25 agosto 2010
Questo mio ritorno è finito
De
Reditu Suo - Terzo Libro
Questo
mio ritorno è finito
Devo chiudere il mio
scritto sul ritorno perché questo mio viaggio
nel passato, nei luoghi immaginari e nei simboli deve concludersi,
inoltre è doveroso ringraziare la
pazienza e la curiosità dei miei lettori. Il mio ritorno è stato immobile e,
cinicamente, con poche speranze e povero di poesia. Quindi un ritorno diverso
da quello che ha fatto Namaziano l’autore antico al quale è simbolicamente
dedicata questa mia raccolta di scritti. Il viaggio del poeta antico è stato
una cosa ai confini dell’avventura in un Impero Romano d’Occidente allo sfascio,
percorso dalle orde dei goti, in piena crisi economica e religiosa e con un
vertice politico-militare vile e inetto e il suo poema è il racconto di un
presente dove le miserie quotidiane si sommavano al ricordo di tempi lontani
gloriosi e felici. Un viaggio concretissimo il suo nella memoria e nello spazio
lasciandosi alle spalle probabilmente
per sempre la patria della maturità e degli onori ossia la Roma dei Cesari per
la patria delle origini: la Gallia. Il problema che ho indagato nel mio ritorno
è se è possibile districarsi nel groviglio assurdo di invenzioni, illusioni,
falsi eroi, simboli truffaldini per aprire la mente alla possibilità di una
visione credibile intorno a una futura civiltà italiana, oggi remota chimera.
Del resto oggi si continua a narrare con mille mezzi e mille modi la favola del nostro esser parte di una
misteriosa civiltà Occidentale e non so proprio come potrà affermarsi una civiltà
originale creata dalle genti del Belpaese, di cui forse c’è bisogno nel mondo
umano vista la gravità della crisi di questi anni. Personalmente riconosco un
solo impero occidentale degno di questa qualificazione geografica ed è quello
finito nel 476 D.C. Se i retori nostrani
dicono che Israele è occidente allora rispondo l’ultima sinagoga d’Europa è più
occidente dell’Arco di Tito a Roma, se mi dicono che la civiltà dello
spettacolo di matrice statunitense è
occidente allora i parchi a tema della Disney sono più occidente
dell’Università di Bologna, se mi dicono che l’inglese è la lingua
dell’Occidente allora l’ultimo telecronista sportivo londinese è più
occidentale di Dante. Potrei continuare per intere pagine ma mi fermo qui;
occorre riconoscere una diversità nostra non riconducibile al modello di vita e
di sviluppo dell’impero inglese e statunitense. Gli imperi non si possono
tenere con le preghiere e le belle parole e quindi chi vive in quella civiltà
ha una dimensione di forza e durezza che
non ci appartiene. L’occidente di cui si favoleggia nel Belpaese è solo l’impero
degli altri, nella misura in cui siamo parte dell’impero altrui allora siamo
occidentali nel senso comune del termine. Non sarebbe male poi distinguere e
sottolineare l’estraneità delle genti nostre agli effetti perversi di quel
modello: inquinamento planetario, guerre, alte spese militari, centralità del
potere finanziario, la cittadinanza ridotta a una questione di capacità di
produzione e consumo, pesante condizionamento delle masse ad opera della
pubblicità commerciale e della propaganda religiosa e politica. Le genti della
penisola potrebbero creare qualcosa di originale e diverso ma esse dovrebbero
per prima cosa prendere coscienza di sé, sapere chi sono e di conseguenza saper
distinguere se stesse da ciò che non sono e non potranno mai essere: i
cittadini di quest’impero straniero. Impero che ha già i suoi valori e la sua cittadinanza e non
sembra aver bisogno di qualcosa di diverso.
IANA
per FuturoIeri
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