|
23 maggio 2011
Il Fascista Immaginario: Educare
Le Tavole delle colpe di Madduwatta
Il
Fascista Immaginario
Breve scritto teatrale sulla
disgregazione del vecchio mondo umano al tempo del ministro della pubblica
istruzione Letizia Moratti e dell’ennesimo governo Berlusconi; è l’ estate del
2003.
-
Sergio: Insisto. La rivoluzione disarmata, il bene
che deve scendere dal cielo o giù di lì, il popolaccio ubriacone, drogato
malato di sogni di ricchezza che va verso l’ecologia e la pace. Mi dispiace.
Per me questa è pazzia. Il reale che è reale mi parla di schiavi moderni, di
servi, di plebe che desidera la merce del centro commerciale, di squattrinati
che saltano i pasti ma si comprano i cerchi in lega o le scarpe di cuoio
firmate. Schiavi. Sì! Così! Certo! Schiavi diversi da quelli dell’antichità con
le catene ai piedi e al collo, ma comunque di questo si tratta. La società dei
pochissimi ricchi è di fatto fortemente costrittiva e punitiva, ed è grande il loro potere, e c’è
del bene in questo. Ma il poco bene viene ucciso dall’illegittimità di questo
potere. Se fosse un potere autenticamente sovrano e sacro non avrei motivo d’oppormi come faccio,
ma non è così e devo seguire il mio destino. A suo modo tutto questo è forza interiore, è
educazione.
Lazzaro: Educazione. Che ne sai! A che titolo ne parli? No, ora ascolta. Io ci
credo sul serio nell’educazione, in un mondo migliore, in gente liberata dal
male della schiavitù dell’ignoranza , della paura, delle fantasie malate, o
delle falsità della pubblicità. La mia lotta qui, in questa facoltà, in questa
città, con chi mi viene dietro è vincolata a questa principio sacro: liberarsi
dal male che viene dalla propria ignoranza. Per questo osservo con tristezza e
rassegnazione i fatti, le circostanze, la realtà che è realtà.
Fa un gesto brusco e si alza, Lazzaro
fa un giro della stanza nervosamente. Poi si ferma e appoggia un fianco sulla cattedra, cerca di
rilassarsi, si lascia andare.
-
Sergio: La tua reazione indica che ho toccato
qualcosa che ti turba. Dimmi ciò che vuoi in modo che ci sia chiarezza fra noi
e io possa capire.
Lazzaro: Ho fatto qualcosa: “l’Erasmus in Francia, ho vissuto fuori da qui per
alcuni mesi”. Non è così. Non funziona in questo modo. Ho visto come funziona
uno Stato ben costruito dai re, dai giacobini, dai loro Napoleoni. Il problema
dello Stivale sono i suoi abitanti, le sue finte borghesie, i suoi finti
imprenditori, i suoi falsi milionari, i miracoli inesistenti, una feccia che
disarticola il risultato elettorale mettendo sulla bilancia dei corruttori
pacchetti di migliaia di voti che si spostano in blocco. No! Qui il problema è nostro. Il lasciar fare ai
padroni, ai fascisti, ai violenti è la solita fuga vigliacca non della
minoranza dei ricchi ma della maggioranza delle genti che se ne fregano, che
vedono solo il loro tornaconto privato, che conoscono il loro mondo e sanno che
sparirà con loro al momento della morte perché hanno sempre e solo amato se
stessi. Questa bella gente se ne frega se qui c’è una repubblica, una
dittatura, un despota, un comunista o un generale straniero. Per quella gente
esiste solo ciò che è proprio, personale, privatissimo. Per questo è bene
educare, insegnare, far capire, aprire la mente della gente fin da bambini. Non
è un caso che oggi in questo 2003 si mormora che la SSIS sarà chiusa prima o poi. A loro non interessa formare i
docenti, costruire la cultura, dare basi solide alla plebe elettorale sperando
che si trasformi in cittadinanza.
Sergio: Scusa ma non ti seguo. A parte la critica irragionevole verso i
fascisti vorrei capire di che parli. Cosa è la SSIS e perché la difendi?
Lazzaro:Con la riforma Berlinguer di qualche anno fa venne costituita una
scuola superiore di specializzazione post-universitaria per l’insegnamento.
Finalmente dopo decenni di Repubblica un
governo trasformava la materia del reclutamento scolastico da comodo espediente
elettorale e demagogico in una cosa
seria, scientifica, accademica. Ma oggi dopo neanche due cicli completi di
formazione dei nuovi docenti il ripensamento è grande e questa modalità di
reclutare attraverso concorso per l’iscrizione a numero chiuso e attraverso
anni di formazione a pagamento alquanto onerosi in termini di fatica e soldi è andata in crisi. La politica stessa
sta abbandonando l’impresa di far della scuola una cosa seria. Mi interessava,
sarebbe ipocrita non ammetterlo, mi spiace di non esser lì a soffrire in mezzo
a scritti, prove, elaborati, tesine, esami orali e le ore di tirocinio gratuito
nelle scuole. Ecco so che finirà male, chi entra subito forse entra nel sistema
scuola, ma se intenzione politica generale è di lasciar perdere quest’impresa è
certo che la SSIS non andrà lontano.
Alle volte mi sembra che questo paese abbia una sorta di occulta data di
scadenza, come se i livelli alti sapessero che non vale la pena darsi tanto da
fare. Io ci divento pazzo. Creare l’insegnante dopo aver costituito la sua
preparazione in aula e nella concreta realtà e la sua capacità intellettuale
con un biennio universitario è opportuno in un Belpaese dove si saltava dai
banchi dell’Università alla cattedra nei licei. Ecco… da uno smantellamento
futuro della SSIS, che io sento nell’aria perché la percepisco mal gestita e
malfatta, so che arriverà la conferma di
ciò che temo e stimo vero: la politica nostrana si è scissa dalla civiltà e
dall’italianità è diventata appalto opaco, mestiere da ciarlatani, lavoro da
esperti che mediano fra plebi elettorali e grandi poteri finanziari
internazionali. I finanzieri nello Stivale
pagano, comandano, dispongono, esigono. Certo far pagare gli studenti per
la SSIS è da delinquenti, il diritto a elevarsi culturalmente e a far un salto
di ceto sociale viene leso.; ma una nazione seria può creare borse di studio,
aiutare i capaci, rendere gratuito il tutto. Non voglio caste universitarie, voglio per la libertà
per tutti di esser quel che vogliono essere attraverso la cultura, questo io so
che è il bene collettivo e la giustizia. Quando dico giustizia intendo anche
quella di cui tratta e detta la vigente Costituzione. Sì, ignoranza, rozzezza e
l’egoismo del singolo allevano la
cattiva radice del delinquere e del sottomettersi al potente di turno; la
libertà della nostra gente deve partire dal sapere e dalla libertà del
conoscere e del capire. IANA per FuturoIeri
(Sulla storia delle SSIS in Italia cfr.http://it.wikipedia.org/wiki/SSIS)
|
|
29 aprile 2011
Il Fascista Immaginario: Maestro d'illusioni
i
Le Tavole delle colpe di Madduwatta
Il
Fascista Immaginario
Breve scritto teatrale sulla
disgregazione del vecchio mondo umano al tempo del ministro della pubblica
istruzione Letizia Moratti e dell’ennesimo governo Berlusconi; è l’ estate del
2003.
-
Lazzaro: La Patria! Questa poi. Mai sentito parlare
di multinazionali, di paradisi fiscali, di classi dirigenti sovrannazionali,
del potere della finanza internazionale?
Sergio: Efficace risposta, lo ammetto. Oggi è difficile parlare di Patria, i
Governi sono ormai come i banchi dei mercanti del Tempio, quelli cacciati con
la violenza da Gesù dalla casa del Padre Divino. Ogni speculatore immobiliare,
appaltatore di guerra, mezzano e mediatore fra politica, banche, fazioni
politiche, bande criminali diventa un soggetto referenziato, un gentiluomo. Il
sistema affaristico moltiplica la delinquenza, il consumo di sostanze
stupefacenti, la degenerazione civile e morale. Sì è vero è difficile. Ma vale
per me un principio sovrano: Quando tutti tradiranno io no. Quando vado in
scena la mia opera è purificatrice perché dissolve questo mondo marcio, lo
mette fra parentesi e apre il cuore alle speranze. Io sono maestro dell’illusione,
la mia opera è benefica perché sana dal cedere al male, che è il credere che
esista solo questa realtà, il suo potere, la sua strada ormai inclinata verso
una serie di nuove guerre e di nuove carestie e pestilenze. Finirà, prima o poi
finirà. Dalle macerie e dalle cose morte che lascerà su tutto il pianeta questo
capitalismo impazzito e mortifero nascerà un nuovo mondo umano e civile. La
Civiltà Occidentale potrà finalmente essere. Io sono attore e maestro di una
volontà inconsapevole di veder la fine di questo presente attraverso la
ripetizione ossessiva dei ricordi del passato e dei suoi miti e simboli morti.
Faccia perplessa di Lazzaro, Sergio
si avvicina di spalle, le tocca da dietro quasi in un fare familiare. Lazzaro
non è imbarazzato ma guarda Sergio con compassione.
-
Sergio: La mia visione dell’Occidente che non è e
dovrà essere un giorno ti rende cupo?
Lazzaro: L’Occidente è solo una determinazione geografica, perfino i giapponesi
sono a occidente di qualcuno o qualcosa, fosse anche solo uno scoglio nell’Oceano
Pacifico. La civiltà capitalista oggi è più del vecchio capitalismo di mio
padre o di mio nonno. Si tratta di un sistema,
di un potere proprio, quasi totalitario nella sua determinazione a trasformare
il mondo in una miriade di beni e servizi in vendita, il diritto in contratto,
la convivenza civile fra popoli e genti in folle differenti e difformi che si
ritrovano solo al centro commerciale. Credi con due o tre parole, delle
immagini, dei simboli, di stroncare un potere che se ne strafrega se tutto il
mondo scende in sciopero contro questa nuovissima guerra irachena, una Petrol War
pura, dura e perfetta. Il profitto di pochi miliardari che hanno il patrimonio
azionario collocato dentro le grandi società e le multinazionali che lucrano
sulla guerra e sui superprofitti che procurano i superappalti per la
ricostruzione dei paesi distrutti dai bombardamenti a tappeto si è dimostrato
più forte di tutti gli uomini e le donne di questa umanità. E sottolineo tutti!
Stavolta ci siamo arrivati, il movimento contro la guerra era grande, forte e
globale. Non è servito a nulla. Ora i tuoi camerati potranno godersi uno
splendido massacro e pensare davvero alle rovine prossime di un mondo umano che
è stato scagliato da un pugno di superprivilegiati ricchissimi nell’abisso
della guerra e della morte. Quando pochi miliardari assoldando politici, pubblicitari, esperti di
pubbliche relazioni e questa feccia superesperta e qualificata riesce a trasformare le democrazie in conclavi
di briganti e lanzichenecchi effettivamente si apre una possibilità anche per i
fascisti come te. Sì, l’unica cosa giusta che hai detto. Lavorano per te questi
banditi e capimafia.
-
Sergio: Non li amo. Sono traditori per natura e per
istinto nemici naturali di tutta la razza umana e in particolare di una specie
molto importante: l’uomo bianco. Se non fossero mai esistite queste famiglie di
supermiliardari sarebbe stato meglio.
Lazzaro: Razzista?
Sergio si abbassa quasi a sfiorare
l’orecchio di Lazzaro.
-
Sergio: Certo. Ma con la consapevolezza che oggi
l’uomo bianco non esiste. Non c’è il suo regno, è morto il suo Dio, non esiste
la sua civiltà, non conosco la sua lingua; altrimenti da tempo ne sarei stato
maestro filologo. Egli è astrazione. Ciò che dovrebbe essere, è dissolto nel
male del mondo e non viene in essere per via delle circostanze impossibili di
questo tempo.
Lazzaro: Il grande male è questa forma della civiltà industriale che trasforma
gli umani in demonio assassini ossessionati
dalla pubblicitaria commerciale, privi
di compassione e distruttori della vita e della civiltà, anche la propria. La
potenza dei computer, delle fabbriche, della scienza poteva creare un piccolo
paradiso, ed ecco che una minoranza piccola di umani vive assolutamente beata
perché ricchissima mentre per gli altri si aprono le porte infernali della
guerra, e che guerra. Sarà un ritorno alle crociate, alle spedizioni coloniali,
alla brutalità post-coloniale. Cosa penseranno di noi quelli che verranno fra
venti o trent’anni. Penseranno intorno a questi anni quel che comunemente
pensiamo della caccia seicentesca alle streghe, ai roghi degli inquisitori,
agli orrori pagani delle tribù dei cannibali dimenticati da Dio e dagli esseri
umani in qualche oscura isola.
Sergio strige le spalle, un gesto di
compiacimento.
Sergio: Certo, ma fra la tua rivoluzione disarmata, fra il tuo educare esseri
umani che non vogliono altro che una carta di credito piena e un centro
commerciale dove usarla e le mie allucinazioni, i miei deliri, i miei miti
morti scelgo la mia strada. Almeno la conosco, posso essere una cosa sola con le mie
speranze.
|
|
12 aprile 2011
Il Fascista Immaginario: I miti morti
Le Tavole delle colpe di Madduwatta
Il
Fascista Immaginario
Breve
scritto teatrale sulla disgregazione del vecchio mondo umano al tempo del
ministro della pubblica istruzione Letizia Moratti e dell’ennesimo governo
Berlusconi; è l’ estate del 2003.
Sergio: La luce di queste mie candele è simbolica, unisce il ricordo alla
tradizione. O forse dovrei dire che è un tentativo disperato di non farsi
divorare dai mostri veri della nostra
contemporaneità che sono i centri commerciali, la televisione spettacolo, la
politica da mercenari un tanto al chilo, le risse televisive, il calcio dato
ala plebaglia che vota al posto dei ludi gladiatori di Nerone e degli altri Cesari sanguinari.
-
Lazzaro:
Guarda che quanto a sangue e massacri il
Duce e i suoi amici non scherzavano e a tanti post-fascisti piace questo
sistema. Ci vivono bene. Credi di resuscitare il tempo morto. Ti capisco. Ma è
inutile. Sembri come certi anarchici che sulle mura scrostate delle caserme
dismesse ormai bocconcini per gli speculatori edilizi che ne faranno capannoni,
case, uffici si ostinano a scrivere come se niente fosse: “Diserta, Sissignore”.
Appelli alla rivoluzione e alla diserzione rivolti a un esercito inesistente, a
battaglioni di soldati di leva dissolti nelle nebbie del tempo, provocazione
verso un potere morto che oggi è altro ed è altrove. Sei un romantico malato,
un visionario che si è perso nelle sue congetture, uno che vive sui ricordi
malati e attraverso essi. Non sono i morti o le rivoluzioni inesistenti o
sognate che hanno il potere di mutare la storia.
I
due si studiano. Sergio prende in mano le due candele, le solleva, fa con esse
un cerchio. Poi le posa e sospira.
-
Sergio: La questione è questa. Io vivo in una
illusione morta, tu anche. Dove sono le rivoluzioni. Scusa mi correggo. Avete
portato tre milioni di persone in piazza, a Roma, in Italia. Tutte contro la
guerra, questa nuova guerra Anglo-Americana per il petrolio. Tutte per dire no
alla distruzione dell’Iraq. Eppure la guerra è arrivata, sta già mettendo su
nuovi cimiteri, creando macerie che si sommano a quelle del 1991. Dove siete
arrivati? A rendervi ridicoli! Non meno del sottoscritto che crede di
resuscitare i morti voi pensate di fermare le multinazionali della guerra con
le prediche, le marce per la pace, le belle parole, i proclami. Ritirate e fate
ritirare tutti i vostri soldi dalle banche. Vediamo quanto dura il sistema con
il 20% o il 30% in meno di risparmiatori che dicono basta. Ma no. Questo non si
fa. Non si va fino in fondo, anche perché così senza banche, senza finanzieri,
senza amici coi soldi non si fanno le elezioni e non si mettono in piedi turbe
di sciagurati pronti a votare per qualsiasi cretino che vedono in televisione o
sui manifesti. Il popolastro che vota per i rossi e per i bianchi si è sfogato,
ha ballato, ha detto due o tre idiozie, fino a un certo punto ci ha provato e
poi. E poi la guerra arriva perché è una macchina di morte superiore a
qualsiasi sciopero o scontro sociale. E’ la prova suprema delle civiltà, a suo
modo è una manifestazione divina, forse l’unica rimasta.
-
Lazzaro:
Efficace apologia di se stessi. Ma che
devo fare. Da solo affrontare un mare di sangue e merda. Fermare i missili da
un milione di dollari cadauno? Resuscitare migliaia di donne, vecchi e bambini
fatti a pezzi e ascritti dalle televisioni sotto la voce “effetti Collaterali”?
Quelli come me o simili, o solo vicini in quel caso hanno fatto quel che
potevano. Questi sono i mezzi e poi si è visto a Genova che capita quando la
protesta è un poco più dura. Ci scappa il morto! Così siamo stretti fra due
estremi: provocare una reazione violenta e armata o protestare sapendo di non
arrivare a nulla. Quello che provo a fare è di crear attività, azione, gruppo,
volontà attiva e provare a far qualcosa. Forzare le regole, costringere il
potere a rivelarsi, dare qualche prospettiva politica magari minima, lavorare
sul sociale; forse è poco ma è ciò che oggi è possibile. Le illusioni le lascio
a chi ama i cadaveri. A chi sogna le rivoluzioni impossibili siano esse nere,
rosse o a pallini.
-
Sergio: La verità esce fuori. Siamo due illusi. Io
onirico e tu pragmatico e politico. Ma oggi siamo due perdenti. La guerra nuova
per l’Iraq dimostra quanto siamo entrambi inutili e forse folli.
-
Lazzaro:
C’è metodo nella follia, e quando la
follia è senza metodo è una follia che non interessa al sottoscritto. Tutti son bravi a far i pazzi in politica,
pochi ad esserlo davvero.
Sergio
fa delle figure in aria con le candele, Lazzaro è distaccato, per nulla
impressionato
-
Sergio: La tua follia è il credere di potercela
fare, di arrivarci, di stanare il grande potere della finanza globale, di mettere
in catene i grandi poteri del mondo. Non funziona così. Tu sei pazzo e io
anche. Ma sono follie diverse. Io vado fino in fondo al mio delirio, tu ti
fermi sulla soglia dell’assoluto. Immobile davanti alla sala del ridicolo o
peggio del cadaverico. Il mio è egoismo che si fa scena, spettacolo, mito da
camera e da salotto. Il tuo egoismo è più ridicolo del mio perché pretende di
rendere migliore un mondo umano che ha già trovato la sua strada funesta, la
sua via di fuga verso nuovi massacri globali.
-
Lazzaro:
Sì. Ci credo. Posso farcela. Non oggi.
Non da solo. Non alla luce di un disastro politico così grande e sciagurato
come una nuova Guerra del Golfo. Ci vuole un secolo, forse due. Chissà.
Comunque nel mentre c’è da portar avanti dei piccoli interessi qui nella
facoltà, nell’università, in città, forse in provincia e in regione. Il grande
momento della politica deve incontrare il quotidiano, il banale, la pubblica
amministrazione. Occorre lavorarci, crederci, creare consenso, aggregazione.
Intanto vado avanti. Più o meno come te. Ma in modo diverso. Con più
democrazia, con più stile, con in mano qualcosa da esibire. Forse in questo
agire c’è una grande vanità: pensare di contare qualcosa quando si è in tanti.
Ma cosa posso fare. Fingere? Mettere al sicuro la cassa come i tesorieri dei
vecchi partiti politici della prima Repubblica e poi ripulirmi sotto nuove
insegne? Non sono così e non ho quel passato. Non posso essere ciò che non
sono. E infatti non lo sono. Non è una questione morale o civile, o un punto di
vista etico. Si tratta una pura e semplice questione di ceto sociale, di fascia
di reddito, di tenore di vita, di frequentazioni a livello di famiglia, di
possibilità, di opportunità. Chi si è fatto ricco nella Prima Repubblica o è un
ladro, o un ricettatore, o uno che ha preso il biglietto giusto della lotteria.
Io sono un piccolo estremista che spera, lavora, sogna. Un piccolo esaltato che
crede di forzare le regole non scritte di una società decadente e senescente
incanaglita nel suo essere pura degenerazione sociale. Lo faccio per te e lo
faccio per milioni di altri come me. Esigo quindi il tuo rispetto.
-
Sergio: Esso c’è. Sono qui anche per esso.
Ma non chiedermi di approvare i tuoi rifermenti o i tuoi mezzi. Dico questo,
qui, fra noi, in confidenza: Il fuoco si spezza col fuoco, la notte con la
notte, il male con il male, la morte con la morte, l’osceno con qualcosa di ancora
più osceno. Non si sfugge alla natura intima del pianeta azzurro e alla sua
lotta per la vita, chi nega la natura perverte se stesso e la sua visione del
mondo. Tu neghi nei fatti la forma di una democrazia inesistente e nello steso
tempo cerchi di renderla reale presentando nuove regole e chiedendo il rispetto
di leggi mai applicate, mai capite, mai volute da chi ha il vero potere. Tu sei
scisso fra come le cose dovrebbero essere e come in realtà sono davvero e non
potranno mai essere. Il vero potere è dei pochi apolidi e miliardari sui molti
che sono miserabili, arrivisti, tapini, poveri. Da una parte c’è la legge dei
pochi e dall’altra i molti. La Patria è sempre dalla parte dei molti contro i
pochi.
|
|
18 febbraio 2011
Il Belpaese e la scuola: Dewey o l'opera dello straniero
Le Tavole delle colpe di Madduwatta
IL
BELPAESE E LA SCUOLA
Le
vicende della scuola italiana non sembrano interessare alle sedicenti classi dirigenti; si può dire che
essa non è fra le priorità delle minoranze al potere. Così colgo l’occasione
per una riflessione su un filosofo statunitense che si è occupato di pedagogia
a livello alto e inizierò prendendo un citazione dalla voce che lo riguarda
presente su Wikipedia.
John Dewey (Burlington, 20
ottobre 1859 – New
York, 1º
giugno 1952) è stato un filosofo e pedagogista statunitense. È stato anche scrittore e professore universitario. Ha esercitato una
profonda influenza sulla cultura, sul costume politico e sui sistemi educativi
del proprio paese. Intervenne su questioni politiche, sociali, etiche, come il
voto alle donne e sulla delicata questione dell'ingiusta condanna degli
anarchici Sacco e Vanzetti (…)
(…) Per Dewey, una persona per partecipare ad una
Democrazia deve avere questi quattro requisiti:
- alfabetizzazione:
secondo l'autore il saper leggere e scrivere poteva fornire le stesse
possibilità anche alle classi meno abbienti.
- competenze
culturali e sociali le quali portano ad un maggior interesse per la vita
pubblica
- pensiero
indipendente, requisito fondamentale della democrazia che non può vivere
con un pensiero unico (indottrinamento)
- predisposizione
a condividere con gli altri
Per questi motivi, l'Educazione ha un ruolo
preponderante nella creazione della società democratica.
Il legame
fra democrazia e pubblica istruzione è strettissimo. In questi ultimi trent’anni
le cose hanno preso una piega diversa da quella auspicata dal filosofo. L’America
Statunitense è diventata l’impero economico e militare più grande del mondo, la
dimensione economica del sistema capitalista ha divorato il sistema della
pubblica istruzione negli USA come in tanta parte del mondo umano, il pensiero
unico esiste ma è un culto del Dio-denaro che si maschera da modalità banali e
ordinarie del vivere, la natura filantropica e benevola dell’essere umano è
travolta da un mondo umano permeato da lotte economiche, religiose,
pseudo-ideologiche, para-razziste talvolta sanguinarie e brutali, l’interesse
per la vita pubblica non è altruistico ma legato all’egoismo sociale ed economico
al punto che la cosa appare talvolta imbarazzante a chi segue la politica per
diletto o per professione. Questi mali che son ben presenti nel Belpaese sono
condivisi da tanta parte delle genti del
pianeta per il semplice motivo che i processi di globalizzazione hanno
uniformato i problemi ma non hanno risolto i gravi mali che affliggono
l’umanità e il Pianeta Azzurro al tempo della civiltà industriale. Si è formato
l’impero egemone ossia quello USA e alcuni imperi minori ora complici ora rivali
del gigante stellato. Tuttavia occorre mettere un trave per distanziare gli
ideali di una civiltà che possono essere puri e nobili dalla concreta attività
dei potentati finanziari, politici e
militari che esprime e che dà la forma concreta e storicamente viva alla
stessa. La differenza fra la dimensione ideale e quella concreta e pragmatica
può essere immensa, e il filosofo educatore Dewey rappresenta bene questa
distanza fra reale e ideale. Del resto L’Impero USA come lo conosciamo si forma
nel febbraio del 1945 a Yalta, con la spartizione del mondo a tre: una pezzo
del mondo all’Impero Inglese, una fetta enorme della terre Euroasiatiche a
Stalin, e il resto sotto influenza militare, politica ed economica dell’Impero
USA. Potenze imperiali quindi, ecco la regola a partire dal 1945. Dopo una
tragedia della civiltà Europea come le
due guerre mondiali la cosa era forse inevitabile. Ora proprio la natura imperiale dei poteri
finanziari, spionistici e militari, e in misura minore politici, crea un grave
problema al modello di scuola tesa alla democrazia come emerge dalla concezione
del filosofo Dewey. Un modello imperiale è sempre aggressivo e deve avere dei
dogmi, delle certezze indiscutibili, dei CREDO di ferro da far entrare a forza
nella testa della gente. Che sia il culto della bandiera, la lode acritica del
proprio stile di vita, la devozione verso lo Stato o l’amore egoistico e chiuso
al diverso per le proprie origini, o l’elogio acritico di una qualche ideologia
o forma di dominazione culturale o militare che si esercita verso i vinti e i
succubi non cambia il senso della cosa. La pubblica istruzione ha difficoltà a
trasformarsi in forme di persuasione imperiale in modo più o meno blando.
Quindi è ovvio che essa sia trascurata nei bilanci degli Stati Democratici che
aspirano a diventare potenze imperiali. La scuola pubblica ha di solito un
impatto persuasivo di minor influenza rispetto alla propaganda militare o alla pura
e semplice pubblicità commerciale, a meno che non sia tutta dedicata a questo
scopo come negli Stati Totalitari del Novecento. In qualche modo l’esigenza di
trasmettere conoscenze, saperi, educazione finisce con il salvare la scuola,
apre anche nella disgrazia della persuasione che cala dall’alto la possibilità
di uno spiraglio di libertà e di libero pensiero in colui che viene educato.
Questo miracolo di una sottile striscia di autonomia dell’insegnamento che
corre fra esseri umani è una singolarità della trasmissione umana del sapere.
Gli esseri umani per natura non ripetono sempre
i loro atti come sembrano fare le api o le formiche ma alterano e
differenziano la loro vita e i loro saperi sulla base di letture del mondo
umano o naturale e della necessità. L’evidenza
che la ricezione dell’educazione e della formazione tende a variare da individuo a individuo, da docente
a docente, da allievo ad allievo è un segnale dell’autonomia dell’insegnamento
rispetto alle esigenze di poteri imperiali o comunque egemoni i quali se retti
da soggetti forti e consapevoli tendono a forzare la natura umana inerente alla
trasmissione di saperi e dell’educazione.
Per questo anche se gli imperi si dicono oggi aperti al mercato e talvolta
perfino democratici, per questo anche se gli eserciti formati da professionisti
tecnologici impregnati di buoni sentimenti, per questo anche se la finanza si
sforza di darsi una patina di rispettabilità finanziano attività culturali e
umanitarie, per questo anche se la pubblicità commerciale si sforza di
ostentare decaloghi deontologici è bene avere in somma diffidenza ogni forma
d’intromissione nel settore della scuola.
In fondo
cosa è la libertà oggi se non il proprio conoscere e determinare se stessi a
partire da una riflessione sul mondo umano e naturale che risulterebbe impossibile
senza il possesso di strumenti propri per orientarsi fra le mille illusioni,
paure, sensazioni, suggestioni di questo tempo. Mi rendo conto che proprio questa libertà di pensiero può
risultare scomoda ed essere rifiutata dai soggetti umani, essere se stessi è
fatica; credere ai persuasori imperiali è, invece, molto comodo; tuttavia è proprio
il fingere di credere ai miti imperiali per maturare un proprio interesse una cosa
comune nel Belpaese e a suo modo è forma di vita e tradizione inconfessata
delle minoranze al potere.
|
|
|
|
|
|