29 dicembre 2009
De Reditu Suo - Allegoria
Offro ai miei vencinque lettori la possibilità di leggere tutta l'Allegoria della Seconda Repubblica
De Reditu Suo
Allegoria della seconda Repubblica
La fortuna ci consegna questo scritto ritrovato in una
remota biblioteca, gli esperti lo attribuiscono al sommo teurgo di Cerreto, il grande evocatore
del fantasma del Doppio Meridione e uomo sommo per saggezza, dottrina e competenza
nell’arte della divinazione politologica. Si tratta di una copia in cinque
fogli della “Allegoria della Seconda Repubblica” certamente una delle copie più
antiche, qualcuno ipotizza che possa essere perfino l’originale.
Primo foglio.
Accadde nel primo giorno della
settimana. Si trattava di un grosso animale, più grande di quelli che si
trovavano di norma nella zona; aveva addosso una qualche specie di bardatura
che denunciava il fatto di essere una bestia che aveva avuto un ruolo nella
società umana. Forse era stato un bue maestoso, o forse un grande cavallo
montato da chissà quale gentiluomo per le feste civili o religiose. Adesso era
un cadavere, una carcassa fredda abbandonata proprio nel mezzo della piazza del
paese a metà fra la chiesa e il palazzo del podestà. Il corpo stava andando in
decomposizione, il tempo era sfavorevole alla conservazione delle carni perché
la primavera era finita e il vento caldo annunciava l’estate.
Non era chiaro chi dovesse prendersi
cura di rimuovere quel corpo. La piazza era del potere civile proprio come di
quello religioso e anche della gente del luogo e perfino dei mercanti e degli
ambulanti che si recavano lì per il mercato, ma nessuno voleva far una cosa che
non era ritenuta di sua competenza. I popolani, le guardie, il podestà e il
monsignore semplicemente ignoravano la cosa e volgevano lo sguardo altrove. La
piazza era pubblica, talmente pubblica che nessuno la riteneva propria, luogo
di tutti e di nessuno e questo essere di nessuno la rendeva priva di cura.
Alcuni fra gli abitanti ritenevano che la carcassa dovesse esser rimossa a
spese del monsignore in quanto il giorno della fiera in onore del miracolo del
Santo Patrono era prossima e la piazza doveva esser pulita e sgombra, altri
ritenevano che il potere civile dovesse farsi carico della cosa, nacquero delle
discussioni anche violente ma la carcassa restò lì a decomporsi.
Tra il quarto e il sesto giorno l’aria
intorno alla carcassa cominciò a guastarsi, la cosa si stava sfasciando
lentamente e affioravano le ossa e le viscere ormai preda delle larve.
Con indifferenza le genti del borgo
assistevano al disfacimento del corpo, forse si trattava di un presagio di
qualcosa che sarebbe accaduto o forse era un simbolo di qualche fatto
misterioso che era già avvenuto da anni e che nessuno aveva considerato o
compreso. Il corpo lì rimase fino al settimo giorno.
De Reditu Suo
Allegoria della seconda Repubblica
Secondo foglio
Erano in cammino fin dalla metà
della notte, chi a piedi portando a spalla il fagotto con le poche cose da
vendere e chi con qualche mezzo carico di casse e imballaggi, tante luci si
muovevano nell’oscurità dirette alla piazza del paese. Il giorno di mercato si
teneva in onore di un miracolo del Santo
Patrono, il venerabile al tempo della calata dei barbari aveva pregato e
fatto penitenza e Dio aveva indirizzato il furore degli stranieri altrove
risparmiando il miserabile borgo di allora dalla strage e dal saccheggio. Per
questo dalle campagne vicine approfittando del giorno lieto di festa giungevano
in tanti per fare i loro affari al mercato. Ma l’alba non era ancora sorta
quando i primi commercianti arrivati per prender posto s’accorsero del tanfo e
del corpo; non avevano previsto una cosa del genere e essendo litigiosi e discordi
urlavano e bestemmiavano a voce alta ma non si mettevano d’accordo fra loro. Si
presentò alla loro vista un piccolo essere seguito da una mezza dozzina di
servitori brutti e deformi che quasi nascondevano i loro corpi con abiti,
cappelli e con cappucci calati, gli infelici trascinavano un carretto con degli
attrezzi. L’essere che li guidava era il più basso di tutti una veste da medico
degli appestati lo copriva da capo a piedi, un paio di scarpe con dei vistosi
tacchi rivelavano quanto fosse basso, il volto era coperto dalla maschera a
forma d’uccello tipica di coloro che assistono i contagiati; qualcuno
addirittura giurò di aver visto una coda da rettile uscir fuori da quel vestito
altri affermarono che il rumore dei suoi passi aveva qualcosa di strano come se
i suoi piedi fossero di pietra. Il nano salì su una cassa e parlò grossomodo
così ai mercanti:”Amici sfortunati, mi conoscete di fama mi chiamano il nano
del cielo perché vivo sul monte, lontano dagli uomini e vicino alle nuvole. Io
vi osservo dall’alto e guardo questa piana stretta fra le colline e i monti e vedo
i vostri affanni e i vostri desideri e le vostre iniquità con l’occhio del
falco. Più volte avete chiamato me e i miei servi deformi per fare dei lavori
che altri non volevano fare. Oggi posso aiutarvi e togliere l’ingombro ma voi
mi darete una triplice ricompensa. Nel giorno del miracolo è costume che la
decima parte del guadagno vada alla chiesa in segno di etera riconoscenza ma
voi oggi la verserete a me perché vi ha deluso con il suo silenzio. Un altro decimo voi lo versate al podestà che
è il braccio armato della legge e dell’ordine ma voi mi donerete anche la sua
parte perché non ha fatto il suo dovere.
Infine mi verserete quella decima parte che è quella che spetta a Dio
per l’elemosina e le pie opere di carità poiché egli si è ritirato dal vostro
mondo e in questa ultima parte della notte non è qui con voi. Per i tre decimi
del vostro guadagno vi darò la vostra piazza e toglierò il corpo morto che
ostacola il guadagno del giorno.” I mercanti e gli ambulanti si guardarono
negli occhi nessuno si fidava l’uno dell’altro. Il nano stravagante prometteva
di far fare ciò che loro non potevano neanche iniziare. L’inimicizia che
regnava fra loro era troppo grande per trovare un’intesa su una cosa che
comportava lo sporcarsi le mani e rischiare un’infezione quindi accettarono le
condizioni del nano. Uno per uno giurarono sulle sue mani che avrebbe avuto la
parte di Dio, della chiesa e del podestà.
De Reditu Suo
Allegoria della seconda Repubblica
Terzo foglio
Giurarono tutti quanti ponendo le
loro mani sopra quelle del nano del cielo. I guanti neri da medico degli appestati furono toccati da una piccola
folla eterogenea di mani le più diverse: c’erano quelle lisce e morbide degli
usurai che prestavano di nascosto i soldi, quelle pulite delle prostitute,
quelle fredde dei venditori di pesce, quelle grassocce dei dettaglianti di
formaggi e salumi, quelle screpolate dei rivenditori di attrezzi agricoli, e
quelle inanellate dei merciai e dei rivenditori di vestiti; perfino qualche
disperato dalle unghie sporche che portava in un fagotto le sue tre o quattro
cose da rivendere per trovar due o tre soldi mise le sue mani sopra quelle del
nano. Mille storie e mille disagi erano disegnati sui volti e sulle mani di
coloro che per guadagno offrivano la parte di guadagno non loro al nano, ognuno
aveva avuto qualche disgrazia o si era elevato solo un poco lasciandosi alle
spalle la povertà, oppure era disceso nella scala sociale fino a diventare
un’ambulante. Tutti volevano il loro guadagno erano lì e non se ne sarebbero
andati senza aver udito un familiare tintinnar di monete. Tutti offrirono la
loro parola e la loro dignità. Il nano ricevuto l’omaggio urlò qualcosa di
gutturale e brutale ai servi deformi ed essi indossarono dei guanti e tirano
giù dal carretto dei teli, delle asce da boscaioli e dei ganci e certe aste di
legno. Il nano prese da un fagotto una grande ascia nera, e iniziò a colpire il
corpo in alcuni punti frantumando le ossa e facendo schizzare per ogni dove i frammenti decomposti. In molti lo osservarono con cura perché volevano
constatare se era vero quel che si diceva di lui ossia che aveva i piedi di
pietra a causa di una maledizione e se davvero una coda di rettile era nascosta
dalle sue vesti, altri lo fissavano con misto di repulsione e di attrazione perché
turbati dalla sua opera. Quando
cominciarono a mostrarsi le prime luci dell’alba egli interruppe la sua opera e
chiamò i servi a sezionare le parti della bestia che aveva spezzato, i servi deformi
divisero le masse informi in alcuni mucchietti usando lame e seghe create in
origine per tagliare i tronchi dei pini, sistemarono le carni decomposte sopra
dei teli dopo averle spostare con dei ganci e le infagottarono. A suon di pugni
e calci il nano comandò che i suoi servi legassero i ripugnanti fagotti alle
aste proprio a metà di esse. I servitori presero le aste così appesantite per
le estremità e furono in grado di portare agevolmente via quella materia
puzzolente. Il nano salì sul carretto e
disse:”Amici, tornerò quando la luce che ora mi caccia da questa piazza sarà
debole e allora verrò a chieder conto di quanto da voi promesso. Avete guadagnato il vostro tempo e vostro è
questo giorno di luce sta a voi ora farlo fruttare e trasformarlo in denaro che
gira di mano in mano e che crea il nostro mondo fatto di cose morte e vive che
vengono vendute e comprate. Oggi tutto ha un prezzo e questo è il mercato la
rappresentazione più schietta di tutta la nostra realtà, con dispiacere vi devo
lasciare perché qui sento una forza vitale che è affine al mio spirito”. Ciò
detto il Nano e i suoi servi abbandonarono il luogo in modo che la sua schiera
di portatori deformi e odoranti di morte e decomposizione non disturbasse gli
acquisti della gente venuta dalle campagne al mercato del paese. Fare affari al
momento giusto era una cosa importante, di mezzo c’era il tempo perché la vita
è breve e un soldo non guadagnato oggi non potrà essere investito domani e non
darà un profitto dopodomani, il denaro vive di lavoro e di tempo, se mancano
questi due elementi può sparire come per magia. Il nano lo sapeva meglio di
tutti loro e aveva scelto il momento giusto per imporre il suo prezzo e la sua
volontà. Tutti ne erano consapevoli ma fingevano di non aver capito, c’era da
guadagnare quel giorno, e tutto il resto non contava più nulla.
De Reditu Suo
Allegoria della seconda Repubblica
Quarto foglio
I mercanti, i barrocciai, e gli
ambulanti trassero dei sospiri di sollievo, il mostriciattolo stava sparendo dalla
vista con il suo seguito di esseri indegni. Il nano aveva fatto il suo lavoro e
fin qui le cose andavano bene, chissà come mai aveva chiesto proprio la parte
altrui. Ma erano pensieri inutili, pensare troppo non è bene per chi vive di
vendere e comprare e deve spostarsi di qua e di là per piazzare la sua merce o
per strappare a un concorrente un buon affare. Il mattino era alto nel cielo e
gli affari dovevano assorbire tutta la volontà e la capacità di concentrazione di
coloro che si presentavano in piazza per vendere e per comprare. Questa
concentrazione in un solo luogo di diversa e varia umanità creava un piccolo
mondo ora ridicolo, ora pittoresco. Là gentiluomo ben vestito contrattava il
prezzo di una collanina da poco per la sua giovane amante con un venditore di
cianfrusaglie e al suo fianco un mascalzone cercava presso il rivenditore di
ferraglia degli attrezzi per fare un furto con scasso, nel mezzo della piazza
un paio di saltimbanchi e un ciarlatano attiravano il pubblico, quest’ultimo
attraverso la scienza del suo occulto e truffaldino sapere. A pochi passi da
loro un monaco impartiva benedizioni cercando qualche piccola donazione, alcuni
contadini esibivano sui loro carretti frutta e verdura di stagione con la
speranza di cavarne abbastanza per comprar medicine e qualche coperta per il
prossimo inverno, perfino un mendicante esibiva qualche moneta per pagarsi una
bevuta di vino e un paio di stracci per coprirsi. Da un lato non lontano da un
muro usato come pisciatoio per i cani un tale, con qualche turba religiosa in
testa, chiamava a raccolta i credenti contro il peccato. Il fanatico era di
fatto ignorato e non lontano da lui i venditori di vestiti e di piccoli oggetti
richiamavano una folla di donne che cercavano un piccolo affare per portar a casa
qualcosa con la certezza di aver spuntato un buon prezzo e non di esser state
fregate. Gli occhi delle signore brillavano di avidità e d’illusioni mentre i
gli ambulanti declamavano la loro merce e raccontavano loro ciò che volevano
ascoltare. Il venditore di pentole e di oggetti in rame, con una faccia da
straniero del sud, aveva raccolto una piccola folla. Dava qualche colpo ai suoi
oggetti e li faceva risuonare per far sentire che c’era anche lui e che la sua
mercanzia era bella e valida. I bambini erano indecisi se era più interessante
quella strana persona o il venditore di piccoli oggetti e giocattoli da poco,
il maestro del paese intanto cercava il rivenditore di cianfrusaglie che aveva
anche carta e materiale per scrivere. Al centro della piazza nel posto d’onore
un vecchio vendeva vecchi vestiti e scarpe usate cercando d’imbrogliare i
clienti sulla qualità della merce, a sinistra del suo banco aveva il venditore
di dolciumi e a destra quello di vino. L’uno
attirava i bambini pieni d’illusioni sulla vita, l’altro i vecchi delusi
dall’esistenza che cercavano un paradiso alternativo a quello del prete con due
litri di rosso scadente. Qualcuno era felice e fra costoro il sensale di
maiali, quello di pecore e il tale che combinava matrimoni e fidanzamenti.
Tutti e tre erano seduti comodamente nella bettola che faceva da taverna e da
albergo per i forestieri e guardavano con interesse lo spettacolo di quel mondo
umano in movimento e rigiravano fra le mani qualche buona moneta. I tre
pensavano anche loro avrebbero avuto una parte di quel fluire di denari per il
paese grazie ai loro commerci di lana, pecore, carni suine e ragazze da
maritare. Intanto il tempo passava, le voci si facevano meno insistenti, e le
ombre s’allungavano. Stava arrivando la sera e la piazza iniziava a spopolarsi,
il mercato era quasi finito era venuto il momento di far gli ultimi affari
svendendo la merce invenduta, di lasciar gli scarti per terra per la gioia dei
miserabili e dei pezzenti e dei bambini abbandonati a se stessi. Era l’ora e di
far i conti del guadagno del giorno e quindi
di mettere in mano al nano del cielo le tre parti che gli erano dovute.
De Reditu Suo
Allegoria della seconda Repubblica
Quinto foglio
Quando le ombre della sera si
allungarono e annunziarono la notte tornò il Nano con la sua veste da medico
degli appestati e assieme a un personaggio vestito di oro, di nero e di rosso
con una maschera da antico attore di teatro sul volto, lo presentò come il suo cassiere e assieme a lui prese le tre
parti del compenso che finirono in una borsa di pelle marrone e vennero le
somme versate annotate in un registro. Erano una coppia molto buffa un essere
piccolo e vestito da medico degli appestati e un tale spilungone vestito in
modo eccentrico che in modo cerimonioso s’inchinava quando doveva aprir la
borsa per far cadere i denari e annotava con scrupolo le somme. Quando la
coppia andò via i mercanti, gli ambulanti, i ciarlatani e i barrocciai
iniziarono a contare il guadagno rimasto e fu allora che cominciarono a farsi sempre
più intensi dei suoni. I garzoni stavano riponendo le merci sui carri e tutti
erano prossimi a partire quando dal pozzo posto su un lato della piazza emerse
una sorta di fantasma. Era lo spirito del pozzo, chi fosse stato davvero non
era noto, o forse i paesani stanchi di ricordare la gente onesta l’avevano
dimenticato, o forse lui stesso aveva perduto il suo nome poiché e cose
cambiano e gli umani non restano mai gli stessi. La sua apparizione destò
disprezzo e divertimento, da tempo era noto che il fantasma era ridotto solo ad
essere una vuota voce che si perdeva nella notte e che sibilava al calar delle
tenebre. Così andò profetando l’antico spirito:”Malvagi, cosa avete fatto!
Avete dato la dignità del potere a un nano maligno, deforme e maledetto per le
sue magie, a un essere empio dalla lingua bifida come i biscioni che strisciano
nella nera terra. Avete dato a costui la dignità di Cesare quando gli avete
ceduto la parte che spetta al podestà, l’avete onorato come l’Altissimo dando
ad esso la parte che spetta al monsignore e infine dando la parte vostra
dedicata a Iddio avete tributato culto a un essere composto di pietra, ossa,
carne e nero sangue. Cosa credete di aver fatto! Io so perché siete così
iniqui, perché deridete questa voce che sibila nella luce che muore di questo
giorno, perché disprezzate così tanto la vita e tutto ciò che è sacro. Io so
che voi siete già morti, ombre spente di un mondo che non c’è più, avidi esseri
travolti dal mutare delle cose che voi stessi create con il vendere e il
comprare. Voi avete distrutto il vostro piccolo mondo umano per avidità e oggi
vi prostrate per una fede interessata e meschina al nano che è sceso dal monte e
dal cielo per mostrare a tutti i viventi le nostre deformità morali e la
perversione dei nostri costumi.
L’animale che ha spezzato, segato, diviso e fatto portar via dai suoi
servi infelici era una nobile bestia, voi tutti l’avete ammirata e in altri
tempi e l’avete posta a tirar il carretto con l’immagine del patrono, l’avete
vista alla destra del Podestà e a sinistra del Monsignore. Adesso che avete
rinnegato la vostra antica fede la morte ha mutato ciò che era nobile e vivo in
un corpo senza vita e decomposto. Solo voi date al nano del cielo il potere di
decidere sul giorno del mercato, di prendere ciò che è di Dio e ciò che è di
Cesare; la vostra discordia è il suo potere, e a costui oggi avete tributato
culto. Malvagio è colui che prende ciò che non è suo e despota colui che
compensa con i beni altrui i suoi favoriti, voi siete stati despoti e malvagi
contro voi stessi. Siate dunque maledetti fino al punto di sprofondare nel
vostro egoismo scellerato e sparire con esso nel profondo della nera terra. Possa
il vento che soffia sulle vostre porte e sulle vostre finestre ricordarvi ogni
notte la malvagità della vita vostra e dove essa vi porterà.”
Dopo aver sibilato le sue
maledizioni il fantasma ritornò nel profondo del pozzo. I mercanti e gli
ambulanti non avevano più nulla da fare in quel luogo, accesero le loro luci e
le loro lanterne e si misero in cammino, lentamente perché la stanchezza era
tanta, i passi pesanti e la strada lunga.
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