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29 settembre 2009
Eroi di un mondo morto per un Belpaese silente
La
valigia dei sogni e delle illusioni
Eroi
di un mondo morto per un Belpaese silente
E’
quasi un ritorno all’infanzia, una fuga nel trapassato remoto, uno sprofondare
in un tempo ormai fredda cenere di cose morte l’osservare di nuovo su Youtube o
leggere in pubblicazioni, o in libri di saggistica specifica qualcosa dei
vecchi eroi dei cartoni animati giapponesi del piccolo schermo dei tardi anni
settanta e primi anni ottanta. Non è un caso che una generazione intera si
riconosca in un passione per cose così lontane per grafica, storie, concetti,
disegni dai cartoni animati e
dai fumetti giapponesi prodotti e distribuiti attualmente. Eppure quelle storie
sono parte di un mondo finito da decenni, non è sbagliato vedere dei
riferimenti a una certa cultura antiautoritaria degli anni settanta nei cartoni
animati di Goldrake, Lady Oscar, Capitan Harlock. Ho citato, non a caso, tre
serie animate di successo che presentano due eroi maschi e una femmina spesso
in conflitto con l’ordine costituito, e in lotta per la libertà, e in
particolare quella altrui. Per dare qualche elemento concreto alle mie
affermazioni adesso farò riferimento a una serie non certo fra le mie favorite.
E’ disponibile dal 2008 una versione italiana per la D/Books del fumetto che ha
dato origine alla serie di Lady Oscar. Nel quarto volume di questa serie è
presente un’intervista all’autrice Rioko Ikeda la quale fra l’altro racconta:”…credo
che questo percorso interiore di Oscar sia un riflesso della mia esperienza
giovanile. Sono cresciuta al tempo della contestazione studentesca,
partecipandovi in quanto era impossibile studiare nelle università occupate.
Perciò, mentre non ho potuto godere di molta libertà nel raffigurare un
personaggio storico come Maria Antonietta, Oscar è diventata un po’ la
rappresentazione di me stessa e delle mie esperienze…A proposito, una
curiosità: Oscar ha 87 di seno, 63 di vita e 90 di fianchi. Erano le mie misure
al tempo!”. Queste affermazioni della Manganaka illustrano benissimo come il
fumetto, e non solo quello giapponese,
sia un riflesso di un certo periodo storico. Si tratta in fin dei conti
di un fatto d’arte, quando è arte e non un tirar via per far cassa, che è in grado
di rispecchiare le tensioni e le speranze di un periodo storico sia pure in una
sua logica commerciale, visiva e
narrativa specifica.
Quelle
passioni civili che si riflettevano nelle opere degli artisti giapponesi nella
banale e quotidiana realtà del Belpaese si sono spente da anni, alle istanze di
libertà e di scoperta dell’altro si sono sostituite quelle che reclamano
sicurezza a oltranza e spazi gerarchici certi. Del resto le produzioni
giapponesi di moda e maggiormente sostenute dal commercio di oggetti,
giocattoli e videogiochi sembrano aver perso spessore intellettuale a vantaggio
delle suggestioni degli effetti speciali, delle logiche da gioco di ruolo o da
videogioco, magari proprio quelli dove prima di finire il livello c’è da
spaccare di botte il mostro di turno. Il Belpaese è però silente da anni, morti Pazienza, Magnus e Bonvi non sembrano manifestarsi grandi maestri del fumetto italiano in
grado di rimettere assieme le passioni civili con l’arte; del resto quando
mandano in onda le vecchie serie giapponesi mi sembra di rivedere qualcosa
della mia infanzia: un mondo umano finito da anni, morto. Un telespettatore
italiano attento potrebbe addirittura leggere quelle puntate come una sorta di
documentario sull’animazione giapponese, e di conseguenza leggere non tanto il
proprio passato quanto quello altrui. Non Basterà cambiare i dirigenti politici
per uscire da queste tenebre, occorre un poco d’utopia, di libertà di pensiero,
di amor proprio che scivoli magari anche a piccole gocce nella testa della
maggior parte della popolazione della penisola.
IANA
per FuturoIeri
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29 giugno 2009
Ripensando ai miti perduti
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Ripensando
ai miti perduti
Penso
spesso ultimamente al remoto passato, agli anni della mia infanzia a cavallo
fra la seconda metà degli anni settanta e i primi anni ottanta.
Ripenso
a quella società lì, ormai defunta e sepolta nelle sue ragioni e nella sua
socialità e osservo una cosa fra le altre. Il mondo degli eroi del piccolo
schermo era già segnato profondamente, e per fortuna, dai cartoni animati
giapponesi. Si trattava di una massa informe di piccoli e grandi eroi sia che
fossero piloti di formula, pirati spaziali come capitan Harlock, ladri impuniti
come Lupin III, eroi come i piloti di Mazinga e Goldrake, Jeeg Robot, Daitarn.
Quello che è diverso oggi è la dimensione pervasiva della macchina
dell’intrattenimento, non si tratta più della vendita delle figurine Panini o
di qualche giocattolo in plastica, magari allora fatto a Taiwan, oggi è entrata
in gioco la macchina della realtà virtuale, per essere più precisi dei
videogiochi. In breve alla serie televisiva oggi s’accompagna il gioco di carte
collezionabili, il videogioco, l’oggetto costoso, il gadget, e talvolta il
fumetto giapponese tradotto. Nella mia infanzia questo accompagnamento di una
serie televisiva di successo non era così pervasivo e invadente, qui c’è qualcosa che va oltre il giocare con
degli oggetti in plastica che ricordano le cose viste nel piccolo schermo, il
videogioco di oggi porta direttamente sul piano dell’azione, il rapporto è con
la console e non con l’estro della fantasia. In altre parole avere la
possibilità di combattere ad esempio con il personaggio della serie dei
“Cavalieri dello Zodiaco” per mezzo di una console non comporta una
rielaborazione personale del tipo: prendo i giochi che servono, li uso, prendo
l’oggetto che rappresenta il
personaggio, m’invento la sua storia. Mi ricordo di aver ai miei tempi
creato delle vere e proprie storie con i soldatini della Seconda Guerra
Mondiale, delle specie di operazioni militari; di aver usato i pezzi del lego
per fare le battaglie le più strane o di aver fatto interagire i Playmobil con
il castello dei “Masters of the Universe”. Che non sono la stessa cosa. Questo
ricorrere al supporto del computer può
non essere necessariamente un male in questi tempi di terza rivoluzione
industriale, il rapporto fra essere umano e macchina e “intelligenza
artificiale” finisce con essere un dato banale, quotidiano. Quello che è
diverso è che l’eroe di una storia, più o meno moralmente pulito che sia, non è
più un eroe di un racconto ma un prodotto commerciale, una cosa che serve a
segnare i punti sul monitor della Playstation, una roba protetta dal Copyright.
I miei miti del tempo che fu erano “illusioni”della televisione di allora
mentre questi attuali sono, tendenzialmente, prodotti commerciali accompagnati
da un sapere del tutto nuovo di marketing per l’infanzia e l’adolescenza.
Gli
eroi oggi non fanno più gli eroi, e forse non è un caso che sistematicamente
certe vecchie serie di cartoni animati giapponesi, l’ultimo caso è quello della
fortunata serie di Yattamen nel marzo 2009,
siano diventati dei film.
Questa
Italia è proprio lontana dagli Dei e dagli Eroi, non è la sola purtroppo.
IANA
per FuturoIeri
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