13 luglio 2009
L'Italia che mette la testa sotto la sabbia quando si tratta di guerra
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
L’Italia
che mette la testa sotto la sabbia quando si tratta di guerra
L’esercito italiano è schierato in Afganistan, come
devo chiamare la cosa: missione di pace, vacanza in colonia, passeggiata
militare, soccorso ai bisognosi? Non è forse il caso di usare la parola giusta
e dire chiaro e tondo che siamo in guerra contro forze ostili militarmente
preparate alla guerriglia? Agli inizi di luglio il presidente statunitense
Obama finalmente dismessi i panni del buon padre e del politico amico di tutti
ha vestito quelli del comandante in capo e ha dato il via libera per
un’offensiva dei marines. Come vogliamo chiamare quella cosa? Turismo
eccentrico?
Alle genti del Belpaese piace troppo mettere la
testa sotto la sabbia, fingere e far finta che la realtà del mondo sia come
loro l’immaginano. Da tempo ai miei venticinque lettori avevo segnalato la
rivista atlantista e bellicista Raids, pur non condividendo il tono entusiasta
e propagandistico ho più volte fatto riferimento alle immagini e agli articoli
colà contenuti. Quella è guerra e va chiamata col suo nome, fuggire dalla
realtà non è una medicina ma un viatico per la follia e per attirare su di sé
nuove disgrazie. Del resto da tempo il Belpaese si è addormentato, vive il suo
incubo con l’incoscienza e l’inattività di un tale che è imbottito di sedativi
e calmanti. Ormai tutti i problemi sono questioni private, o nella migliore
delle ipotesi questioni amministrative di corretto uso della cassa pubblica; la
politica è ormai il privilegio di chi vive di essa e la sedicente società
civile è tagliata fuori, e forse nemmeno ci prova, dalla possibilità di
comunicare e di cambiare qualcosa nella
presente situazione. Tutto quello che è spettacolo, divertimento, festa,
idiozia, tifo calcistico occupa le menti dei molti; la politica non può essere
scissa facilmente dalle forme nelle quali si confeziona per il vasto pubblico
la notizia o lo spettacolo, o il facile scandalo da dar in pasto alla pubblica
riprovazione. Non c’è una vera capacità di pensare o di assumersi delle
responsabilità collettive, non c’è quasi una dimensione di comune identità se
non in vuote parole, in esercizi di retorica, nei gesti quotidiani, nel ricordo
di tempi lontani. Le genti del Belpaese
pensano a sé stesse e alle loro limitate risorse, ai problemi quotidiani, alla
crisi e al proprio male di vivere, e ai loro piccoli piaceri quotidiani. Cosa potrebbe aggiungere la parola guerra se
venisse usata tutti i giorni: fastidio, serietà, comprensione, odio per il
diverso? Non lo so, ma una cosa grossa come questa non può essere lasciata alla
dimensione di quello spettacolo integrato che è il miscuglio di calcio, tifo, vicende
giudiziarie, sentimentali ed erotiche di VIP veri o presunti tali, immagini dal
mondo, balle in libertà ed esercizi di retorica. Prima o poi andrà a finire
come nella serie classica di Capitan Harlock: l’umanità rincretinita, corrotta,
dissoluta e mal governata si ritrova con un’invasione aliena vecchio stile, da
cinema degli anni settanta. A quel punto entra in azione l’eroe con i suoi
mezzi e il suo seguito…Ma il Belpaese non è un cartone animato.
IANA per Futuro Ieri
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