29 giugno 2009
Ripensando ai miti perduti
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Ripensando
ai miti perduti
Penso
spesso ultimamente al remoto passato, agli anni della mia infanzia a cavallo
fra la seconda metà degli anni settanta e i primi anni ottanta.
Ripenso
a quella società lì, ormai defunta e sepolta nelle sue ragioni e nella sua
socialità e osservo una cosa fra le altre. Il mondo degli eroi del piccolo
schermo era già segnato profondamente, e per fortuna, dai cartoni animati
giapponesi. Si trattava di una massa informe di piccoli e grandi eroi sia che
fossero piloti di formula, pirati spaziali come capitan Harlock, ladri impuniti
come Lupin III, eroi come i piloti di Mazinga e Goldrake, Jeeg Robot, Daitarn.
Quello che è diverso oggi è la dimensione pervasiva della macchina
dell’intrattenimento, non si tratta più della vendita delle figurine Panini o
di qualche giocattolo in plastica, magari allora fatto a Taiwan, oggi è entrata
in gioco la macchina della realtà virtuale, per essere più precisi dei
videogiochi. In breve alla serie televisiva oggi s’accompagna il gioco di carte
collezionabili, il videogioco, l’oggetto costoso, il gadget, e talvolta il
fumetto giapponese tradotto. Nella mia infanzia questo accompagnamento di una
serie televisiva di successo non era così pervasivo e invadente, qui c’è qualcosa che va oltre il giocare con
degli oggetti in plastica che ricordano le cose viste nel piccolo schermo, il
videogioco di oggi porta direttamente sul piano dell’azione, il rapporto è con
la console e non con l’estro della fantasia. In altre parole avere la
possibilità di combattere ad esempio con il personaggio della serie dei
“Cavalieri dello Zodiaco” per mezzo di una console non comporta una
rielaborazione personale del tipo: prendo i giochi che servono, li uso, prendo
l’oggetto che rappresenta il
personaggio, m’invento la sua storia. Mi ricordo di aver ai miei tempi
creato delle vere e proprie storie con i soldatini della Seconda Guerra
Mondiale, delle specie di operazioni militari; di aver usato i pezzi del lego
per fare le battaglie le più strane o di aver fatto interagire i Playmobil con
il castello dei “Masters of the Universe”. Che non sono la stessa cosa. Questo
ricorrere al supporto del computer può
non essere necessariamente un male in questi tempi di terza rivoluzione
industriale, il rapporto fra essere umano e macchina e “intelligenza
artificiale” finisce con essere un dato banale, quotidiano. Quello che è
diverso è che l’eroe di una storia, più o meno moralmente pulito che sia, non è
più un eroe di un racconto ma un prodotto commerciale, una cosa che serve a
segnare i punti sul monitor della Playstation, una roba protetta dal Copyright.
I miei miti del tempo che fu erano “illusioni”della televisione di allora
mentre questi attuali sono, tendenzialmente, prodotti commerciali accompagnati
da un sapere del tutto nuovo di marketing per l’infanzia e l’adolescenza.
Gli
eroi oggi non fanno più gli eroi, e forse non è un caso che sistematicamente
certe vecchie serie di cartoni animati giapponesi, l’ultimo caso è quello della
fortunata serie di Yattamen nel marzo 2009,
siano diventati dei film.
Questa
Italia è proprio lontana dagli Dei e dagli Eroi, non è la sola purtroppo.
IANA
per FuturoIeri
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