|
2 febbraio 2012
Il regno della giustizia e il falò delle vanità

Il terzo libro
delle tavole
Viaggio
nell’Italia del remoto futuro
Il
regno della giustizia e il falò delle vanità
(
anticipazione da uno scritto ancora tutto da scrivere)
Il luogo dell’incontro era un piccolo locale vicino a un parco, una
specie di chiosco con i tavolini come si vedono in molte capitali d’Europa.
L’uomo era lì con i suoi capelli bianchi, ben lavato, cravatta e camicia
d’altri tempi, una cartellina in cuoio vecchia, forse con delle carte. Aveva
davanti a sé un bicchierino di bianco, un piattino rivelava che aveva mangiato
qualcosa, mi accomodai e ordinai altri due bicchieri di quella roba. Rodolfo Brandimarte era estremamente cordiale
quasi familiare, dopo il secondo bicchierino di bianco il vecchio bibliotecario
mi chiese di Berlino e del Museumsinsel; conosceva il sistema museale della
capitale e di sicuro aveva visitato la città. Mi apprestavo a fare delle
domande su cosa era successo durante i primi giorni di apertura del Processo
Nazionale contro i vinti della Guerra Xeno, quando ormai in animo di far
confidenze tirò fuori dalla tasca un oggetto dall’apparenza un po’ ripugnante,
un oggetto circolare schiacciato, rovinato. Era una medaglia, una vecchia
medaglia bruciata e graffiata. Mi raccontò una storia accaduta allora, non
lontano da questo parco; dove un tempo era stato costruito il Palazzo nuovo del
tribunale. Era la triste storia del commendator Pasquali, che fu linciato dalla
folla subito dopo l’entrata in città degli Xeno; ma Rodolfo mi rivelava dei
particolari di cui era a conoscenza. Mi ricordo quel che disse e inoltre presi anche
qualche appunto, così parlò:
La distruzione del grande
palazzo del tribunale avvenne nella Terza Guerra Mondiale durante le prime fasi
dell’attacco Xeno che spianarono con le bombe a pressione il quartiere e le
piste per gli aerei poco lontane da quel punto. Quell’edificio era un pessimo
edificio, presuntuoso, brutto, inquietante; sembrava uscito da un videogioco
degli anni Novanta dell’altro secolo o da un film di supereroi statunitensi. A ricostruire
qualcosa di serio ci pensò il regime presente che ha in sorte di essere vincolato
ai nuovi protettori alieni venuti da Andromeda.Sotto il regime dei raccomandati
e dei servi sciocchi controllato dai popoli dell’Atlantico le questioni di
giustizia erano affidate a complicati meccanismi burocratici dove dei tristi
personaggi pagati con i soldi pubblici e dei privati pagati dalle parti in
causa e ambigui amici degli amici creavano degli atti denominati sentenze e
tali atti burocratici stabilivano chi aveva ragione e chi torto, le sanzioni,
le punizioni, la detenzione in centri carcerari o di cura psichica, o l’innesto
di meccanismi di rilevamento sul corpo.Si trattava aldilà delle apparenze e dei
proclami roboanti della propaganda di guerra delle genti asservite ai poteri di
Atlantide di un clamoroso impasto fra migliaia di procedure burocratiche,
opportunismo, desiderio di potere e carriera di alcuni singoli, corruzione
sfacciata, aspettativa di mance e
dazioni, minacce da parte di organizzazioni criminali e terroristiche. Poi il
sistema venne distrutto dalla Guerra Grossa, le armate di Atlantide furono
scacciate dal Vecchio Mondo e gli schiavi e i servi dei loro governatori,
delegati e generali che avevano posto al potere vennero processati, ma spesso messi davanti ai loro delitti e giustiziati sommariamente
dalle stesse popolazioni che avevano subito i loro oltraggi, le loro violenze e
le infami rapine di beni e di ricchezze naturali. Ma la storia che le voglio
raccontare oggi è diversa, è quella del commendator Pasquali Luciano, non so da
dove venisse; viveva in un appartamento ben arredato in un palazzo oggi
scomparso, forse era un giudice, forse un avvocato, forse un amico degli amici;
non so ma era conosciuto come uno di quelli che ci credeva davvero, che voleva
quel sistema, che ci aveva lucrato sopra e aveva ottenuto onori e soldi. Quando
la città fu assediata e i suoi amici persero il controllo delle colline e dei
territori limitrofi alla periferia, il commendatore si chiuse in casa; lo
videro rovistare in cantina incurante dei bombardamenti e delle sirene
d’allarme, qualcuno dei vicini lo invitò più volte a scappare, ci fu chi cercò
di fermarlo per dirgli che in fondo forse per lui era il caso d’andarsene dal
momento che qualche strada restava aperta, non aveva senso unire alla sconfitta
della sua causa anche la perdita della vita. Ma il commendatore andava dalla
cantina alla casa, dalla casa alla cantina con grosse scatole e carte
d’ufficio, pareva pazzo; qualche volta lo videro rovistare fa le rovine del
Palazzo per cercare qualche frammento della mobilia degli uffici. Così questa
cosa fu notata, e qualcuno pensò bene di far la spia, di mandare l’avviso ai
primi miliziani filo-xenoi entrati da poco in città. Forse volevano la sua morte per
entrare in casa e metterla a sacco, in tanti si presero delle libertà con la
roba altrui in quei giorni. Alla fine salirono le scale una dozzina fra
miliziani e guerriglieri e qualche entusiasta dell’ultima ora, metà di loro non
aveva né armi e neppure una divisa o un distintivo o una fascia al braccio, la
porta fu sfondata con un paio di proiettili e presa a calci, andò giù fra grida
e urli. Lo spettacolo che si presentò fu qualcosa di assurdo, i mobili erano
accatastati alle pareti, in quello che era il salotto c’era una specie di
tenda, come un grosso telo che copriva il pavimento, fatto da più teli malamente cuciti e tenuti
insieme. Il capo dei miliziani era uno che aveva fatto mesi di guerriglia,
rimase stupito ma capì che era una sorta di tenda, una tenda messa nel salotto
di casa. Chiamò fra il gruppo uno di cui si fidava e entrò dentro con la
pistola in mano e il coltello nell’altra, il commendatore era rannicchiato come
un bambino al centro della tenda, si era circondato delle cose della sua vita,
della sua carriera, aveva creato un mondo di oggetti piccoli e grandi che
ricordavano la sua carriera, il mondo come era stato prima. C’era perfino un
vecchio computer della Apple, fotografie, diplomi e certificazioni,
una foto del figlio morto in guerra, un vestito da avvocato, il codice civile e
quello penale. Ormai era un povero pazzo che viveva nei ricordi di un tempo
morto. Il vecchio guerrigliero era sinceramente addolorato in quanto la scena era patetica e miserabile nello
stesso tempo, ma ormai si era spinto troppo in là e fu costretto dalla
situazione a prenderlo a forza, a farlo tirar fuori per i capelli, a stordirlo
a suon di bastonate. Presero la tenda, ne fecero in sacco e presero il
commendatore dolorante trascinandolo per le scale, poco più avanti c’era una
piazzetta, un tempo era stata un parcheggio o qualcosa del genere. La tenda fu
rovesciata nel mezzo della piazza e tutta la roba cadde rovinosamente, una
piccola folla guardò stupita la scena e molti cominciarono a ridere, era una
risata di liberazione, il mondo di prima era morto e quella roba rovesciata per
terra ne era la rappresentazione simbolica. La folla sembrava una sola maschera
di cattiveria e crudeltà, volevano vederlo a pezzi, fracassato, uno che doveva
pagare per tutti, poco importava se era ormai un relitto umano, un povero scemo.
Qualcuno fra la folla gridò: bruciamo
tutto! Che vada a fuoco il ricordo di questi anni odiosi, criminali e
criminogeni!
Lo stesso capo dei guerriglieri era
sorpreso, aveva dodici elementi di cui forse solo sei o sette armati ma davanti
a lui si era radunata una folla di cento persone, alcune erano armate, con lo sfascio delle polizie locali e delle forze armate migliaia di
armi vecchie e nuove erano state prese dai privati per la propria difesa
personale, era a disagio. Forse fu per
paura che presentò alla gente riunita il commendatore dolorante e sporco. Tenne
un breve discorso nel quale disse che era finita, che ciò che era stato prima
aveva cessato d’esistere; quelli che avevano retto il regime erano andati in
rotta, fuggiti come sorci davanti ai potenti Xenoi e alle loro armi e non
sarebbero tornati e avevano lasciato i loro servi sciocchi e i loro schiavi in
preda alla furia di coloro che avevano derubato, oppresso e vessato con mille
crimini. Ora era necessario vedere i simboli e le cose del passato, quel passato
era morto, occorre capire per dimenticare. Qualcuno gridò che si doveva dar
fuoco a ogni cosa, alcuni fra la folla erano diventati come pazzi, esaltati,
c’era chi furente aveva la bava alla bocca, alla fina qualcuno si avvicinò e
diede fuoco. Il commendatore cercò di avvicinarsi, sembrava un diavolo, con le
ultime forze cercò di avvicinarsi agli oggetti di famiglia, alle foto. Fu la
folla e non i miliziani a prenderlo per
le gambe a trascinarlo via e a pestarlo
con durezza, gli ruppero le mani, c’è chi dice a morsi per rubare la fede
nuziale. Alla fine uno dei guerriglieri lo rovesciò a calci e lo mise supino.
Allora videro una vecchia fascia, un oggetto che in passato avevano sindaci e
assessori, ma questa era piena di patacche e medaglie, roba di tutti i tipi
anche di società sportive e di circoli ricreativi. Era il suo ultimo tesoro e
lo aveva stretto intorno alla pancia. Fu ammazzato a calci, bastonate e
manganellate mentre stringeva con le sue mani rotte il suo tesoro,
l’ultimo frammento del mondo nel quale era vissuto ed aveva prosperato. Se lo era legato alla pancia e fermato nella carne con degli spilli. Uno
della folla prese la fascia e staccò le medagliette e una per volta le lanciò
alla folla, souvenir del linciaggio gratuitamente distribuiti a tutti i
partecipanti. Molti le presero e le gettarono nel fuoco, un segno di abiura del
passato. Poi uno alla volta andarono via da quel posto, e dopo arrivarono i
salariati pagati dalla giunta che ripulivano le macerie e portavano via i morti,
caricarono il corpo rotto simile a un maiale scannato, presero la robaccia
bruciata, si tennero per sè qualcosa che pensavano di valore sfuggito alla folla. Uno
di loro era un mio conoscente e mi regalò questa cosa, un delle medaglie del
commendatore finita nel fuoco, credo sia di una qualche associazione sportiva probabilmente sciolta da decenni.
Rodolfo Brandimarte finì la storia e tirò giù tutto il vino, con calma
riprese il filo del discorso e mi disse che la vicenda poteva sembrar strana a
uno studioso figlio della Germania, ma era necessario capire la storia di
queste terre sempre dominate dai forestieri, da piccoli tiranni, generali e despoti domestici e demagoghi corrotti e corruttori alzati al
potere da eserciti stranieri e da poteri finanziari che non sanno neppure
offendere nella comune lingua. Il dominio forestiero e il servo locale
asservito agli stranieri avevano reso le popolazioni piene di odio e di
rancore, un rancore che non sapeva esprimersi politicamente o militarmente
finchè gli Xenoi e la loro guerra non hanno risolto la questione armando una parte
della popolazione e sollevando sotto le loro insegne milioni di malcontenti e
dissidenti. Questo fatto storico è a mio avviso in continuità con la
storia del Belpaese, quante volte una calata di eserciti o di barbari in armi
aveva distrutto imperi o regni secolari con il seguito di vendette, saccheggi,
stragi, violenze private, sostituzione di podestà e di governatori,locali e
perfino di leggi e consuetudini. I popoli della penisola erano di fatto il
frutto di sedimentazioni di popoli stranieri, d’invasori, di leggi e costumi esito
di guerre e invasioni e ad ogni calamità seguivano le abiure collettive di fedi
di fazione, politiche e religiose.Quanti episodi di pestaggio e omicidio
collettivo si sono avuti in queste terre a causa del passaggio di eserciti
forestieri o del cambio di regimi corrotti e dispotici dall’inizio della storia
è incalcolabile. Chiesi se era possibile fare due passi e lui si offrì di
raccontarmi la storia del quartiere in quei giorni di transizione dal vecchio
al nuovo mostrandomi i luoghi e cosa era rimasto del passato, curiosamente
volle pagare lui il conto. La giornata era bella, l’aria pulita e fresca.
|
|
23 novembre 2011
Le tavole delle Colpe di Madduwatta: Dominati e dominanti nel Belpaese

Una storia antica si ripete, il padrone straniero batte un colpo e il Belpaese risponde,talvolta a modo suo. Il 2 maggio 1945 le forze armate della Wermacht che Hitler aveva collocato nella Penisola si arresero alle forze armate alleate, inizia sotto il presidente statunitense Truman la pagina dell'Italia colonia culturale, economica, morale e civile degli Stati Uniti; e tanto per non sbagliare di lì a breve portaerei di terra per gli aerei da guerra a stelle e strisce sul mediterraneo infestato da terroristi e agenti comunisti. Le forze che si opponevano a questo erano le solite forze d'opposizione italiane ossia divise su tutto e settarie e destinate a restare sempre fuori dalle stanze che contano e dove si decide qualcosa. In particolare i Comunisti italiani erano la principale opposizione all'egemonia statunitense sulla penisola e avevano un peso politico e sociale ma mai sono andati al potere con le bandiere rosse al vento e le insegne della falce e martello stampate sopra. Alcuni ex comunisti pentiti dopo mezzo secolo e sotto le insegne di un riformismo laburista in salsa italiana e con un ex democristiano come premier il professor Prodi sono arrivati a prendere alcuni ministeri. Fine. Per il resto si tratta di una storia antica già nota tante volte scritta; il presidente Truman si aggiunge alla lunga schiera di dominatori e padroni forestieri quali Teodorico, Alboino, Carlo Magno, l'Imperatore Barbarossa, Federico II, Francesco I, Carlo V, Napoleone, Francesco Giuseppe, Vittorio Emanuele II. Tutti questi personaggi sono fondatori di periodi più o meno intensi di dominio straniero sulle terre e i beni delle genti difformi della Penisola, il Savoia non si salva dalla lista sommaria qui esposta perchè la Repubblica ha abiurato con la sua fondazione il passato monarchico e autoritario del fu Regno d'Italia. Quindi anche quel periodo diventa per forza di cose dominio straniero. Oggi il dominio Statunitense in Italia è in crisi e a mio avviso il presidente del consiglio appena deposto dal parlamento italiano ha pagato questo passaggio, o forse dovrei scrivere per questo cambiamento di pagina. Per far capire cosa intendo osservo che il mito americano si va dissolvendo, gli anni dove si poteva fare un manifesto politico ricopiandolo dalla pubblicità commerciale sono morti, sono morti anche gli anni ottanta del denaro facile del mito reganiano in politica, del neo liberismo rimane solo l'incubo della povertà per milioni di piccoli borghesi e l'arrocco dei privilegi e delle impunità da parte di piccolissime minoranze di miliardari e di superburocrati. Piccole minoranze di straricchi disposti a tutto pur di comprarsi politica e nazioni al riparo dallo strapotere delle multinazionali e dei diversi complessi militar-industriali legati alle potenze imperiali. Il mito umano e metafisico di Berlusconi apparteneva a una parte del Belpaese che credeva in una versione ridotta e stracciona del sogno made in USA, per milioni di elettori era il fondatore di una dinastia imprenditoriale e politica che ricordava la telenovela di Dallas, la serie con il mitico e cattivissimo J.R. Il cavalier nero era per milioni di elettori l'uomo milanese che aveva creato da sè una grande dinastia familiare proprio come quelle delle telenovele made in USA. Quest'uomo anche per i suoi scandali sessuali, giudiziari, politici, privati, per milioni d'italiani fu d'esempio e occasione d'invidia e di approvazione aperta o tacita. Il potentissimo Berlusconi era la biografia di tanta parte del Belpaese; e questo prima di venir eletto. Quel tempo è finito e frequentemente sulla rete o in televisione si sente il rombo degli aerei da bombardamento della NATO e statunitensi nel Mediterraneo e nel lontano oriente. Infatti le prime mosse del cosidetto governo tecnico sono superpolitiche e di allineamento alla politica estera di Stati Uniti e ex Impero Inglese guarda caso proprio sull'Iran paese che fa buoni affari con cinesi e russi e perfino con gli italiani e che è messo sotto pressione e minacciato di aggressione militare da parte di Israele, USA e da ciò che resta del fu Impero Inglese. Solitamente Berlusconi aveva buoni rapporti con i leader russi e cinesi, a mio avviso questo era un motivo in più per tanti partigiani e tifosi della causa statunitense in Italia per invitarlo a lasciare la Presidenza del Consiglio. Il tempo di Berlusconi è finito quando sono morti per milioni d'italiani i suoi sogni propagandistici da pubblicità commerciale e il suo mito americano di quarta mano. Spero che la sua uscita si porti dietro chi ha creduto in queste cose pessime e funeste, aggiungo che se ci sarà un Italia sarà fondata sull'ennesima abiura dei popoli della Penisola verso un passato ritenuto indecoroso, quel passato è questo presente.
IANA
http://it.wikipedia.org/wiki/Dallas_(serie_televisiva) http://it.wikipedia.org/wiki/Larry_Hagman http://www.lettera43.it/attualita/32040/la-russia-inaccettabili-le-sanzioni-usa-all-iran.htm http://www.notiziarioitaliano.it/index.php/mondo/82706-programma-nucleare-sanzioni-all-iran http://anpi-lissone.over-blog.com/article-19147943.html http://www.iran.it/
|
|
23 novembre 2011
Terzo libro delle tavole di Madduwatta: L'eredità di una Grande Guerra
Il comune buonsenso vede un mistero nelle origini del fascismo, in realtà se si colloca la questione della sua presa del potere fra il 1919 e il 1922 si capisce quanto in profondità la Grande Guerra avesse devastato la società italiana e dissolto molti legami civili e morali che la tenevano assieme. In generale mi sento di scrivere che la guerra tende a non esaurirsi con il fatto militare o con i trattati di pace ma al contrario essa influisce sul futuro di quanti vi hanno preso parte e se è totale ne rovescia la vita e dissolve il senso delle cose. La guerra distrugge e crea la realtà che dovrà esser chiamta a ricostruire, essa è un processo dinamico con aspetti fortemente creativi e tende a operare enormi distruzioni fisiche e materiali e anche psicologiche e culturali. Oggi le sedicenti democrazie vanno in guerra con popoli poveri e stranieri, la stessa democrazia dovrebbe istigare i reggitori del potere finanziario e politico a più miti consigli, linvece c'è una certa sottomissione nella pubblica opinione; l'esperto, il demagogo televisivo, il sofista corruttore della carta stampata lodano e giustificano i nuovi conflitti come se fossero partite di calcio fra "impiegati scapoli contro quelli ammogliati"o cose della pallavolo femminile. Manca ai media il senso della responsabilità e alle società private che aiutano i servizi segreti a far passare nella pubblica opinione una certa idea del nemico di turno il senso profondo di ciò che fanno e di quanta violenza irrazionale immettono nelle popolazioni che compongono le sedicenti odierne democrazie. Forse in fondo finanzieri, politici a pagamento, opinionisti, scellerati, sofisti televisivi, banchieri amorali e masse di elettori corruttibili e cattivi desiderano la fine delle libertà di tutti per mezzo di un grande disastro militare, non riescono a confessarlo neanche a loro stessi, ma di questo si tratta; è l'urlo che viene dal profondo della loro psiche. La guerra è una pericolosa avventura, l'inizio è certo, la fine mai. In troppi nel profondo desiderano la guerra totale, quella guerra definitiva che distrugge il loro mondo e queste "democrazie all'Occidentale" ormai composte da masse elettorali di umani scellerati, imbelli, dissoluti e corrotti e plagiati dalla pubblicità commerciale fin dall'infanzia.
L’eredità
della guerra a Firenze
Il linguaggio politico italiano dei primi anni del dopoguerra rimase pervaso
dall’odio e dalla violenza.
La propaganda
di guerra
aveva portato nel discorso pubblico e politico
le categorie di amico e di nemico, la criminalizzazione dell’avversario
politico e il disprezzo dei miti e
simboli altrui.
Nei primi anni del dopoguerra, le forze socialiste ed operaie in Italia costruirono
un loro universo simbolico derivato dalle sofferenze e dai lutti generati dal
conflitto mondiale. Era un universo
fondato su un antagonismo feroce nei confronti del tentativo della classe
dirigente della penisola di costruire un mito pubblico della guerra volto a
celebrare la Nazione e la “Nuova Italia” uscita vittoriosa dal conflitto. Le forze di sinistra indicarono senza appello
le responsabilità delle sofferenze e la borghesia era da loro additata alla
riprovazione universale per i lutti, le privazioni, e i disastri provocati con
la guerra. Il 5 dicembre 1918 le associazioni
e le forze politiche socialiste dirette al Parterre, nella piazza che era stata
teatro della manifestazione solenne del 1916 per il genetliaco del re, in
corteo per commemorare i “morti proletari in guerra” furono oggetto di una
pesante provocazione. “La Nazione” e “Il Nuovo Giornale” il 6 dicembre
scrissero di questo incidente nella cronaca, affermando che i manifestanti furono fermati
da gruppi organizzati di studenti, reduci e mutilati, i quali mentre parlava
l’On. Pescetti provocarono gravi incidenti facendo fallire la manifestazione. I
quotidiani sottolinearono che gli aggressori s’allontanarono cantando a tutto
fiato l’inno di Mameli, mentre i socialisti, quando si ricomposero, cantarono
l’inno dei Lavoratori. In questo episodio, come in molti altri, i canti
erano la rappresentazione sofferta e partecipata di un omaggio funebre di
parte. Il giorno precedente “La Difesa” aveva lanciato un appello rivolto a
“tutti i proletari” per mostrare ai patrioti fiorentini, definiti “quattro gatti”,
la forza e il seguito di cui godevano i veri eroi; ossia coloro che
“deprecarono la guerra e nella guerra perirono”. L’appello era rivolto a: “Quanti
hanno mente, cuore, fede socialista”, in modo che tutti potessero vedere la
lealtà e il coraggio dei militanti socialisti. Infatti la chiamata a raccolta
affermò senza mezze parole che: “Ogni diserzione è un’offesa alla memoria dei
“nostri” caduti ed all’idea nella quale tenacemente sperarono. Proletari in
piedi!”
Il 28 dicembre lo stesso periodico fece un’analisi dell’evento delineando
esattamente chi erano i manovratori politici e cosa volevano: “Ed ora che la
guerra è finita, la reazione continua. Si mantengono ancora in vita le
associazioni di resistenza attraverso le quali la reazione si compie. Ne avemmo
un esempio evidente colla provocazione di domenica scorsa, nella quale si
giunse all’assalto a mano armata quando sorse a parlare il vecchio deputato
Beppe Pescetti, quasi si volesse ripetere il gesto che tolse la vita a Giovanni
Jaures…”.
Questo
avveniva contemporaneamente alla richiesta da parte dei socialisti fiorentini delle
dimissioni della giunta Serragli,
colpevole di malversazioni nella gestione di
stoffe,
destinate ad essere poste in vendita per calmierare i prezzi nel contesto della politica
annonaria del Comune nell’ultimo anno di guerra.
Le commemorazioni
funebri, atto di pietà religiosa, divennero fin dal dicembre del 1918 terreno
di scontro politico, di dimostrazione di fede ideologica e di potere.
“La Difesa”, per sottolineare la propria identità politica opposta e diversa
rispetto a quella borghese, non
esitò nell’appello del 14
dicembre a scrivere a
proposito dei soldati caduti che si trattava di “nostri morti”.
Il blocco
politico
che aveva fatto sua la causa della guerra e l’aveva gestita era ben deciso a
continuare la sua lotta politica anche nel dopoguerra, mantenendo ben salde le
posizioni di potere che aveva raggiunto all’interno dell’amministrazione
comunale. La primavera-estate del 1919 Firenze vide la nascita di organismi e
associazioni come la Lega antibolscevica, l’Associazione agraria Toscana e lo
scatenamento di tumulti annonari
causati dal carovita. Nello stesso periodo cresceva la forza e il consenso per
il Partito Socialista che ottenne alle elezioni del 1919 un risultato storico a
Firenze, superiore alla media nazionale.
In
questo contesto
il 24 aprile 1919, in piazza Ottaviani, i primi aderenti al fascio fiorentino
aprirono la loro sede nello stesso edificio dell’Associazione Nazionale dei
Combattenti. I fascisti agirono in modo
da compensare lo scarso numero di aderenti con la violenza fisica e verbale
portando avanti “quella che qualcuno ha voluto chiamare, a Firenze, “guerra
incivile”, tanto fu lo scontro in mano ai facinorosi, ai violenti, a gente che
stimava che la forza dovesse sostituirsi allo scambio di idee, al confronto fra
le ragioni addotte tra le parti”.
Nel luglio del 1920, in periodo pre-elettorale per il rinnovo delle
cariche amministrative, “La Difesa” pubblicò un articolo di denuncia
in merito alle continue pesanti provocazioni delle camicie nere, affermando che
era tempo di rispondere con la forza. La
violenza esplose il 29 agosto 1920. Nel corso di una manifestazione di protesta
che sfilava per il centro di Firenze si verificarono alcuni incidenti, nei
quali restarono uccisi un commissario di polizia e due manifestanti. Le esequie del commissario furono celebrate
in forma solenne con la partecipazione delle autorità.
Anche le altre
due vittime furono accompagnate nel loro ultimo viaggio terreno con una
cerimonia civile alla quale partecipò una folla di migliaia di persone,
decisa ad esprimere netta ostilità contro le autorità politicamente schierate.
Gli onori funebri si erano trasformati in un rito pubblico nel quale le forze
contrapposte palesavano la consistenza delle adesioni alla loro causa.
Le elezioni amministrative del novembre del 1920 si svolsero in un clima
rovente, con i socialisti accusati esplicitamente di essere traditori della
patria; la consultazione elettorale fu favorevole al blocco “anti–socialista” e
l’esito avrebbe portato alla formazione della giunta Garbasso. Il 7 novembre del 1920 un corteo socialista,
che manifestava a seguito della diffusione delle notizie sul risultato
elettorale in città, fu fatto oggetto di colpi di rivoltella sparati dai
fascisti e subito dopo disperso
dalla forza pubblica.
Sparatorie avvennero in altri luoghi della città, fu anche lanciata una
bomba in via Roma. Le responsabilità dell’attentato furono subito attribuite ad
un socialista e ad un delinquente comune suo presunto complice. Il fine di
quelle provocazioni era di creare una situazione torbida e confusa in modo da
accusare i socialisti di sovversione e, come era già accaduto durante la
guerra, di tradimento. “Il Nuovo Giornale” lanciò la notizia che i socialisti
si erano organizzati in gruppi armati di rivoltella che minacciavano gli
avversari. Fu facile, per le componenti
politiche del blocco, accusare i socialisti di aver ucciso due persone vicine
al loro schieramento; furono organizzati
funerali solenni per queste “vittime del terrore rosso” che ricordavano
l’omaggio funebre che veniva tributato agli eroi di guerra.
L’11 novembre 1920, in concomitanza con i festeggiamenti del genetliaco
reale, sfilò il corteo funebre. Durante il percorso vi fu una provocazione e
scoppiò un tafferuglio, forse provocato dai fascisti; i quali per ottenere
maggiore visibilità sfilarono anche dopo il corteo,
nonostante i divieti delle forze dell’ordine, percorrendo di nuovo le vie
cittadine.
Lo scopo di tale prova di forza era certamente dovuto al loro desiderio
di mostrarsi come l’unica forza politica in grado d’imporre ordine e sicurezza
nella città. Il 27 febbraio 1921 la
bomba di un’ignota mano terroristica esplose in mezzo a un gruppo di studenti
liberali che formavano un corteo patriottico diretto in piazza dell’Unità
d’Italia per onorare i caduti deponendo una corona d’alloro sull’obelisco.
L’esplosione ferì a morte lo studente Carlo Menabuoni che morì dopo
giorni d’agonia. La vittima successivamente fu oggetto di una mitizzazione tesa
a mostrare il defunto quale esempio di caduto fascista ed ex combattente eroico
ucciso a tradimento mentre partecipava ad una manifestazione patriottica in
memoria dei caduti. Per la verità il Menabuoni era affiliato ai giovani
liberali e nel corso del conflitto mondiale cadde prigioniero, forse aveva
delle simpatie per il fascismo, tuttavia la sua trasformazione in martire della
causa fascista è stata una evidente strumentalizzazione.
Si scatenò la
caccia all’uomo e i fascisti, organizzati in cinque bande armate, percorsero la
città. Una di queste prese di sorpresa il sindacalista Spartaco Lavagnini
sul lavoro e lo uccise.
Il
sindacalista era molto conosciuto e uccidendolo intesero eliminare un punto di
riferimento ed un simbolo delle lotte operaie fatte a Firenze durante la guerra.
Questa
violenza scatenò una guerriglia urbana
che colse gli stessi fascisti impreparati. Il 27 sera, a seguito della morte di
Lavagnini, i ferrovieri proclamarono uno sciopero per il giorno dopo, i
tranvieri aderirono all’agitazione perché alcuni colleghi erano stati picchiati
dai fascisti. Il 28
febbraio verso le 9 avvengono i primi scontri fra fascisti e scioperanti a
Porta a Prato. La spedizione fascista contro il rione sovversivo di San
Frediano partì in tarda mattinata e, inaspettatamente, le squadre non
riuscirono ad entrare nel quartiere. Furono fermate e costrette a difendersi
dalla reazione popolare presso via dei Serragli e Piazza Tasso. Una spedizione
che doveva raggiungere Sesto Fiorentino fu bloccata da una folla inferocita presso
Castello, un rione fiorentino al confine fra i due comuni, ed i fascisti per evitare
il linciaggio si barricarono nella villa del Tenore Caruso. Contro i fascisti e
la polizia vennero erette, nelle strade di Firenze, delle barricate, presidiate
anche con le armi. Nel primo pomeriggio interi quartieri popolari erano fuori
controllo e a quel punto l’esercito attaccò con il 69° e l’84° fanteria, forti
di autoblindo, artiglieria e mitragliatrici. La difesa era incentrata sulle
barricate e su ostacoli difesi da qualche arma da fuoco e dal lancio di oggetti,
si registrò perfino il lancio di un acquaio di graniglia su un autoblindo.
L’attacco
militare nei quartieri d’Oltrarno eliminò le barricate con l’uso delle
autoblindo e in qualche caso dell’artiglieria. Nel tardo pomeriggio l’esercito
ebbe ragione dei difensori e passò agli arresti dei sospetti. In questa
situazione di guerriglia urbana avvenne l’uccisione di Giovanni Berta che
diverrà il “caduto fascista” fiorentino più noto e di conseguenza il più
esaltato dal regime che gli dedicò
addirittura una città nelle colonie e lo stadio di Firenze. Si trattò, con ogni
probabilità, di un pestaggio mortale attuato da più persone, forse di un
delitto di folla. Il Berta transitava in
bicicletta sul Ponte Sospeso, nei pressi dell’attuale Ponte alla Vittoria
quando venne fermato, picchiato e scaraventato in Arno. Giovanni Berta era
figlio di un famoso industriale fiorentino ed ex marinaio che, nel corso del
conflitto, aveva fatto naufragio per causa belliche e si era salvato a nuoto.
Sapeva quindi nuotare, la sua morte è quindi da imputare al pestaggio subito.
La sera fu
ucciso presso Varlungo dai difensori di una barricata il brigadiere dei
carabinieri Loy che, convinto che lo scontro armato fosse cessato, si era
avvicinato inconsapevolmente al blocco stradale. Il giorno successivo il 1
marzo fu eretta una barricata dalle parti di via Erbosa, in piazza del Bandino,
che bloccava l’accesso a cinque strade. Un maresciallo dei carabinieri con
quindici attaccanti cercò di sgombrare
la barricata, fu ucciso dal lancio di alcune bombe a mano. La barricata
fu eliminata dall’intervento dell’esercito che arrivò sul posto con una sola autoblindo
e due cannoni. I Bersaglieri intervennero in Santa Croce, a Ponte a Ema ed a Scandicci fu usata
l’artiglieria e le mitragliatrici per rimuovere le “forze ostili”.
“La Nazione” uscì il 2 marzo con un titolo in prima pagina che sembrava
riprendere le edizioni edite durante il conflitto: “Le strade di Firenze insanguinate dalla guerriglia civile. Un tragico
bilancio: 15 morti e 100 feriti.” I titoli interni furono scritti come se
il quotidiano stesse riportando la cronaca di una battaglia: “moto
insurrezionale nel quartiere di San Frediano. Le mitragliatrici in azione –
Numerose vittime – Feroce vendetta contro un “fascista” altri dolorosi
conflitti-arresti e alcune perquisizioni”.
In terza pagina i titoli non erano meno forti e mostrano l’eccezionale
portata di quella violenza e la continuità fra il linguaggio della propaganda
politica e quello della propaganda di guerra: “Rivolta nel quartiere di Santa
Croce. L’uccisione di un maresciallo dei carabinieri al Bandino – Lancio di
bombe – Tentativo d’assalto ad una caserma – L’artiglieria in azione – altri
morti ed altri feriti – L’ultimatum dei fascisti al comitato comunista – la
cessazione dello sciopero”.
Il giorno
successivo, il 3 marzo, fu pubblicata la cronaca dei fatti di Scandicci, con
questo titolo: “Il moto insurrezionale di Scandicci domato dall’artiglieria”.
Questo titolo per quanto enfatico era veritiero: vennero sparati circa tremila
colpi di mitragliatrice e qualche tiro di una batteria di pezzi da 75 per arrivare
alla conquista del Comune.
Il giorno antecedente “Il Nuovo Giornale” uscì
in edicola con un editoriale
che
addossava
tutta la responsabilità delle violenze ai socialisti ed agli operai.
I due quotidiani
conservatori rivelano che il linguaggio di guerra era il naturale mezzo per
descrivere la situazione, in un certo
senso la guerra si era proiettata oltre la fine del conflitto.
La lotta per il controllo di
Firenze arrivò, ad una svolta attraverso un’azione principalmente militare, e
solo in parte squadristica, rivolta contro la popolazione di alcuni quartieri.
A causa di queste violenze ritornò con nuova forza in città quel linguaggio
politico e giornalistico derivato direttamente dalla propaganda bellica che
demonizzava l’avversario, incitava all’odio, esaltava e presentava come eroi i
morti della propria parte, i quali divenivano le prove più evidenti e più sacre
della santità della causa che veniva attribuita al loro sacrificio supremo. I
fatti di Firenze furono riportati con molta enfasi dalla stampa nazionale; a
questo proposito “L’Avanti” affermò che ormai “La stampa dipende dai
pescecani”
e di conseguenza s’era schierata dalla parte dei fascisti.
L’analisi dei fatti accaduti fu fatta dal quotidiano
il 5 marzo 1921 e fu molto semplice: “…si vede come la condotta dei fasci non
sia la ritorsione contro gli atteggiamenti delle organizzazioni operaie, ma
invece dipenda da tutto un preordinato piano d’azione col quale si mira a
distruggere quei fortilizi di resistenza che la classe operaia si è creata
attraverso tanti anni di sacrifici e lotte.” Il quotidiano sottolineava che
quest’impresa organizzata militarmente aveva causato 16 morti, 200 feriti e 500
arresti Il marzo del 1921 si caratterizzò per il clima di tensione diffuso che
sfociò in pestaggi e anche uccisioni in tutta la Toscana; violenze
particolarmente gravi accaddero a Empoli e a Foiano della Chiana.
Con l’acquisizione del linguaggio di guerra da parte delle forze
politiche anche le onoranze funebri ai caduti per la causa divennero oggetto di
costruzione di identità e di scontro.
In questo contesto l’8 agosto 1921, si verificarono degli incidenti nella
strada che porta al cimitero di Trespiano. Una delegazione degli Arditi del
popolo, mentre si recava ad onorare i caduti in guerra, si scontrò con una
delegazione dell’Associazione Nazionale Mutilati di Guerra, in modo tale da
provocare la reazione delle guardie regie che intervennero disperdendo il
corteo. Il 7 dicembre del 1921 fu invece
il funerale di un operaio, un lutto privato e non pubblico, l’occasione per
altri pestaggi fascisti contro quelli che avevano espresso una solidarietà di
classe
verso il defunto.
I riti funebri rappresentarono uno strumento di manifestazione della
propria identità e presenza politica durante quegli anni. Questo fatto si era
reso possibile perché la Grande Guerra aveva creato le condizioni perché il
culto verso i morti fosse, sia nel discorso pubblico sia a livello culturale,
un confronto con la propria memoria, la propria identità politica e quindi con
l’immagine di sé. I morti per la causa erano i testimoni di una passione e di
un comune partecipare ad una ideologia. Il fascismo a livello nazionale cercò
di trasformare gli squadristi uccisi e i simpatizzanti ammazzati, veri o
presunti tali, in eroici caduti; in un certo senso in nuovi martiri di
carattere politico.
L’obiettivo dei fascisti era creare anche a Firenze il culto dei caduti
fascisti e per costruire questo nascente mito, che nelle loro intenzioni doveva
avere un rilievo nazionale, scelsero il cimitero delle Porte Sante, ossia il
cimitero monumentale di San Miniato. La loro prova di forza in materia di uso
strumentale dei riti funebri la tennero solo nel 1924 quando, premuti da
un’opinione pubblica ostile a causa dell’efferato delitto Matteotti, decisero
di andare sino in fondo, imponendo la loro mitologia funebre a tutta la
cittadinanza.
Il 23 ottobre 1924, Padre Ermenegildo Pistelli
trasformò il pietoso rito di inaugurazione di un monumento in memoria di tre
maestri caduti in guerra in una cerimonia fascista, alla quale parteciparono
insegnanti e gli alunni delle elementari.
I bambini sfilarono davanti al ricordo modellato come un’ara romana e salutarono
romanamente.
Il 24 ottobre
furono tre avanguardisti, morti in una spedizione armata contro gli oppositori
avvenuta a Sarzana nel 1921, ad essere tumulati con un rito che intendeva
riaffermare il primato del fascismo su tutti i partiti,
mentre il 28 ottobre per la ricorrenza della marcia su Roma esercito e camicie
nere assieme inaugurarono un monumento,
peraltro piuttosto brutto, ad uno squadrista ucciso nel luglio del 1921. Il 2 novembre un gruppo di cittadini
evidentemente arrabbiati appesero in una cappella privata un ritratto funebre
di Giacomo Matteotti; ne seguì una colluttazione con i fascisti, intervennero i
carabinieri
per sedarla. L’elemento del ricordo dell’eroe caduto si era così
trasferito dal contesto della propaganda di guerra in quello della vita
politica, anzi nel caso di Matteotti si può dire che la condanna dell’omicidio
politico e la conseguente identità politica antifascista passasse per
l’esibizione del suo ritratto funebre.
Il ricordo dei morti era ben presente nel discorso politico del primo
dopoguerra, questo fatto era concomitante con il problema dei ritorno delle
salme dei caduti dai cimiteri di guerra e delle loro onoranze funebri, una questione questa rimasta irrisolta subito dopo la fine della guerra.
L’esperienza di guerra e la propaganda
avevano creato un linguaggio fondato sulla coppia di opposti Nemico/Amico.
“…Possiamo definire dicotomizzare un permanente abito mentale dell’età moderna
che sembrerebbe possibile fra risalire alla realtà della Grande Guerra. “Noi”
siamo tutti da questa parte, il nemico sta dall’altra. ”Noi” siamo individui
con nome e identità personali; “esso” è soltanto un’entità collettiva. Noi
siamo visibili, esso è invisibile. Noi siamo normali; esso è grottesco. Le cose
che ci appartengono sono naturali; le sue strane. Il nemico non è buono come lo
siamo noi”. Paul Fussell, La Grande
Guerra e la memoria moderna, Il Mulino, Bologna, 2000, p.97.
La Difesa”, 19 dicembre 1918; anche “La
Nazione” del 14 dicembre diede notizia della manifestazione. Tra i “quattro gatti” che provocarono gli
incidenti c’era l’artista e ex ardito Ottone Rosai ; su questo cfr. Roberto
Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino,1919-1925, cit., p.53. In generale sulla storia del canto politico
in Italia dalle origini fino ai nostri giorni cfr. Stefano Pivato, Bella Ciao, canto e politica nella storia
d’Italia, Laterza, Bari, 2005
“Cfr. “La Difesa”, 19 dicembre 1918
Cfr. “La Difesa”, 28 dicembre 1918
Lo scandalo aveva per oggetto il costo
spropositato di una partita di pessime stoffe acquistata dal Comune nel
contesto delle iniziative prese per sostenere lo sforzo bellico. Il fatto
provocò le dimissioni del sindaco e la caduta della giunta. Cfr. Giorgio Spini, Antonio Casali, Firenze, Laterza, Bari, 1986, p.111. e
Roberto Bianchi, Bocci-Bocci, i tumulti
annonari nella Toscana del 1919, Olschki Editore, Firenze, 2001, p.75 e
p.112.
Tra la fine del 1918 e per tutto il 1919
“La Difesa” fu energica nel rivendicare l’impegno e la lotta sostenuta dagli
operai e dagli umili durante la Grande Guerra, arrivando infine nell’aprile del 1919 ad affermare che il
patriottismo borghese che stava organizzando i suoi riti pubblici era una
reazione alle manifestazioni e alla presenza socialista. Cfr. “La Difesa”, 19 aprile 1919.
Sul determinante sostegno del quotidiano
“La Nazione” ai gruppi politici che facevano propria la lotta antisocialista: cfr. Indro Montanelli, Giovanni
Spadolini e aa.vv., La Nazione nei suoi
cento anni, Tipografia del Resto del Carlino, Bologna, 1915, pp. 114 – 115.
“Alle elezioni del 1919 il successo socialista
è considerevole: 8 deputati (contro 3 popolari, 2 liberali e 1 democratico) e
92.000 voti (contro 33.000 ai “Costituzionali” e 40.000 ai cattolici del
partito popolare). E questo successo è superiore alla media nazionale. Ma la
sua stessa portata preoccupa la destra nazionalista, la classe media (commercianti
e piccoli artigiani) ed i cattolici, che l’anticlericalismo dei “massimalisti”
spaventa”. Pierre Antonetti. Storia di
Firenze, Edizioni scientifiche Italiane, Napoli, 1993. Sul contesto nel
quale si costituì il fascismo fiorentino Cfr. Giorgio Spini, Antonio Casali, Firenze, cit., p.113.e Roberto
Cantagalli, Storia del fascismo
fiorentino, 1919 - 1925, cit., p. 51 - 68. Cfr. Roberto Bianchi, Bocci-Bocci, i tumulti annonari nella
Toscana del 1919, cit.
Cfr. Marcello Vannucci, Storia di Firenze, Newton Compton, Roma,
1986, p. 402.
Roberto Cantagalli nel suo saggio scrive
che ai funerali di coloro che erano morti durante la manifestazione
parteciparono circa 50.000 persone. Lo
scrittore Vannucci racconta che si
trattò di una folla con di poche migliaia di partecipanti. Cfr. Roberto Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino, 1919 - 1925, cit, pp.114
- 115. Marcello Vannucci, Storia di Firenze, Newton Compton, Roma, 2000, p. 495.
Cfr. “Il Nuovo Giornale” e “La Nazione”, 8 novembre 1920.
Cfr. “Il Nuovo Giornale”, 12 novembre 1920; sulle violenze
avvenute nel 1920 a Firenze. Cfr. Alberto Marcolin, Firenze in camicia nera, Medicea, Firenze, 1993, p. 23.
Spartaco Lavagnini, Arezzo 1886 – Firenze
1921. Diplomato ragioniere fu uno dei sindacalisti impegnati durante gli anni
della guerra a difendere i diritti degli operai. Al momento della morte era
un impiegato delle Ferrovie e segretario
del Sindacato dei Ferrovieri della sezione di Firenze. Ricoprì anche il ruolo
di direttore del giornale “La Difesa”. Cfr.
Roberto Cantagalli, Storia del fascismo
fiorentino, 1919 - 1925, cit., pp.147 - 173. Alberto Marcolin, Firenze in camicia nera, Medicea,
Firenze, 1993, pag. 24 – 29.
Per quel che riguardala ricostruzione dei
fatti di quei giorni sono stati presi come testi di riferimento: Alberto
Marcolin, Firenze in camicia nera,
Medicea, Firenze, 1993, Giorgio Spini,
Antonio Casali, Firenze, Laterza,
Bari, 1986. Roberto Cantagalli, Storia
del fascismo fiorentino, 1919 – 1925, cit.
“Il
Nuovo Giornale” uscì nelle edicole il
2 marzo, trascorsi i due giorni decisivi di violenze, intitolando la prima
pagina: “Tre giornate di sangue, d’orrore, d’incendi a Firenze”. L’editoriale
del direttore Banti affermava che un gruppo di “parricidi perché assassini
della patria” pagati dagli stranieri avevano scatenato la sommossa. La cronaca de “La Nazione” del 3 marzo
descriveva il ritorno da Scandicci, che avevano preso a colpi di cannone e di
mitragliatrice, del corteo dei camions con i soldati vincitori, i quali
sfilarono per Porta San Frediano ed i Lungarni esponendo sopra un camion un
ritratto di Lenin preda bellica, come se l’azione fosse stata un fatto di
guerra. Dopo di loro sfilarono per le strade anche i fascisti. I giornali fiorentini enfatizzarono le
violenze di quei giorni e i loro articoli influirono su come i fatti furono
successivamente ricordati. Cfr. Alberto Marcolin, Firenze in camicia nera, Medicea, Firenze, 1993, pag. 24 -25.
“L’Avanti”, il 1 marzo 1921, pur non
avendo ancora tutti i dati per comprendere le proporzioni dei fatti, pubblicò
un articolo di denuncia sulle violenze avvenute a Firenze ed indicò nei
giornali borghesi i complici degli assassini.
Fu anche pubblicato il necrologio funebre di Spartaco Lavagnini, che
ricordava per toni e termini quello dei caduti durante la Grande Guerra. Subito dopo i fatti violenti, una volta
riportato l’ordine con la forza in città, dalle officine di proprietà della
famiglia Berta furono licenziati tutti gli operai; la stessa cosa accadde alle
Officine Galileo.
“La
Nazione”, 9 agosto 1921. Il pestaggio che seguì i funerali dell’operaio ucciso
è riportato nella cronaca de “Il Nuovo Giornale” dell’8 dicembre 1921.
Cfr. “La Nazione” e “Il Nuovo Giornale”,
24 ottobre 1924.
Cfr. “La Nazione”, 24 e 25 ottobre 1924
Cfr. “La Nazione”, 29 ottobre 1924; “Il
Nuovo Giornale”, 28 e 29 ottobre 1924
|
|
12 ottobre 2011
Il terzo libro delle tavole: Creare il proprio Mito Bellico

CREARE IL PROPRIO MITO BELLICO

La storia si
ripete? Forse no e di sicuro identica mai, almeno il colore dei calzini di
qualcuno cambia ogni tanto. Ma il vizio di creare la memoria pubblica di un
popolo o di una comunità è cosa comune e praticata da quanti si trovano in mano
il potere politico in congiunzione con la repressione poliziesca e il controllo
di gran parte dei mezzi d’informazione.
Ho passato più di
dieci anni della mia vita a studiare il caso della Firenze del primo dopoguerra
e ho potuto individuare qualche meccanismo di creazione di mito politico e di
costruzione della memoria pubblica e di rimozione e disgregazione delle altrui
ragioni o dei ricordi scomodi. Ritengo che oggi i meccanismi di costruzione del
discorso pubblico sulla guerra e sull’identità collettiva siano più blandi e
più scomposti di quelli usati da nazionalisti e fascisti ma non per questo scomparsi. Al posto di una
retorica patriottica pesante,
schiacciante la coscienza e incentrata su eroi sanguinolenti e martiri della Patria
oggi si usano i trucchi spesso sporchi delle società di pubbliche relazioni che
costruiscono in collaborazione con i servizi segreti del caso l’immagine tremenda
del nemico di turno e di riflesso la propria. Gli esempi si sprecano, in questi
ultimi vent’anni il sedicente occidente è stato tempestato da notizie e
informazioni su orribili mostri politici e militari tanto armati quanto aggressivi, che si sono rivelati alla prova
dei campi di battaglia e dei bombardamenti NATO dei despoti e tiranni male
armati e isolati militarmente. E’ tuttavia interessante osservare come gli
strumenti di propaganda solitamente impiegati per colpire il nemico esterno si
rivelino efficaci anche contro quello interno. Offro quindi qualche scritto del
mio duro lavoro a beneficio del lettore sperando non che ne tragga auspici ma
che meditando sul passato possa circoscrivere certi fatti del presente che solo
in apparenza sembrano normali o frutto del caso ma che in realtà corrispondono
a calcoli e a meccanismi precisi della politica e della comunicazione fra le
caste al potere e le masse di elettori o di credenti in fedi politiche o
religiose. Oggi non mi sento d’invocare Dio, non è proprio il caso ma per certo
è bene augurarsi buona fortuna perché in
questi anni le tenebre dell’adorazione del Dio-denaro che spezzano pietà umana
e ragione sembrano farsi marea e tutta la terra appare allagata da una forza
incontenibile che disgrega, corrompe e apre le porte a qualsiasi avventura.
Allora è questo il tempo per non perdere la ragione, per meditare, riflettere,
ascoltare perché potrebbe arrivare il momento in cui ciò che è comunemente
chiamato male si presenterà e dovrà esser riconosciuto per ciò che è. Ma per
vedere l’abisso che si apre quando le tenebre del Dio-denaro sommergono il
mondo umano occorre conoscere qualcosa del passato, capire almeno in parte da
dove si viene. Se non si sa da dove si arriva e la natura della strada da
percorrere con difficoltà si potrà
sperare di arrivare alla propria destinazione.
La costruzione politica della memoria pubblica.
Le bande militari, la Martinella, la campana del Bargello e le campane di
tutte le chiese di Firenze suonarono assieme il 4 novembre 1918: era l’annuncio della fine della Grande Guerra per
gli italiani.
“Alle 18 dalla torre di Palazzo
Vecchio la storica Martinella con lunghi rintocchi dà segnale alle altre
campane, ed a essa risponde quasi subito la campana del Bargello e tutte le
altre numerose chiese della città. Le musiche militari che sono giunte sulla
piazza trascinandosi dietro una vera fiumana di popolo suonano gli inni della
Patria mentre la folla applaude entusiasticamente gridando: Evviva l’Italia!
Evviva l’Intesa! Evviva Trieste. W Trento
E’ un momento
di vera intesa d’irresistibile commozione.”
“Il Nuovo Giornale”, quotidiano fiorentino
nazionalista e interventista, usò queste parole per
sottolineare l’intreccio formatosi fra rito civile e rito religioso e la gioia
cittadina per la fine vittoriosa della guerra.
La conclusione del conflitto mondiale avrebbe di lì a breve costretto i
fiorentini e tutti gli italiani a confrontarsi con il senso di quel conflitto, con i
cambiamenti che aveva operato nella società e nella
percezione della propria identità nazionale.
A
partire da quella giornata gli strumenti
della propaganda bellica, costruiti durante il conflitto, sarebbero stati
utilizzati per creare un mito e una memoria pubblica da parte degli appartenenti alle forze politiche conservatrici fiorentine;
essi si erano mobilitati per attuare numerose iniziative di carattere
filantropico, politico e culturale
a sostegno dello sforzo bellico. I loro interessi politici e il loro
nazionalismo s’integravano nella realizzazione di manifestazioni di propaganda
patriottica nelle quali il concetto del sacrificio della vita in guerra era
ricorrente perché idealmente santificava la
patria e attribuiva, di riflesso, alle classi dirigenti una legittimazione alta
e nobile in quanto la Nazione era resa sacra dal sangue versato. Il discorso
politico in Italia fin dal periodo Risorgimentale
trovava nei morti in battaglia per la Patria l’espressione più alta della
sacralità, infatti il sacrificio e la morte in guerra erano elementi
fondamentali del Nationbuilding ottocentesco. Questo senso del sacrificio era
la base tradizionale sulla quale era possibile costruire una pedagogia
patriottica e politica rivolta alle masse popolari.
Durante il conflitto l’Italia aveva conosciuto forme di propaganda
rivolte alla totalità della popolazione, in un contesto di diffidenza e
contrasto fra “paese reale” e “paese legale”. L’immane conflitto – soprattutto per effetto della disfatta di
Caporetto – aveva insegnato che la costruzione del consenso di massa era
indispensabile per fare la guerra. L’esperienza avrebbe presto insegnato che
era indispensabile anche per governare la pace.
Porsi il
problema del cercare il consenso significava fare i conti con due pesanti
condizionamenti: uno riguardava il fatto che lo Stato era stato costruito in
opposizione alla Chiesa, e sotto la spinta di minoranze divise anche sul
progetto generale,
che aveva lasciato irrisolto il problema dell’identità nazionale delle
masse popolari; l’altro, più grave, era il profondo divario fra le diverse
classi sociali e fra città e campagna. Un divario accentuato dalla diversa
velocità dei tassi di alfabetizzazione e di conoscenza della lingua nazionale. La costruzione di una memoria pubblica della
Grande Guerra a Firenze iniziò con la prima deliberazione del Comune favore
dei futuri decorati in guerra assunta nel novembre del 1915. Essa si
concretizzò con la deliberazione di apporre di una targa commemorativa nel
loggiato degli Uffizi in modo da legare i nomi dei decorati al luogo ove erano
poste le statue degli uomini illustri. Con l’avanzata del conflitto e
dell’ecatombe di uomini che esso produsse emersero i limiti dei riti e delle
cerimonie allestite dalle classi dirigenti cittadine soprannominate anche la
“consorteria”. La “consorteria” con la sua cultura e con il richiamo alle
glorie Risorgimentali non riusciva a trovare gli strumenti propagandistici e
politici per governare la società di massa che si era formata negli anni del
conflitto nonostante si fosse impegnata in una catena d’iniziative volte a
trovare un consenso popolare.
Fin dal novembre del 1915 la giunta del sindaco Orazio Bacci
organizzò la mobilitazione cittadina e l’attività di propaganda bellica. Le
prime iniziative come la celebrazione per Battisti nel 1916 con la prima targa
posta in suo ricordo, la deposizione di fiori freschi a spese del comune nel
cimitero di Trespiano o le letture rituali dei nomi dei caduti in Consiglio
comunale, appaiono ancora prive di un indirizzo politico capace di trasformarle
in una pedagogia politica di massa. Toni nuovi, comunque, emersero con
chiarezza nel novembre 1916 nel modo in cui fu progettato l’evento della
riconsacrazione dell’arco dello Jadot in Piazza della Libertà. La solenne festa
del compleanno del Re fu l’occasione nella quale il Comune fece partecipare
alla cerimonia le scolaresche e le associazioni patriottiche con l’intenzione
di creare un disciplinato seguito di
massa.
Questo sforzo continuò anche nel 1917 ma la mancanza di un rapporto
di carattere continuativo e non occasionale con le masse pesava sulla qualità
degli eventi; il problema certo non poteva essere “superato” e risolto
continuando nella politica delle targhe dedicate a singoli personaggi o
agganciando le vicende di quel conflitto agli eroi risorgimentali o ad una
lettura della guerra in corso in chiave di “Quarta Guerra d’Indipendenza”.
Nell’ultimo anno di guerra a Firenze lo sforzo propagandistico si intensificò e
diede i massimi risultati, grazie anche all’impegno del Comune. Esso ebbe due
denominatori comuni: l’uso delle forme della ritualità mutuata dai riti
cattolici anche attraverso l’appoggio e la mobilitazione del clero e la
volontà, e forse la necessità, di far apparire salda l’alleanza e
l’integrazione con le altre potenze dell’Intesa attraverso la presenza di loro
rappresentanze nelle iniziative più importanti. Nel corso del conflitto nella
vita sociale italiana e cittadina la pietà per i morti con il necrologio funebre
prese forme che rispecchiavano la
società di massa e la serialità della produzione industriale con foto di volti
e storie congelate in poche righe così simili le une alle altre da sembrare
sempre uguali. La loro ossessiva presenza si sarebbe protratta, del resto, anche dopo
la fine della guerra.
Come i resti di
un naufragio che arrivano dopo
giorni sulle spiagge, alcuni di questi necrologi continuarono, infatti,
ad essere pubblicati, ben oltre l’armistizio, via via che i corpi dei caduti al
fronte venivano riconosciuti e ritrovati.
Il Nuovo Giornale”, 5 novembre 1918.
Ai reparti in linea la notizia della fine del conflitto fu comunicata alle tre di notte del 4
novembre 1918, mentre, fu di pubblica ragione a Firenze nella mattinata. Cfr. “La Nazione”, 5 novembre 1918.
Sul nesso Grande Guerra e identità
italiana cfr: Oliver Janz e Oliver Klinkhammer (a cura di), La morte per la
patria, La celebrazioni dei caduti dal
Risorgimento alla Repubblica, Donzelli, Roma, 2008 e Mario Isnenghi (a cura
di) , I luoghi della memoria. Strutture
ed eventi dell’Italia unita, Laterza, Bari, 1997.
Sulla propaganda bellica in Italia
durante la Grande Guerra. Cfr. Antonio Gibelli, La Grande Guerra degli italiani, 1915-1918, Sansoni, Milano,
1998, pp. 240 – 246.
Sul valore dato dalle classi
dirigenti cittadine alla cultura attraverso le diverse espressioni con cui si
manifestava e al particolare accento nazionalistico che esse assunsero nel
periodo della guerra e in quello del decennio precedente: cfr. Laura Cerasi, Gli Ateniesi d’Italia, Associazioni di
cultura a Firenze nel primo Novecento, Angeli, Milano, 2000,. pp. 206 -
224.
Cfr. Oliver Janz, Lutz Klinkhammer (
a cura di), La Morte per la patria, La
celebrazione dei caduti dal Risorgimento alla Repubblica, Donzelli Editore,
Roma, 2008, pp.IX-XI.
Antonio Gibelli, La
Guerra degli Italiani 1915-1918, Sansoni, Milano, 1998, pp. 92-93
Uno degli elementi che distinsero la
politica della giunta Bacci fin dall’inizio fu l’attività del Comune
indirizzata ad onorare ufficialmente i caduti in guerra. Per ciò che concerne
le onoranze funebri: cfr. ASCFi, f.
4445, doc. 119; sul l’impegno della municipalità in occasione scopertura della
targa a Battisti: cfr. ASCFi, f. 4445,
doc. 112
Questa cerimonia in particolare è
studiata nel secondo capitolo. Essa fu articolata e complessa e segnò uno dei
massimi risultati propagandistici della giunta Bacci. Cfr. Bargellini, III, p.
145. ASCFi, f. 4445, doc. 114; Bullettino,
CFi, Novembre 1916; “Il Nuovo Giornale”, 12 novembre 1916. Per quello che riguarda la mentalità e la
sensibilità comune una simile messa inscena deve esser sembrata abbastanza
ragionevole in quanto:” La pedagogia
patriottica del periodo dell’Italia liberale ha usato il concetto di sacrificio
per la Patria. Si ritrova l’idea di ,morte per la Patria anche nel libro Cuore
e in generale nella letteratura scolastica…” cfr. Oliver Janz, Lutz Klinkhammer ( a cura di), La Morte per la
patria, La celebrazione dei caduti dal
Risorgimento alla Repubblica, Donzelli Editore, Roma, 2008, Pag.XIV.
Cfr. Simonetta Soldani, La Grande Guerra lontano dal fronte, in Storia d’Italia, Le regioni dall’Unità ad oggi, La Toscana, Giorgio
Mori (a cura di), Einaudi, Torino, 1986,
pp. 414 – 415, dove l’autrice osserva
come tale atteggiamento patriottico nel clero si generi durante la guerra e
verso la fine subisca una svolta; in particolare: “nella primavera del 1918 (…)
si sarebbe giunti a chiedere esplicitamente al clero di farsi carico in prima
persona e in modo diretto della propaganda in favore della continuazione della
guerra fino alla vittoria delle armi italiane, in un crescendo che avrebbe
fatto la gioia dei moderati toscani della cerchia di Lambruschini, e che era la
più evidente riprova dell’inettitudine dello Stato e dei suoi terminali
periferici a gestire una politica che si caratterizzava per una inusitata
intensità e minuziosità prescrittiva in campo sociale, e che poneva con urgenza
problemi di coinvolgimento e di consenso di grandi masse popolari”.
Cfr. “La Nazione”, 10 – 15 marzo
1918, 30 luglio, 19 novembre 1918. Cfr. “Il Nuovo Giornale” 14 - 17 settembre
1918, 7 - 16 novembre 1918.
|
|
23 settembre 2011
Ottimo, Ottimoo, Ottimo: superata la velocità della Luce.
Smentito Einstein, velocità della luce può essere superata:
esperimento riuscito al Cern.Questo è uno dei tanti titoli che si trovano in rete, la scoperta è ormai confermata e rilancia in questi tempi di bestiale barbarie la scienza e la speranza. Scienziati e Fantascienziati adesso possono ridefinire la propria visione sul mondo. Ciò che era relegato nei libri di fantascienza è oggi un fatto, parte della fisica del Novecento andrà riscritta o rifatta da capo. Forse è il segno questo di un mondo nuovo dell'inabissamento definitivo di un Novecento cadaverico, sanguinario, esagerato e putrefatto che nei suoi ultimi sussulti di sopravvivenza è riuscito a inquinare il nuovo millennio. Spero che questo momento di gloria per la scienza d'Europa segni la fine di quest'epoca che ha debordato aldilà dei suoi limiti cronologici. Ora c'è da sperare che il superamento di questo limite considerato per quasi un secolo insuperabile sia di buon auspicio per altri ambiti quali la politica, l'emissione di moneta da parte delle banche centrali private, la legalità la questione della pace, il ridimensionamento dei centri di potere finanziari e così via... La scienza ha battuto un colpo e ha aperto una finestra sul futuro. A questo punto è bene accogliere mentalmente il nuovo tempo e concettualmente abbandonare i resti decomposti e osceni di un Novecento morto. Molto delle cose distorte e pazze sopravvisute al se stesse e alla propria epoca passata è da buttare nella spazzatura o nella raccolta differenziata. Ma queste cose riguardano la politica, la finanza, il neo-liberalismo, la volontà di potenza dei poteri imperiali e delle loro multinazionali al seguito, l'emissione di moneta a partire dalle banche private associate nelle BANCHE CENTRALI, la globalizzazione, l'uso sistematico dello strumento della guerra da parte delle presunte democrazie per risolvere le controversie internazionali, la sopravvivenza in forma grottesca di ideologie morte e decomposte da decenni nella vita politica, la scelerattezza di classi dirigenti formate da miliardari sociopatici. Superata la velocità della luce, ottimo auspicio, bellissimo annuncio, peraltro molto atteso.IANA per FuturoIeri
|
|
22 settembre 2011
I molti chiedono di non capire e di non sapere

Le Tavole delle colpe di Madduwatta
Terzo Libro
I molti chiedono di non capire e di
non sapere
Devo scrivere qualcosa sulle grandi
tragedie di questi ultimi anni e come le ha recepite la maggior parte degli italiani che non sono l’amabile
minoranza che cerca le informazioni rete, che fa attività sociali, che crede in
valori spirituali e morali aldilà del proprio tempo, che s’impegna in uno sciopero,
che fa volontariato politico in modo disinteressato. Tutto ciò che non turba la
vita quotidiana nel senso più stretto, meschino, egoistico e squallido non esiste e se esiste l’urlo dei
molti è uno e uno solo: ME NE FREGO! Cosa volete che interessi al comune italiano
se il deserto che avanza nel mondo crea milioni di profughi? Se il sistema
capitalista in crisi perché a trovato i
suoi limiti di risorse? Se i problemi globali sono aggravati dall’emergere di
nuove potenze imperiali che contrastano il sistema di dominio e controllo Anglo-Americano?
Se, come alcuni affermano, è stato raggiunto il picco del petrolio? Se nel
mondo lo sviluppo di fonti energetiche
rinnovabili sconta un ritardo rispetto all’urgenza dei tempi? Se la guerra è
diventata parte del sistema di produzione e consumo dei paesi industrializzati?
Nulla! La maggior parte delle genti d’Italia è anziana e sa di avere un tempo
di vita limitato, il suo mondo è solo ed esclusivamente se stesso e i piaceri
immediati, il futuro lontano non esiste, non ci guadagnano, non ci lucrano
sopra, i guasti gravissimi che maturano adesso saranno forse cose con cui
dovranno rompersi il cranio figli e nipoti; come dire C***I loro!
L’unica risposta di cui sono capaci consiste
in un invito ora violento e fascistico ora cortese e borghese simil-giolittiano
a lasciarli in pace: non vogliono capire, non vogliono sapere. Vogliono ciò che
gli è utile per vivere, qui e ora. Il resto non esiste, non è mai esistito, non
potrà mai esistere. Da tempo medito che la grande corruzione nei partiti della
Prima Repubblica non sia stata tollerata ma semmai incentivata ed esaltata da
generazioni d’italiani per le quali ogni richiamo al dovere o alla collettività
o alla Patria suonava fascista, idiota, demenziale. Il fondo egoistico e
suicida ai fini della continuazione di una Nazione italiana portato avanti da
intere generazioni d’italiani è ben registrato da certi film di Alberto Sordi,
di Paolo Villaggio, perfino di Totò. La necessità
di sopravvivere alla propria meschinità e di strappare all’avidità e alla
cattiveria del mondo una ragione di vita o un qualche espediente per far fortuna è ben registrata da tanti
personaggi grotteschi e comici interpretati da questi grandi del cinema. Quel
piccolo egoismo da commedia è in realtà il grande dramma storico di una massa di
italiani che non si sono mai identificati con il loro paese, con interessi nazionali,
con minoranze al potere che li rappresentavano, infatti nel loro maniacale egoismo
milioni d’italiani avevano capito che
con certe classi dirigenti monarchiche, fasciste, della partitocrazia cose come
Bene Comune, Patria, Interesse Nazionale sono parole vuote e integralmente false. Come
si fa a credere che i fatti della cronaca siano in grado di smentire questa
natura disfattista e lucidamente analitica. I molti che se ne fregano non sono né
stupidi, né pazzi, né anarchici , né fascisti; costoro nella maggior parte dei
casi sanno che non esiste rimedio perché
non ci sono infermieri sociali o medici politici al capezzale del Belpaese agonizzante
per colpa di speculazioni finanziarie mondiali, dell’incapacità delle nostrane
minoranze al potere di gestire anche l’ordinario e dei troppi interessi militari stranieri. Allora fatto
quel minimo che serve, assolta la propria coscienza con qualche gesto simbolico,
creato un piccolo alibi nel caso la barca della Repubblica affondi per propria
colpa fanno i loro comodi, tirano a campare, si presentano al lavoro,ritirano
la pensione, se gli conviene alimentano il sistema del clientelismo e dell’economia
in nero oppure no. Parte del pensiero di milioni d’italiani non è razionale ma
di natura magica e fa quindi strane associazioni e dissociazioni fra i diversi
fatti della realtà e combina desideri, favole, illusioni pubblicitarie, fantasie
televisive e realtà con un a certa disinvoltura; ma una cosa è certa che quel
che questi milioni non sanno o non capiscono quando è ostile e si avvicina al portafoglio
lo percepiscono subito. Quindi non né solo un problema di non sapere, di non
capire o di televisione cattiva maestra. Tanta parte delle genti del Belpaese hanno
scelto di fingere di non sapere e di non capire per vivere in un mondo d’illusioni
televisive, notizie senza conferma, illusioni della pubblicità e della
propaganda di guerra. In molti casi non è ignoranza ma una scelta e credo a
questo punto sostanzialmente consapevole solo apparentemente viziata o
inconscia. Del resto se pochi fra gli abitanti del Belpaese fanno il “bene” gli altri cosa hanno scelto di fare?
IANA per FuturoIeri
|
|
22 settembre 2011
Caste al potere, caste illegittime
Le Tavole delle colpe di Madduwatta
Terzo Libro
Caste al potere, caste illegittime
Questa globalizzazione è data, creata e voluta da poteri
oligarchici composti da poche famiglie di miliardari perlopiù WASP che usano il
proprio controllo del potere politico e del complesso militar-industriale made
in USA e dei loro alleati per finalità proprie di profitto e di dominio. La questione
vera della prossima decrescita non è quanti posti di lavoro verranno creati in
Asia, quanti milioni di nuovi consumatori cinesi e indiani, quante centinaia di
migliaia di specialisti, quadri, ingegneri sforneranno le università asiatiche
e brasiliane, il vero problema è quale casta di ricchissimi avrà in mano il
controllo di masse di centinaia di milioni di esseri umani che producono,
consumano, si divertono, spendono, talvolta votano nei paesi industrializzati
vecchi e nuovi. Certo che i CEO delle multinazionali se si fanno da parte e
arrivano un cinesi o brasiliani a
dirigere che costano la metà il profitto
della multinazionale sale, ma loro sono lì apposta per mantenere il posto e per loro preciso interesse privato;
quindi pace al profitto che costa un proprio sacrificio e al contrario meglio
delocalizzare la produzione che rischiare il proprio comando e controllo. Oggi
il pericolo di nuove guerre è dato non da differenze ideologiche ma dal
determinare quali caste di ricchissimi e di privilegiati con le loro quote
azionarie e i loro patrimoni controlla la politica, l'economia, e la vita
sociale di interi stati. Il problema non è il colore della bandiera dei soldati
che uccidono, rubano, torturano, ammazzano innocenti ma la contrario chi
controllerà l’appalto per i carri armati, i bombardieri, gli elicotteri e i
rifornimenti di munizioni e viveri e quale società privata vincerà l’appalto,
quali banche controlleranno le aziende minerarie dei popoli vinti, quali finanziarie
stabiliranno il prezzo del petrolio che gli sconfitti dovranno offrire a forza
sul mercato e infine con quali mediatori politici e con quali faccendieri partiranno i progetti per la
ricostruzione dei paesi distrutti dai bombardamenti. Il denaro creato dal sistema
di banca centrale in USA, UK Europa prolifera
con la guerra si fortifica attraverso
essa trasformando attraverso la propaganda di guerra le critiche al sistema
affaristico e bancario che lucra sulla guerra e le perplessità su un simile modo di
vivere e fare economia elementi di
contestazione, di disfattismo, di simpatia con il nemico quale che sia. Il motore della guerra aldilà di banalità
retoriche e stramberie idealistiche è l'esercizio da parte di una minoranza al potere di un dominio padronale e
dispotico su milioni di esseri umani che vanno sottomessi o condizionati con le
buone o con le cattive maniere. La libertà relativa che esiste in questa parte
di mondo umano mi consente di delineare questo paesaggio del potere umano dove
regnano nascoste pulsioni inconsce
egoistiche, sadiche e avide; il possesso dell'uomo, dei frutti del suo lavoro,
e della natura intesa come risorse è ciò che è dietro il conflitto e la guerra
fatta a colpi di speculazione borsistica e di spedizioni militari. La volontà
di potenza e di dominio delle minoranze al potere che si riuniscono in gruppi e
conciliaboli di potentissimi nasconde questo tipo di pulsioni, i fatti della
cronaca quotidiana mi hanno persuaso. Devo dire che mi ha impressionato anche
la cronaca scabrosa quando per qualche scandalo a sfondo sessuale i potenti del
mondo vengono messi in ridicolo sui media, come è capitato anche al presidente
del consiglio italiano e al presidente francese del FMI. Questi umani al potere
rivelano tutte le loro debolezze e la loro necessità di esercitare il potere e
d’accumulare miliardi per elevarsi sopra
il resto dell’umanità, questo controllare è cosa che si fa attraverso il possesso delle banche, dei media, dell’intrattenimento
musicale e televisivo, di veri e propri eserciti di servi, di confidenti, di politicanti
iscritti in qualche libro paga, mercenari, giornalisti, opinionisti. Il
possesso inteso come pulsione proveniente dalle proprie profondità psichiche è
la grande forza di questa falsa aristocrazia che esercita un enorme potere sul
mondo umano attraverso il controllo dei meccanismi finanziari. Questo rende
queste caste indegne di esercitare il potere sulla razza umana, un simile
potere fondato su egoismo, paura, brama di potere, volontà di dominio non può
fondare alcun potere legittimo e corrompe fatalmente i poteri politici su cui
esercita il suo potere. Non può nascere con queste basi una casta di umani che
faccia uscire l’umanità totalmente o parzialmente dai suoi limiti e da una
civiltà industriale ormai prossima schiantarsi sul limite delle risorse. Forse
sanno di poter solo gestire la velocità e la forza dello schianto.
IANA per FuturoIeri
|
|
21 settembre 2011
Da dove nasce la presente catastrofe

Le Tavole delle colpe di Madduwatta
Terzo Libro
Da dove nasce la presente catastrofe
Devo iniziare con un: “Io credo” che
la crisi di risorse e di crescita della civiltà industriale oscuri un fatto
banale: il potere è potere su masse di esseri umani e sulla capacità che questi
hanno di produrre ricchezza e di trasformare in beni di varia natura le risorse
naturali. C’è è vero la crisi, ma c’è anche una questione di fondo che riguarda
che fare in relazione al potere di dominio e controllo su miliardi di esseri
umani, sulle loro aspettative, sul loro immaginario collettivo, sui loro
bisogni, sui loro consumi, sulla loro capacità di produrre o distruggere
ricchezza. Se gli USA perdono il comando e controllo delle principali risorse
planetarie perderanno anche l’enorme potere che oggi hanno in materia
d’immaginario collettivo, di ostentazione di un modello di vita e di consumi, d’influenza
politica e sociale a livello globale. Le multinazionali USA oggi dominanti
dovrebbero davvero far a mezzo con i soci arabi, cinesi, europei, asiatici,
giapponesi e così via. I super-padroni non bianchi, non made in USA, non WASP
entrerebbero nei club e nelle stanze dove si decide e non più chiedendo per
favore o con il cappello in mano ma con il passo e l’arroganza del nuovo ricco
che dà lo sfratto ai vecchi proprietari della villa signorile. La cosa grave è
che potrebbero farlo in virtù di un crollo drammatico del valore del dollaro
comunemente in uso. Ora io credo che nessun CEO WASP intenda cedere un pollice
del suo potere a questi rappresentanti dei nuovi imperi concorrenti e delle
potenze minori associate a tali forze. Quindi a mio avviso la crisi del sistema
di produzione e consumo è aggravata da una lotta di piccole famiglie di miliardari
e appartenenti a caste di enorme potere per il mantenimento e l’espansione
della loro sfera di dominio e controllo. Ora io vedo molti segni di questo
cedimento imperiale attraverso quel poco di comunicazione via internet che
riesco a contattare nel tempo limitato che ho a disposizione. L’immaginario
collettivo che passa dalla rete attraversa molte categorie comunicazione e in
particolare la pornografia, le immagini e i video legati alla guerra nelle sue
diverse forme, le previsioni catastrofiche di santoni, profeti mediatici,
scienziati. Il sesso, il sangue e la paura dell’ignoto sono gli ingredienti
della maggior parte delle narrazioni e dei film, telefilm e talvolta cartoni
animati; sono tre ingredienti fondamentali quando si tratta di vendere una
storia popolare e di largo consumo. Invito
il gentile lettore a riflettere sul fatto che questi sono i tipici ingredienti,
diversamente mischiati, dei film di guerra, fantascienza e d’avventura. Ciò
detto “Io credo” che oggi l’immaginario collettivo composto anche di questi
suddetti elementi sia permeato dalla percezione della dissoluzione di un
vecchio ordine Eurocentrico e Statunitense e dall’irruzione del nuovo che viene
dall’Asia e non solo. Si pensi alla proliferazione dei fumetti pornografici del
Sol Levante, alle nuove guerre in Medio-Oriente, Asia e Nord-Africa, alle
profezie di calamità cosmiche mitigate dal pessimismo di matematici e scienziati che osservano il declino delle
risorse naturali e i limiti raggiunti da questo modello di sviluppo. Di fatto l’immaginario
collettivo è colonizzato da paure profonde, da pulsioni emotive provenienti
dall’inconscio che sono legate all’emersione di nuovi poteri imperiali e dal
senso di fine di un ciclo storico. In Europa come nel Nuovo Mondo l’ordine antico
è scosso da centinaia di milioni di asiatici, africani, nord-africani,
medio-orientali che vogliono la loro fetta di consumi e di benessere, che
entrano nel commercio mondiale, che producono, che fanno la guerra, che migrano.
Se non arriva una caduta di miracoli tecnologici e politici c’è da temere un
ciclo di nuove guerre fra inclusi e d esclusi dal benessere e dal potere
globale o una catastrofe dovuta al
combattersi dei nuovi imperi con i vecchi. I segni esteriori di questo
cedimento del vecchio mondo di valori e di comportamenti sono facili da trovare
in rete e non solo, alle volte basta girare per un giorno intero in una città
italiana di mezzo milione di abitanti e fare attenzione ai particolari e ai
dettagli; la fine di un tempo che è stato è presente apertamente o meno nei beni di consumo, nelle pubblicazioni audio
e video in vendita nelle edicole, presente nella pubblicità,
nei volti e nei linguaggi dei cittadini e dei lavoratori. Fine di un mondo
Eurocentrico e crisi di un mondo incentrato sugli USA ecco cosa emerge dal
passeggiare osservando con attenzione i segni di questa contemporaneità. Questa
è una catastrofe perché alla fine forzerà anche i più diffidenti e ottusi a
confrontarsi con questo presente in modo aperto e aspro, per forza di cose si dovrà
formare ciò che sostituirà un ordine di valori logorati e incoerenti con questo
presente e forse questo sarà parte di una redistribuzione del potere globale su
umani, beni e risorse naturali che avverrà fra i capi e i boss dei vecchi
imperi decadenti e i loro rivali che operano in quelli emergenti.
IANA
|
|
17 settembre 2011
Il terzo libro delle tavole

Le Tavole delle colpe di Madduwatta
Il terzo libro delle tavole
L’Italia e la ricostruzione della
memoria pubblica
Tempo fa avviai una riflessione sulla costruzione dell’identità
italiana, oggi in tempi di crisi del sistema di produzione e consumo In Europa
e USA, di guerre non più episodiche ma integrate nel sistema finanziario e dei complessi
militar-industriali delle grandi potenze a vocazione imperiale emerge la fragilità
politica e di sistema del Belpaese. Questo terzo libro delle tavole vuole dare
un contributo intorno alla complessità dei processi che definiscono la propria
memoria pubblica e l’appartenenza di un privato a una comunità umana. Presento,
quale primo contributo, qui uno schema storico per iniziare una riflessione su
quanto sia frantumata e complicata la memoria pubblica a partire dai 150 anni
dell’Unità d’Italia. Il terzo libro sarà anche dedicato a quella parte della
cronaca e dei fatti clamorosi del quotidiano che esigono una meditazione e una
considerazione.
1861- Il Risorgimento
L’avventura dell’Italia Unita si apre
a grandi speranze di gusto romantico per via della presenza di grandi eroi
ottocenteschi come Mazzini e Garibaldi. Il Regno Unitario che si costituisce, e
che è privo di alcune regioni del nord-est, si presenta come un nuovo Stato Nazionale
su cui sono collocate molte speranze non solo italiane.
1861-
1876 La destra Storica al potere
L’Italia passa dalla poesia alla
Prosa, al posto dei grandi ideali – la poesia- emerge l’evidenza di un
Risorgimento tormentato e contrastato, di una Nazione giovane con grandi masse
popolari e contadine povere e poverissime, di classi dirigenti insensibili alle
sofferenze quotidiane dei loro amministrati e di un popolo italiano tutto da
costruire e da istruire. Intanto il brigantaggio è represso con estrema durezza e grande è la
distanza fra la stragrande maggioranza degli italiani e le minoranze al potere.
1876-1887 La Sinistra Storica
La sinistra storica constatando la
distanza enorme fra paese legale e paese reale, fra sudditi del Regno d’Italia
e la minoranza di ricchi e di nobili che di fatto governa il paese e ha i
diritti politici cerca di avvicinare le masse popolari con riforme sociali ed
edificando monumenti agli eroi del Risorgimento e attuando titolazioni
patriottiche di piazze e vie. Intanto l’emigrazione italiana verso il Nuovo
Mondo si presenta come un fenomeno inedito che coinvolge milioni d’Italiani.
Tuttavia per la prima volta la minoranza al potere si pone il problema di
nazionalizzare e istruire le masse che
costituiscono il popolo italiano.
1887-1896 L’età Crispina
L’età Crispina segna l’emergere di
una minoranza politica autoritaria con forti legami con i grandi industriali
del Nord e i latifondisti del Sud. Da una lato aggredisce con estrema violenza
poliziesca le manifestazioni di protesta operaie e contadine dall’altro coltiva
un nazionalismo aggressivo e colonialista che fa presa sui ceti medi, la nuova formula
di creazione degli italiani fa leva su riforme di carattere giuridico,
amministrativo e sociale. La disfatta coloniale dell’esercito italiano ad Adua
fa emergere un nazionalismo esasperato e forze socialiste diffidenti e ostili
al concetto stesso di Nazione. Emerge l’impegno politico dei cattolici in quel
momento culturalmente ostili alle minoranze che esercitano il potere in Italia.
1898-1900 Sangue e fango sull’Italia.
L’età Crispina cessa al momento della
disfatta coloniale, la protesta sociale è soffocata nel sangue anche nella
civilissima e industrializzata Milano dove spara con i cannoni contro donne e bambini in
sciopero. La repressione sociale è durissima, l’idea risorgimentale di fare gli
italiani è di fatto spento. La politica diventa terreno di terribili contrasti,
per evitare la disgregazione delle libertà fondamentali l’opposizione ricorre
all’ostruzionismo parlamentare. Su questo biennio di sangue e fango cade il regicidio del 1900 per mano
dell’anarchico Gaetano Bresci.
1901- 1913 L’Età di Giovanni Giolitti
L’età di Giovanni Giolitti segna un
periodo di riforme e di progresso sociale, economico e industriale che
trasforma lentamente ma inesorabilmente l’Italia in una potenza regionale
dotata di una propria potenza militare e industriale anche grazie alle
innovazioni della Seconda Rivoluzione Industriale e fra queste l’energia
elettrica. Le proteste contadine nel sud sono represse, aperture alle forze
sociali e operaie nel Centro-Nord. Emerge l’impegno politico dei cattolici fino
a quel momento culturalmente ostili alle
minoranze che esercitano il potere in Italia. Il suffragio universale maschile
è un fatto, c’è la possibilità di avvicinare le masse popolari alla Nazione nonostante
la presenza fortissima di una cultura cattolica e socialista diffidenti verso
lo Stato Nazionale e le sue classi dirigenti.
1914 L’Italia del Dubbio.
L’Italia è l’unico paese fra le potenze d’Europa che evidenzia una
massa popolare ostile all’entrata nella Grande Guerra, il grande massacro
scientifico e industrializzato che
riscriverà la storia del pianeta e della civiltà industriale. Giolitti è ostile
al conflitto che comporterebbe il rovesciamento dell’alleanza con il Secondo
Reich e l’Impero d’Austria-Ungheria, il parlamento è contrario alla guerra, il popolo freddo e diffidente, i
ceti borghesi impauriti. Solo una
minoranza di nazionalisti di varia origine è favorevole per spirito d’avventura;
la Corona per motivi di prestigio internazionale e di potere è orientata a stracciare l’alleanza
e a dichiarare la guerra.
1915-1918 L’Italia della Grande Guerra.
L’Italia in tutte le sue
articolazioni sociali paga un prezzo spaventoso al conflitto mondiale imposto
da una minoranza di nazionalisti politicizzata e organizzata e di estremisti
politici di destra a tutto il resto della
popolazione della penisola. I morti sono più di Seicentomila, tutta l’Italia è
coinvolta, lo sforzo è enorme e ipoteca il futuro del paese a causa dei debiti
contrati e delle perdite umane, quasi tutte le famiglie italiane direttamente o
indirettamente sono toccate dal conflitto.
1919-1920 Il Biennio rosso
L’influenza della rivoluzione
d’Ottobre e della presa del potere Comunista in Russia determina e la resa dei
conti fra le forze politiche e sociali dopo la Grande Guerra determina un
periodo di forte scontro sociale con accenni rivoluzionari che porta
all’occupazione delle fabbriche e di alcuni latifondi incolti da parte delle
masse popolari arrabbiate e impoverite. Il mito della rivoluzione Bolscevica e
la disillusione per la Vittoria Mutilata sembra spegnere qualsiasi identità
patriottica. Emerge la reazione quadristica,
armata e terroristica fascista
che intende imporre all’Italia intera la sua concezione di patria e di Stato.
1922-1924 Il Fascismo al potere
Mussolini riesce a trasformare i
fasci di combattimento in una forza politica autorevole che ha rapporti con il
Vaticano, con la Corona, con l’Esercito e con la grande industria italiana.
Nell’Ottobre del 1922 con un finto colpo di Stato che segue la “Marcia su Roma”
comincia a costituire un modello di Stato che deve sostituire quello liberale e
giolittiano attraverso un governo di coalizione che trova ampio consenso in
parlamento. L’idea è usare il fascismo per creare lo Stato fascista che deve a
sua volta creare l’italiano nuovo. Il fascismo manipola la scuola, lo Stato, i
riti pubblici per arrivare al suo scopo politico principale.
1925-1935 Il Regime fascista
Il fascismo cerca di creare il suo
italiano ideale militarizzando la scuola pubblica, determinando riforme
sociali, trasformando il partito in istituzione, plagiando al gioventù e
distorcendo la vita quotidiana sulla base della sua demagogia patriottica. L’Italiano del futuro dovrebbe essere
l’italiano del fascismo.
1935-1939 Anni Ruggenti
Il fascismo appare vincente. Crea
l’Impero a danno delle popolazioni dell’Etiopia che vengono aggredite e
conquistate, sfida i grandi imperi coloniali d’Europa e la Società della
Nazioni. Il prezzo per questa operazione è il legarsi ai destini del nuovo
regime nazista che ha proclamato al fine della Repubblica di Weimar e la
nascita del Terzo Reich. Hitler e Mussolini s’impegna nella guerra di Spagna,
emerge una diffidenza fra gli italiani e il regime, stavolta la guerra del
regime è ideologica e non nazionalista e colonialista. Tuttavia le vittorie in
Etiopia e Spagna spengono il dissenso.
Intanto Hitler e il suo Terzo Reich iniziano la seconda guerra mondiale.
1940-1943 La guerra Fascista
Il fascismo e il suo Duce Mussolini
s’impegnano nella guerra mondiale al fianco del Giappone e del Terzo Reich ma
le forze armate italiane son mal equipaggiate, peggio comandate e in generale
il morale è basso. L’Italia fascista e monarchica dimostra di non essere in
grado di sostenere il conflitto pur essendo una delle tre potenze principali
dell’ASSE. Le disfatte del 1942 del 1943 in Russia e Africa e l’invasione del territorio italiano
da parte degli Anglo-Americani determinano la caduta del fascismo e la resa
incondizionata del Regno d’Italia nel settembre del 1943.
1943-1945 La Resistenza
Si formano due stati in Italia, uno
monarchico a Sud e uno Nazi-fascista a Nord. Uno controllato da Hitler e
denominato Repubblica Sociale di cui è leader Mussolini appoggiato da una
schiera di fanatici fascisti e l’altro sotto il controllo degli alleati. Si
formano nell’Italia Centro-Settentrionale le forze armate partigiane
antifasciste malviste dagli alleati per via della componente comunista e
socialista. L’Italia diventa così un campo di battaglia, l’unità nazionale è
dissolta, gli italiani si dividono e si combattono fra loro. Il futuro è
incerto e legato alla prossima spartizione dell’Europa e del mondo che sarà
fatta dai vincitori del Conflitto mondiale.
1946-1947 Il Dopoguerra
L’Italia dopo una difficile e
contrastata votazione diventa Repubblica e s’inizia a pensare alla sua
ricostruzione. Intanto nel 1947 a Parigi
le speranze italiane sono deluse, il trattato di pace è punitivo ela Resistenza
non viene valorizzata dai vincitori che ne hanno dopotutto tratto profitto ,
Alcide De Gasperi si trova a dover liquidare la pesante eredità fascista e
monarchica.
1948-1953 L’Italia Democristiana
L’Italia diventa democristiana,
nell’aprile del 1948 il responso elettorale punisce socialisti e comunisti e premia i democristiani legati
agli Stati Uniti e al Vaticano. L’Italia della Democrazia Cristiana di Alcide
De Gasperi fra molte contraddizioni e tanti limiti cerca di legare l’economia
all’Europa del Nord e la politica estera agli Stati Uniti impegnati nella lotta
contro il comunismo. Si forma una Repubblica Italiana che esce dalle emergenze e
comincia a ritagliarsi un suo ruolo economico e politico.
1954-1963 Il Miracolo economico
L’Italia si trasforma in civiltà
industriale, le antiche culture contadine, rionali, cittadine, popolari
iniziano a dissolversi. Quanto di antico e
di remoto aveva fino ad allora limitato l’azione propagandistica dei
nazionalismi fascisti e monarchici si
dissolve. L’Italia si trasforma rapidamente e aldilà della volontà delle classi
dirigenti timorose di non controllare più la mutazione sociale ed economica in
atto. La criminalità organizzata intanto diventa una potenza economica e
sociale nel Mezzogiorno d’Italia.
1963-1968 Il primo Centro-Sinistra
L’Italia è governata con il
contributo del Psi, inizia una stagione di riforme volta ad aiutare i ceti
popolari, a riequilibrare le differenze sociali, a migliorare la scuola
pubblica, nasce la scuola media. Ma i tempi sono aspri, il contrasto fra
comunismo sovietico e regimi capitalisti è durissimo e il riflesso in Italia è
pesantissimo. Intanto la televisione inizia a rideterminare e a formare la
comune lingua italiana. Emerge la distanza enorme fra cultura alta e fra le
masse popolari avviate al consumismo acritico e una ridefinizione di sé sulla
base degli stimoli pubblicitari della società mercantile. Pasolini denunzia la
trasformazione degli italiani da cittadini a consumatori.
1969-1976 L’Italia della Strategia della
tensione
L’Italia paga un prezzo spropositato
alla miopia politica delle minoranze al potere e alle mire politiche degli
stranieri, la contestazione di carattere sociale diventa durissima emerge un
terrorismo italiano di destra e di sinistra inserito nelle logiche degli ultimi
anni della guerra fredda. Per l’Italiano contano due sole identità quella
derivata dall’appartenenza politica e quella data dalla propria collocazione
entro i parametri della società dei consumi. Pasolini muore atrocemente in circostanze
non chiare il 2 novembre 1975.
1976-1990 L’Italia di Craxi
Craxi diventa il leader indiscusso
del PSI e l’ago della bilancia della Repubblica, con la presidenza Pertini
avviene un fatto inaudito la distanza fra masse popolari e potere politico, il famoso Palazzo si riduce,
aumenta il consenso per il PSI e per i partiti di governo il PCI viene
ridimensionato l’Italia ascende al rango di potenza globale. Questo ha però un
rovescio della medaglia: corruzione, clientelismo, disgregazione di ogni morale
e di ogni valore social o umano non di natura mercantile, pesante indebitamento dello Stato, ingerenza di poteri illegali
nella vita pubblica del paese. Il Craxismo dominate esprime una labile forma di
nazionalismo garibaldino che cerca di collegarsi alle antiche glorie risorgimentali.
1991-1994 L’agonia della Prima Repubblica
L’Italia di Craxi si decompone, la
crisi politica e morale della Repubblica italiana è evidentissima e le
inchieste giudiziarie travolgono, disfano e umiliano i grandi partiti di massa
che cambiano nome e ragioni ideologiche o si dissolvono. le novità
internazionali successive alla Prima Guerra del Golfo del 1991 tendono a
determinare il governo mondiale di una sola grande potenza gli USA e lo
spostamento dei grandi affari internazionali verso l’Asia e l’Oceano Pacifico riducono l’importanza dell’Italia e del
Mediterraneo. La confusione fra gli italiani è enorme perché i vecchi punti di
riferimento si dissolvono.
1994-2000 L’Italia della Globalizzazione
Berlusconi e il suo schieramento di
centro-destra e i raggruppamenti eterogenei di centro-sinistra sono i
protagonisti della vicenda politica italiana. L’identità italiana malamente
formata negli anni della Repubblica
attraverso il mutuo riconoscimento dei partiti usciti dalla realtà della
Resistenza e della creazione della Repubblica inizia a dissolversi. Lentamente
si forma un quadro politico fra due grandi raggruppamenti politici contrapposti
che sconfessa la molteplicità della identità politiche di parte e la crisi
sociale creata dai processi di globalizzazione dissolve le identità legate al
benessere e al facile consumismo. L’identità italiana sembra disgregata in una
miriade di suggestioni pubblicitarie e demagogiche. Intanto la situazione
internazionale peggiora partire dalla guerra del 1999, si determinano nuove
potenze imperiali che contrastano gli Stati Uniti.
2001-2011 L’Italia della crisi globale
Il progetto di creare un Nuovo Secolo
Americano pare dissolversi fra le dune irachene e le montagne afgane, gli USA
sono impegnanti in due guerre logoranti contro insorti e terroristi in Medio Oriente e Asia, l’Italia
vi partecipa con sue forze. La globalizzazione rallenta, le logiche imperiali
sembrano più forti dei grandi interessi commerciali e finanziari, intanto
emergono i guasti politici e sociali legati ai processi di globalizzazione. L’Identità
italiana è oggetto di dibattito pubblico segno della sua difficoltà a
collocarsi in questi anni difficili con le proprie ragioni e la propria
autonomia.
|
|
11 settembre 2011
11/9 il golpe in Cile del 1973 e la presente tragedia dell'umanità
11/9 Il golpe in Cile del 1973 e la presente tragedia dell'Umanità
11 settembre 1973 alcune multinazionali bene introdotte fanno fare un
golpe in Cile a generali traditori e corrotti capitanati dal despota
cileno Pinochet. La mancanza di vigilanza da parte degli Stati sedicenti
democtratici sui centri di comando e controllo delle multinazionali e
della grande finanza, denunciata dal presidente cileno legittimo
Salvador Allende in un discorso alle Nazioni Unite poco prima d’essere
spodestato e ammazzato, si trasformava in quel giorno funesto in una
tragica realtà.
Oggi che cade la ricorrenza è bene non dimenticare il pericolo terribile
e presentissimo costituito da poteri economici e finanziari che si
credono in diritto di rovesciare governi legittimi o di distruggere
vite, ecosistemi, economie, pianificare guerre, determinare le scelte
economiche di governi legittimi, far battere moneta a sistemi di banca
centrale controllati da associazioni di banche private. La sovranità
presa in custodia o in ostaggio da poteri illegittimi o criminali o
peggio ancora tende a trasformare il mondo umano in una discesa verso
condizioni sociali e culturali tendenti all’autodistruzione, alla
guerra, all’empietà, alla degenerazione fisica e morale. C’è una
dimensione nel sistema della multinazionale che non ha natura umana e
che tende a distruggere l’umano. La multinazionale infatti dalla fine
dell’Ottocento ha personalità giuridica; è come se fosse un soggetto
umano per quel che riguarda gli affari e il commercio. Un sistema di
società per azioni con un logo e una struttura può comprare, vendere,
stipulare contratti, come se fosse un essere umano. Nei fatti per le
loro gravi violazioni della legge le multinazionali vengono spesso
multate ma quasi mai sciolte e spesso gli amministratori delegati non
vengono condannati se non in presenza di crimini pesantissimi e di prove
schiaccianti e definitive. Se venisse tolta alla multinazionale la
personalità giuridica e gli azionisti rispondessero loro in prima
persona dei danni e delle violazioni dellla legge con multe pesantissime
e condanne a decine di anni di galera o anche peggio la natura
distruttiva di questi poteri economici risulterebbe ridimensionata.
http://www.youtube.com/watch?v=cBJfZJoN5Uk http://it.wikipedia.org/wiki/Golpe_cileno_del_1973
|
|
|
|
|
|