismo inteso come un
movimento politico di massa, antisocialista, controrivoluzionario, espressione
del nazionalismo e dell’imperialismo italiano, disposto a propagandare una
lettura politica della Grande Guerra distorta e retorica e nello stesso tempo
in grado di mobilitare almeno in parte le
masse di sudditi del Regno d’Italia per dare consistenza e numero alla
conservazione dell’esistente. Personalmente credo che l’idea delle minoranze al
potere nel Belpaese fosse quella di usare il fascismo per stroncare i socialisti
e lasciare le cose come erano. Il fascismo nel corso del ventennio si rivelò
uno strumento della conservazione e della reazione con sue finalità ideologiche
che uscivano dal piccolo recinto egoistico di una minoranza di ricchi e privilegiati che l’aveva accompagnato al
potere, si rivelò almeno in parte autonomo anche se rimase sempre incompiuto il
suo disegno di creare un regime
totalitario autentico.
La morte di
massa in guerra era penetrata in profondità nella sensibilità della
cittadinanza e la sacralizzazione dei caduti e la loro dimensione “eroica”
erano un fatto politico e sociale che pervadeva tutti i ceti sociali. Perfino
le sedute del Consiglio comunale per
commemorare i concittadini caduti, per segnalare quanti erano stati decorati e
gli ufficiali che si erano distinti per gesta eroiche assumevano un tono
“sacro”, non privo di ammonimenti pedagogici che si concretizzarono in eventi
quali la solenne cerimonia promossa dal Comune in cui furono consegnate le
medaglie al valore alle famiglie dei caduti al fronte. Al rito parteciparono, oltre
alle autorità militari e civili, le rappresentanze delle scuole.
L’intento
patriottico di giustificare la morte in guerra
si concretizzò nell’esaltazione di figure
assunte a simbolo di “sacrificio della vita” per la Patria come Nazario Sauro e
Cesare Battisti, due veri e propri “idoli laici” oggetto di numerose attenzioni
e strumentalizzazioni in funzione antiaustriaca e, nel caso di Sauro,
apertamente ostili al nuovo regno di Jugoslavia. La compattezza militare dell’alleanza fu
celebrata dalla Croce Rossa, il 25 marzo 1918 nel salone dei Cinquecento con la
donazione di cinquemila pacchi di generi
di conforto alle famiglie dei morti e dei richiamati. Tutti
i protagonisti dell’evento furono fotografati presso una parete stipata di
pacchi che avevano impressi tre simboli: lo scudo sabaudo, la croce rossa
americana ed il giglio di Firenze.
Fra gli ospiti
intervenuti era presente anche Isidoro Del Lungo, uno
dei massimi rappresentanti del mondo politico-culturale fiorentino, e due
ufficiali americani per sottolineare la stretta collaborazione fra le potenze
dell’alleanza
nella comune battaglia annonaria.
A questa
iniziativa se ne aggiunse un'altra che consisteva in una fiera, svoltasi dal 31
marzo al 13 aprile, durante la quale, nella centralissima via Tornabuoni,
furono vendute merci di vario genere dalle autorità alleate, con un intreccio
fra beneficenza e commercio che ritornerà spesso nel dopoguerra nelle
iniziative volte a finanziare una cassa scolastica o un monumento ai caduti. La
grande manifestazione ginnico militare, tenutasi ai primi di maggio alle Cascine vide la partecipazione di
rappresentanze alleate. Fra le specialità in cui si cimentarono gli atleti fu
presente il lancio della bomba a mano. Questa gara collocava la competizione
sportiva all’interno di una rappresentazione simbolica della guerra e alludeva
alla mobilitazione di tutte le risorse e di tutte le energie.
Del resto quest’evento
sportivo era l‘occasione per l’elite al potere per prendersi un po’ di
visibilità pubblica come risulta anche dall’elenco meticoloso degli intervenuti
e dei premi offerti dai privati pubblicato sulle pagine de “La Nazione”.
Il momento solenne di questo sforzo propagandistico si ebbe il 4
luglio 1918, giorno in cui Firenze celebrò la festa nazionale americana; in
quell’occasione, fu conferita a Woodrow
Wilson, presidente degli Stati Uniti, la cittadinanza onoraria. Il Comune finanziò un film di propaganda che
documentò l’evento: una scelta abbastanza inusuale e di indubbio rilievo e
modernità rispetto a quanto era stato fatto fino ad allora. Il problema della
creazione di una partecipazione di massa davvero rappresentativa della
popolazione poteva essere, in parte, risolto attraverso la collaborazione fra
il clero e le istituzioni. La propaganda patriottica fiorentina, per creare il
proprio linguaggio e superare i dislivelli culturali e di alfabetizzazione,
rielaborò le pratiche linguistiche e rituali della tradizione religiosa
cattolica, senza mettere in discussione l’ordinamento sociale e il suo
autoritarismo. Un esempio di questo atteggiamento è rappresentato da padre
Ermenegildo Pistelli
che, nel corso dell’inaugurazione dell’anno accademico, il 18 novembre 1918,
proclamò la superiorità del popolo italiano rispetto a quello germanico, in
quell’occasione il sacerdote citava un professore tedesco, perché riusciva ad essere civile anche se
lasciato nell’analfabetismo, mentre il popolo germanico, che analfabeta non
era, per essere civile aveva bisogno d’istruirsi. Tale atteggiamento era
sintomatico della predisposizione di una certa cerchia d’intellettuali
fiorentini politicamente vicini alla “consorteria” di considerare opportuno
l’uso dei diversi livelli d’istruzione come strumenti di segregazione culturale
e sociale.
La sacralità
del rito religioso associata alle necessità e alle logiche del patriottismo
poteva far partecipare emotivamente la maggior parte della popolazione
nonostante le differenze di classe sociale d’appartenenza, tuttavia il legame
fra chiesa ed autorità cittadine a Firenze giunse ad una sintesi solo in
occasione della Messa solenne celebrata nel Duomo di Firenze nel febbraio 1919
per commemorare i caduti in guerra. Le autorità e le classi sociali al potere,
infatti, avevano bisogno di fare un fronte comune contro i socialisti.
La Messa solenne in memoria dei caduti che si celebrò nel Duomo di Firenze
il 9 febbraio
1919 vide le autorità civili e religiose dare prova di grande compattezza, lo
svolgimento del rito rivelava l’influenza dell’esperienza di guerra.
Il quotidiano
“La Nazione” riportò la cronaca del rito osservando che “gran folla” era
accorsa e che la cerimonia risultò essere “solenne e grandiosa”, per
l’occasione il tempio era stato addobbato con “grande austera semplicità”:
“Trofei composti da fasci di fucili, da cannoni e da proiettili, alcuni dei
quali da 305 erano stati collocati all’interno del catafalco sulla sommità di
esso sovrastava la bandiera nazionale.”.
Lo strumento
bellico era divenuto ornamento del luogo
sacro e vale la pena notare che era il fucile a rappresentare il caduto, a
“prendere il posto” dell’essere umano. Questa forma di rappresentazione Nella cronaca de “La
Nazione” si può osservare una mutazione profonda nella percezione dello spazio
sacro. L’inizio del periodo per rappresentare un moto spontaneo verso un
avvenimento pubblico si apre con “gran folla è accorsa….”.
La descrizione stessa rivela che
l’evento era stato studiato e preparato per suggestionare la folla dei
partecipanti. La cronaca continuava poi rivelando che: “Otto soldati della 167°
batteria bombardieri, con l’elmetto e completamente armati prestavano servizio
d’onore ai lati.
sarebbe poi stata fatta propria da alcuni monumenti dedicati ai caduti dove
l’arma rappresentata con maggior frequenza fu proprio il proiettile
d’artiglieria.
Altri reparti
di bombardieri agli ordini del tenente Giordano si trovavano schierati lungo la
navata maggiore. Dirigevano questo servizio il commissario Cav. Dalla Giovanna,
i commissari di polizia comunale mag. Ronchetti e Andreotti, e i delegati di
P.S. Bellesi e Blotta. All’esterno al disopra della porta maggiore era
l’epigrafe dettata dall’illustre scolopio padre Manni:
NELLA
PACE ETERNA – O VOI QUI IMPLORANTI– CON TANTO AMORE – O SOLDATI NOSTRI –
GLORIOSAMENTE CADUTI PER LA GIUSTIZIA – RICORDATEVI FRATELLI – ASPETTANTI
INTERO SOLLECITO IL FRUTTO DEL VOSTRO SANGUE. L’ingresso in Duomo era
regolato da agenti e carabinieri. La musica presidiaria ed un battaglione di
fanteria, schierato di fronte al tempio, ha reso gli onori alle autorità man
mano che giungevano…”. La cronaca informa che, indossati i sacri paramenti,
prima della Messa il cardinale pronunziò un discorso “improntato ad alti sensi
di italianità” e ringraziò il Signore per la vittoria alleata e italiana. Il
momento più solenne fu quello in cui, alla benedizione, il reparto d’artiglieri
presentò le armi: la cerimonia religiosa e quella militare si fondevano armonicamente
per sottolineare una piena convergenza di ideali e di identità. Nel corso della
guerra avevano avuto una certa accelerazione sia le dinamiche di
secolarizzazione e cristianizzazione da tempo in atto, sia la reazione tendente
ad affermare una “restaurazione cattolica” della società e dello Stato. Tutto
questo avveniva proprio mentre l’integrazione delle forze cattoliche nei gruppi
dirigenti dei paesi liberali assumeva un nuovo e rilevante spessore in funzione
sostanzialmente conservatrice e antisocialista: “Il dolore, la distruzione, la
morte, che in tante parti dell’Europa la guerra aveva seminato, erano in ogni
caso elementi su cui la chiesa poteva far leva per orientare nuovamente verso i
valori religiosi e trascendenti. Le inquietudini e i turbamenti sociali
scaturiti dalla guerra potevano portare inoltre parte dell’opinione pubblica a
guardare di nuovo alla chiesa come elemento di conservazione sociale”.
Del resto,
durante il conflitto, in virtù dell’istituzione dei cappellani militari e alle
leve degli ecclesiastici, la Chiesa aveva avuto la possibilità di essere
presente in modo organico nell’apparato militare. Questa convergenza di
carattere politico aveva come suo corrispettivo retorico il poter sommare il
martirio cristiano con la morte per la patria nella creazione di modelli di
riferimento per la sacralizzazione dei morti nella Grande Guerra.
Il Comune di Firenze fu prodigo di
queste iniziative. La celebrazione dei fiorentini caduti consisteva in un
discorso solenne tenuto dal sindaco che, si apriva con l’encomio di una
medaglia d’oro, proseguiva con i nomi
delle medaglie d’argento, di bronzo e con l’elencazione degli altri nominativi.
Cfr. Atti,
CFi, II, 11 gennaio 1917, pp. 6 - 7. e, II, 25 novembre 1918, p. 359.
Cfr. “La Nazione”,
Cronaca di Firenze, 21 aprile 1918.
La figura di Nazario Sauro, eroe della marina,
impiccato dagli austriaci, fu usata in
funzione antijugoslava anche sulle pagine della “Nazione”; ad esempio si
scriveva che l’eroe era morto per rivendicare all’Italia territori attribuiti
al nuovo Stato Jugoslavo. L’articolo di prima pagina del 19 novembre 1918,
titolava a caratteri cubitali: “L’ombra di Nazario Sauro vigila sulla bandiera
d’Italia nel porto di Pola”. “L’eroe caduto è già spirito protettore della
Nazione, è già mito di un’Italia più grande che deve compiersi.” L’articolo
insisteva sul fatto che la presenza nella memoria collettiva (e dove
altrimenti?) di un simile martire rafforzava la convinzione di considerare la
città come parte dell’Italia. “La Nazione” stessa si attribuì un eroe.
Nell’agosto del 1919 offrì una targa d’argento per una gara nazionale di nuoto.
Questa la dedica: “Questa targa offerta dalla “Nazione” si intitola al nome
eroico del suo redattore Cesare Borghi sportman e giornalista che l’XI novembre
1915 assaltando Oslavia per l’Italia moriva”.
Nato da nobile famiglia il 20
dicembre 1841, Isidoro Del Lungo fu uno dei massimi protagonisti della vita
culturale e politica fiorentina dagli ultimi decenni dell’800 agli anni venti.
Uomo di studi e di cultura, commentò La
Divina Commedia, e curò i testi critici della Cronica di Dino Compagni. Morì a Firenze nel 1927. Cfr. DBI,
XXVIII, pp. 96 - 101.
Sul
criminoso disinteresse della politica italiana rispetto ai propri prigionieri
di guerra si rimanda a: Giovanna Procacci, I
prigionieri di guerra, in La Prima
Guerra Mondiale, a cura di Stephane Audouin-Rouzeau e Jean-Jacques Beker,
Ed.it a cura di Antonio Gibelli, Vol.I, Einaudi, Torino, 2007. L’interesse nel
ricercare l’aiuto degli alleati è certamente indice della difficoltà del
momento e deve essere letto alla luce dell’affermazione di Denis Mack Smith nel
saggio I Savoia re d’Italia, RCS Rizzoli Libri, Milano, 1990, p. 283. “Ma il re teneva celate le sue vere
intenzioni: lui e i suoi ministri (Salandra e Sonnino) avevano deciso di
condurre una guerra separata, con obiettivi diversi da quelli dei suoi nuovi
alleati e con una diversa strategia, una guerra “parallela” contro
la sola Austria per garantire all’Italia la supremazia nell’Adriatico.” Nel suo testo l’autore inglese pone
l’accento sulla difficoltà alleata a costruire una strategia comune con
l’Italia per vincere la guerra. L’intenzione italiana di condurre di fatto una
guerra parallela si rivelò fallimentare;dopo il disastro di Caporetto il peso
del contributo militare e l’influenza degli alleati aumentò. Sia “La Nazione”
sia “Il Nuovo Giornale” rispecchiarono il cambiamento politico e militare
sottolineando nei loro articoli le cerimonie e le battaglie fatte in comune con
gli alleati. Rivelatore tuttavia dell’improvvisazione di questa svolta nel
contesto fiorentino è l’aneddoto della banda musicale interalleata. “La
Nazione” l’8 marzo 1918 rivelò che i musicanti furono trasportati coi carri
della nettezza pubblica sotto gli occhi allibiti del pubblico che era alle finestre. Ne seguì una rovente polemica in Consiglio
Comunale.
“La Nazione”: 23 giugno, 3 luglio, 5 luglio 1918, e
“Il Nuovo Giornale”, 23 giugno, 3 luglio, 5 giugno 1918. Un’eco significativa
del “filo americanismo” emerso in queste manifestazioni si ha nel discorso
inaugurale del 18 novembre 1918 di Ermenegildo Pistelli, ordinario di lettere
greche e latine, che contiene un esplicito riferimento elogiativo al presidente
americano Wilson quale difensore della civiltà e degli studi classici. Cfr.
ASCFi, Belle Arti, A.1918, AF.
960-332, sul finanziamento del Comune di un film di propaganda.
Il discorso di Padre Ermenegildo
Pistelli è trascritto nell’Annuario
dell’Istituto Regio di Studi Superiori di Firenze, 1918 – 1919, tip.
Galletti, Firenze, 1919. Padre Ermenegildo Pistelli, scolopio e uomo politico,
nacque a Camaiore nel 1862 e morì a Firenze nel 1927. Figura di primo piano nella cultura e nella
politica fiorentina, politicamente fu
nazionalista e fascista. Costui percorse tutta la gerarchia
dell’insegnamento da maestro elementare a docente universitario di lingua greca
e latina. Sulla concezione classista del pensiero pedagogico di padre Pistelli
cfr. Laura Cerasi, Gli Ateniesi D’Italia,
cit. pp.196 - 201. Sui problemi
concernenti la funzione sociale e gerarchica dell’istruzione italiana cfr.
Simonetta Soldani, La nascita della
maestra elementare, in Fare gli
Italiani, Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, Simonetta Soldani,
Gabriele Turi (a cura di), il Mulino, Bologna, 1993, p. 101 e p. 129. Cfr.
Marino Raicich, Scuola, cultura e
politica da De Sanctis a Gentile, Nistri Lischi, Pisa, 1982,
pp. 357 - 363. Il concetto della cultura italiana come diversa e
superiore da quella germanica è ribadito con forza in quello che è uno dei suoi
ultimi scritti: Ermanegildo Pistelli, Lettere
a un ragazzo italiano, Salani, Firenze, 1927, pag.42
Cfr.“La Nazione”, 10 febbraio 1919. “La Nazione”, come è noto era un quotidiano
legato agli interessi degli agrari e dei proprietari terrieri che si
autodefinivano “moderati”. Fin dall’inizio del 1919, in considerazione della ripresa
della attività e della propaganda socialista, questo giornale considerò la sua
linea editoriale e politica un punto di riferimento per la reazione antioperaia
e antisocialista. Particolarmente
intensa fu l’attività giornalistica rivolta a sostenere e ribadire il pensiero
politico delle forze borghesi e il loro stile di vita. Cfr. Indro Montanelli,
Giovanni Spadolini,
La Nazione nei suoi cento anni 1859 –
1959, Tipografia de Il Resto del Carlino, Bologna, 1959, p.
124.
Cfr.
Antonio Gibelli, La Grande Guerra degli
italiani, 1915-1918, cit, pp. 76 –
79, e pp. 343 – 345.
Padre Giuseppe Manni, scolopio e rettore della
Badia Fiesolana, nacque a Firenze nel 1844 e vi morì nel 1920. Studioso
insigne, epigrafista e poeta. Fu proprio lui ad accogliere nell’ordine degli
Scolopi l’allora giovane Ermenegildo Pistelli. Cfr. Ermenegildo Pistelli, Il padre Manni, Arte della Stampa,
Firenze, 1923.
Guido Verucci, La chiesa nella società contemporanea, Laterza, Roma – Bari, 1988,
pp. 9-10.
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26 luglio 2010
Francone e la sua fiaba sulla politica nostrana
26 Lug, 2010
La fifa di Cesaretto l’equilibrista del Circo Italia
Scritto da: F. Allegri
| Pubblico questa cosa dell'amico Franco Alelgri certo di far cosa gradita,del resto è così meschina e triste la cronaca politca nel Belpaese. Per non cadere vittime della decomposizione morale e della tristezza malefica che si spande ovuneque è meglio esprimersi con fiabe e allegorie. Tanto...
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FIABE DAL MONDO DELLA
POLITICA
La fifa di Cesaretto l’equilibrista del circo Italia.
22/07/2010
Di F. Allegri
C’era una volta un povero circo. Era il Circo Italia, faceva un unico
spettacolo quotidiano ed aveva una sola star di grido: Cesaretto
l’equilibrista.
Il piccolo cesare, calvo con il reimpianto e avanti negli anni s’esibiva
ogni giorno con la sua lunga asta camminando su una corda tesa a pochi
metri da terra.
Lui aveva avuto una lunga carriera e molti successi, aveva i suoi fans e
anche molti detrattori, tra questi ultimi s’era diffusa (tanto tempo
fa) una diceria ovvero che al prossimo spettacolo sarebbe caduto.
Erano passati molti mesi e tutti attendevano questo benedetto
spettacolo, i detrattori ne discutevano nei bar e in piazza.
“Vedrai, stasera cadrà” disse uno di loro. Un altro replicò: “Hai visto
come era incerto ieri! Ha avuto un gran traballone”.
Il farmacista del paese che era sempre il meglio informato puntualizzò:
“Ha una fifa enorme!”
I detrattori trasecolarono per la sorpresa: “Come? Ma sei sicuro?”.
Lui replicò: “Me l’ha confidato uno dei suoi inservienti giorni fa.
Nessuno lo sa, ma Cesaretto non ha coraggio. E’ un fifone. La nostra
diceria lo distrugge piano piano”.
Il farmacista aveva radunato una folla e proseguì: “Ha paura di tutto,
ha paura di guidare l’auto e non ha preso la patente; vuole sempre gente
intorno e non sa stare da solo. Forse ha anche paura del buio e della
notte. Fa il gradasso solo davanti a un folto pubblico e quando sale su
quella maledetta corda, ma prima e dopo nel suo camerino ….. in preda al
terrore”.
Alla fine assestò il colpo decisivo: “Non ha mai fatto un duello con
altri equilibristi!”
In realtà c’era stata qualche piccola esibizione, ma mai con i campioni
di grido: aveva contrastato solo piccoli artisti di provincia o sul
viale del tramonto. C’era stata solo la sfida con Achille l’equilibrista
del circo di Mosca, ma questa si era verificata tantissimi anni fa e al
tempo lui era un debuttante di talento.
Oggi Cesaretto era il re della corda tesa, camminava sicuro con la sua
asta mentre la folla e l’orchestra l’accompagnavano con lo sguardo e
inni trionfali. Bastava che fosse solo! Per motivi misteriosi aveva
respinto ogni sfida: la vista di un rivale avrebbe rinfocolato le sue
profonde paure!
Intanto anche sulle tribune c’erano i detrattori in attesa, qualcuno
applaudiva, ma il gesto era forzato e tradito dal nervosismo.
La loro attesa si prolungava di un giorno ogni mattino: “Sarà domani!”
diceva qualcuno. E quel domani venne. Cesaretto s’era alzato presto, era
più turbato del solito, tante domande giravano per la sua testa: la
crisi del circo, i suoi ingaggi, gli stipendi da pagare ad orchestrali e
pagliacci; la paura di sbagliare cresceva.
Tante ossessioni giravano nella sua testa, i giornali non l’osannavano
come un tempo e lui avevano sempre odiato le critiche. Non aveva una
donna e nemmeno un’amica, di quelle vere intendo. Non aveva amici,
talvolta aveva pagato dei supporter…..
Con queste paure s’incammino verso il tendone, sentiva gioie e applausi
ed entrò.
Fu la sera della caduta. Era ……
“Mamma che giorno era?” Chiese il bambino curioso.
“Non c’è data Giacomino, questo libro è troppo vecchio” rispose la
mamma.
Liberamente ispirato allo scritto di M. Travaglio: “La fifa di
Silvio” del 23 marzo 2010.
FIABE PRECEDENTI
Dieci canti per Doppio Meridione
–
1 Le cronache di “Doppio Meridione”
2 Lo chiamavano Bipolarismo
3 Il Partito Del Penultimo Nome
4 Il mondo della politica al tempo della grande crisi
5 Il governo dell’uomo più ricco del paese
6 L’economia in crisi di Doppio Meridione
7 Il discorso di Prometeo Diogene detto Il Solitario
8 Sul commercio del “sale spezziato” a Doppio Meridione
9) Le capitali di Doppio Meridione
10) La tempesta nel bicchiere
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