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11 settembre 2015
11 settembre 1973: una lezione di politica?
La data dell'11 settembre riporta uno dei più controversi e per certi aspetti profetici conflitti politici della guerra fredda. Mi riferisco al colpo di Stato in Cile portato avanti da generali sediziosi e ribelli ma appoggiato da minoranze interne di ricchi, dai servizi segreti statunitensi, dalle multinazionali. Ci sono diversi elementi che devono suonano familiari. Fra essi uno, uno fra i molti, il governo Allende d'ispirazione socialista andò al potere grazie alla divisione delle forze politiche ostili e governò avendo un consenso che oscillava fra il 36% e il 43% dei suffragi. Questa condizione politica di non riuscire a portare con sè la maggioranza dei cileni creò alcune delle condizioni su cui s'innestò la cospirazione internazionale che portò al colpo di Stato. Se c'è da trarre una qualche ispirazione dalla storia è che la costruzione di un cambiamento sostanziale all'interno di uno Stato che rimette in discussione privilgi, monopoli, concentrazioni di denaro, alleanze fra ricchi locali e ricchissimi stranieri a favore dei ceti poveri e della gente che lavora ha bisogno o di un vasto consenso o di una forza propria che schiacci l'eventuale sedizione istigata da agenti forestieri. La volontà e il diritto cedono spesso nel mondo umano alla forza bruta dei cospiratori e dei soldati. Questa lezione di storia è da meditare perchè oggi si dà un pò dovunque il,rafforzamento proprio di due soggetti che favorirono il colpo di Stato: multinazionali e servizi segreti.Quindi la data dell'undici settembre per quanti aspirano a una riforma dell'ordine delle cose in questi decenni di terza rivoluzione industriale ha per così dire il segno di una lezione di storia da non dimenticare.
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1 marzo 2015
Riedizione di un ricordo
Oggi ripresento ai lettori un pezzo di alcuni anni fa. Esso nonostante il tempo non ha perduto la sua ragion d'essere, anzi. Va da sè quanto più volte ho scritto. La serie classica di Harlock è un prodotto commerciale che ha fatto per qualche ignoto miracolo un salto oltre la sua ombra e si è trasformato in opera d'arte; la censura appare quindi scontata in questo caso. Non so spiegarmi perchè è successo questo, e se dovessi trovare delle spiegazioni porterei ai miei lettori le mie considerazioni, forse banali. Tuttavia c'è un elemento tipico dell'arte ed è il fatto che il fruitore di essa trova sempre nuove valenze, nuove suggestioni. Ho rivisto la scena del Daiba che spara sulla bandiera a distanza di quasi cinque anni e mi sono accorto che essa è attuale. Oggi che qui nel Belpaese i punti di riferimento si dissolvono e in tanti si considerano traditi e svenduti dall'Europa, dalla politica, dal centro, dalla destra, dalla sinistra la scena del Daiba e del suo secco NO a bandiere di fedeltà morte e folli o criminali e corrutrici diventa una sorta di specchio deforme di un elementare e infantile desiderio di chiudere i conti e ripartire da zero, forse di fuga dalla realtà ormai divenuta irrespirabile. Nel gesto elementare e radicale del personaggio inventato dal maestro del fumetto giapponese Leiji Matsumoto scorgo un luogo comune, un desiderio represso, una volontà inconscia di dire ORA BASTA che emerge come un sogno ricorrente nella testa di tanti. Ne sono convinto. Perchè altrimenti così tanti talenti e persone di merito che cercano di andar a vivere altrove, perchè questa forte attrazione che molti sentono per epoche morte o passioni politiche di un diverso secolo, perchè al contrario molti cercano di nascondersi la realtà con suggestioni ideologiche. Il Daiba di ieri appartiene con forza all'oggi.
Nota
sulla libertà sostanziale e sull’eroe virtuale
La nota
riguarda, manco a farlo apposta, una cosa che ho visto su youtube durante
questa pasqua del 2010. Si tratta di un video che presenta uno spezzone di tre
minuti sulla serie classica di Capitan Harlock andata in onda in Italia nel
lontano 1979, allora ero un bambino e la serie mi fece una grande
impressione. Solo che uscì censurata e
non solo per questioni morali o culturali ma anche per motivazioni vagamente
politiche, l’Italia era allora nei suoi anni di piombo. Adesso che trenta
lunghi anni sono passati la serie è già stata oggetto di una riedizione
integrale in DVD con le parti censurate riportate in giapponese sottotitolato
in lingua italiana. Fra queste parti c’è il giuramento di Daiba un giovane
scienziato che per vendicare il padre assassinato dalle aliene si unisce alla
ciurma di Harlock il pirata dello spazio che con la sua astronave da guerra
combatte una lotta impari contro i nemici dell’Umanità. Le scene allora
censurate che il video ripropone sono quella nella quale il giovane Daiba è
indignato per il comportamento imbelle, scellerato e criminale del governo
terreste retto da un presidente autoritario, corrotto e dissoluto; il giovane
spara alla bandiera del suo paese al grido di “Tu non sei più la mia bandiera”
e con un congegno chiama l’astronave pirata per farsi arruolare. La seconda
scena censurata è quella del giuramento nella quale Daiba giura di combattere
sotto la bandiera pirata, bandiera nera con i teschi e le tibie incrociate, per
gli ideali di libertà, di giustizia e per la sua vendetta. Queste due scene
davano fastidio e furono rimosse, il montaggio non rese giustizia alla puntata
che davvero merita di essere vista integralmente a distanza di così tanto tempo.
Oggi si può guardare al passato della Prima Repubblica con la certezza che essa
temeva anche i cartoni animati giapponesi. Qui occorre fare una riflessione: o
il popolo italiano aveva dei fifoni al potere oppure questo minuscolo episodio fa pensare che il problema sia dato da una
identificazione fra cittadino e Stato
debolissima, così debole da far sì che la serie classica di Harlock poteva
essere un problema tale da consigliare
tagli e censure che hanno distorto il senso dell’opera nipponica in
quarantadue puntate.
Per saperne
di più e vedere la cosa: http://www.youtube.com/watch?v=7Cn3n-PxouE
Su
Harlock e la sua recezione in Italia cfr. Elena Romanello, Capitan Harlock ,
Avventure ai confini dell'Universo..., Iacobelli Edizioni, Roma, 2009
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16 febbraio 2015
Riedizione di una sintesi
L’Italia e la ricostruzione della memoria pubblica
DI I. Nappini
Alcuni anni fa avviai una riflessione sulla costruzione dell’identità italiana.
Oggi in tempi di crisi del sistema di produzione e consumo In Europa e negli
USA e di guerre non più episodiche ma integrate nel sistema finanziario e dei
complessi militar-industriali delle grandi potenze a vocazione imperiale emerge
la fragilità politica e di sistema del Belpaese.
Questo ripubblicazione vuole dare un contributo di pensiero intorno alla questione
della complessità dei processi che definiscono la memoria pubblica e
l’appartenenza di un privato a una comunità umana. Presento qui uno schema
storico.
1861 - Il Risorgimento
L’avventura dell’Italia Unita si apre a grandi speranze di gusto romantico per
via della presenza di grandi eroi ottocenteschi come Mazzini e Garibaldi. Il
Regno Unitario che si costituisce, e che è privo di alcune regioni del
nord-est, si presenta come un nuovo Stato Nazionale su cui sono collocate molte
speranze non solo italiane.
1861 - 1876 La destra Storica al potere
L’Italia passa dalla poesia alla Prosa, al posto dei grandi ideali – la poesia-
emerge l’evidenza di un Risorgimento tormentato e contrastato, di una Nazione
giovane con grandi masse popolari e contadine povere e poverissime, di classi
dirigenti insensibili alle sofferenze quotidiane dei loro amministrati e di un
popolo italiano tutto da costruire e da istruire. Intanto il brigantaggio è
represso con estrema durezza e grande è la distanza fra la maggioranza degli italiani e le minoranze al
potere di estrazione sociale aristocratica o borghese.
1876 - 1887 La Sinistra Storica
La sinistra storica constatando la distanza enorme fra paese legale e paese
reale, fra sudditi del Regno d’Italia e la minoranza di ricchi e di nobili che
di fatto governa il paese e ha i diritti politici cerca di avvicinare le masse
popolari con riforme sociali ed edificando monumenti agli eroi del Risorgimento
e attuando titolazioni patriottiche di piazze e vie. Intanto l’emigrazione italiana
verso il Nuovo Mondo si presenta come un fenomeno inedito che coinvolge milioni
d’Italiani. Tuttavia per la prima volta la minoranza al potere si pone il
problema di nazionalizzare e istruire le masse che costituiscono il popolo
italiano.
1887 - 1896 L’età Crispina
L’età Crispina segna l’emergere di una minoranza politica autoritaria con forti
legami con i grandi industriali del Nord e i latifondisti del Sud. Da una lato
aggredisce con estrema violenza poliziesca le manifestazioni di protesta operaie
e contadine dall’altro coltiva un nazionalismo aggressivo e colonialista che fa
presa sui ceti medi, la nuova formula di creazione degli italiani fa leva su
riforme di carattere giuridico, amministrativo e sociale. La disfatta coloniale
dell’esercito italiano ad Adua fa emergere sia un nazionalismo esasperato sia
forze socialiste diffidenti e ostili al concetto stesso di Nazione. Emerge
l’impegno politico dei cattolici in quel momento culturalmente ostili alle
minoranze "liberali" che esercitano il potere in Italia.
1898 - 1900 Sangue e fango sull’Italia.
L’età Crispina cessa al momento della disfatta coloniale, la protesta sociale è
soffocata nel sangue anche nella civilissima e industrializzata Milano dove l’esercito
spara con i cannoni contro donne e bambini in sciopero. La repressione sociale
è durissima, l’idea risorgimentale di fare gli italiani è di fatto spenta. La
politica diventa terreno di terribili contrasti, per evitare la disgregazione
delle libertà fondamentali l’opposizione ricorre all’ostruzionismo
parlamentare. Su questo biennio di sangue e fango cade il regicidio del 1900
per mano dell’anarchico Gaetano Bresci.
1901 - 1913 L’Età di Giovanni Giolitti
L’età di Giovanni Giolitti segna un periodo di riforme e di progresso sociale,
economico e industriale che trasforma lentamente ma inesorabilmente l’Italia in
una potenza regionale dotata di una propria potenza militare e industriale
anche grazie alle innovazioni della Seconda Rivoluzione Industriale e fra
queste l’energia elettrica. Le proteste contadine nel sud sono represse, si
registrano aperture politiche e sociali alle forze sociali e operaie nel Centro -
Nord.
Emerge l’impegno politico dei cattolici fino a quel momento culturalmente
ostili alle minoranze che esercitano il potere in Italia. Il suffragio
universale maschile è un fatto, c’è la possibilità di avvicinare le masse
popolari alla Nazione nonostante la presenza fortissima di una cultura
cattolica e socialista diffidenti verso lo Stato Nazionale e le sue classi
dirigenti.
1914 L’Italia del Dubbio.
L’Italia è l’unico paese fra le potenze d’Europa che evidenzia una massa
popolare ostile all’entrata nella Grande Guerra, il grande massacro scientifico
e industrializzato che riscriverà la storia del pianeta e della civiltà
industriale. Giolitti è ostile al conflitto che comporterebbe il rovesciamento
dell’alleanza con il Secondo Reich e l’Impero d’Austria - Ungheria, il
parlamento è contrario alla guerra, il popolo freddo e diffidente, i ceti
borghesi impauriti. Solo una minoranza di nazionalisti di varia origine è
favorevole per spirito d’avventura; la Corona per motivi di prestigio
internazionale e di potere è orientata a stracciare l’alleanza e a dichiarare
la guerra. La guerra è dichiarata forzando la volontà della maggior parte degli
italiani e dello stesso parlamento.
1915 - 1918 L’Italia della Grande Guerra.
L’Italia in tutte le sue articolazioni sociali paga un prezzo spaventoso al
conflitto mondiale imposto da una minoranza politicizzata di nazionalisti e di
estremisti politici e di piccoli gruppi
d’affaristi e industriali a tutto il
resto della popolazione della penisola. I morti sono più di Seicentomila, tutta
l’Italia è coinvolta, lo sforzo è enorme e ipoteca il futuro del paese a causa
dei grossi debiti contratti e delle perdite umane, quasi tutte le famiglie
italiane direttamente o indirettamente sono toccate dal conflitto.
1919 - 1920 Il Biennio rosso
L’influenza della rivoluzione d’Ottobre e della presa del potere Comunista in
Russia determina e la resa dei conti fra le forze politiche e sociali dopo la
Grande Guerra determina un periodo di forte scontro sociale con accenni
rivoluzionari che porta all’occupazione delle fabbriche e di alcuni latifondi
incolti da parte delle masse popolari arrabbiate e impoverite. Il mito della
rivoluzione Bolscevica e la disillusione per la Vittoria Mutilata sembra
spegnere qualsiasi progetto di creare un senso collettivo di appartenenza alla
Patria. Emerge la reazione armata e terroristica fascista che intende imporre
all’Italia intera la sua concezione di Patria e di Stato, una concezione
mutuata dalla propaganda di guerra e priva, allora, di spessore filosofico e
ideologico.
1921 - 1922 Lo squadrismo e il Milite Ignoto
L’influenza della rivoluzione sovietica sulle masse operaie e contadine rimane
forte nonostante i limitati e parziali risultati sindacali del biennio rosso.
Nel 1921 il governo decide di procedere al rito dell’inumazione del Milite
Ignoto al Vittoriano a Roma. Tale rito coinvolge tutta l’Italia e mette le
opposizioni in difficoltà presso l’opinione pubblica sinceramente commossa per
quel simbolo che rappresenta, ad oggi, i circa 600.000 morti della Grande
Guerra. Si moltiplicano preso associazioni, parrocchie, istituzioni anche
scolastiche le attività per ricordare i caduti della Grande Guerra con lapidi,
cippi, targhe, monumenti. Il nazionalismo e la sua simbologia riprendono la
scena pubblica. Intanto le squadre fasciste aggrediscono e disorganizzano il
movimento operaio mentre Mussolini con una operazione trasformistica sulla
destra Giolittiana riesce a far eleggere in
parlamento 35 deputati. Giocando sul tavolo della legalità e su quello
dell’illegalità Mussolini cerca una via per arrivare alla presa del potere
presentando il fascismo come il movimento salvatore della Nazione uscita
vittoriosa dalla Grande Guerra.
1922 - 1924 Il Fascismo al potere
Mussolini riesce a trasformare i Fasci di Combattimento in una forza politica
autorevole che ha rapporti con il Vaticano, con la Corona, con l’Esercito, e
con la grande industria italiana. Nell’Ottobre del 1922 con un finto colpo di
Stato derivato dalla “Marcia su Roma” comincia a costituire un modello di Stato
che deve sostituire quello liberale e giolittiano attraverso un governo di
coalizione che trova ampio consenso in parlamento. L’idea è usare il fascismo
per creare lo Stato fascista che deve a sua volta creare l’italiano nuovo. Il
fascismo manipola la scuola, lo Stato, i riti pubblici per arrivare al suo
scopo politico. Sul breve periodo hanno particolare rilievo l’istituzione dei
Parchi della Rimembranza dedicati ai soldati morti nella Grande Guerra che
vedono la partecipazione attiva delle scolaresche d’Italia per merito del
sottosegretario alla Pubblica Istruzione Dario Lupi.
1925 - 1935 Il Regime fascista
Il 3 gennaio del 1925, dopo una crisi politica durissima dovuta all’omicidio
del leader dell’opposizione Matteotti, Mussolini sfida apertamente il
sistema parlamentare e riesce a schiacciarlo con il discorso del 3
gennaio; data che segna anche
dell’inizio della dittatura. Il fascismo come regime cerca di creare il suo
italiano ideale militarizzando la scuola pubblica, determinando riforme
sociali, trasformando il partito in istituzione, plagiando al gioventù e
distorcendo la vita quotidiana sulla base della sua demagogia patriottica.
L’Italiano del futuro dovrebbe essere l’italiano del fascismo, ma il fascismo
deve di volta in volta attuare dei compromessi politici e sociali che riducono
la forza di persuasione che può esercitare sulla popolazione italiana. Il concordato
fra Stato e Chiesa Cattolica del 1929 aiuta il consolidamento del Regime e
limita le possibilità d’azione delle opposizioni.
1935 - 1939 Anni Ruggenti
Il fascismo appare vincente. Crea l’Impero a danno delle popolazioni
dell’Etiopia che vengono aggredite e conquistate, sfida i grandi imperi
coloniali d’Europa e la Società della Nazioni. Il prezzo per questa operazione
è il legarsi ai destini del nuovo regime nazista che ha proclamato al fine
della Repubblica di Weimar e la nascita del Terzo Reich. Hitler e Mussolini
s’impegna nella guerra di Spagna, emerge una diffidenza fra gli italiani e il
regime, stavolta la guerra del regime è ideologica e non nazionalista e
colonialista, iniziano le prime smagliature nel consenso verso Mussolini e il
fascismo. Tuttavia sul momento le vittorie in Etiopia e Spagna spengono tanta
parte del dissenso. Intanto Hitler stipula un effimero e non sincero trattato
d’amicizia con l’Unione Sovietica per evitare la guerra su due fronti e
iniziare la Seconda Guerra Mondiale con l’aggressione alla Polonia.
1940 - 1943 La guerra Fascista
Il fascismo e il suo Duce Mussolini s’impegnano nella guerra mondiale al fianco
del Giappone e del Terzo Reich ma le forze armate italiane son mal
equipaggiate, peggio comandate, guidate senza una strategia di guerra chiara e in generale il morale è basso. L’Italia
fascista e monarchica dimostra di non essere in grado di sostenere il conflitto
pur essendo una delle tre potenze principali dell’ASSE. La guerra si complica
con l’entrata nel conflitto della Russia Sovietica e degli Stati Uniti e costringe il Regio Esercito Italiano a uno
sforzo superiore alle sue possibilità militari. Le disfatte del biennio 1942
-1943 in Russia e Africa e l’invasione del territorio italiano da parte degli
Anglo-Americani determinano la caduta del fascismo e la resa incondizionata del
Regno d’Italia nel settembre del 1943.
1943 - 1945 La Resistenza
Si formano due stati in Italia, uno monarchico a Sud e uno Nazi-fascista a
Nord. Uno controllato da Hitler e denominato Repubblica Sociale di cui è leader
Mussolini appoggiato da una schiera di fanatici fascisti e l’altro sotto il
controllo degli alleati. Si formano nell’Italia Centro-Settentrionale le forze
armate partigiane antifasciste malviste dagli alleati per via della componente
comunista e socialista. L’Italia diventa così un campo di battaglia, l’unità
nazionale è dissolta, gli italiani si dividono e si combattono fra loro. Il
futuro è incerto e legato alla prossima spartizione dell’Europa e del mondo che
sarà fatta dai vincitori del Conflitto mondiale secondo la logica implacabile
d’attribuire alla presenza della propria
forza armata sul territorio l’appartenenza di esso al sistema
capitalista o a quello comunista.
1946 - 1947 Il Dopoguerra
L’Italia dopo una difficile e contrastata votazione diventa Repubblica e
s’inizia a pensare alla sua ricostruzione. Intanto nel 1947 a Parigi le
speranze italiane sono deluse, il trattato di pace è punitivo la Resistenza non
viene valorizzata dai vincitori che ne hanno dopotutto tratto profitto, il
premier Alcide De Gasperi si trova a dover liquidare la pesante eredità
fascista e monarchica. Di lì a breve si romperà anche l'unità delle forze
antifasciste.
1948-1953 L’Italia Democristiana
L’Italia diventa democristiana, nell’aprile del 1948 il responso elettorale
punisce socialisti e comunisti e premia i democristiani legati agli Stati Uniti
e al Vaticano. L’Italia della Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi fra
molte contraddizioni e tanti limiti cerca di legare l’economia all’Europa del
Nord e la politica estera agli Stati Uniti impegnati nella lotta contro il
comunismo. Si forma una Repubblica Italiana che esce dalle emergenze e comincia
a ritagliarsi un suo ruolo economico e politico in Europa e nel Mediterraneo.
1954 - 1963 Il Miracolo economico
L’Italia si trasforma in civiltà industriale, le antiche culture contadine,
rionali, cittadine, popolari iniziano a dissolversi. Quanto di antico e di
remoto aveva fino ad allora limitato l’azione propagandistica dei nazionalismi
fascisti e monarchici si dissolve. L’Italia si trasforma rapidamente e aldilà
della volontà delle classi dirigenti timorose di non controllare più la
mutazione sociale ed economica in atto. La criminalità organizzata intanto
diventa una potenza economica e politica nel Mezzogiorno d’Italia.
1963 - 1968 Il primo Centro-Sinistra
L’Italia è governata con il contributo del Psi, inizia una stagione di riforme
volta ad aiutare i ceti popolari, a riequilibrare le differenze sociali, a
migliorare la scuola pubblica, nasce la scuola media. Ma i tempi sono aspri, il
contrasto fra comunismo sovietico e regimi capitalisti è durissimo e il
riflesso in Italia è pesantissimo. Intanto la televisione inizia a
rideterminare e a formare la comune lingua italiana. Emerge la distanza enorme
fra cultura alta e fra le masse popolari avviate al consumismo acritico e una
ridefinizione di sé sulla base degli stimoli pubblicitari della società
mercantile. Pasolini denunzia la trasformazione degli italiani da cittadini a
consumatori e la nascita di un nuovo Potere, con la P maiuscola, diverso da
quello che si è manifestato nel primo Novecento ma non meno insidioso e
totalitario.
1969 - 1976 L’Italia della Strategia della tensione
L’Italia paga un prezzo spropositato alla miopia politica delle minoranze al
potere e alle mire politiche degli stranieri, la contestazione di carattere
sociale diventa durissima emerge un terrorismo italiano di destra e di sinistra
inserito nelle logiche degli ultimi anni della guerra fredda. Per l’Italiano
contano due sole identità quella, spesso opportunistica, derivata
dall’appartenenza politica e quella data dalla propria collocazione entro i
parametri della società dei consumi. Pasolini muore atrocemente in circostanze
non chiare il 2 novembre 1975.
1976 - 1990 L’Italia di Craxi
Craxi diventa il leader indiscusso del PSI e l’ago della bilancia della
Repubblica, con la presidenza Pertini avviene un fatto inaudito: la distanza
fra masse popolari e potere politico, il famoso Palazzo si riduce. In questi anni
aumenta il consenso per il PSI e per i partiti di governo mentre il PCI viene
ridimensionato e l’Italia ascende al rango di potenza globale. Questo ha però
un rovescio della medaglia: corruzione, clientelismo, disgregazione di ogni
morale e di ogni valore sociale o umano, pesante indebitamento dello Stato,
ingerenza di poteri illegali nella vita pubblica del paese. Il Craxismo
dominate esprime una labile forma di nazionalismo garibaldino che cerca di
collegarsi alle antiche glorie risorgimentali.
1991 - 1994 L’agonia della Prima Repubblica
L’Italia di Craxi si decompone, la crisi politica e morale della Repubblica
italiana è evidentissima e le inchieste giudiziarie travolgono, disfano e
umiliano i grandi partiti di massa che cambiano nome e ragioni ideologiche o si
dissolvono. le novità internazionali successive alla Prima Guerra del Golfo del
1991 tendono a determinare il governo mondiale di una sola grande potenza gli
USA e lo spostamento dei grandi affari internazionali verso l’Asia e l’Oceano
Pacifico riducono l’importanza dell’Italia e del Mediterraneo. La confusione
fra gli italiani è enorme perché i vecchi punti di riferimento si dissolvono.
1994 - 2000 L’Italia della Globalizzazione
Berlusconi e il suo schieramento di centro-destra e i raggruppamenti eterogenei
di centro-sinistra sono i protagonisti della vicenda politica italiana.
L’identità italiana malamente formata negli anni della Repubblica attraverso il
mutuo riconoscimento dei partiti usciti dalla realtà della Resistenza e della
creazione della Repubblica inizia a dissolversi. Lentamente si forma un quadro
politico fra due grandi raggruppamenti politici contrapposti che sconfessa la
molteplicità della identità politiche di parte e la crisi sociale creata dai
processi di globalizzazione dissolve le identità legate al benessere e al
facile consumismo. L’identità italiana sembra disgregata in una miriade di
suggestioni pubblicitarie e demagogiche e dominata da una cultura mercantile
del consumo e del possesso di beni superflui. Intanto la situazione
internazionale peggiora partire dalla guerra del 1999, si determinano nuove
potenze imperiali che contrastano gli Stati Uniti.
2001 - 2011 L’Italia della crisi globale
Il progetto di creare un Nuovo Secolo Americano pare dissolversi fra le dune
irachene e le montagne afgane (e di recente fra i deserti della Libia e le
foreste dell'Ucraina). Nel periodo che va dal 2003 AL 2011 gli USA sono
impegnanti in due guerre logoranti contro insorti e terroristi in Medio Oriente
e Asia, l’Italia partecipa con sue forze a "operazioni" in Afganistan
e Iraq. La globalizzazione rallenta, le logiche imperiali sembrano più forti
dei grandi interessi commerciali e finanziari, intanto emergono i guasti
politici e sociali legati ai processi di globalizzazione. L’Identità italiana è
oggetto di dibattito pubblico segno della sua difficoltà a collocarsi in questi
anni difficili con le proprie ragioni e la propria autonomia.
2011-2014
La cronaca di questi anni vede irrisolte le questioni di fondo di un Belpaese
che ha difficoltà a ritrovare se stesso e di una situazione internazionale resa
sempre più grave e pericolosa da disastri ecologici, guerre di guerriglia e per
procura, crisi finanziaria internazionale, decadenza e discredito delle
istituzioni democratiche nell'Unione Europea quest'ultime evidenze manifestate
da risultati elettorali che premiano forze di netta contestazione dell'ordine
costituito e delle politiche neoliberali. La questione dell'identità
collettiva degli italiani appare ad oggi irrisolta.
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23 novembre 2014
Sintesi: Il Maestro - secondo atto - ricordo di un maestro di judo II
Adesso che ho mostrato la principale
differenza fra la figura del maestro e quella del docente passo a considerare
un secondo aspetto ossia la volontà. Seguire un maestro, i campioni che lo
fanno per carriera e per denaro non sono parte dell’esempio, è impegnarsi con
il corpo e la mente in una disciplina sportiva. Un giovane e così anche un
praticante adulto si sottomettono a sforzi fisici e talvolta mentali con un
atto di volontà. Il maestro uniforma e disciplina all’interno della palestra le
mille e mille differenze che emergono
dai suoi praticanti e dagli allievi che intendono procedere con l’attività
agonistica. In questa condizione di mettere assieme i diversi livelli di
motivazione e d’esperienza emerge il suo carisma e il suo buonsenso nel dare
una direzione al lavoro di palestra. Quello
che spesso è il frutto dell’esperienza e del buonsenso nella scuola è regolato
da scadenze, programmi e da una burocrazia a tratti oppressiva. La mentalità
comune ignora solitamente quanto il mestiere dell’insegnare a scuola sia
vincolato a scadenze e procedure burocratiche. Non dico che sia giusto o
sbagliato. Dico che l’attività del maestro e del docente sono regolate da
principi diversi e si svolgono in contesti non sovrapponibili pur trattando
dell’educazione e della formazione
dell’essere umano. La burocrazia che regola una palestra esiste ma non ha la
natura e l’intensità della burocrazia
scolastica. Il maestro quindi può a mio avviso ritagliarsi un più ampio spazio,
può creare un suo stile di conduzione della palestra e arrivare al
raggiungimento dei risultati attesi con tempi e modalità suoi. Il lato
spiacevole della cosa è che egli è praticamente l’unico responsabile. Quindi i praticanti di un’arte marziale o di
una qualsiasi disciplina sportiva che si trasmetta per mezzo di un maestro
scelgono un percorso impegnativo per la mente e il corpo con la speranza di
ricavarne dei benefici fisici, mentali e
perfino spirituali. Benefici che sono collegati all’insegnamento del proprio
maestro di riferimento. In questa centralità di colui che insegna vedo il
tratto caratteristico del maestro di judo, ossia il carisma. Quella capacità,
che viene declinata in termini positivi, d’esercitare una forte influenza sulle
persone. In effetti senza una guida è improbabile che gli esseri umani
s’associno fra loro per fare cose difficili o percorsi di costruzione e
definizione della propria mentalità e della propria fisicità.
Clara Agazzi:
Questo professore è un po’ scolastico però mi pare che ci pigli. Certe cose le
descrive bene. Tuttavia mi pare che riveli un rapporto con il suo lavoro
contradditorio. Da un lato ne sottolinea l’importanza e dall’altro ne definisce
i limiti. Questa categoria del maestro di cui ragiona pare lo specchio su cui
si riflettono i limiti della scuola formale e burocratica.
Paolo Fantuzzi:
Aspettate. Qui devo dire qualcosa io. Ricordatevi in materia di sport di contatto
e arti marziali di una grande verità di cui tutti i praticanti e gli agonisti
del settore sono consapevoli: le botte fanno male. Per questo qui nel Belpaese certi
sport e le arti marziali hanno poco seguito. Lo sport quando praticato è
soddisfazione e fatica, ma per capire la mia affermazione pensate al pugilato o
sport minori ma simili. Oggi televisione, cinema, pubblicità commerciale non
fanno vedere lo sforzo della persona qualunque, la normalità della fatica
dell’uomo della strada. Televisione, pubblicità commerciale, cinema,
illustrazioni varie fanno vedere i
presunti VIP in barche di lusso, nei ristoranti e nei privè per gran signori,
al ricevimento di questo o di quello, nella villa del tal dei tali,
all’inaugurazione del locale esclusivo. Ovvia
conseguenza che tanta gente e la gioventù in particolare sia sviata da questi
messaggi ripetuti fino all’ossessione e fugga quanto è fatica, percorso anonimo
e silenzioso, costruzione di se stessi. Se l’esempio che gira nelle nostre
periferie cittadine è il ricco o il mammifero di lusso che si gode i soldi è
normale che l’impegno che ha come premio non il riconoscimento del singolo
presso un pubblico ma una sua crescita fisica e mentale sia evitato. Comunque
in questo discorso c’è questo che non mi torna: mi pare che in quelle parole si
voglia cercare un bene e un male che non stanno nella vicenda di tutti i
giorni. Il divenire del mondo non è bianco o nero come il colore dei pezzi
sulla scacchiera.
Stefano Bocconi:
Certamente hai della ragione dalla tua. Da anni mi chiedo se non siano folli
coloro che inseguono l’idea fissa di un bene o un male assoluto, come se bene e
male fossero sfere perfette, realtà metafisiche, enti angelici o demonici.
Eppure credo che sia lecito cercare oggi una qualche guida, beninteso. Oggi
come ieri occorre iniziare da qualche parte e darsi un punto fermo, un qualche
inizio. Se questa cosa può farlo un maestro come dice quello lì. Ma perché no?
Franco: Il
professore non si è smentito. Qui è bastato ascoltarlo dieci minuti e subito
son fioriti i distinguo, i dubbi, le approvazioni. Ma invito qui gli amici
tutti a pensare a quanto sia forte il peso specifico della quotidianità, della
noia, del vivere strascicandosi di qua e di là. Quella cosa che individuate
come esempio negativo della pubblicità è l’ordinaria banale conseguenza di un
mondo umano che si è impoverito ma che pensa se stesso come un mondo di
consumatori. Il desiderio stimolato fino al parossismo e al delirio di
consumare beni e servizi in assenza di una ricchezza autentica sul piano
materiale provoca nei molti disordine mentale, odio, paure irrazionali.
Immaginate questo: un tale per sue ragioni di lavoro è forzato a vivere
spostandosi per ore e ore in macchina in condizioni di traffico indecenti. Un
giorno si trova in campagna e rimane sconvolto. Non è quello il mondo nel quale
vive e capisce che qualcosa non va nel suo stile di vita, davanti a un prato fiorito
rimane come bloccato da un dolore al petto. Bene questa è la condizione del
traumatico risveglio dei molti che hanno fatto l’errore e d’identificarsi con
una delle tante illusioni indotte dalla pubblicità in relazione a donne
bellissime, consumi da signori, barche, ville, soldi facili e così via. Prima o
poi qualcosa si blocca, la dura realtà batte i suoi colpi e uno rimane con la sensazione di aver
inseguito il vento, di aver fatto volar via la vita rincorrendo un miraggio.
Stefano Bocconi:
Certamente è così ma non vedo il legame fra il tuo ragionamento e quello del professore.
Franco: Il professore credo che
stia ragionando intorno al fatto che occorre costruire se stessi, conoscere se
stessi per non cadere vittima delle
molte forme di manipolazione e degenerazione della presente civiltà industriale.
In questa opera di chiarimento interiore le figure dei maestri da cui si è
avuto una qualche impostazione e l’esempio
sono decisive. Riconoscere esempi
e insegnamenti e la propria origine è
l’inizio di una costruzione interiore e della fondazione propria immediata
consapevolezza di se stessi.
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12 settembre 2014
Sintesi: Il Maestro - secondo atto - Sogni e bisogni di una società inquinata
Stefano Bocconi: Parli bene:
controllo, denaro, esistenza, vita interiore, prigionieri di se stessi.
Tuttavia a fronte di tante cose belle dette e meditate credo che ti sfugga il
quotidiano più prosaico e volgare. Chi pensa al mondo futuro o al bene
possibile lo fa perché ha lui dei problemi. La maggior parte di quelli che cercano
soluzioni di crescita spirituale o
culturale è gente che sta guardandosi intorno per trovare un pezzo di sughero a
cui aggrapparsi per galleggiare in questa vita invece di andare a fondo. Chi si propone oggi elargitore di verità
sane, di ricette per la felicità o la fortuna si troverà ben presto circondato
da gente che ha bisogno e chiede e può dare molto poco. Lo so che non è un bel
discorso, ma le cose oggi stanno così. Coloro che a tuo avviso potrebbero
trovare una via nell’autocoscienza, nella consapevolezza, nel riscoprire un
mondo migliore è spesso gente che bisogno d’aiuto. Quindi avendo bisogno
d’aiuto non può aiutare gli altri, perché non ce la fa da sé e non ha risorse
in più da dare.
Paolo Fantuzzi: Mi
spiace dover dar ragione a Stefano su questo punto ma chi ha bisogno ha in
testa il suo problema e come lo risolse o sta un po’ meglio si ferma lì. Tu
caro Franco pensi che si possa elevare il singolo e questo di per sé dovrebbe
portare a una crescita di tutta la società. Ogni singolo reso migliore
dovrebbero diventare un piccolo esercito del bene composto da una sola persona.
Questo è impossibile. I singoli che cercano l’elevazione e la cultura per
migliorarsi sono persone appunto bisognose in senso morale e materiale, quando avranno pensato a se
stessi non ne avranno per gli altri. Anzi direi che proprio il fatto di sentire
in modo aspro un mancato riconoscimento economico, l’aver perso una posizione
nella società, l’aver rovinato una buona occasione, l’aver subito una calunnia
o un torto grave è la molla che porta a cercare una qualche forma d’elevazione,
di miglioramento. Chi è ricco e si diverte spendendo l’equivalente di mesi o
anni di stipendio di un dipendente pubblico o privato in una vacanza o in lussi
non ha il bisogno spirituale o culturale di elevarsi sopra la propria
condizione umana. Il sistema offre questo: puoi esser tutto ciò che puoi
comprare. Se uno ha i soldi non ha bisogno dello spirito o della magia, della
religione, di nulla. Chi è oppresso, triste, risentito lui ha bisogno di
cultura, spiritualità, elevazione che spesso si risolve in un modo per star un
po’ meglio, per avere una compensazione immateriale di dubbia forza al posto di
un concreto potere che apre le porte di negozi, supermercati, autosaloni e cose
del genere.
Franco: Sarà, ma a me non risulta che gli uomini siano
Dei. Mi risulta che gli umani dei due sessi siano, cosa di cui erano convinti
anche gli antichi, per l’appunto mortali. Quindi in quanto mortali essi devono
sapere che la realtà nella quale sono chiamati a vivere è una realtà in
mutazione e trasformazione e che alcuni oggetti e beni che sono in loro
possesso resteranno interi anche quando non ci saranno più e,magari
diventeranno eredità di qualcuno che viene dopo di loro. Quindi c’è un limite
nel potere del denaro che qui ora si nota male perché siamo mentalmente
aggrediti da continui messaggi pubblicitari e corrisponde al fatto che la vita inizia
con la nascita e finisce con la morte. C’è un limite che è quello della
naturale cessazione dello stare in vita e per quanto per secoli alchimisti,
sapienti, stregoni e recentemente scienziati cerchino una via per evitare ciò
che conduce naturalmente alla morte essa si manifesta lo stesso. Il discorso
del godersi il privilegio della ricchezza vale nella misura in cui il limite
dell’uomo che è il fatto di esser nella sua essenza un dato naturale è rimosso,
anzi mistificato. Chi crede che il denaro sia l’unico lo fa di solito in forza
dell’inganno tipico della società dei consumi per il quale all’umano naturale
con il suo ciclo vitale si sostituisce un umano di fantasia, un consumatore
ideale, un figurino che esiste e vive solo nella pubblicità, in televisione e
al cinema. Accetto però della vostra critica la verità di fondo che spesso chi
cerca lo fa perché sente un bisogno o una condizione di minorità. Credo sia vero. Del resto chi è sazio, ricco,
felice, perché dovrebbe metter in discussione se stesso e magari rifar
di nuovo la sua esistenza? Chi sente che ciò che è non basta a se stesso cerca, interroga,
studia.
Vincenzo Pisani:
Scusate ma mi pare che ci siamo. Arriva prima la specialità della casa.
Il padrone porta dei vassoi con la prima
portata fagioli e un abbondante razione di cinghiale in umido, fa cenno che sta
per arrivare il resto. Vincenzo prende il vassoio e fa le parti.
Clara Agazzi: Questo
dovrebbe farvi star zitti e metter in moto le mandibole. Comunque aggiungo che
esiste un cercare che è oltre il bisogno. Esiste nell’essere umano una spinta alla
curiosità, alle domande esistenziali, alla ricerca di una verità che non sia
l’apparenza del momento. Inoltre gli umani sono uomini e donne e i due sessi
s’interrogano sul futuro, si chiedono cosa sarà di loro e dei loro affetti domani
e dopodomani. Nella persona c’è una dimensione interiore che è diversa da
quella animale, c’è progetto, ambizione, curiosità, voglia di manifestarsi nel
mondo per mezzo dell’azione e della creatività. Che questo oggi sia piegato
all’interesse economico è un dato di fatto. I poteri dominati sono economici e
finanziari e impongono il loro punto di vista e la loro logica a tutti quanti.
Ma in altri tempi dove non c’era questo potere o era ridimensionato da re e principi
o da sacerdoti e vescovi. Allora esistevano altre concezioni della società e della
condizione umana.
Paolo Fantuzzi:
Questo è vero. Ma io vivo nel qui e ora e con questo tempo devo far i conti.
Ora scusate che voglio finire questo pezzo di cinghiale che mi sta provocando
dal piatto.
Stefano Bocconi:
Non avere scrupoli, butta dentro. Roba sana. Comunque questo non risolve il
problema di fondo, ovvero che oggi i molti hanno bisogno d’aiuto e con
difficoltà possono darlo, si chiama individualismo e mercato selvaggio, due cose
che combinante assieme creano grossi problemi e spaccano la naturale inclinazione
alla solidarietà e alla collaborazione fra uomini. Questa combinazione crea le condizioni
per un mercato senza una socialità e con poteri politici deboli e debitori verso
i ricchissimi.
Franco: E allora
proprio tu vedi il problema e lo proponi. In una società disgregata, violenta, competitiva,
come è il caso nostro, per forza di cose produce coloro che cercano una via d’uscita
da un modello di vita e di produzione che
è pericoloso e inquinante. Una società di singoli tenuti assieme dall’interesse
materiale e dalla paura di punizioni e leggi è una società umana debole, dissoluta,
cinica e ovviamente brutta.
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15 luglio 2014
Sintesi: Il Maesto - secondo atto - Pane, vino e salame
Secondo atto
Vernio,
notte. Interno: ambiente popolare, riproduzioni
di quadri francesi alle pareti, rumori da ristorante.
Franco apre la porta ed entra. Fa dei cenni,
va verso un tavolo. Chiama i suoi convitati. I quattro si seggono
Franco: Dopo
tanta strada buia, eccoci finalmente. Abbiam fatto tutta la lunghezza della
Calvana per arrivare fin qui. Siamo proprio sulle montagne.
Paolo Fantuzzi: Ci
hai fatto scollinare, ma per davvero. Comunque il posto sembra gradevole.
Clara Agazzi: Sì.
Ricorda il passato, i tempi delle Case del Popolo in ogni quartiere, delle
feste dell’Unità. Cose semplici, popolari. Cose di tempi ormai andati.
Stefano Bocconi:
Ma è quello il tuo amico, e l’altro dove sta?
Franco: Infatti
non vedo il professore
Vincenzo Pisani:
Grande Franco, amico mio che piacere! Anche voi qui. Avvicinatevi, facciamo un
solo tavolo. Se volete. Si capisce.
Franco: Mi pare
una cosa buona, va bene allora s’aggiunge un posto a tavola. Vieni con noi
vecchia volpe. Racconta che cosa hai fatto. Ti vedo bene.
Vincenzo Pisani:
Avvicinatevi. Mi è capitato di venir qui con il professore ma per combinazione
oggi si ritrovano in questo posto certi vecchi allievi della sua palestra di
arti marziali e così nell’occasione del primo lustro della morte del loro
vecchio maestro han fatto un tavolo per loro laggiù per ricordare il passato e
onorarne la memoria. Si è scusato e mi ha lasciato qui da solo.
Franco: Certo
che aver avuto un maestro è una cosa importante, se ne ragionava proprio oggi con gli amici. Anzi te li
presento: Clara Agazzi, Stefano Bocconi, Paolo Fantuzzi. Rispettivamente
insegnante, commerciante, operaio.
Vincenzo Pisani:
Poi c’è Francone qui presente saggio, contadino e molte altre cose. Hai messo
assieme su questo tavolo i tre settori: primario, secondario e terziario. Un
tavolo che è specchio della piramide sociale almeno per quel che riguarda le
categorie. Il sottoscritto può esser iscritto nel terziario alla voce servizi
visto che messo su un piccolo ostello.
Franco: Certo che è proprio vero. Alla fine si viene
giudicati per il mestiere che si fa.
Vincenzo Pisani:
Invece no caro Franco. Si viene giudicati oggi in questo tempo in misura del
denaro. Del denaro che si guadagna. Ma è una cosa antica il professore mi
diceva che queste cose già accadevano al tempo dei filosofi dell’Antichità
Classica, anche allora il possesso delle ricchezze segnava la differenza fra
gli schiavi, i poveri, e i padroni fossero essi aristocratici o volgari
arricchiti. L’appartenenza a una gerarchia, a un gruppo di potenziali
consumatori di certi beni e servizi determina l’immagine e quindi la forma con
cui uno si manifesta ai suoi simili.
Franco: Certo, ma questo riguarda il passato. Un passato
lontano e antico che a fatica si può ricostruire e immaginare.
Vincenzo Pisani:
Non lo credo. Il passato forse sarà per noi un mistero ma certi fenomeni
sembrano proprio manifestazioni dell’essere umano. Con una differenza di non
poco conto da stabilire fra questo presente e il passato. Nella civiltà
industriale che esiste da solo tre secoli il denaro è l’unico metro. In antico
l’onore, la discendenza, la patria, il sapere, la credenza religiosa o
filosofica potevano segnare un distinguo. Oggi le uniche patrie che sembrano
rimaste sono le multinazionali e le banche. Sono loro che decidono quali
prodotti lanciare sul mercato, quali pubblicità mandare a giro, quali parole
nuove far calare in testa alla gente comune, quali gusti e quali mode seguire,
quali guerre fare, quali paci accettare magari di controvoglia. Gli Stati, e
sottolineo gli Stati, oggi si dividono in quelli che riescono ad attirare
investimenti e capitali e a far girare l’economia e quelli che si ritrovano con limitate risorse
domestiche, con enormi debiti pubblici o con problemi interni gravissimi. Dal
momento che il successo o l’insuccesso di una comunità umana complessa come lo
Stato oggi si misura sul metro del successo di mercato ne deriva che tutte le
altre forme d’appartenenza diventano marginali o secondarie.
Franco: Poi c’è
il singolo, uomo o donna che sia che deve trovare le sue ragioni di vita, i
suoi scopi, i suoi sentimenti. Dall’alto dei grandi poteri e delle segrete
stanze al basso tutto è un correre dietro ai soldi. In fondo il denaro virtuale
è l’unica cosa che può crescere all’infinito in un pianeta azzurro limitato per
dimensioni e risorse. Ma dimmi ora che siamo a tavola tu personalmente sei
soddisfatto di quanto hai?
Vincenzo Pisani:
Una domanda difficile. Intanto se permetti faccio un cenno alla cameriera che
porti subito acqua e almeno un litro di vino e l’antipasto della casa, doppio
ovviamente salumi e crostini della casa..
Vincenzo fa dei gesti e poi ordina il solito
per cinque persone.
Allora, ti devo
una risposta.
Franco: Se vuoi,
non obbligo nessuno. In fondo ti ho chiesto una cosa personale e davanti a
personale che conosci appena. Ma sono curioso. Su rivelati.
Vincenzo Pisani:
Vedi nella maggior parte degli esseri umani c’è bisogno di un piccolo spazio di
potere, proprio così. Questo bisogno non è uguale, ognuno ha il suo. C’è chi ha
bisogno di questo potere nel senso di poter mutare qualcosa nella realtà che
vive tutti i giorni e ognuno ha il suo. Ad esempio c’è chi vuole esser al centro dell’attenzione, chi
vuole riconoscimenti formali anche con certificati, chi vuole i soldi, chi
vuole la pubblica ammirazione, chi vuole una famiglia numerosa, chi cerca
l’amore. Questi sono esempi presi a caso fra tanti. Ma di sicuro un soggetto
deve avere la volontà e qualche strumento anche minimo, anche solo la propria
fisicità e corporeità per arrivare alla soddisfazione del suo desiderio. O
almeno provare ad arrivare al punto, perché anche la volontà conta. Cosa è oggi
il denaro per i molti. Bene, io dico che per i molti è esattamente questo:
POTERE. Perché i soldi, anzi mi correggo i tanti soldi sono ciò con cui si
misura tutto e con cui si compra tutto qui nel Belpaese. O almeno essi sono lo
strumento che sembra deputato a far questo. Allora, venendo al mio caso, il mio
spazio di potere lo giudico inadeguato, la qualità della mia persona per
esprimersi avrebbe bisogno di ben altre condizioni di lavoro e di vita.
Purtroppo qui non trovo le condizioni per afferrare la realtà e la fortuna e
scuoterla fino a realizzare il successo personale nel mio ramo che è quello
turistico.
Paolo Fantuzzi: Sei
un tipo dalle concezioni chiare, se il successo non arriva è colpa del sistema.
Se arriva invece è solo opera tua. Così è facile non ti pare.
Clara Agazzi: Aspetta,
magari ha i suoi buoni motivi per dire queste cose. Comunque è vero nella vita
si finisce con il fare delle scelte e scegliendo o si è o non si è. Quando si
prende una direzione per fare un lavoro o per scegliere un percorso di vita ci
si lascia alle spalle altri percorsi possibili. Quindi se lui ha scelto una
carriera ha fatto quella scelta e ciò che poteva essere altrimenti sarà per
sempre un mistero. C’è dà stupirsi se è così categorico. Io credo di no.
Stefano Bocconi:
Ma insomma. Ricordiamoci che questo Belpaese non è esattamente il Regno di
Camelot e non ci governano i santi cavalieri di Re Artù o i paladini di
Carlomagno. Difficoltà negli affari. Di questi tempi mi sembra normale,
l’importante è non farne una malattia anche se riconosco che è difficile non
identificarsi con il successo o con l’insuccesso sul lavoro. Se sei in proprio
e rischi del tuo, come dire. Il lavoro spesso diventa il tuo sangue, lo senti
che scorre dentro di te.
Franco: Siate
certi che il nostro sa bene di cosa parla. Tante ne ha fatte e tante ne ha
viste. Ma vi invito a pensare che non sempre nella vita si può scegliere e che
talvolta lo scorrere degli anni o i casi della vita ci spingono in direzione
magari non voluta o inattesa. Pensate per un momento a quanti non hanno
coronato il loro sogno d’amore, a quelli che non hanno ereditato, a quelli che
hanno dovuto scegliere un mestiere pressati dalle necessità e cose simili.
Vogliamo forse far loro un torto e dire che era solo colpa loro, che era una
debolezza di volontà o di fortuna. Prendiamo anche in considerazione la
questione del denaro.
Clara Agazzi:
Aspetta, il denaro è tanto. Ma non usiamolo per nasconderci e negare proprie
responsabilità.
Stefano Bocconi:
Vero. Ma se il metro è il denaro tutto viene passato da quella misura. Allora
come misurare la propria debolezza, i propri limiti, la propria cattiva
volontà?
Paolo Fantuzzi:
Ma l’umano, il tipico umano. Voglio dire… saprà misurarsi. Magari non con
parole alte e nobili ma riconoscere i suoi limiti, ammettere le mancanze,
capire chi è. Poi va bene, il metro è il denaro. Con questo. Cosa ci si fa con
questo. Cosa si misura con il denaro se non i beni, il successo, la capacità di
comprare e di possedere. Questo è l’essere umano o c’è di più. Che ne so
famiglia, affetti, sensibilità, perfino tenerezza. Queste cose non stanno nel
foglio del dare e dell’avere del commerciante.
Vincenzo Pisani:
Vedi io intendo che il denaro è il metro perché lo è per le cose che
all’apparenza contano davvero in una società industriale e mercantile come
questa. Quando comanda l’apparenza del possesso una non guarda i bicipiti o la
cicatrice ma la catena d’oro, l’orologio di marca, le scarpe, gli abiti e per
certissimo il cellulare. Molte delle mie relazioni nel mio settore sono
totalmente o parzialmente mercantili, quindi è sicuro che sarò giudicato e
pesato sulla base dell’apparenza di quanto possiedo. Poi si può esser più o
meno sobri, più o meno cafoni in certe manifestazioni di sé ma questi sono i
fatti. Come misuri la tua automobile, il tuo cellulare, il tuo orologio. Vuoi
farmi credere che hai una dimensione affettiva e di rispetto per tutto, suvvia non è possibile.
Paolo Fantuzzi:
Ma ora parli d’oggetti di beni. Di cose materiali e concrete.
Vincenzo Pisani:
Ma questo è il punto. La realtà oggi è dominata dal calcolo, si parla da anni
d’investimenti affettivi. Voglio dire… ma ci rendiamo conto che nel vocabolario
comune il metro è il denaro, i termini sono i termini del commercio e molte
espressioni sono prese di peso dalla lingua commerciale per eccellenza, ovvero
quella inglese. Non voglio esagerare la natura dei tempi ma io vedo qui nel Belpaese
una gran parte della gente ripiegata su se stessa e che guarda il quotidiano
alla luce del successo apparente e del
risultato economico. I molti vedono e
pesano quel che vogliono pesare e misurare.
Franco: Amici vi
prego. Stanno portando il vino e gli affettati. Intanto distribuiamo questo e
poi passiamo ad ordinare i primi. Comunque mentre verso voglio aggiungere una
cosa in questo mondo tutto è sottoposto all’usura e alla scorrere del tempo e
se non si hanno scopi fortificati dal conoscere bene se stessi e il proprio
piccolo mondo si rischia di correre dietro al vento, di perdersi nel mutare
delle cose e di restare dopo una vita d’affanni prostrati senza aver trovato il
senso e lo scopo della propria vita. Quindi osserviamo che usare sempre lo
stesso metro e la stessa misura per cose diverse può far precipitare
nell’errore e nell’idiozia.
Stefano Bocconi:
Intanto dividiamo il pane e versiamo il vino e poi sotto con il companatico.
Siamo qui per star bene assieme. Allora iniziamo. E un brindisi alla salute,
perché senza la salute della mente e del corpo nessuna impresa umana è
possibile.
Clara Agazzi:
Ben detto.
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6 maggio 2013
Diario Precario Dal 28/4 al 3/5/2013
Data.
Dal 28/4/2013 al 3/5/2013
Note.
Primo
Maggio.
Governo,
polemiche sulla stampa; sul telegiornale storie di disoccupati, storie di
criminalità, nomine di sottosegretari.
A
breve altra burocrazia, la scuola è quasi finita.
Considerazioni.
Quest’anno
è ancora più forte la sensazione di aver un anno scolastico frazionato in
segmenti limitati da gite, ponti, feste comandate e cose del genere.
Insegno
seguendo i periodi, calcolo il mio lavoro sulla base del tempo. Devo arrivare a
far tante verifiche, tanti argomenti, tanti autori in un certo tempo, in tanti
giorni, settimane, mesi.
Il
tempo è risorsa e problema nello stesso modo.
L’attività
del docente è carte, scadenze, lezioni, verifiche, e poi di sfuggita profezia
metafisica sul futuro delle conoscenze degli allievi e della società italiana.
Insegnare è anche scommettere sul futuro, ma questo non riguarda solo il
docente ma anche l’artigiano che fa vedere il mestiere al garzone, l’esperto
che tiene un seminario di specializzazione, lo specialista che mostra come
funziona un macchinario o un sistema di gestione dei dati. Queste evidenze non
passano quasi mai, i più non ci pensano, imparare e insegnare sono attività
ordinarie dell’essere umano in una società organizzata. Il Primo Maggio l’ho fatto
al De Martino per una questione di solidarietà con chi gestisce l’archivio
storico che deve cercare forme di finanziamento indipendenti. A fronte di una
civiltà industriale aggressiva e potente che struttura e ristruttura di
continuo desideri di grandi masse e l’immaginario collettivo di popoli interi
manca una forza d’opposizione che sia creazione di una forma alternativa di
società, di gerarchia, di creazione e distribuzione di ricchezze. L’immaginario
collettivo novecentesco delle forze di sinistra, più o meno rivoluzionarie, non
ha più presa sulle grandi masse. La
pubblicità commerciale, il mondo dello spettacolo, la stampa periodica di fatto
promuovono un tipo di società e d’organizzazione della vita che è quella del
qui e ora. L’ordine costituito è blindato dal mondo della comunicazione e dello
spettacolo che gode di mezzi potenti e grandi capitali investiti. Anzi, il
sistema della comunicazione dello
spettacolo oggi come oggi rimanda, a prescindere dalle intenzioni dei diversi
operatori e artisti, a un modello organizzativo fondato sui soldi, sulla
gerarchia, sui ruoli, sulla dimensione del comando e controllo e sul denaro. Ancora una volta il
denaro è tutto e tutte le cose, non c’è nulla più totalizzante e definitivo dei
soldi. Ci credo che milioni d’esseri umani in Europa sono disposti a macchiarsi di ogni tipo di delitto per
provare diventare ricchi e quindi felici; perché non c’è nulla di più sicuro
oggi della saldatura che vede la felicità degli umani legata al possesso del
denaro e al suo uso. Fatto dovuto alla potenza della pubblicità commerciale
dove nella messa in scena il possesso dei beni e servizi, ben illustrati e
lodati, di solito comporta la conquista di una felicità definitiva o temporanea.
Ma questo fatto è ripetuto centinaia di volte al giorno nella testa di ogni
singolo nei manifesti murali, nelle immagini pubblicitarie, sui giornali, sulle
riviste, in televisione, perfino su internet. Non si sfugge a questo lavaggio
del cervello a meno di non trovare una via mistica o metafisica che faccia
uscire da questo dominio, da questa visione totalizzante. Quello che vedo,
sento e capisco è il dominio del denaro, e del tempo che è vincolato al denaro,
sulla vita umana. Questo dominio viene alimentato dalle grandi masse di
consumatori e spettatori e accolto da esse in modo acritico come se fosse legge di DIO.
Talvolta per motivi di pudica ipocrisia in certe manifestazioni sociali o in
determinati tipi di spettacoli viene
negato sotto fumose e zuccherose rappresentazioni allucinate della realtà umana
in nome di una falsa coscienza che non vuol vedere il dato reale in quanto
reale. Da qui il mio disagio intorno all’insegnamento che nel mio caso è descrivere, rappresentare, istruire gli
allievi intorno a secoli spariti e a civiltà dissolte o diventate altro, o
peggio a personaggi illustri o straordinari di cui normalmente sul sistema dei
media perlopiù non si parla e si tace. L’aggancio con questa realtà è per me
anche la necessità di circoscrivere
questo presente, di distinguerlo dal passato. Si tratta per me di un punto
d’onore. Questo presente va distinto tanto dal passato quanto dal futuro, il
denaro che in questi anni è diventato l’ultimo DIO è solo uno dei tanti monoteismi
possibili, quello che di nascosto in questi ultimi decenni si è affermato
grazie alla civiltà industriale e ai processi di globalizzazione finanziaria.
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12 febbraio 2013
Diario Precario 11/2
Data.
11/02/2013
Note..
Pausa.
Didattica sospesa causa occasione del Carnevale.
Tempo
brutto, nuvole, umidità, pioggia.
Notizie
da varie fonti sul concorso.
Ora
in rete o sui giornali si parla dei ricorsi, ora delle notizie su alcune
regioni dove viene rimandato per maltempo.
Nessuno
ne parla bene, almeno per ciò che ho letto.
Considerazioni
La pausa scolastica mi spinge a pensare. La
centralità del Dio-quattrino di cui ho tanto ragionato è però smentita almeno
in parte dalla natura biologica dell’essere umano.
L’essere umano nasce, si sviluppa, matura,
degenera per effetto di vecchiaia e malattie e infine muore. Il denaro al
contrario sembra infinito, una materia aldilà della natura, un corpo artificiale
che rimane costante, indistruttibile, destinato alla crescita e al dominio. In
realtà nel passato sono morte delle monete, sparite insieme alla realtà che le
aveva create.
Chi
potrebbe pagare la spesa al supermercato con sesterzi del tempo di Giulio Cesare?
Fra
la dimensione artificiale del denaro e quella biologica e naturale dell’uomo c’è
una differenza profonda. Riconosco questa dimensione biologica dell’essere
umano soprattutto in palestra, per la precisione al Judo Club. Semplicemente
nel corso degli ultimi cinque anni si è fatta avanti un nuovo gruppo di
agonisti e allievi, sono i ragazzi nati negli anni novanta. Il dato anagrafico
è dato concreto del quotidiano, una banalità. In palestra come a scuola il susseguirsi
delle età è misurabile; l’essere umano giovane, maturo, anziano convivono. Se
si preferisce in una palestra condividono gli stessi luoghi e a livelli diversi
fanno attività simili: figli, padri, nonni. L’umano ha bisogno di dare un senso
a questo passare delle età e scorrere del tempo, il denaro no. Il denaro non
sembra più una merce che serve ad acquistare tutte le merci, la sua immagine e
la sua influenza oggi è tale che esso appare come una specie di forza in grado
di trasformare la realtà, di cambiare luogo, di mutare forma e qualità ed è
metro del vivere e del quotidiano. Si tratta come di una natura seconda, altra
che ha espressioni simili a quelle dei viventi, ad esempio muta di luogo
(miliardi possono esser spostati in pochi secondi), muta di qualità (il denaro
può diventare pacchetto azionario, obbligazioni, investimento), moltiplicarsi
(profitti), diminuire e perfino sparire (crack finanziario, bancarotta). La
natura del denaro a mio avviso non è tale da risultare un buon metro per
valutare gli umani, il molto denaro anche in una società mercantile come la
presente è un metro per misurare il potere in relazione alla capacità d’acquisto.
Finché il sistema è stabile e nessun parametro esce dai binari determinati
graditi dall’ordine costituito e dal senso comune assuefatto a dosi massicce d’individualismo
e pubblicità commerciale va tutto bene. Di conseguenza i criteri intorno al
quotidiano, per quel che ho potuto constatare, da parte della maggior parte
degli umani sono influenzati dalla pubblicità commerciale, dai consumi e dai
prezzi. Se qualcosa, anche poco, esce da quei binari il modello del “tanto
Denaro” = “molto Potere e successo personale” non regge. Ad esempio una
catastrofe di qualsiasi natura può far saltare l’ordine dominante e distruggere
questa logica dominante del denaro quale unico metro. C’è una sorta di
conformismo non dichiarato ma pesante in questo modello che vede il denaro al
centro della vita sociale. Vedo infatti che pensare qualche forma alternativa
risulta spiacevole, pare una cosa da uccelli del malaugurio, da frati di altri
tempi che vanno ricordando ai peccatori che devono prima o poi morire. In fondo
il metro del denaro è comodo, facile da capire e per questo può esser imposto a
grandi masse staccate da tradizioni defunte e lontane da miti perduti ma molto interessate
a vivere nel quotidiano e a cogliere ogni possibilità per acquisire beni e un
poco di felicità in questa vita. Forse in me c’è sempre stata una reazione
negativa alla dimensione dilatata del metro del denaro come unico metro per la
società nella quale vivo, una diffidenza di fondo che ha sempre fatto capolino
nel mio pensiero.
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1 febbraio 2013
Diario Precario 30/1
Data.
Da 30/01/2013
Note.
Scrutinio.
Lavoro
di pomeriggio.
Lezione
di storia contemporanea, lezione di storia del Rinascimento.
Incontrato
vecchio amico. La città sembrava molto triste.
Una
luminaria lasciata da natale solitaria, su un balcone, di notte, nella via vuota.
Considerazioni
Il
Belpaese ha molti abitanti ammalati di solitudine e di povertà reali o percepite
come tali. Tanta parte delle genti del Belpaese si sente sola e povera, se devo
indicare a qualche amico il male che si respira da queste parti direi che esso
è la tristezza. Questo è diventato un paese triste, non è mai stato bene ma ora
emerge un mondo umano dove i più sono tristi, soli, infelici e costantemente in
ansia per questioni di denaro. La centralità del denaro ormai devasta qualsiasi
ragionamento religioso e ideologico in Italia, tutto ruota sui soldi, anzi sui
milioni di euro che pochi hanno e che tanti vorrebbero. Solo chi rimane
ancorato alle memorie di passati veri o immaginari evita di confrontarsi con un
mondo umano italiano dominato totalmente da logiche mercantili. Perché si è
arrivati a questo? Avanzo da anni il sospetto che in realtà l’adesione di
milioni di abitanti della penisola a partiti, ideologie, fedi laiche o
religiose nascondeva una frode. Era una maschera, una presa in giro, un modo
per fingere di essere qualcosa mentre si era radicalmente altro ma non lo si
poteva AMMETTERE, pena l’ammissione almeno con se stessi di aver fallito, di
non avercela fatta, di non aver capito. Non un mondo di idealisti, di gente che
lottava per diritti sociali, umani, di cittadini attenti alla questione
ecologica o anime devote ma semplicemente gente che non aveva preso il
biglietto giusto della lotteria, che non aveva svoltato e fatto i soldi, che
non aveva strappato all’avidità del mondo la roba e il denaro; insomma un mondo
intero di vinti che AVEVA PERSO ciò che davvero era la propria ragione di vita
più autentica: i tanti soldi. Perché in fondo il denaro è dominio, è possesso,
è estensione di sé nello spazio e nel tempo, è manipolazione del mondo umano e
del mondo naturale; il denaro oggi è un sentimento più forte dell’amore e dello
stesso spirito di auto-conservazione. Vivere e morire per denaro è facilmente
comprensibile per tutti, morire per una causa nobile o per un principio
filosofico è qualcosa che va spiegato con cura. Ai molti il vivere felici senza
denaro appare roba da asceti o da fachiri di paesi esotici. Si accetti questi
verità senza ipocrisia quindi: il centro della logica della vita individuale,
politica e civile sono i “tanti soldi”. Oggi c’è un Dio unico, è il denaro. Quello
lo capiscono tutti. Eppure questo Dio non mi convince, sento che è simile a una
sorta di idolo, è una grande illusione collettiva chiamata a sostituire cose
perdute o mai capite fino in fondo. Deve il denaro diventare il senso della
vita umana dal momento che Re sacri e il diritto divino si sono inabissati
perché consumati dallo scorrere dei secoli e stroncati da guerre e rivoluzioni.
Del resto il fondare il senso della vita su passioni personali, sentimenti
individuali, patetiche finzioni intellettuali è cosa che non regge. La ragione
dell’esistenza del singolo in questa vita non riesce ad essere se stessa, è
difficile che l’essere umano possa auto-centrarsi su di sé e diventare una
monade che si giudica e dà se stesso come unico metro di tutto; quindi è
ordinario che si scateni l’illusione di trovarla questa ragione ultima
dell’esistenza in una potenza dominante. Oggi questa potenza dominante è il “tanto
denaro”, non il salario o lo stipendio ma i milioni, meglio i miliardi se
possibile. Il “tanto denaro” permette di essere quello che si desidera essere, almeno
in parte, e l’inseguire il denaro e il prenderlo e poi spenderlo per costruirsi
il proprio mondo sul piano materiale dell’esistenza è senso della vita che trova la sua ragione.
Per la storia pesante fatta da miti perduti e illusioni collettive truffaldine e pessime del Novecento è ovvio che unico valore riconosciuto,
apertamente o in silenzio, dalla maggior parte della popolazione italiana sia il Dio-quattrino, chi è uscito dalle
tempeste della storia con la roba e il gruzzolo di soldi ben stretto nelle mani
è diventato felice e ha fatto la felicità di amici e soci, chi si è lasciato
bruciare dalle illusioni si è rovinato o condannato all’infelicità. Alla fine
le genti del Belpaese non giudicano dei loro simili il molto sapere o la molta
coerenza o la generosità ma il numero delle amanti prezzolate, delle ville, dei
figli e delle figlie, delle case, dei terreni, dei soldi, dei beni, delle
persone importanti conosciute. Ciò che ha prezzo ha senso nella vita, questa è
la logica intima della gente del Belpaese. In fondo anche chi cerca di sfuggire
a questa morale collettiva deve riconoscere che talvolta giudica gli altri
sulla base di una rapida stima dei beni o del valore di mercato di qualcosa che
ha colpito la sua fantasia o immaginazione. In mancanza di valori condivisi
entro i limiti di una comunità umana data in questa civiltà industriale ne
rimane uno, assoluto, ragione di vita e senso ultimo di ogni agire: Dio-denaro.
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29 maggio 2012
L'Italia del remoto futuro:applausi e note sparse
 
Il terzo libro delle tavole
Viaggio nell’Italia del remoto futuro
Applausi e note sparse
( anticipazione da uno scritto ancora tutto da
scrivere)
Fra le cose che mi suscitarono
incredulità e senso di smarrimento durante il mio soggiorno vi fu una scena,
l’applauso collettivo dei capi e dei quadri delle milizie del nuovo regime
quando venne proiettato l’ultimo rifacimento del film su Harlock. La scena
della Nave pirata spaziale con la bandiera nera che si schierava a difesa
dell’umanità contro gli alieni invasori era la ragione di quel gesto, la
bandiera pirata nelle sue centinaia di versioni diverse era quella che spesso
questi rivoluzionari istituzionali usavano; di solito le loro bandiere erano diverse
da quella del film spesso senza il teschio con le tibie ma solo con ossa,
frasi, armi incrociate, teste tagliate, arti amputati e parole tutte scritte nelle varie sfumature del
bianco e qualche volta in giallo oro. C’era una forte identificazione fra i
ribelli e i pirati da fumetto e da
operetta romantica e i capi e i quadri questo nuovo regime. Era successo più
volte durante l’Antico Ordine che nei multisala quando compariva una bandiera
nera o un personaggio identificabile come alieno o ribelle, o come bandito
schierato contro un potere corrotto nel
silenzio della sala si levasse un grido d’entusiasmo o scoppiasse il solito
applauso improvviso. Perché personaggi ormai di potere, legati al quotidiano,
vincolati alla gestione del presente s’entusiasmavano per una cosa del genere.
C’era qualcosa che non avevo capito, qualcosa di misterioso dentro la
psicologia di queste popolazioni del Sud. In realtà la tradizione del ribelle,
dell’eversore, del bandito popolare e vendicatore dei torti era una sorta di
luogo comune nella psicologia e nella storia culturale. Il delinquente eroico,
il fuorilegge per motivi politici, il partigiano di una causa temeraria spesso
erano oppositori naturali di capi degenerati, despoti stranieri, padroni
criminali. Questi nuovi rivoluzionari si collegavano a un qualcosa di già
esistente a livello d’immaginario collettivo. I capi di questi gruppi avevano
lavorato molto per creare un legame fra la loro opera e certe parti
dell’immaginario collettivo, anche se non si può non rimanere sbalorditi davanti al fatto che
ribelli, pirati, banditi siano presi a modello da parte di un regime che in
fondo è alleato di potenti alieni e punta a creare un tipo di Stato con
elementi di autoritarismo e di controllo sulla popolazione umana. Hanno
inserito nel sistema centinaia di migliaia di umani artificiali usati per
impieghi di tipo speciale, creati con la potenza bio-tecnologica dei loro
alleati e contemporaneamente creato l’illusione che qualcosa del passato fosse
rimasto vivo; l’efficacia del sistema mette in discussione anche le forme
tipiche del popolamento di queste terre. C’è da dire che la potenza tecnologica
e la capacità amministrativa acquisita ha portato grandi benefici, infatti
intere regioni sono state messe in sicurezza, milioni di fabbricati ed edifici
riparati o restaurati, milioni di tonnellate di rifiuti sono stati trattati e
riciclati o distrutti in via definitiva, alcune zone sottoposte a interventi
urbanistici e di risanamento ambientale. Il contro di questo è la brutalità e
l’autoritarismo con cui i processi sono stati portati avanti, nelle fosse
comuni nascoste fra boschi e periferie ancora in rovina non ci sono solo ex
soldati, feccia, mercenari, notabili ma centinaia di migliaia di innocenti, di
morti ammazzati per caso o per sbaglio. Del resto c’è qualcosa di militante, di
partigiano nel senso più bellicista del termine in questo nuovo regime e nella
sua determinazione a rinnovare e trasformare un corpo sociale e culturale
degenerato attraverso una diversa storia e con nuovi modie mezzi di vivere e di stare al mondo. Tuttavia
quello che era impressionante per le genti del Nord, e il motivo principale del
mio studio e della cura con cui ho seguito questa vicenda, è legato
all’incrocio fra vecchio e nuovo che si è formato. Suggestioni del Mondo
Antico, del Medioevo, dell’Età Moderna convivono con un culto laico del nuovo
potere alieno in una sorta di tentativo di portare a unità pezzi rotti di miti
fondativi e memorie perdute. Mi spiego così certi strani costumi come le divise
da miliziani che sono un misto di abiti per le arti marziali, tute da
ginnastica, calzature militari, qualche mimetica, giberne, cinture, cinturoni, tascapane e
fondine di pistola; lo sportivo diventa marziale, l’abito per il tempo libero
diventa strumento di guerra e di polizia e divisa informale per parate e
convocazioni.A questa divisa informale hanno aggiunto mostrine, qualche
medaglia, ricami con teschi, pianeti, stelle e comete, per coprire la testa qualche
maschera antigas, una scelta d’antiquariato di elmi e caschi da motociclista e per i piedi, stivali, anfibi da paracadutista,
scarpe da tennis, scarpe da montanari. Piani diversi e logiche diverse si
confondono anche negli abiti, l’esito di questo primo periodo di trasformazione
sembra essere proprio la confusione, il mischiare, il confondere. Mi sono dato
una ragione e una spiegazione: nella storia di queste genti del Belpaese le
grandi trasformazioni hanno avuto forti elementi di continuità formale con ciò
che era stato prima, il vecchio veniva portato nel nuovo per essere trasformato
o distrutto. Così la confusione apparente è amica di questo nuovo regime, è
utile perché associa il vecchio con il nuovo; il vecchio nel passare del tempo
muore o si trasforma mentre il nuovo prevale.
Le divise bizzarre, le bandire nere
con immagini orripilanti o frasi o parole inquietanti, le armi aliene o umane
lucidate per la parata, le canzoni piene di odio e rancore per ciò che è stato,
la musica classica diffusa dagli altoparlanti, i muri con frasi politiche o
immagini forti sono la naturale coreografia di una grande recita collettiva che
vuol trasformare i corpi, le menti, la vita quotidiana. Si tratta di una recita
di massa, di un rito collettivo, di un potente esorcismo contro ciò che si è
stati nel passato. Mi chiesi come è possibile esorcizzare, ritualizzare una
grande abiura, ripensarsi diversi con questi modi, con questa logica a metà fra
il circo e il rito da stadio. Ma i miei viaggi da studioso mi hanno anche
rivelato una vecchia verità: creare l’uomo nuovo comporta distruggere il vecchio. Nel corso della storia umana tante volte è stato
tentato questo, con passione ideologie di colori diversi, rivoluzioni
tecnologiche, con imposizioni di dominatori, di eserciti invasori, di banche
internazionali, con l’uso dei mass-media. Tutte le volte i risultati sono stati
inadeguati, cattivi, spesso meschini quando non orrendi. Stavolta c’è qualcosa
in più, ovvero la possibilità d’attingere a tecnologia e conoscenze Xenoi. Forse
questo sarà l’ultimo esperimento di rifare gli esseri umani, o forse l’ultimo
in ordine di tempo. Il caso, il disordine del mondo, la bizzarria del destino
hanno voluto che fosse provato qui, in questa penisola, fra questi popoli così
singolari e di antica stirpe; come studioso di scienze politiche devo piegarmi
all’evidenza di un nuovo esperimento, di una nuova trasformazione, di una sorta
di rivoluzione antropologica tentata e gestita da umani e alieni xenoi. Romanticismo rivoluzionario, miti da fumetto, vecchi film, guerra reale
e concretissima, riti collettivi, alleanza stretta con gli alieni confluiscono
in un solo calderone politico e ideologico. I prossimi anni diranno se questa
massa di cose diverse e bizzarre porteranno alla creazione di una nuova società
integrata e interfacciata con la potenza
aliena e supportata da uno straordinario sviluppo tecnologico e di potenza. Di nuovo quanto accade in questo
pezzo di mondo incastrato fra tre continenti avrà un peso enorme sulla
popolazione umana di questo pianeta, è più di un gigantesco esperimento; è una
profezia concretissima e vivente sul futuro del mondo umano. Confesso che alle
volte sono sopraffatto dallo stupore, altre volte dalla curiosità, talvolta
provo un disgusto perché intuisco i pericoli di questo esser profeti sulla
propria carne e sulla propria terra.
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