27 maggio 2009
Chi si rivede! Il moralismo all'italiana
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Chi si rivede! Il moralismo all’italiana
L’esercizio
quotidiano della virtù come insegnavano certi filosofi illuministi è cosa da
repubbliche ben ordinate, da cittadini virtuosi, sobri e sicuri nei loro
diritti e doveri. La virtù stessa era la base morale delle forme di governo
democratico almeno quanto l’onore per le monarchie e la paura per i regimi
dispotici. Nel Belpaese dei nostri giorni ci si deve accontentare come base per
questa Seconda Repubblica di un sottoprodotto della civiltà che è il moralismo,
ossia il fingere di credere in valori e virtù avendo sempre come propria cura
il tirare a campare e l’arraffare beni e piaceri; il sottrarre alla malvagia
avidità del mondo quel che è desiderato o che semplicemente è stato preso a
qualcun altro. Non quindi vere virtù o vere credenze in questo o quello ma
finzioni, mascherate, travestimenti, il tutto con lo scopo di raggiungere un
piccolo guadagno. Questo moralismo di cose non credute ma ostentate, di
finzioni di fedeltà alla propria cultura, di mistificazione dei veri propositi
delle proprie azioni, di doppiezza morale e civile è la speciale dimensione su
cui poggia la Repubblica e con essa le sfortunate genti del Belpaese. Questa
natura moralistica riemerge con forza nel periodo elettorale e con fare
dirompente ci regala lo spettacolo della grande finzione del far finta che le
cose siano “come se…”.
La grande
recita a quel punto si fa collettiva perché gli elettori, con l’eccezione di
qualcuno davvero convinto, fingono di credere alle promesse e alle
autopresentazioni dei candidati alle elezioni e i candidati, fatte salve le
solite anime candide, si convincono di aver fatto il loro gioco e di aver in
tasca un consenso fondato sulla loro capacità di persuasione e non solo. In
realtà si tratta della grande messa in scena, di uno psicodramma collettivo nel
quale si recita su un canovaccio logoro dove son scritti abbozzi di parti e
situazioni, dove condizioni drammatiche ed emergenze sociali convivono con la
bieca propaganda elettorale, dove il narcisismo dei candidati che tappezzano le
città con i loro volti e i loro nomi fa sparire dalla propaganda elettorale quelle
lotte politiche e sociali che essi in fin dei conti dovrebbero condurre. Se non
fosse chiaro faccio riferimento ai manifesti elettorali che caratterizzano le
città al momento delle elezioni per gli enti locali, non c’è occasione se non
allora di vedere i volti di chi fa politica ovunque nelle nostre città, forse
una Repubblica sobria e virtuosa si porrebbe il problema se un simile rapporto
con l’elettorato sia un fatto decente o meno. Sia detto per inciso il momento
della propagande elettorale rende forte chi può spendere di più e può
moltiplicare pochi ma semplici messaggi, quindi è facile ottenere buoni
risultati puntando sulle paure, sull’estetica del candidato, sulla frase ad
effetto, sulla composizione del manifesto elettorale. Sarebbe auspicabile un
momento di riflessione, di presentazione di contenuti ma il modello di
comunicazione politica e il moralismo imperante impedisce però una critica
seria e spontanea al come è la nostra Repubblica, l’ipocrisia del “far finta
che tutto è come dovrebbe essere anche se non è così” domina in questa campagna
elettorale. La civiltà italiana ritornerà in vita, ma certo non ora.
IANA per
FuturoIeri
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