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2 novembre 2016
Una ricetta precaria N.22
Ricetta precaria
22.
il
numero undici raddoppiato.
Schiacciata,
stracchino e salsiccia. Tutto messo assieme per una merenda volante
mentre prendevo al volo il treno per Lucca uscendo
da scuola. A questo punto
non posso omettere da questo testo certe deviazioni alimentari del
mestiere d'insegnante laddove la scuola ha il bar. Potrei ricordare
il giro di dodici anni di precariato a partire dai bar delle scuole o
dalle merende organizzate per la giornata di lavoro. Mi ricordo che a
Sesto non era male il trancio di pizza. Mi ritrovai a ricevere i
genitori in una strana aula vicino al bar, sembrava una specie di
cantina. C'era una cattedra, la sedia per il docente, due per i
genitori. Una volta una coppia mi sorprese mentre avevo organizzato
una colazione al volo con un pezzo di pizza e un cappuccino; scena
imbarazzante sembravo un Fantozzi di turno beccato sul fatto dal
dietologo. Un ricordo legato alla Schiacciata farcita dell'Istituto
di Scandicci fu quando ci fu
la convocazione per le cattedre annuali. Vi partecipò anche la
moglie di uno dei politici più in vista e arrivarono un codazzo
davvero imbarazzante di giornalisti e affini. Mi ricordo che mangiai
di gusto mentre quelli aspettarono otto ore il momento della
convocazione della signora, mi facevano un misto di pena e
ripugnanza. C'erano quel giorno persone con storie incredibili da
raccontare sulla scuola, vite vere di lavoro anche sofferte. Ma loro
erano lì solo per raccontare la loro storia patinata e non
si sarebbero mossi fino al momento del dunque, erano
lì ignorando volutamente
storie vere per rappresentarne una tutta loro.
Pensai a quanto fossero squallidamente fuori posto mentre masticavo
e grano, sale, maionese, insalata e prosciutto si mischiavano nel mio
palato; avuta la loro storia
andarono via di fretta.
Un'altra volta in un esame
di maturità il Bar della scuola, di solito ben fornito, aveva solo
dei donuts vecchi e semicongelati. Dato che non c'era tempo per
andare a giro ne comprai un paio e li masticai controvoglia e li
buttai giù con un paio di bicchieri di caffè della macchinetta.
Sembravo un tipo da cartoni animati, mi venne in mente perfino il
videogioco di Fallout Tattics quando uno dei protagonisti da un
frigorifero abbandonato recupera dei donuts congelati in una base
militare infestata da mostri velenosi. Strane associazioni d'idee fa
fare il cibo alla memoria.
Invece a Firenze a un linguistico c'era un bar con un giardinetto sul
retro, niente d'eccezionale ma era comodo per passare una mezz'oretta
su una panca e magari ragionare con i colleghi. Mi ricordo che
avevano cornetti e sfoglie calde la mattina prima di entrare in
classe se avevo tempo mi facevo sfoglia e cappuccino, non era male
neppure il caffè. In effetti la mattina avere un poco di tempo per
rilassarsi prima di riprendere in mano l'insegnamento può esser
utile, distende per un attimo i nervi e affronti meglio la classe e
la situazione con i colleghi.
Fra l'altro fu quello un anno difficile perché avevo una cattedra
spezzata ed era anche un periodo di accese rivendicazioni sindacali,
fermarsi a ragionare su quel
che capitava era utile e necessario. Per quel che mi riguarda
mangiare è di solito anche pensare. La testa in fondo, oltre al
resto, ha anche la bocca e il naso e anche ciò che si mangia è
parte della propria storia perfino di quella lavorativa.
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19 settembre 2016
Una ricetta precaria N.19
Ricetta precaria
19.
Altro numero primo.
I
fagioli che passione. Ho sempre dato per certo che il miglior
accompagnamento di una padella di fagioli fosse la salsiccia. Questo
mi ricorda una cosa della mia infanzia. Mi ricordo che ero molto
piccolo e riconobbi l'odore di salsiccia e fagioli del pianterreno, e
stavo al quarto piano. Così andai, da buon sfacciato, a disturbare
l'inquilino del pianterreno. Il fatto che fosse mio nonno mi
consentì di condividere la prelibatezza. Se devo indicare almeno un
lato positivo della mia infanzia è stato la scoperta degli odori. Mi
ricordo distintamente il profumo del rosmarino che mia nonna mi
mandava a prendere in una specie d'orticello presso un giardinetto
maltenuto. Il rosmarino era strategico per le operazioni culinarie
con il pollo arrosto o per le patate al forno. Un odore di cucina che
mi è gradito è quello del sugo per condire la pastasciutta, mi
ricordo di aver imparato a riconoscere quell'odore caratteristico.
Nel quartiere dove vivevo durante l'infanzia quest'odore si spargeva
verso le 12, magari pochi minuti prima di dover rientrare. Mi ricordo
di aver sentito anche il rumore delle stoviglie che usciva dalle
finestre delle case. Credo che pochi odori comunichino un senso di
vita domestica pari a quello del sugo al pomodoro per i comunissimi
spaghetti. In certe giornate di primavera era davvero come il
rintocco di una campana, segnava il tempo. Altro odore caratteristico
era quello di fritto di patate o il comune odore di pollo arrosto,
specie la domenica. L'odore del cibo non è mai una cosa neutrale,
racconta molto dell'essere umano. Mi capita ancor oggi di sentire
qualcuno di questi odori li associo spontaneamente alle abitudini
della tipica famiglia italiana. L'umano non è solo ciò che mangia
ma anche quel che annusa, di solito il ricordo degli odori che gli
sono familiari è un tratto caratteristico della storia di una
persona. Tornando ai fagioli mi ricordo che sono stati tante volte la
sostanza di pasti fatti di corsa e in mezzo a tanti pensieri degli
anni nei quali ero studente universitario, anni difficili. Per prima
cosa fare una ricognizione e vedere cosa c'è. Se ci sono fagioli,
sugo di pomodoro, sale, pepe e magari anche un cucchiaio d'olio e una
salsiccia si può provare a far qualcosa. Prendete una padella
tipica. Rovesciate nella padella sugo e olio, possibilmente d'oliva,
un pizzico di sale e il pepe. Fuoco basso e aspettate che si
manifesti il riscaldamento del composto a quel punto è il momento.
La salsiccia apritela a metà o fate dei buchi in modo da far
sciogliere un poco il grasso nel sugo e ovviamente mettetela nella
padella dove il sugo è già bello caldo. Per chi piace ci sta bene
anche un po' d'aglio o altro elemento che serve a dare un odore
forte. Questo dipende dai gusti. Quando avrete impressione che la
carne è cotta e gli odori si sono amalgamati rovesciate il tutto su
piatto. Accompagnate il pasto con del pane o della schiacciata perché
è nella natura della cosa, in fondo è un tegame che serve a
riempire lo stonaco e a gratificare il naso. Se vi riesce pensate
intensamente a un momento del vostro lontano passato o a qualcosa di
familiare, con due bei bicchieri di rosso la cosa sarà più facile e
avrete unito a un pasto casereccio ricordi lontani. E anche così
avrete risolto.
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4 gennaio 2013
Diario Precario dal 27/12/2012 al 3/01/2013
Data.
Dal 27/12/12 al 3/01/2013
Note.
Solite
cose, giornate che girano a vuoto.
Nuovo
anno
Prima
impressione delle folle festeggianti il passaggio: tanta voglia di dimenticare
il 2012.
Seconda
impressione: C’è disagio nella società e la festa collettiva in piazza ha
mascherato per una notte, ma fino a un certo punto, il negativo di questo
presente.
Terza
impressione: il tempo che passa lascia dei ricordi materiali, una saracinesca
chiusa da anni la ritrovi e ti ricordi
che era un negozio che frequentavi spesso. Si tratta di un fatto materiale, ma
nello stesso tempo è anche un ricordo personale.
Considerazioni
A
questo punto non penso al lavoro. Osservo. Qualche volta ascolto.
Mi
sono chiesto dove sono finito. Che tempo è mai questo. La civiltà industriale
sta trovando dei limiti evidenti di ogni tipo: risorse, irriducibilità di
culture altre, conflitti interni, guerre, minacce all’ordine pubblico, crollo
di valori e di credenze religiose o loro corruzione e perversione in forme
aperte di fanatismo, incapacità del potere politico, inettitudine e
avidità delle sedicenti classi dirigenti. Manca un pensiero politico realmente
concreto e possibile per uscire da questa caduta e avvitamento verso il peggio.
Non è che non sono state pensate forme altre di civiltà industriale, anzi. Il
problema è che esse non hanno modo di diventare una probabile alternativa perché
questo sistema in Europa e non solo ha
ancora la capacità di mantenere gerarchie burocratiche, plebi elettorali, forze
armate e di polizia, ceti privilegiati, gruppi editoriali, interi sistemi
radiotelevisivi e così via…
Il
che denota una certa vitalità, ma non offre una soluzione al fatto che il
pianeta azzurro è circa 51 miliardi di ettari, moltissimo. Tuttavia non è
infinito e i 2/3 del pianeta sono mari, fiumi, oceani, laghi …
Questo
fa sì, insieme ad altri fattori, che gli umani sviluppino le loro forme di
civiltà su poco più di 12 miliardi di
ettari, prendo i dati dall’ultimo libro di Serge Latouche: “Limite”.
Pertanto
il pianeta Azzurro non può sostenere una crescita illimitata di più civiltà
industriali umane in conflitto,
contrasto, competizione. Questo fatto a mio avviso è il massimo sistema che sta
dietro di quell’infelicità nel vivere così comune, il limite di questa civiltà
c’è e viene toccato ogni giorno in molti settori. Questo è il punto da cui
prende forma il disagio del vivere, un sistema che si è pensato infinito e
superiore alla natura deve riconoscere di esistere entro limiti dati e ha
difficoltà gigantesche a superarli, per ora cerca d’ignorarli e di tirare
avanti.
I
“grandi” che esercitano il potere
all’interno dei sistemi imperiali politici, finanziari, militari delle diverse
forme di civiltà ad oggi sembrano intenzionati a portare avanti i loro
interessi, a realizzare agende politiche, militari, economiche che sono in
relazione con la situazione generale ma non sembrano prevedere risposte comuni,
altruistiche, fondate sul rispetto e sull’amicizia fra i popoli. Del resto come
potrebbero fidarsi di altri simili a loro, non c’è ad oggi un solo sistema di
dominio e controllo di carattere imperiale che sia esente da critiche e spesso
più è efficace nel perseguire i suoi scopi più si rivela poliziesco,
militaresco e autoritario.
Sono
quindi qui a livello di massimo sistema, ma nel mio piccolo esiste il
quotidiano, il lavoro, il fatto di ogni giorno, l’orario da rispettare, le
scadenze. Esiste una cascata di fatti, spesso spiacevoli, che si collegano a
livello grandissimo con il quadro generale appena abbozzato. Mancano gli Dei e
gli Eroi in grado di rimettere assieme la civiltà industriale con il dato
materiale del pianeta, i limiti del possibile con il pensiero illimitato, la volontà di esprimere
potenza divina con la fisicità del corpo umano. La decadenza che vedo ovunque
non è solo l’ordinario dato per così dire biologico interno alle leggi naturali
di questo pianeta ma è anche il frutto della scoperta silenziosa ma crescente ed
evidente dei limiti al progresso della civiltà industriale come è
ordinariamente inteso. Questo mi pone ogni giorno la domanda intorno a quale
possa essere il corretto atteggiamento davanti a questa situazione, anche
ammesso che prenda corpo un generalizzato miglioramento economico questa
questione dei limiti dello sviluppo e del pianeta è presente ed è il limite non
riconosciuto della civiltà industriale, ossia la realtà nella quale vivo, lavoro,
agisco, penso. In fondo proprio perché in quanto essere umano singolo devo
pormi il problema del senso di questa totalità che è il mio mondo umano nel
quale sono calato e in un certo senso parte. Di cui, per altro, conosco bene per
esperienza diretta solo una piccola parte di questa totalità, ossia l’Europa.
Quanti
doveri verso se stessi esistono nella vita di un precario della scuola?
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30 dicembre 2012
Diario Precario dal 24/12/2012 al 26/12
Data.
Dal 24/12/12 al 26/12/2012
Note.
Natale…
Periodo,
in generale, di feste finte, intristite.
Il Belpaese non ha più il tono festoso di venti o trent’anni fa.
Ritorno
ai luoghi dell’infanzia. Suggestioni e pioggia su di me.
Considerazioni
A
Natale mi capita di passeggiare dopo il pranzo di rito. Lo trovo utile e
positivo. Passeggiando nel Parco delle Cascine è sopraggiunta la notte, ci
vuole poco a dicembre. Tutto il mio mondo antico mi è sembrato calare in quelle
tenebre che si fanno marea di cui tanto scrivo, anche perché una nebbiolina era
giunta assieme alla fine della luce naturale e in effetti l’oscurità pareva
aver preso una consistenza fisica e la realtà concreta a distanza di pochi
metri sfumava lentamente ma inesorabilmente. Alla fine ho avuto una
rappresentazione fisica di quel che scrivo senza bisogno di andar in terre
esotiche o altro. Sono sicuro e persuaso di aver trovato una formula corretta
per descrivere questa presente realtà: Le tenebre si fanno marea. A questo
punto devo riconoscere che questa mia espressione è frutto di una personale
identificazione con quel piccolo mondo antico di fine anni settanta e primi
anni ottanta che si è dissolto perché logorato dal tempo e dalle trasformazioni
del mondo umano. La constatazione della lenta sparizione e trasformazione della
realtà mi si presenta come la dissolvenza lenta e inesorabile di un grande
racconto vissuto in prima persona. Un po’ come il sipario del teatro che si
chiude lentamente con un fare solenne. In effetti è comune che nel corso della
vita un qualsiasi essere umano osservi trasformazioni anche radicali e viva
esperienze fortemente differenziate, perfino che il suo mondo di abitudini e di
costumi si stronchi tutto assieme con la velocità del lampo. Qui nella mia
vicenda assisto alla decomposizione e dissoluzione lenta, ingloriosa e triste
di quel che è comunemente chiamato “Prima Repubblica” che era molto di più
della somma di migliaia di ladri in politica e di moltitudini di corrotti e
corruttori. Era la scenografia politica e sociale del palco immaginario dove si
svolgeva l’esistenza di una cinquantina di milioni di abitanti del Belpaese,
milione più, milione meno, quindi qualcosa che era anche nella vita privata dei
singoli. Questo palco, questo teatro, questa platea dove si recitava la
commedia tragica della Prima Repubblica e dei suoi ultimi anni si è dissolto, è
rimasto solo il sipario chiuso e dietro di esso il rumore di suoni spettrali, e
di facchini che mettono via il materiale, non si sente più neanche i fischi del
pubblico e le urla d’indignazione. La recita è finita nel peggiore dei modi e
perfino il teatro è finito, resta solo un sipario immerso nell’oscurità e nelle
tenebre che lentamente sparisce nella notte senza limiti e senza luce. Per mia
sfortuna non si è dissolto solo il mondo politico di allora ma anche quella
società di cui era in parte espressione. Questo mi forza a pensare la mia vita
fuori da un mondo umano di fatto oggi scomparso, proprio l’esperienza del
precariato mi rivela quanto sapevo già dalla filosofia: ossia che l’essere umano
sente il bisogno di radici, di origini, di avere dietro le spalle un punto da cui
è partito e davanti, forse, un punto d’arrivo anche immaginario. Questo sentire
non è una consolazione o una vanità, al contrario è una necessità della
vita quotidiana che si rivela nei
momenti nei quali l’essere umano deve prendere decisioni importanti o si trova
davanti a cose pericolose e impreviste; avere un elemento di stabilità propria,
una certezza psicologica, una visione certa di se stessi aiuta nell’indirizzare
l’azione e il pensiero. Il senso autentico della mia espressione è la denuncia
di questo venir meno delle proprie origini e del proprio quotidiano che è fonte
di forza, di pensiero, di capacità d’agire davanti al male che prende forma e
alle trasformazioni del mondo umano.
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27 dicembre 2012
Diario Precario dal 22/12/2012 al 23/12
Data.
Dal 22/12/12 al 23/12/2012
Note.
Vacanze
di Natale… scuola chiusa.
Periodo
difficile. Otto anni di precariato ormai evidenti mi fanno avvelenare le feste.
Del
resto tutto il Belpaese pare in sofferenza.
Ho
visto molti negozi chiusi, molti cartelli su case e fondi con la scritta “in
vendita”.
Cattivo
anche il Natale di questi tempi.
Considerazioni
Osservo
un fatto: il detto CHI SA FARE FA, CHI NON SA FARE INSEGNA rivela che nel
Belpaese si dà per scontata la separazione fra produzione e ricchezza e conoscenza e docenza.
Il
sapere è un disvalore perché praticato da cialtroni o incapaci, questa è la
sintesi del proverbio. Se non fosse così perché stacca in modo così forte il
FARE dall’INSEGNARE.
In
effetti questa cosa mi è venuta all’occhio da una saggia osservazione di un
carissimo amico.
In
Italia rimane dominante l’idea che tutto
ciò che esiste sia materiale nel senso di merce da comprare e vendere. Non c’è
spazio per altro e questo spiega le ossessioni e le paure degli italiani che
possono ridursi a una sola: farsi fregare la roba e quindi i soldi. Del resto
c’è un solo principio l’interesse del singolo è tutto, il DENARO è il DIO a cui
la maggior parte degli abitanti della Penisola guarda con ammirazione,
devozione, paura reverenziale. Banca e finanza si sono fatte potere politico perché
la popolazione ormai in forme diverse tributa forme di culto al Dio–quattrino.
Del resto come può essere altrimenti, io stesso devo ammettere che se fossi
ricco, ma davvero ricco, avrei superato i tre quarti dei miei problemi
semplicemente comprando le soluzioni ad essi. Non tutti certo. Ma i tre quarti
sì. In effetti come potrebbe esser altrimenti. La forma dominante di
comunicazione oggi è la pubblicità commerciale, essa esce da tutte la parti.
Presente nella rete, in quasi tutti gli spettacoli televisivi, al cinema, in
strada, in radio, dovunque in una parola. Questa comunicazione mette spesso e
volentieri in relazione strettissima la felicità, il successo, la credibilità
del comune essere umano con il possesso e il consumo di beni e servizi rigorosamente
in vendita. Non si sfugge a questa cosa ed essa piano piano trasforma la mente,
la plasma, fa dell’essere umano una bestia addomesticata asservita al senso
dell’esistenza che trasmette la pubblicità commerciale. Così è normale che la
vita sia in relazione non con la realtà in quanto realtà ma con la sua immagine
distorta, con la sua rappresentazione più o meno consumistica. Il modello in
testa è quello della pubblicità commerciale, i desideri sessuali son plasmati
da decine di migliaia di immagini di modelle seminude o velate, gli oggetti
desiderati sono quelli proposti con maggior insistenza o abilità, la macchina è
quella del professionista con i superaccessori, la casa dei sogni è lo
stereotipo della casa della classe medio-alta dei ricchi di successo ossia la
villa o il villino con tetto, camino, giardino, cane, bambini biondissimi,
albero con altalena, guardie private e così via... Quando mai una pubblicità
mostra condomini popolari alla Fantozzi? Inoltre, a meno che non si tratti di
materiale di cancelleria o affini,
quando mai compare nella pubblicità il maestro o l’insegnante?
Il
modello di consumi e d’immagine dell’essere umano consumatore non è un sogno,
che inteso come destino da forgiare da se stessi è scelta, è una prescrizione,
quasi di tipo medico. Se esci dal modello sei uno con problemi, un tipo strano,
uno che non sta alle regole con cui giocano gli altri. La “partita” che è
comunemente giocata è quella di fare i soldi o almeno di trovare un lavoro per
avere accesso ai beni di consumo, alla roba, al conto corrente. In breve quasi
tutti inseguono gli stereotipi e i luoghi comuni della pubblicità commerciale,
anche senza rendersene conto, per una forza d’inerzia e per una pigrizia
mentale presente nell’essere umano.
Quindi
tornando al discorso quel pregiudizio contro il sapere e a favore del fare,
come fonte di guadagno ovviamente, ben rappresentato dal proverbio si fondo con
il mondo parallelo delle illusioni della pubblicità commerciale, con le
immagini dell’essere ricchi e felici. Il
tutto senza nessuna mediazione, senza capacità di distinguere, di approfondire.
Così l’immagine del docente diventa meschina agli occhi di milioni di umani del
Belpaese; l’immagine in particolare del docente di materie umanistiche.
Io
credo che questo proverbio tante volte sentito indichi proprio questa sfiducia
in colui che insegna, e non è solo una consolazione tesa a svilire chi sale in
cattedra. Si tratta di autentica sfiducia.
Questo
è il mio problema: prendersi la credibilità. Perché è proprio la credibilità
del docente l’oggetto del proverbio, l’insegnante deve dimostrare che per
qualche motivo suo non rientra in quella categoria, ossia deve dimostrare e
fondare con la sua quotidiana attività il senso di ciò che fa. Deve da sé
creare la sua credibilità. Il che non è cosa facile e tanto precariato non
aiuta.
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21 dicembre 2012
Diario Precario dal 18/12/2012 al 21/12
Data.
Dal 18/12/12 al 21/12/2012
Note.
Quiz.
Il concorsone esito 34,5. Tragica beffa di Natale.
Ormai
è argomento del telegiornale e strumento della tattica pre-elettorale dei
diversi partiti e movimenti.
Domande…
Considerazioni
Quanto
mi è capitato è, a mio avviso, estraneo
al normale lavoro che svolgo.
Questo
è stato uno degli errori più grossi della mia vita finora da me compiuti. Va
assieme al primo incidente d’auto, ad amori non ricambiati dell’adolescenza e
cose del genere.
Dovevo
rifiutarmi di farlo. Invece ho partecipato alla cosa.
Finito
l’esame mi sono chiesto a che punto fossi arrivato della mia vita… anzi che
storia era quella in cui mi trovavo dopo otto anni di contratti con la scuola
pubblica italiana da me onorati e rispettati e non senza successo. Ero caduto
in balia del caso, per un quiz in più o perfino in meno si decideva del senso
di otto anni di vita e di lavoro, più i due della SSIS.
Questo
mio partecipare mi ha squalificato ai miei occhi. Grave errore. Ci vorrà tempo
per riparare.
Per
mia enorme disgrazia non ho trovato una forza politica e sindacale abbastanza
potente e credibile in grado di sostenere un NO.
Intendo
un NO radicale, con concrete alternative alla partecipazione.
Così
ho preso parte alla cosa durante uno dei periodi di maggior l’intensità di
lavoro a scuola. Manco l’avessero fatto apposta.
O forse sì?
Il
problema a questo punto è il dopo.
Occorre anche prendere atto dell’errore
compiuto, del disagio che mi sono procurato, della valanga di disistima e
disprezzo che è caduta sulla categoria quando le notizie riportate in modo
discutibile hanno scatenato provocatori del WEB e della carta stampata.
Qualcosa
era errato, stupido, cretino. In me.
Occorre
riconoscere che dentro la mia concezione del posto di lavoro è rimasto
appiccicato ancora qualche residuo di corrotto buonismo, di fiducia in cose
strane, di ottimismo irragionevole e stolto. Questo è male.
La
presente civiltà industriale ha le sue logiche. Autentiche, perfette,
comprensibili.
Se
sei precario sei precario e non sei come chi può dall’alto di cattedre
immaginarie o giornalistiche urlare decreti di carta contro la categoria, se sei
uno che sta sotto allora non stai sopra; se sei fra gli esclusi allora sei non fra coloro che sono inclusi. Quindi se sei
debole in un mondo di finti forti, di finti sani, di finti liberali, di finti
dotti, di finti in generale sei in guai
grossi.
Devo
ricordarmi questa cosa, tutti i giorni.
Devo evitare di trasmettere a coloro che sono
vicini a me sul lavoro e nella vita privata cattive speranze, cattivi pensieri,
cattive aspettative. La malvagità della calunnia è inutile quando una verità
aperta e giusta si mostra. Basta la verità del presente e dei suoi reali
meccanismi a rendere l’essere umano inquieto, diffidente, timoroso d’essere aggredito
in diecimila forme diverse di violenza. Nella
presente civiltà industriale arrivata al suo terzo atto esiste solo una folle
dimensione d’egoismo assoluto e illimitato, se necessario autodistruttivo e
questo fatto che è il vero centro della vita collettiva nei grandi imperi come
nei piccoli paesi è qualcosa che dall’enorme, dal grandissimo cala fino al caso
più piccolo e limitato. Il singolo viene preso da meccanismi sociali e
collettivi estranei a ciò che è; e se va bene questo individuo chiede solo di
essere lasciato in pace o di conservare un pezzo di garage o di cantina per
riporre le cose che gli sono care. Scatole e scatoloni che troppo spesso mutano
nel cenotafio, fatto di pezzi spesso finti,
di vite immaginarie rivissute con le lenti del ricordo distorto e della
nostalgia. Nulla del male di vivere
accade per caso, certo che avviene in tempi e modi diversi ma con sue regole. Tutto
questo processo d’aggressione al singolo avviene con precisione meccanica, con
passo sicuro e senza nessuna pietà; questo è un mondo meccanico e informatizzato
che finge di essere altro che non è.
CITAZIONE
Questo
è attribuito al filosofo Stirner
Tu hai diritto di essere ciò che
hai il potere
di essere.
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21 dicembre 2012
Diario Precario dal 9/12/2012 al 17/12
Data.
Dal 9/12/12 al 10/12/2012
Note.
Ho
preso il 2° Dan di Judo.
Quiz.
Ancora quiz.
Cerco
di capire di cosa si tratta, andando a buonsenso vado verso un vicolo cieco.
Quindi aprire il portafoglio e comprare un libro adatto.
Poi
lavoro, attività scolastica.
Considerazioni
La
grande cosa è avere un libro per il concorso computerizzato. Con CD poi. Ho
provato e alla prima ho trovato il libro per il test. Fatto in tempi record e
stampato in velocità dalle Edizioni Simone. 39 Euri, come “dicono a Livorno”. Ormai
faccio fatica a scansare le contraddizioni di questa vicenda. Ora che il governo
Monti è prossimo al termine la stampa e la televisione non risparmiano
frecciatine al concorsone. Bella prova. Ci voleva la fine del governo per
avvicinare il grosso della stampa e della televisione a quello che da mesi
vanno osservando e talvolta urlando sindacalisti, insegnanti precari, comitati,
studenti, associazioni…
Di
nuovo è la politica da cui parte tutta la questione della scuola, perfino nella
sua rappresentazione presso i mezzi di comunicazione di massa.
Anche
questa è una contraddizione. La scuola interessa i grandi media solo in
congiunzione con precisi momenti dell’attività politica, quasi a ribadire che
non ha una sua autonomia di senso. Certo che la cifra di 330.000 fa scena, fa
spettacolo, a suo modo il concorso ha riaperto la discussione sulla scuola. Ci
vorrebbe Socrate. Me lo vedo davanti al grande schermo che fa: ma voi come
scegliereste l’insegnate di vostro figlio? Con dei quiz?”. Non ci voleva. Il
sistema scolastico italiano non ha
assorbito tanta parte dei suoi supplenti e precari e il concorsone non risolve,
mischia le carte, ma non risolve e crea altri ricorsi, altre polemiche, altro
disagio. Un giorno qualcuno mi spiegherà perché questa cosa è andata avanti e
sta andando avanti.
Piccola
soddisfazione. L’esame di judo è andato bene. Passato di livello. Sono felice
per questa cosa, anche se questa aggiunge responsabilità.
Data.
Dal 11/12/12 al 16/12/2012
Note.
Quiz.
Il concorsone ha monopolizzato la mia quotidianità. Non solo la mia del resto.
Ormai
è argomento del telegiornale come la guerra di Siria o la tattica
pre-elettorale dei diversi partiti e movimenti.
Impegni
lavorativi di continuo. Lezioni, riunione sindacale, ricevimento pomeridiano,
consiglio...
Non
è facile prepararsi al test lavorando e rincorrendo i fatti di ogni giorno.
Considerazioni
La
grande informazione si dà da fare. Ormai il concorso è uno spettacolo, un fatto
notevole di cronaca, e quindi sotto elezioni di cronaca politica e spuntano
lettere, interviste, articoli, riflessioni erudite. La mia categoria d’insegnanti
precari non è mai stata sotto i riflettori di stampa e televisione quanto in
questa settimana. Mi aspetto anche qualcosa in più durante e subito dopo la
pre-selezione. Comunque qualcosa non va se la scuola diventa oggetto di
spettacolo e d’informazione solo in occasione di fatti notevoli e di
preparazione alla campagna elettorale. Manca il suo senso. Non si ragiona di
cosa sia la scuola in Italia. La si usa per fare informazione-spettacolo, per
fare proprio in questi giorni
giornalismo in salsa elettorale. Cosa è la scuola oggi? Perché il
concorso? Come mai 330.000 iscritti alle prove?
Eppure
adesso che la stampa e la televisione sembrano aver scoperto la scuola dovrei
aspettarmi mobilitazioni collettive della popolazione, un dibattito nazionale,
impegni seri dei politici in campagna elettorale; dovrei, in sintesi,
aspettarmi un cambiamento di mentalità a livello collettivo. Prevedo che non
accadrà. Perché?
Provo
a pensare la risposta: l’istruzione in Italia è slegata da reali e diffuse
possibilità di ascesa nella scala sociale. Già, in passato il successo
dell’istruzione era dovuto anche alla volontà di emanciparsi di masse di
popolazione urbana e rurale, milioni d’italiani e italiane nell’Ottocento
e nel Novecento vedevano nella scuola una via per vivere meglio, trovare lavori
decenti o umanamente accettabili, migliorare se stessi e gli altri. Questo è ciò che si è perduto
nello scorrere del tempo. La recessione poi non aiuta. In Italia per decenni le raccomandazioni di politici,
patroni, boss di varia natura, di famiglia hanno disgregato ogni credibilità al
merito e alla valorizzazione dei talenti. L’incontenibile fuga dei cervelli e
dei professionisti ambiziosi in Europa e nel mondo ne è la prova più aspra e
dura. L’immobilismo sociale, pratiche corporative nelle libere professioni, la
corruzione, la disonestà di fondo di tanta parte della popolazione spingono
molti a non aver fiducia nelle possibilità di elevazione della scuola pubblica.
Certo occorre saper leggere e scrivere, aver il diploma, forse la laurea, ma il
punto di svolta delle vite di milioni di persone non è ciò che sono e cosa
sanno ma chi li raccomanda, li protegge,
li supporta, fa la cosa giusta per loro al momento giusto.
Il
premio desiderato è sempre il denaro, staccato anche dal senso del far bene il
proprio lavoro o una qualche professione. Il punto di svolta nella testa di
milioni d’italiani non è il sapere, il percorso formativo e di vita dell’individuo,
ma qualcosa che è altro e altrove.
Cosa
può fare la scuola in un contesto dove il primo problema è avere i soldi per
farsi i fatti propri?
La scuola dovrebbe rifare la società, la
politica e l’economia? Con quali forze? Con quali denari? Con quali uomini
e donne?
Nessuno
si fa la domanda, pure indispensabile, che cosa è a livello di vita sociale e
di preparazione dell’individuo la scuola oggi; sì perché c’è anche la l’utenza
nella scuola ossia le famiglie, gli allievi, le allieve e poi il mondo che
ruota intorno ad esse. Forse questi soggetti dovrebbero essere oggetto d’attenzione
da parte del sistema dei media. Sembra che il loro punto di vista non serva
mai, non sia mai sensato, non abbia diritti se non quando l’informazione deve
farsi spettacolo e allora devono dire qualcosa su qualcosa che turba la
tranquillità, che fa sensazione. La scuola esiste nel sistema dell’informazione
solo in funzione di altro, questa è l’idea che mi son fatto.
Il
nodo da sciogliere è cosa vuol essere L’Italia. La scuola non cambierà il
Belpaese, lo seguirà con i suoi tempi e le risorse che avrà.
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1 dicembre 2012
Diario Precario dal 16/11/2012 al 23/10
Data.
16/11/12 Note. Assemblea
istituto. I
relatori non sono arrivati, adunanza riuscita alla buona. Invitato
dagli studenti ho detto qualcosa in quella sede, mi capita alle volte. Non
dovrebbe essere la regola e per fortuna non lo è. Fatta
sorveglianza. Considerazioni La
giornata mi è parsa all’insegna della beffa. Data.
Dal 17/11/12 al 19/11/2012 Note. Giorni
difficili perché vuoti. Notizia
di occupazione sede principale. Ancora
turbamenti personali per il concorsone. Sul
giornale notizie indigeribili, brutte, squallide. Considerazioni La
solitudine è la grande arma del potere in quanto potere sugli esseri umani di
oggi. Milioni di esseri umani scissi e rinchiusi nel loro piccolo mondo
d’interessi materiali e in competizione per non si sa bene quali premi e quali
privilegi sono incapaci di creare modelli di comportamento e di prassi di
valori altri rispetto a quelli mercantili oggi dominanti. Lo vedo guardando
indietro nella mia esperienza di vita passata. La solitudine è più di una condizione esistenziale, è forma del dominio
delle merci sulla mente umana perché il soggetto solo ha bisogno di stimoli che
vengono dalla moda, dalla pubblicità, da forme artefatte di socialità, sente il
desiderio di seguire il gregge umano, la massa, la spinta di collettività
anonime. Un milione di anime solitarie sono l’utenza fissa di ogni buon centro
commerciale. Chi è l’essere umano di oggi? Chi è l’essere umano della terza
civiltà industriale? Lo
squallore dei nostri tempi è anche il frutto di un a perdita di senso della
vita umana, la mancanza di fini ultimi, di visioni mistiche, di grandi sistemi
ideologici consegna ogni privato al suo intimo squallore privato; e si pensi al
vero. Non quel che innalza a vette di comprensioni mistiche o sublimi ma allo
squallidissimo interesse egoistico privato e quotidiano. Ciò che affonda
l’essere umano è più forte di qualsiasi cosa lo porta in alto. L’abisso mostra
la dimensione dominante dell’essere umano; è ciò che è eccelso e sublime cosa
rara e difficile da prendere anche quando si presenta nella vita banale di
tutti i giorni. Questo è un tempo di abissi, per carità spesso portatori di
verità e di descrizioni del reale veritiere, ma il contrario dell’abisso è
raro; come se fosse lì solo per confermare ciò che sprofonda e va nel torbido.
Il pensiero politico dominante neo-liberale è la giustificazione del
capitalismo della terza rivoluzione industriale che risulta essere globale e
iper-tecnologico e nello stesso tempo attraversato da volontà di potenza di stati
neo-imperiali. Ma il pensiero neo-liberale nei fatti è poco più di una
giustificazione dei rapporti di forza e di dominio di una minoranza di
super-ricchi e del presente sistema capitalista, non ha un disegno finale, un
senso della storia, del percorso storico di una civiltà o dell’essere umano; di
fatto è anche una rottura con il pensiero liberale classico che era
profondamente intriso di un suo, sia pur discutibile, senso morale. Non c’è un
fine nel sistema ma solo il perdurare del sistema stesso, almeno finchè durano
le condizioni generali delle risorse e dei rapporti di forza militari, politici e sociali che lo consentono. Data.
Dal 20/11/12 al 23/11/2012 Note. Occupato
il Liceo, occupazione con possibilità di portar avanti la didattica. Nei
limiti del possibile. Poteva
finir peggio. Intanto
le proteste studentesche della provincia sono finite sul giornale. Socializzazione
con i colleghi nell’occasione della sovversione studentesca dell’ordinario
ordine di cose. Lezioni
un po’ surreali con una parte degli allievi che occupa e altri no. Spesso
non-lezione con le sedie vuote nelle classi. Considerazioni La
condizione straordinaria dell’occupazione mi ha fatto passare un po’ di tempo
con i colleghi in aula docenti. Certo che un divano per i docenti in queste
situazioni non sarebbe malvagio, mi
ricordo di aver trovato nella mia esperienza di precario delle aule professori
con un vecchio divano un po’ sfatto ma tanto comodo. In questo mio incarico non
è in dotazione. Certo che parlare di scuola con i colleghi usando il divano dà
un senso di pace borghese da Primo Novecento. Riesci ad essere quasi pacato,
riflessivo mentre magari parli del concorsone del 2012. I divani rendono una
comodità che la sedia ordinaria, anche quella con i braccioli, non ha. Per
esempio se uno si confronta con un collega di storia e filosofia intorno alla storia della Cina
Contemporanea con rivista o articolo alla mano e al successo internazionale del
capitalismo autoritario creato dal partito comunista cinese è bene avere vicino
un divano. Si può parlare pacatamente e con lucidità del fatto che quel modello
è invidiato da fin troppi manager di colossi finanziari, commerciali e
industriali in Europa e non solo, che l’autoritarismo, la tecnocrazia e il
dirigismo cinese stanno facendo scuola, suscitano spirito di emulazione perché
è un modello, visti i tempi, vincente. Una cosa del genere è brutto discuterla
in piedi. Il divano filosofico-storico-letterario dovrebbe essere posto fra le
dotazioni non necessarie ma auspicabili. Una
cosa che è opportuna, ma forse più del divano, è una seria attenzione della
stampa locale per la scuola. La scuola appare magicamente sui giornali per
fatti gravi di cronaca, occupazioni, eventi come adunanze straordinarie alla
presenza delle autorità, sinistri nel senso di tubi rotti o soffitti che
cadono. L’ordinario e il banale della scuola non compare mai, così tanti
pensano che la scuola sia quella di trenta o quaranta anni fa quando al
contrario è successo di tutto. Per far capire al Mario Rossi di turno cosa
accade nella scuola di oggi ci vorrebbe un vocabolario minimo per termini come:
“POF, pentamestre, trimestre, quadrimestre, moduli, unità didattiche, terza
prova, simulazione terza prova…”. Perché di solito si occupano di scuola le
signore e per un periodo della loro
vita. Il resto degli italiani, di solito, uscito da scuola si disinteressa di
ciò che capita e di ciò che cambia nel sistema della scuola. Quindi è naturale
che i più ignorino che nel giro di un paio di generazioni la scuola è profondamente
mutata. La stampa forse dovrebbe dirlo, ma non lo fa e così anche la
televisione, infatti ciò che fa spettacolo o può essere confezionato come
spettacolo è preferito alla descrizione un po’ triste del mondo umano dove uno
vive. Lo spettacolo fa i grandi numeri, pubblicità, fama, crea personaggi.
L’ordinario, il banale, l’ovvio mette tristezza, fa pensare la tempo che
scorre, al senso dell’esistenza propria e altrui. Proprio non va per la
pubblicità. La pubblicità paga i giornali, programmi televisivi, riviste, tutto
ciò che è comunicazione e pretende
grandi numeri. Mi chiedo come potrebbe essere la scuola vista da un marziano
che con l’UFO in questi giorni capita per la provincia e osserva le
occupazioni. Che potrebbe capirci? Come potrebbe fare una mappa concettuale di
ciò che vede e dei meccanismi sociali e di relazione e comunicazione? Cosa
potrebbe mai dire di una scuola occupata dagli studenti? Magari su Marte la
scuola viene occupata da assessori, sindaci, presidi e vicepresidi e gli
studenti chiamano la polizia. Oppure posso figurarmi che il marziano con l’UFO
ritenga che volantinaggi, cortei e proteste per la scuola siano manifestazioni
di protesta tipiche non degli studenti ma di genitori, insegnanti, dirigenti
d’impresa, capi politici al governo. In fondo se l’istruzione comune va male è
ragionevole pensare che in prospettiva vada male tutta la società e si fermi il
progresso, la scienza, l’arte, la continuità con il passato, le manifestazioni
di sapere o di creatività individuali e
collettive.
Considerazione surreale
Oggi c’è bisogno di un
marziano con l’UFO che dall’alto del suo essere alieno e superaccessoriato e
tecnologico che descriva questi formicai impazziti comunemente chiamate civiltà
umane ormai arrivate al tempo della decadenza della civiltà europea, sedicente
occidentale, e della globalizzazione.
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30 novembre 2012
Diario Precario dal 15/11 al 16/11
Data.
15/11/12
Note.
Lezioni
a scuola. Questioni di burocrazia.
Fatta domanda per docenza attività alternative
alla religione cattolica.
Giornata
di pensiero.
Considerazioni
La
giornata è limpida, tranquilla.
Io
non sono tranquillo, non sono felice.
Quello
che vedo, anzi che intuisco è un Belpaese che si chiude su se stesso malgrado
le apparenze.
La
solitudine, l’egoismo, l’interesse privato, il dato economico, l’apparenza
della propria posizione sociale o lo stipendio sono il centro della vita del
singolo, non c’è spazio per altro.
Quando
c’è qualcosa di diverso è poca cosa, spesso residuale o sono valori tipici di
appartiene e di anime belle o di piccoli gruppi persone interessate a qualcosa
di originale. Ciò che è denaro è concreto e ciò che è concreto è tutto per la
stragrande maggioranza degli abitanti del Belpaese. Il resto non esiste o
esiste nella fantasia, come agitazione di poeti, come cosa da invasati, da
esseri umani mentalmente disturbati. Nulla di veramente serio turba le genti
del Belpaese ad eccezione di ciò che entra ed esce nel portafoglio o nel
patrimonio privato.
La
vasta messe odierna di massacri, orrori, disastri ambientali, guerre, stragi
terroristiche che avvengono altrove e
perfino non lontano dai nostri confini non agitano i popoli nostrani, al
contrario un furto in casa è la fine del mondo, un problema di soldi sul
lavoro, anche minimo, è una tragedia greca. Malgrado le apparenze e per quel
che posso capire perfino le famiglie se possibile hanno fatto questo percorso
di auto-centramento su se stesse. Alla fine la lezione neo-liberale
dell’individualismo ha trovato in Italia una sua contorta applicazione dove
mentalità arcaiche di antica origine feudale e contadina si mischiano alle
suggestioni della terza rivoluzione industriale. Ordini professionali, da
abolire da almeno tre decenni, e trasmissione di mestieri e libere professioni
di padre in figlio si mischiano all’uso di internet e dei social network senza
alcuna contraddizione apparente. L’abitudine italiana a convivere con le contraddizioni rende possibile quel che
altrove sarebbe vivere prendendo in faccia settimanalmente un cazzotto logico e
concettuale. Io credo che tanta parte dei popoli di questa penisola si sia
abbrutita dentro negli ultimi tre decenni; non ne uscirà fuori una storia per
bambini: ossia un racconto con il lieto fine. Ma forse c’è una logica in
questo. Non si può dar la colpa ai forestieri, o se la loro colpa esiste è solo
per piccola parte. Questo vivere nel brutto e nel deforme è una scelta lucida,
è reazione esistenziale, è qualcosa di voluto e di consapevole. Sì proprio consapevole.
La stragrande maggioranza delle genti del Belpaese vuole vivere seguendo i
peggio proverbi familistici ed egoistici del mondo rurale e delle plebi urbane di cui c’è traccia in
certi arredi per case e negozi. Faccio riferimento a certi cartelli e motti
invero un po’ volgari dove si esalta la diffidenza contro tutti, l’egoismo
esistenziale, l’indifferenza verso il prossimo come rimedio alla disonestà
altrui. Il mio lavoro, a causa delle materie che insegno, mi porta lontano da tutto questo, da questa
mia evidenza professionale osservo il mio disagio esistenziale. Mi ricordo di
aver scritto anni fa, a proposito del precedente fatto militare del conflitto israelo-palestinese, che il tipico italiano sarebbe rimasto
indifferente davanti alla televisione anche davanti alle immagini di guerra con
di umani fatti a pezzi, al contrario la pasta scotta o non salata l’avrebbe
mandato in bestia. Credo di dover confermare quel giudizio. La sensibilità
davanti ai massacri qui è cosa per spiriti nobili e per gente che fa militanza
politica all’estrema destra o all’estrema sinistra. Strano accostamento questo
dove condizioni umane diverse di piccole minoranze si staccano in modo così
forte dalle massa indistinta dei cittadini e para-consumatori, o consumatori
immaginari. La maggior parte della popolazione italiana vive nel quotidiano e
ogni giorno ha la sua cosa urgente, la sua necessità, il piccolo tornaconto che
deve trovare la sua soddisfazione. Non c’è spazio per ciò che è altro, lontano,
diverso. L’essere umano italiano tendenzialmente, anche se non vive nel disagio,
pensa per sé in termini egoistici e opera e agisce pensando alla soddisfazione
di suoi desideri e di personali bisogni.
Data.
16/11/12
Note.
Assemblea
istituto.
I
relatori non sono arrivati, adunanza riuscita alla buona.
Invitato
dagli studenti ho detto qualcosa in quella sede, mi capita alle volte.
Non
dovrebbe essere la regola e per fortuna non lo è.
Fatta
sorveglianza.
Considerazioni
La
giornata mi è parsa all’insegna della beffa.
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21 novembre 2012
Diario Precario dal 8/11/2012 al 14/11
Precario
Data.
8/11
Note.
Mobilitazione
delle Provincie Italiane contro le iniziative del governo, minacciano di
spegnere il riscaldamento alle scuole per mancanza di finanziamenti.
La
cronaca mi dà senso di nausea, fastidio.
Le
notizie del TG3 sul concorso mi sono parse surreali, amio modesto avviso degne di una provocazione
futurista o di un quadro di Dalì o di De Chirico. Eppure mi sa che sono vere.
Fin troppo vere.
Considerazioni
Cosa
è oggi il lavoro del docente? Sembra una foglia, un tronco di legno in mare
aperto, una nuvola nel cielo. Ossia qualcosa che viene spinto qua e là dal
vento, dalle onde, dal caso.
Precario
Data.
9/11
Note.
Ancora
notizie sulle mobilitazioni.
La
scuola dove lavoro vive il disagio della situazione presente, per ora è
l’insieme di coloro che vivono nella scuola che accusa i colpi di tempi.
La
notizia delle agitazioni ora sembra davvero interessare i giornalisti.
Aria
di elezioni anticipate?
Chissà.
Considerazioni
Ci
vuole un grande silenzio interiore per ascoltare se stessi. Qualche volta ci
provo ma non riesce bene la cosa. C’è sempre troppo casino intorno a me, ci
vorrebbe l’austerità di un monastero o il rigore di un tempio buddista al tempo
dello shogunato Tokugawa. Quindi mi
ascolto a momenti. La pace interiore e il silenzio mistico son cose di pregio,
oggi rare.
Data.
10/11
Note.
Mobilitazione
delle scuole in alcune grandi città d’Italia.
La
cronaca parla di docenti e allievi assieme nella protesta.
Servizi del TG3. Danno copertura mediatica alla
protesta in atto. Interessante.
Considerazioni
Quello
che avevo visto a Firenze si ripete altrove, le due parti in causa nella scuola
allievi e insegnanti assieme nelle protesta. Che risultato!
Solo
questo dovrebbe far pensare.
Data.
Dal 11/11 al 14/11/12
Note.
Mobilitazione
delle scuole continua. Sciopero generale Europeo ben riuscito a Firenze.
Fatto
corso della FLC per concorsone, non mi ha rasserenato la cosa. Se possibile il
mio umore è peggiorato davanti all’evidenza della natura della prova.
La
cronaca parla di nuovo di docenti e
allievi assieme nella protesta. La copertura mediatica non manca stavolta.
Odore di elezioni?
Sicuramente.
Già si parla di votare per il Lazio e si è già votato per la Sicilia con
risultati dirompenti.
Burocrazia
per esame di Judo. Pure questa. Quest’anno è infilato male quanto a carte e
certificati.
Considerazioni
Sento
il peso degli anni. Il precariato mi provoca una diffidenza verso tutta la
realtà, verso tutti i rapporti umani. Credo sia stato un grave errore affidare
la realtà Italiana ad una ricetta sociale che ha funzionato nell’ex Impero
Inglese e negli USA per due decenni. Non siamo come Italia impero, quindi non
può esser quella la soluzione che in fondo è scaricare sulla società le
contraddizioni dell’accentramento della ricchezza nelle mani di poche famiglie
di supermiliardari. La schiena dell’Italia è troppo piccola per un peso così
tremendo.
Ho
avuto fra le mani il vecchio tesserino del Judo. Che roba. Il tipo della foto
sono io in un tempo lontano da questo. Molto lontano. Sono passati nemmeno
dieci anni. Oggi è come se fosse passato un abisso di tempo, trascorsa una vita altra. Sette o otto anni sono
un salto su un diverso pianeta. Questa terza
civiltà industriale corre troppo in fretta, forse vuol arrivare alla
fine della sua corsa in anticipo. In fondo accelerare un percorso di
trasformazione e mutazione anche
negativa sul piano di sofferenze ed effetti è percorrere un tempo e delle
situazioni. Questa forma di civiltà aumenta ritmo e velocità di trasformazione
del reale e velocizza i tempi di
obsolescenza del già prodotto e già usato. Per il suo bene dovrebbe rallentare ma in realtà va ancora più
forte.
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