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30 settembre 2014
Sintesi: Il Maestro - secondo atto - ricordo di un maestro di judo
Stefano Bocconi: Vero.
Maledettamente vero. Questa nostra società è priva di un punto
fermo. Di un centro su cui convergono quelli che una volta erano i valori e le
tradizioni. Mi chiedo come si possa
riconoscere un buon esempio, un buon insegnante, un… Non
so. Ditemi un po’ come la pensate.
Paolo Fantuzzi: Un
punto fermo diverso dal conto corrente. Chiedi molto. Oggi che la vecchia
società è disgregata e disfatta manca proprio il terreno su cui dovrebbe
poggiarsi un sano insegnamento o un vero discorso sul mondo. Qui nel nostro tempo tutti i valori o sono
oggetto di commercio o sono relativi, di conseguenza solo la legge nel senso
della polizia e del tribunale può tener assieme una società disfatta sul piano
sociale e priva di valori condivisi. Va da sé che tribunale, polizia,
burocrazia sono poteri, sono poteri dello Stato e quindi le minoranze che controllano
lo Stato sono il nuovo Potere che governa senza autentiche forze d’opposizione.
Quello che salva un po’ la gente comune da una più grande oppressione è che
queste minoranze al potere sono divise fra loro e piene di contrasti e spesso
non riescono a far morire il vecchio per creare il loro mondo. Lavorare per una
società umana disgregata è stato un loro successo, ma nello stesso tempo non
son riusciti a metter assieme i pezzi. Bravissimi nel dividere e nel
frammentare e nel trarre profitto da leggi svuotate di senso e da società in
disfacimento ma pessimi nel costruire un loro mondo stabile e forte. Questa per
me è la decadenza di oggi. Questo tempo di decadenza è reso più amaro dal fatto
che c’è poca speranza, non si comprende come possa determinarsi un futuro
migliore. Inoltre se si guarda sul serio il futuro si notano che queste guerre nuove
e spettacolari fatte di spedizioni militari, lotta al terrorismo, lotta agli
insorti e chi più ne ha ne metta s’avvicinano ogni anno sempre più
pericolosamente ai confini dell’Europa e di riflesso del Belpaese.
Franco: Infatti eccoci qui a lamentarci. Almeno nel
medioevo le confraternite potevano fare una bella e collettiva recitazione di
preghiere e processioni varie allo scopo di incorrere nella benedizione e
nell’intervento della Madonna e dei santi. Vi ricordo che è l’essere umano colui che dà
senso alla sua vita, e in questo giudizio e personale convinzione sono
confortato dai numerosi testi di religione e mistica che ho letto e studiato. Quindi
anche se l’evidenza ci comunica la nostra marginalità davanti ai grandi poteri
del mondo occorre ammettere che esiste uno spazio interiore che è il primo
luogo da liberare e da far nostro. Ripeto. Occorre prima liberarsi dal
pregiudizio e dalla pigrizia e dall’ignoranza, e dopo si potrà costruire un
proprio sapere e una propria visione del mondo umano e della natura. Oggi i molti desiderano e vogliono comprare verità
preconfezionate, seguite da qualche evidenza, da immagini edificanti o
terrorizzanti. Insomma chiedono non percorsi spirituali o culturali da seguire
e su cui impegnarsi ma miracoli, profezie di santoni, magie facili e popolari,
in una parola illusioni. Di sicuro occorre qualcosa di più di qualche
illusione, di qualche gioco intellettuale per trovare un punto fermo nel
divenire delle cose di oggi.
Vincenzo Pisani:
Scusate ma ho l’impressione che sia opportuno tacere. Sento che al tavolo del
professore stanno parlando di qualcosa di simile. I maestri di arti marziali
stanno ragionando del loro maestro defunto. Credo ci riguardi. So che non è da gran signori. Ma intuisco che sia opportuno
ascoltarli facendo finta di niente. Aspettate sta arrivando anche il capo.
Il padrone del locale: signori tra poco
faccio portare la bistecca, ho preso dei bei pezzi dal mio fornitore, per voi
ho messo a cuocere la migliore. Aspettate
e sarete ben serviti, la faccio semplice ma buona.
Clara Agazzi:
Questa bistecca è più che altro vostra.
Paolo Fantuzzi: Aspettate
un momento mi pare che al tavolo in fondo il tuo amico il professore stia per
prendere la parola. Ci vuole altro vino. Altro vino per favore!
Stefano Bocconi:
Accidenti sono confuso. Mangiare o ascoltare. Non riesco a far bene tutte e due
le cose.
Franco: Fate
quel che vi pare, per quel che mi riguarda voglio proprio sentire cosa dice.
Si sente la voce del professore. Si rivolge
ai maestri e ai vecchi allievi del suo defunto maestro di Judo.
Ora voi avete rammentato il maestro
ricordandolo in molti modi. Ora poiché tutti avete parlato e raccontato
qualcosa adesso tocca a me. Confesso un certo imbarazzo perché devo scendere
nei ricordi personali, proprio come avete fatto voi. Questo è necessario per sviluppare il mio discorso. Il mio ricordo
è questo ed è molto lontano nel tempo. Ero nei primi anni dell’adolescenza
quando stanco per l’allenamento e l’esercizio cercai di andar via dal tappeto.
Il maestro mi fu subito addosso e mi disse che dovevo restare, perché ero sul
tappeto e non potevo andar via. Sarei andato via quando lui l’avrebbe
stabilito. Quella per me fu una lezione importante di vita. Perché in quel caso
il carisma del vecchio Ivo fece il suo effetto. Mi resi conto allora che nella
vita, anche nei fatti apparentemente banali, ci sono dei momenti nei quali non
ci si può sottrarre, non ci si può ritirare o nascondere dietro una scusa. Non
si può uscire dal tappeto quando fa comodo. Questa è la morale di questo
ricordo. E qui devo tornare su una cosa che era un po’ sospesa nei vostri
discorsi. Ossia la differenza fra un comune docente e un maestro. Il maestro
diventa parte della propria esperienza di vita. Questo non sempre si può dire
del docente, dell’insegnante, del professore i quali sono figure che
istruiscono, che giudicano, che formano ma non sempre sono maestri. Questo
perché la figura tipica del maestro che oggi onoriamo è per l’allievo
formazione del fisico, del carattere, è stare dentro le regole del judo,
seguire la vita di palestra, è esperienza viva e concreta che si trasmette e si
fortifica nelle prove, nelle competizioni, e nella pratica sportiva. Il maestro è più di
una somma di risultati sportivi o di ricordi di tempi passati, è parte della
costruzione fisica e mentale di un praticante di arti marziali. Il docente. Il
professore è una figura che è simile al maestro sotto molti punti di vista ma che spesso non ha il carisma, o le
condizioni, o la cultura, o l’ambiente giusto e ovviamente la considerazione
per assumere l’importanza che ha la
figura del maestro di arti marziali verso i suoi allievi. L’insegnate spesso è una figura di passaggio nella
vita dell’adolescente e di solito non si tratta di una scelta. Per caso questo o
quello in qualità di docente entra nella vita di ciascuno. Il maestro di judo si
segue o si lascia. Quindi c’è differenza fra i due casi.
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15 agosto 2014
Sintesi: Il Maestro - secondo atto - discorso sullo Stato e sulla società civile
Vincenzo Pisani: Mi
meraviglio di te Franco. Come fai a staccare il singolo dalla massa che si
muove, che opera, che fa politica. Certo. La
mente, la volontà, la coscienza. Ma poi... Senza quadri, senza strutture,
senza ideologia non c’è nulla da fare. Questo dominio dei pochi sui molti
permane e si rafforza anche in mezzo alla crisi, al caos, al disordine morale, alle
nuove guerre, al relativismo morale e alla svalutazione di tutti i valori. Certo si
parte dal singolo ma rapporto fra singolo e
collettività permane. Già Aristotele indicava l’uomo come animale politico e
quindi parte di un qualcosa di più vasto. Quindi l’uomo non si educa e non
arriva alla ragione da sé. Egli ha bisogno di capi politici, di maestri, di
professori, di padri, madri, fratelli, nonni e perfino di qualche zio. Se
questi soggetti stanno tutti dalla parte dell’ordine esistente come può il
comune essere umano, maschio o femmina che sia, fare il salto oltre l’ombra e superare se stesso.
Stefano Bocconi:
Ricordiamoci poi che esistono gli Stati, i parlamenti, i senati, i governi. Il
potere è anche istituzione, è anche istruzione, coercizione e tasse. Cosa è mai un
singolo da solo. Nulla. Meno di niente. La società è la sua forza, l’essere
parte di un tutto che è la somma di tante parti. Suona strano ma è evidente che
l’uomo è un animale che vive collettivamente come le formiche o le api. Il
singolo che fa da sé e decide di staccarsi dalla società e dal comune
comunicare o diventa per i molti un tipo starno, o un matto o un ribelle. Tre
cose che portano guai, che provocano inimicizie, maldicenze.
Franco: Quanto
dite ha del vero. C’è una spinta dell’uomo a entrare dentro la società e dentro
l’ordine esistente delle cose. Ma c’è differenza fra ribellione e attività
politica e c’è differenza fra il singolo che si ribella in modo acerbo e
anarchico e colui che cerca d’individuare le concrete possibilità di mutare
qualcosa nel reale. In fondo cosa volete cambiare davvero?
I rapporti
sociali, l’economia, lo Stato?
Mutare qualcosa
contro la volontà del Potere inteso come interesse delle minoranze di superburocrati,
di ricchissimi, di famiglie di ricchissimi, che sono le forme delle minoranze al
potere nella civiltà industriale, è cosa difficilissima. Il retto atto politico esige
abilità e talento. Per questo occorre che l’essere umano riscopra la possibilità
sacra di poter trasformare il suo mondo e il mondo naturale in cui vive a
partire da se stesso. Quindi ribadisco che si parte dall’individuo. Anche dal
punto di vista spirituale. Pensate solo a questo: un singolo diventa il simbolo
di una massa di oppressi e dà ad essi una direzione, una visione del mondo, una
politica. Perché questo accada occorre necessariamente un singolo che
intraprende un percorso di ricomposizione
e purificazione di se stesso.
Clara Agazzi:
Fregarti sul talento dialettico è davvero
difficile. D’accordo il singolo. Ma come procede poi questo singolo, cosa fa, a
quali risorse attinge, come vive?
Vincenzo Pisani:
Questo agire sociale e politico può
esser spiegato facilmente anche da me. In origine c’è una fase c’è il momento nel quale il
mondo umano e materiale comincia a sfaldarsi e a decomporsi e qualcuno prende
coscienza del disastro, poi c’è la fase della chiarificazione e purificazione
dei propri pensieri e del proprio spirito, o anima o se si preferisce, e della
parte più profonda della propria coscienza. Dopo i due passaggi c’è l’opera di
ricomposizione e di creazione di un mondo nuovo a partire dal percorso
intrapreso. Ora queste tre tappe banali di qualsiasi serio processo di azione
volta a trasformare il vivere collettivo esige un rapporto con le moltitudini,
con la politica, con le elezioni e infine con lo Stato. Il pensiero e lo
spirito devono farsi atto creativo del genere più pratico e più prosaico.
Paolo Fantuzzi:
Ma questo è un processo quasi rivoluzionario. Comunque sia la vedo male. I
molti di cui ragionate non ci sono nella realtà. Le genti nostre sono disfatte
in mille parti, divise fino
all’inverosimile e piene di livore e di rabbia contro tutto, tutti e Dio. La
politica dei partiti non ha unito ma diviso, perfino i sindacati sono divisi
anche in merito alle stesse vertenze. Ecco se c’è una cosa da dire è che il
popolo qui è tanti popoli divisi e rotti in mille interessi e ovviamente dove c’è disordine morale, rabbia e odio prevale l’interesse del
più forte. Lo Stato che dovrebbe esser lo strumento tipicamente umano che somma
le differenze e le unifica in un solo
corpo collettivo qui è troppo debole per poter assolvere questa funzione. Di
fatto troppi non credono che andando dietro a chi predica al vento e alle rocce si possa cambiar qualcosa. Così
per i molti è preferibile il piccolo interesse, ascoltare l’opinione più forte
in televisione, votare per una promessa o per un piccolo favore. Forse domani
questi molti saranno diversi, ma non oggi.
Franco: I molti
vivono male e con grave disagio
psicologico e materiale questi anni
tormentati. Tormentati, proprio così. La vita sembra aver perso di senso
schiacciata fra pubblicità commerciale e
consumismo edonistico per pochi ma propagandato a tutti come concime per lo
spirito e per la gioia di vivere. I molti sono anche dei singoli. Essi
dovrebbero prendere coscienza e unirsi in una rivendicazione collettiva di un
diverso modo di vivere, consumare e produrre; ma non lo fanno per avidità o per
risentimento. La paura di perdere qualcosa o quella di aiutare il rivale, l’estraneo, lo
sconosciuto impediscono in molti l’azione generosa per mutare qualcosa in
positivo. In fondo se uno si sente minacciato, offeso, sfidato dall’altro
perché dovrebbe muovere un dito per salvare il mondo? Ricordatevi amici miei
che nell’uomano esiste un principio che porta verso l’autodistruzione e il
sentirsi in mezzo a un mondo ostile che ti misura e ti calcola non aiuta a
sviluppare sentimenti in senso stretto ma solo pulsioni di morte, odio e violenza.
Vincenzo Pisani:
Ricordati Franco che esiste lo Stato. C’è un istituzione che deve tener assieme
una collettività articolata e complessa e disciplinarla e sanzionarla per farne
un corpo unitario. Lo Stato appunto. Nella terza rivoluzione industriale lo Stato è sottomesso o condizionato da
poteri finanziari e commerciali che sono riuniti nella forma delle multinazionali e delle banche. Questi
poteri sono quello che nel Medioevo
erano le famiglie dei re e dei Principi. Se non si ragiona di Stato e si
ripensa lo Stato questa tua nuova
umanità resta una cosa astratta e filiforme ovvero una fantasia ben fatta, una nuova predica
alle rocce.
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9 agosto 2014
Sintesi: Il Maestro - secondo atto - discorso sulla coscienza e sul male
Vincenzo Pisani:
Ora si mangia questi cinque vassoi di primi divisi fra noi. Prima che arrivi il
capo per il secondo, ho da porre una domanda a tutti quanto alla luce di quanto
finora detto. Dunque” Quando il problema del singolo è il problema della
guerra, del male che viene dalla violenza tecnologica, strutturata,
tecnologica, governativa, come si pone l’essere umano autocosciente e libero?”
Paolo Fantuzzi: Ecco una domanda davvero
difficile. Poi di questi tempi nei quali intorno ai nostri confini si sente il
rombo del cannone e sulle nostre coste
sbarcano i profughi delle mille guerre dimenticate del pianeta azzurro. Come
può un privato opporsi al male che travolge tutto e tutti. La guerra oggi è un
mare che sale, che sale e continua a
salire e mangia la terra, invade le strade, porta via le città. Il singolo può
solo salvare se stesso se è bravo e se è astuto.
Clara Agazzi:
Potrebbe anche salvare altri oltre a se stesso, la guerra in fondo la fanno gli
esseri umani non la natura. Non è come un terremoto o una tempesta fortissima.
L’uomo è capace di distinguere.
Franco: La
domanda posta è difficilissima. Se la potenza dei quotidiani mezzi di
persuasione e di plagio è pari a uno in tempo di pace, in tempo di guerra
questa potenza è dieci, venti, trenta e anche di più. Quindi distinguere è
quasi impossibile, tenere la testa ferma è una vera e propria impresa, allora
ha senso quel che ho detto finora e con più forza. L’essere umano deve trovare
in sé la sua verità e la sua ragione di vita, lui deve essere il muro che non
crolla e l’asse che non vacilla. La sua verità più intima e profonda è la roccia su cui siede la sua mente, allora
potrà anche far qualcosa di buono perfino per gli altri.
Paolo Fantuzzi:
Ma la guerra è una roba seria. Vuol dire morti ammazzati, campi devastati,
città in fiamme, lutti, macelleria umana all’aria aperta. Non sono argomenti da
portare a tavola, specie davanti a questo ben di Dio. Buona questa roba. Ma
come può in fondo un tipo che vive in un mondo umano così omologato,
controllato, indirizzato scegliere fra il bene e il male. Dal momento che
l’uomo in verità è indirizzato con forme di plagio e di cultura consumistica egli
è libero da qualsiasi responsabilità. Ceco di spiegarmi così:” se c’è chi ti
comanda, chi pensa per te, chi ragiona per te, chi calcola per te e tu devi
solo srotolare quel filo o avvitare quel
bullone e poi mettere una X con la matita su un foglio colorato il giorno delle
elezioni chi può dire che uno è portatore di un suo libero arbitrio”, quindi se
non sei libero non puoi esser colpevole di un tuo atto intenzionale o
premeditato. Chi è in alto è il solo responsabile, il solo portatore di ogni
colpa e di ogni responsabilità, il solo soggetto colpevole. Chi è in basso
nella scala sociale rimane pulito non solo perché non sa, ma perché non ha mai
avuto la possibilità di sapere come funziona davvero il potere che lo domina e
lo condiziona.
Franco: Mi fai
lasciare questo boccone al cinghiale per risponderti. E sia! La responsabilità
individuale esiste. Ma non sempre gli umani ne riconoscono l’esistenza, anzi
sono incline a pensare che una parte dell’umanità per cultura, tradizione, personalità sia estranea al concetto di
responsabilità individuale. Quindi solo
coloro che sono almeno in parte consapevoli di se stessi sono in grado di
trovare dentro di loro la propria personalità e la propria coscienza. Ci sono
uomini e donne che questa cosa non la troveranno mai. E sottolineo mai.
Tuttavia dal momento che io credo, anche se è una congettura, che la maggior
parte degli esseri umani possa avere una propria personalità e una propria
coscienza a mio modestissimo avviso anche in un caso estremo come la guerra non
viene meno la responsabilità del singolo. Poi c’è la questione della responsabilità
collettiva, ossia della società umana in cui uno vive. Qui occorre far un
discorso davvero politico. Se il caso è quello d’opporsi a un conflitto o di
limitare i suoi danni ci sono dei livelli. Il primo livello è la testimonianza
individuale, il singolo che prende coscienza e cerca attorno a sé altri che la
pensano come lui. Si tratta della fase nella quale si determina quella che si
chiama una resistenza culturale, d’idee. Sotto la dittatura fascista di tante
generazioni fa questo fu fatto proprio da minoranze culturali e da alcuni ceti
poveri della città e della campagna. Resistere al culto della guerra fascista,
che si fece rito e atto di consuetudine, nel proprio circuito di pochi amici,
nell’officina fra gente fidata, in campagna al riparo da gente sospetta, in
fabbrica fra compagni di lavoro. Poi quando si sono formati molti gruppi a
macchia di leopardo arriva il momento dell’organizzazione, del fare gruppo, del
fare contrasto aperto a poteri dispotici e autoritari o semplicemente criminali.
Resistere a quel punto è creare consenso, attività quotidiana, propaganda. Ricapitolando.
L’autocoscienza e la propria libertà personale riscattata da tutte le forme di
plagio e di corruzione sono le
condizioni di partenza di singoli che vanno a formare una società di liberi
individui secondo delle leggi democratiche.
Stefano Bocconi:
Ma serve a poco la tua autocoscienza quando i denari in cassa sono il
privilegio dei pochi, quando un pugno di ricchi ha il controllo di banche,
corporazioni, latifondi, interi paesi, perfino città. Il denaro signore del
mondo è la merce che compra tutte le merci e i tuoi umani sono merci. Si può
comprare i loro giuramenti, il loro lavoro, la loro vita privata. Perché il
mercato non ha un volto e un nome. Ma ha un potere enorme, e poche migliaia di
superricchi e di superburocrati esercitano un potere enorme perché indirizzano
miliardi e miliardi d’investimenti. Quindi perché stupirsi se pochissimi da
alberghi e uffici superlusso pianificano una guerra, una speculazione, una
ristrutturazione aziendale? Questo è il nuovo potere e il confine ideologico
delle nuove guerre. Non più fascismo, comunismo, liberalismo, nazionalismo ma al
contrario capitali investiti o da investire per creare profitto. Miliardi
d’investimenti, percentuali di PIL, quotazioni di borsa del greggio, dell’oro,
del rame queste le ideologie vere delle nuove guerre. Quello che raccontano i
media è colore, è fantasia , è propaganda di guerra, i fatti concreti sono
questi che ho appena detto. Davanti alle quotazioni del rame sulla borsa di
Londra che scatenano un colpo di Stato in un paese dell’America Latina o
dell’Africa cosa può il singolo dotato di autocoscienza? Io dico che può
niente. Ma proprio niente! Cosa mi rispondi.
Franco: La
risposta è questa: può raccontare la verità
che sente. Questo perché è importante cominciare da se stessi, ciò che è
collettivo è anche individuale, quindi un punto di contatto ci deve esser fra
queste due cose, altrimenti non spenderebbero i nostri tutti quei denari per la
propaganda di guerra come fanno tutte le volte che capitano certe imprese
militari denominate missioni di pace. Se fosse tutto meccanico, ordinato,
perfetto perché dovrebbero spendere cifre e mobilitare risorse importanti per
lavare i dubbi dalla testa della gente. C’è da stupirsi davvero per un fatto
nuovo che si manifesta oggi . C’è consenso per le nuove guerre per le
quotazioni di borsa e per il PIL come tu dici. Non parlo di un consenso
strappato con la frode o con i trucchi da circo ma di qualcosa di spontaneo, popolare, genuino. Molti hanno
capito che una crescita illimitata è impossibile e che se il sistema si blocca
si spacca, quindi una guerra diventa una delle possibili opzioni per provare a
fermare un mondo umano che tende a sprofondare nella violenza, nella povertà, e
nel disordine e anche nel fanatismo
religioso. Ecco mi fa più paura questo consenso sotterraneo, cinico, in
malafede che non la massa enorme di propaganda e di manipolazione. Quindi a
maggior ragione la persona perbene deve essere l’asse che non vacilla di se
stesso. Ecco mi avete fatto freddare il
boccone.
Clara Agazzi:
Chi per malafede e interesse finge di credere a cose assurde per poter trovare
delle farisaiche scuse è di solito chi cerca d’approfittarsi della situazione, chi
tira a fregare la sua stessa collettività d’appartenenza, chi ha un suo
tornaconto segreto. Quindi inconsapevolmente favorisce il caos e la
dissoluzione del sistema in cui vive perché lo spinge a correre la sua strada senza modificare o
rallentare e quindi a moltiplicare errori, confusione, disordine fino al
disastro finale. Quindi questa parte dell’umanità mi par così negativa che è
meglio ignorarla. Poi ci sono quelli che per difetto culturale, fisico o
mentale credono davvero alle cretinate, anche questi mi sembrano non recuperabili
a un discorso di responsabilità e coscienza. Il problema è che una volta
scartate le masse di personaggi illusi o in malafede rimangono proprio quei
singoli isolati o a gruppi di cui avete detto. il singolo finisce con attivarsi
appunto nel suo piccolo e solo in alcuni casi spesso legati alla professione
giornalistica o dell’insegnamento superiore è possibile coinvolgere migliaia o
decine di migliaia di umani in un ragionamento o in una lotta civile. Una
comunità di spiriti liberi che si dedica all’artigianato dovrebbe come minimo
stare a cento chilometri di distanza da ogni supermercato o centro commerciale
per poter vivere la propria dimensione originale. L’espressione originale e buona di sé in mezzo a un mondo di
omologati, illusi, corrotti, approfittatori, ruffiani rischia di degenerare o
di doversi nascondere. Quindi la coscienza e il sapere interiore opera in
ambiti ristretti, spesso privati e domestici. Questa è la realtà.
Vincenzo Pisani:
Un singolo può fare uno anche quando sono in mille. Tanti singoli divisi e
connessi solo via internet ma viventi in situazioni diverse e in luoghi diversi
fanno forse coscienza ma dubito che
creino azione politica. Uno resta uno anche quando sono mille se non ci sono
parole d’ordine, strutture politiche, regole, capi, prospettive che trasformino
soggetti divisi e separati in gruppi compatti e organizzati.
Franco: La
coscienza, il rispetto di se stessi, la comprensione della propria libertà sono
elementi che servono per iniziare un percorso di vita sociale e politica non per
finirlo. Il male ha molte forme ma per esser davvero compreso e per suscitare davvero
una reazione o una cura deve esser il male che uno sceglie di combattere.
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9 agosto 2014
Sintesi: Il Maestro - secondo atto - discorso sul mondo interiore
Clara Agazzi:
Questo parlare di cambiare, di mutare i
pensieri e le mentalità un discorso debole alla luce di quanto avviene oggi. La
realtà ci urla che il conformismo, l’egoismo e il calcolo del rapporto fra
piaceri e interessi prevale nella
mentalità dei molti. Il denaro è oggi un
culto e in quanto totalità pseudo -
religiosa è misura e ordinamento della società. Quindi una sincera e felice
crescita spirituale è oggi un percorso ad ostacoli, una sorta di competizione
difficile perché l’essere umano tende a dover attuare dei compromessi con
l’ordine esistente.
Stefano Bocconi:
Aggiungo a questo discorso che è molto
più. Il denaro è come un fatto
religioso. Cadute le ideologie e le grandi speranze nel progresso o in un dio
redentore per i molti i soldi sono l’unico orizzonte e l’unica speranza. Il
denaro è così potente da trasformare con forza sua originaria la vita
quotidiana di ogni individuo.
Vincenzo Pisani:
Già cadute tutte le speranze e tutti i valori e tutte le ideologie del secolo
passato ogni discorso sull’elevazione dell’essere umano assomiglia una favola.
Si può pensare qualsiasi cosa e dire di tutto, l’importante è avere i soldi per
comprarsi quei beni, quelle proprietà e quei servizi che suscitano nei molti
uno spontaneo rispetto. Il rispetto che deriva dall’invidia sociale. Anzi mi
correggo non il rispetto. L’invidia e l’ammirazione per quel che si ha e
apertamente o segretamente si desidera. La cupidigia, il piacere, lo
spettacolo, l’estetismo sono i territori psicologici e comportamentali del
senso del vivere per le moltitudini di consumatori sempre inappagati e sempre
ardenti di nuovi piaceri e nuovi beni da consumare.
Franco: Siete
troppo duri. Gli esseri umani non sono rocce che il vento, la natura e gli
elementi pian piano sgretolano e spaccano nello scorrere del tempo. A differenza
delle rocce possono cambiare la loro vita, i loro pensieri, le loro
aspettative. Spesso con la velocità del fulmine cambia la vita dell’essere
umano, anche di quello comune. C’è spesso nella vita un punto dove una cosa che
era finisce, e una che non era diventa. Nascita e morte sono in
opposizione. Oggi quasi tutto nella vita
sociale ha la forma dell’egoismo, della cupidigia, della morale che cambia come
le banderuole che segnano il vento. Ma non è detto che questo tutto duri per
sempre. Nel passato c’erano mondi umani che non sono questo qui. Oggi paghiamo
la colpa di essere per così dire colonia civile e culturale di civiltà
industriali più potenti della nostra, e la cultura oggi è industria del cinema,
dei cartoni animati, dello spettacolo, dei videogiochi, perfino dei giochi di
carte collezionabili e dei wargame. Questo è il punto. La vita sociale oggi è
inserita in un mondo di consumi, spesso superflui, espressione chiarissima del
presente modo di produrre, distribuire ricchezza, consumare, vivere pensando al
guadagno e la profitto. Vengono venduti anche mondi fantastici, mondi
immaginari, mondi fantasy o di fantascienza nelle forme del gioco,
dell’intrattenimento e perfino nella forma dei grandi parchi giochi a tema. Il
mondo desiderato che è altrove spesso è il valore aggiunto di un gioco di carte
collezionabile, di un telefilm, di un gioco da tavolo, di un gioco per computer,
di un fumetto. Allora ecco lo sforzo enorme di questi nostri giorni, ossia elevarsi
sopra tutte le apparenze e vedere le concrete possibilità. Conoscere se
stessi e il proprio mondo al punto di poter agire su di esso con una libera
volontà per trasformarne in positivo alcune parti.
Paolo Fantuzzi:
Ma chi decide cosa è positivo e cosa è negativo. Chi stabilisce cosa è pieno e
cosa è vuoto? Il singolo, il privato che qui abbiamo detto e convenuto tutti
esser parte di questo sistema di produzione, consumo, distribuzione della
ricchezza. Qui a sentir questo discorso si tratta di fare il classico salto
aldilà della propria ombra, ossia di superare dei limiti notevoli. I mondi
spirituali, morali, etici. Quei mondi culturali da costruire o da ritrovare per
forza di cose partiranno da quel che c’è qui e ora, ossia si porteranno dietro
la continuità con questo presente. Io conosco il mondo concreto, reale,
oggettivo, ceto conosco la mia porzione, il mio angolo di marciapiede per dirla
in modo semplice. Pensare che questo mondo concreto e presente si sgretoli
sulla forza di ideali o di pensieri mi sembra una cosa fuori da ogni ragione.
Se qualcosa cambierà sarà questo o quel pezzo e probabilmente solo per
continuare questo modo di produzione capitalistico, come dite voi, con più efficacia e con ancor maggior potenza.
Una voce
dalla cucina: “L’ordinazione per il Pisani e i suoi amici, là in sala altro
vino, acqua e il formaggio presto, poi passo a chiedere per il secondo”.
Vincenzo Pisani:
Ora si ragiona, per primi sono arrivati i funghi, Clara questi sono fatti
proprio per te, inizia per prima a prender la tua parte. Comunque Paolo ha
ragione. La mutazione non può scaturire dal vuoto cosmico, fatalmente il
passato si ripropone in un presente trasformato in forma residuale o subdola.
Paolo Fantuzzi: Ecco che portano il resto, che
gioia per gli occhi, A me il piatto con il sugo di cinghiale. Sì è questo quel che volevo dire. L’essere
umano cambia forse nome quando cambia la sua mentalità e la sua vita? Mi par di no. Un sistema gerarchico e
industriale come il presente se cambia questo o quel pezzo resta tale, di nome
e di fatto. Tutto cambia e tutto resta uguale. Per trasformare questo mondo
umano come lo vediamo sotto i nostri occhi con la forza e la velocità del
fulmine sarebbe necessaria una catastrofe pesante e gravissima. Allora il
passato e quanto del passato incide sul presente difficilmente riuscirebbe a
riciclarsi, un po’ come quando nella vita di uno qualsiasi interviene qualcosa
che lo travolge e comincia che so a cambiar lavoro, casa, donna, abitudini.
Insomma quel qualcosa che nel parlare di tutti i giorni si chiama trauma, ma
nel senso più pesante del termine.
Clara Agazzi:
Questo presuppone una miopia
politica e di sentimenti notevolissima. Umani
che hanno bisogno del vulcano che esplode o dello tsunami per mutare
sentimenti, opinioni, punti di vista, ragioni di vita. Ma ci deve pur esser un
modo diverso di pensare e di vivere nel
mondo umano come nel mondo naturale, non si è detto qui che l’essere umano ha
un libero volere e un libero arbitrio?
Franco: Tu dici
cose vere. Non nego. Il problema è quale essere umano. Cosa è l’uomo oggi, non
solo nella penisola ma nel resto del consorzio umano? Io oso rispondere. Egli è una corda tesa fra
ciò che è e quel che potrebbe essere. Ma non sempre è possibile essere se
stessi e in particolare se stessi fino alla massima espressione. Infatti
condizioni sociali, ignoranza, bassa scolarizzazione, cattiva volontà, cattive
abitudini condizionano l’essere umano e lo forzano a stare in una dimensione di
minorità. Per esser se stessi occorre superarsi e questo è difficile, è doloroso,
occorre punire se stessi, aggredire le proprie certezza, il proprio oziare nel
pregiudizio e nelle illusioni collettive. Quando ci si è liberarti dalle proprie
paure e dalle proprie difese psicologiche e ci si è scoperti per ciò che si è,
cosa rara e difficile, si è dentro un percorso di liberazione nel quale tutto
diventa più chiaro, più luminoso. Allora quando io ragiono di singoli non
ragiono di cose astratte ma di un percorso di autentica autocoscienza. Il piano
materiale e del denaro è vincolante, sarei pazzo a negarlo. Tuttavia non è
quello il punto di svolta, ci sono sforzi e lavori interiori che difficilmente
possono esser risolti con adeguate dosi di quattrini profusi a specialisti,
esperti, chiarissimi docenti. Pensate a una società di umani che non riesce a
liberarsi dai suoi limiti culturali e ad accettare la moneta come merce di
scambio. Quando incontra questo mondo umano della civiltà industriale quella
collettività, magari arcaica e tribale,
viene disintegrata e disfatta. Queste cose son accadute nel passato quando
tribù primitive hanno avuto la sventura di trovarsi davanti ai colonizzatori.
Questo discorso lo faccio a voi per dirvi che alle volte quello che ci sembra
fisso, stabile, certo nelle nostre vite può esser travolto e disperso. Allora
ecco che deve emergere l’essere umano che ridefinisce la sua vita e le sue
ragioni più intime e profonde. Certamente la pressione del presente è
fortissima, sicuramente chi subisce questo processo si sente oppresso e
schiacciato. Per questo io dico che occorre trovare l’uomo interiore, ciò che è
fisso e stabile. Da questo punto si può far leva per reagire al male del mondo e
costruire secondo misura.
Paolo Fantuzzi:
Ma la tua è una dimensione interiore, un fatto privato. Passi dal singolo alle
moltitudini con estrema facilità e senza contare le differenze di tutti i tipi:
dal ceto sociale, al denaro, alle origini, anche fisiche e di natura morale. Non
c’è certezza e non c’è metodo in quel che affermi.
Franco: Ma il
mio concetto è che non si può liberare gli altri senza liberare se stessi, non
si può dare una misura la mondo se non si è misura del proprio mondo, non si
può dare leggi se non si ha un concetto di legge. La negazione di tutto il mio
discorso, tanto per fare una prova al contrario, si dà nel momento in cui la realtà dell’interesse egoistico e del profitto
privato sacrifica intere collettività con speculazioni finanziarie, edilizie,
monetarie. Quando non ci sono limiti e confini al profitto, all’interesse
privato c’è la negazione del mio discorso. Se l’umano è privo di limiti e di regole
o volutamente le distrugge in quel caso c’è l’impossibilità di arrivare a fissare
qualcosa di stabile e di certo nella vita interiore proprio come nella vita collettiva. La distruzione creativa
tipica della civiltà industriale insita nella parola “change” è la regola alchimistica
del “Solve et Coagula" resa però tendenzialmente distruttiva dai processi meccanici
del modo di produzione, i quali per loro natura non conoscono la dimensione della
purificazione. Comunque vedo che vi siete serviti da soli, vi dispiace lasciar qualcosa
al vostro contadino e mago di provincia, vorrei cenare dopotutto. Clara mi passi
quel vassoio di ravioli burro e salvia, a vista mi par che promette bene.
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4 agosto 2014
Sintesi: Il Maesto - secondo atto - Immagine pubblicitaria e civiltà industriale
Stefano
Bocconi: Il falso è parte della pubblicità e delle pubbliche relazioni che devono
venderti qualcosa, ma non è un falso in quanto falso. Non è un falso da
risposta secca del tipo SI/NO. Si tratta di un falso che spesso è mischiato al
vero, a immagini comuni, a speranze, a desideri, spesso desideri sessuali,
talvolta a frustrazioni. La pubblicità e
i trendsetter reinventano il senso del prodotto, attribuiscono ad esso un
valore, uno stile di vita, una logica dello stare al mondo che esso di per sé
non ha.
Vincenzo Pisani:
Già proprio così. Questa è la potenza dei trendsetter e di quelli che fanno
pubbliche relazioni in modo professionale. Sono i creativi del valore aggiunto
immateriale, i realizzatori della molla
psicologica che crea il profitto coloro che mandano avanti l’industria della
pubblicità e delle pubbliche relazioni. Il consumatore è per prima cosa un
essere umano. Quindi come tale ha frustrazioni, ha paure, ha desideri, ha
istinti repressi, spesso ha una vita sessuale infelice, è un consumatore di
sostanze insalubri come tabacco e superalcolici, talvolta è psicologicamente
ferito per delusioni negli affetti, negli amori, nella vita professionale. In
altre parole ogni umano ha dei punti di rottura, dei lati deboli; qualcosa su
cui si può far leva per spingerlo ad
acquistare dei beni o servizi. Del resto a che servono donne bellissime nude o
seminude nella pubblicità se non per attirare l’attenzione di maschi adulti, a
cosa serve infilare dei bambini piccoli nella reclame di prodotti per la
colazione o per la casa se non per andar a colpire la fantasia di chi ama la
vita domestica e gli affetti familiari. La testa dell’essere umano è come se
fosse di plastilina. Può esser manipolata e rifatta se l’artista della
manipolazione ha gli strumenti giusti.
Franco: Sagge
parole, ma nessuna di esse è tranquillizzante. Del resto devo riconoscere che è
molto difficile cambiare questo stato di cose visto l’enorme potere di
trasformazione delle credenze e dell’immagine del mondo che ha l’industria
della pubblicità. Va da sé che essa non è un mostro irragionevole ma un
prodotto di rapporti di produzione capitalistici entro i termini di una terza
fase della civiltà industriale. Il computer, la televisione, la radio,
internet, la telefonia mobile hanno trasformato i linguaggi parlati e
l’immagine del mondo della quasi totalità degli abitanti del Belpaese. Quindi
quale strumento più coerente per trasformare la mentalità e le abitudini della
pubblicità commerciale che può penetrare in tutti questi canali di
comunicazione. Questo però porta a un grave problema per i pochi che riflettono
e ragionano sul futuro e sul destino collettivo, ovvero quali strumenti e quali
attività possono esser attivate per evitare di esser vittime di questo modo di
trasformare di continuo la nostra immagine del mondo. Il problema del porsi
davanti al male di vivere in termini ragionevoli e attivi e deve tener conto
della forza enorme di questa industria della pubblicità che è un vero e proprio
esercito di avvocati, psicologi, antropologi, esperti di comunicazione,
tecnici, registi, attori, burocrati… Dirò di più a questo proposito. Essa è una
delle manifestazioni più riuscite e complete del potere di oggi, perché oggi il
potere è prima di tutto finanziario e ha bisogno di una efficace industria
delle pubbliche relazioni e della pubblicità.
Una voce
dalla cucina: “Per i secondi passo fra poco. Intanto faccio fare i primi”.
Vincenzo Pisani:
Io non mi sono mai sentito un plagiatore. Comunque è vero quel che dici, ma c’è
di più. Il conformismo lo hai messo fuori dal tuo discorso. Invece è stato
tanto ai miei tempi e lo è ancora. Molti umani, anzi moltissimi, non hanno
una forte coscienza e identità e questo vale anche per le donne. Quindi imitano
figure che gli sembrano carismatiche, o le mosse dei divi del cinema, o le
frasi fatte dei divi dei telefilm, o le posizioni delle dive delle passerelle e
delle presentatrici. I trendsetter insomma. Ma a coronamento di questo c’è
l’abitudine, la ripetizione, la banalità dell’atto che trasforma qualcosa che
di per sé è un gesto da palcoscenico in un qualcosa che va bene, che è
accettato. Pensate per un momento a quelli che devono farsi vedere in piazza o
in paese con abiti e scarpe firmati. Sono una maggioranza ma devono cercare di
staccarsi dalla massa di cui fanno parte per qualcosa di individuale, per il
possesso di un bene che dimostri che hanno una personalità, uno status sociale,
un ruolo, un senso. Il singolo che è solo nella moltitudine di atomi umani che
schizzano dovunque vuole sentirsi protagonista
proprio come i personaggi famosi e quindi li imita e imita anche i molti che
imitano quei pochissimi. Di fatto quando una tendenza supera certi numeri
diventa un fatto ordinario, una moda,
una questione di smercio di volumi di merce prodotta chissà dove e fatta pagare cara per via del valore
aggiunto che assume in quanto bene che si compone di una natura materiale e di
una immaginaria. L’essere umano imita i pochi ricchi e famosi e imita subito
dopo i molti spesso come lui, ossia né ricchi e nemmeno famosi. È come se
avesse il bisogno sia di distinguersi e nello stesso tempo di esser accolto in
una sorta di collettività dedita alla
produzione e al consumo. Devo dire che parlando con il professore, che sta
laggiù a quel tavolo, più volte si è ragionato come i ceti gerarchicamente in
basso nella scala sociale tendono a imitare alcuni comportamenti di coloro che
stanno in alto. Pensate per esempio alle vacanze, prima della civiltà
industriale erano una prerogativa dei nobili che andavano nei loro feudi e
possedimenti anche per controllare i
sovraintendenti e i lavori agricoli
della servitù. Poi con la civiltà industriale è diventata la vacanza una vera e
propria industria dello svago e del divertimento per le moltitudini. Ciò che
era inferiore e in basso nella gerarchia sociale si è elevato e ha costruito la sua versione e il suo concetto
di vacanza e di viaggio d’istruzione.
Paolo Fantuzzi: Uno
come me che ha scorrazzato fino a ieri con il camper non poteva intuire di aver
ereditato una tradizione con un passato così illustre. Comunque esiste o non
esiste nel tuo discorso quella cosa che si chiama libero arbitrio? In fondo si
è padroni della vita propria, si dovrebbe poter accettare o rifiutare quel che
passa dalla televisione, da internet o chissà da dove.
Vincenzo Pisani:
In gioventù la pensavo proprio come te. Poi ho avuto dei ripensamenti. Mi sono
accorto di quanto per vanità, ignoranza, superficialità l’essere umano sia
vulnerabile alla lusinga, alla tentazione, al conformismo, alla soddisfazione
dei suoi desideri e perfino delle sue passioni.
Clara Agazzi:
Questo parlare vede solo il lato negativo, in fondo ci deve pur esser una
dimensione positiva e sana. Pensate per un momento a chi fa volontariato, a chi
lavora per il prossimo, a chi fa atti di carità. Io credo che esita
l’emulazione anche in positivo e non solo per la soddisfazione di un capriccio,
di un desiderio sessuale represso che deve trovare una sublimazione in altre
forme, per trovare una scala psicologica e salire sopra i suoi limiti e le sue
paure. Mi risulta che milioni di umani abitanti nella penisola si danno da fare
in molti modi, dagli orfani a coloro che si occupano di cani e gatti
abbandonati. C’è chi occupa perfino di rapaci e volatili in generale. Forse è
la logica con cui vengono usati gli strumenti di persuasione che è perversa
perché eccita quello che nell’essere umano crea contrasto, egoismo, desiderio
di rivalsa, fuga dalla realtà, volontà
di potenza. Se la logica è l’esaltazione, in diverse forme e figure, dell’esercizio arbitrario e personale del potere su uomini e cose o della
capacità di piegare alla propria volontà la natura mi pare ovvio che si
pervenga a una vasta umanità di umani soli, infelici, aggressivi e frustrati.
Come è arcinoto lo scarto fra i desideri, di per sé infiniti, e la
realizzazione degli stessi è un qualcosa che richiama distanze infinite e tempi
di realizzazione ignoti . Se si mostra che tutto è possibile e si spingono
milioni e milioni di umani a credere questo è ovvio che il risultato sarà una
grande allucinazione collettiva che non può che costruire una civiltà fatta di
gente frustrata, infelice, alienata, desiderosa di sempre nuovi piaceri e nuove
acquisizioni per placare le sue paure e il proprio disagio interiore. Ma chi ha
detto che può finire così. Gli stessi mezzi possono esser usati per rendere
consapevoli gli esseri umani, per migliorarli, per purificarli dalle loro
stesse paure, dai loro limiti.
Franco: Potrei
dire che è giusto quanto affermi. Ma non lo farò. Occorre riconoscere quello
che è il principio di realtà che urla in faccia a tutti noi qui seduti, e non
solo, il fatto banalissimo che quest’industria ha come suo fine il creare
profitti. Punto e basta. L’industria dello spettacolo e della pubblicità sono
in stretta unione ed entrambe devono creare è profitti per azionisti,
produttori e finanziatori. Altrimenti non è industria è volontariato culturale.
Qualcosa di diverso, di altro. Noi per esempio con questo discorso stiamo
attuando una microscopica forma di volontariato culturale. Stiamo allargando la
nostra visione della realtà per mezzo di un libero scambio di punti di
vista. Ma prova a pensare una vicenda si
una dimensione produttiva dell’industria “culturale” di oggi, nella quale sono
stati investiti milioni di euro o di
dollari. Chi finanzia vorrà almeno far pari con quanto speso. Quindi i buoni
propositi si fermano davanti al profitto che è il motore finanziario del modo di
produzione capitalistico. Allora il problema è come si concilia il presente
modello di produzione e consumi con le istanze che porti. Una risposta
possibile è che non è conciliabile, una seconda risposta possibile è che
occorre costruire un potere che bilanci lo strapotere del dio-quattrino, una
terza è che occorra aspettare che crolli tutto il sistema per ricostruire dalle
macerie un nuovo ordine.
Paolo Fantuzzi:
Ma tu che cosa ne pensi? Perché hai una risposta ne sono sicuro!
Franco: Devono
cambiare interiormente gli esseri umani. Occorre un processo di liberazione
dalle paure e un processo di potenziamento della mente e della consapevolezza
di se stessi. Non confondetemi con un ciarlatano che predica di stregoneria e di
pozioni. Sto parlando di crescita interiore e d’elevazione fisica e psichica. Occorre
guarire se stessi dal proprio intimo male di vivere per superare questo
presente.
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2 agosto 2014
Sintesi: Il Maesto - secondo atto - Immagine e potere politico
Franco Fusaro: Questo è
vero. Destino collettivo e realtà concreta e quotidiana di solito coincidono.
Tuttavia è diverso il punto di partenza. Clara parte dal soggetto,
dall’individuo. Io da enti collettivi che seguono il loro corso storico secondo
natura.
Stefano Bocconi:
Lo ripeto. Vi capiscono forse una dozzina di persone in tutta la penisola. Tuttavia
cosa si fa per i primi. No dico! Siam venuti qui per il tortello di patate alla
pratese giusto?
Paolo Fantuzzi:
Certo. Si è scollinato per ore per cosa, per mangiare le tagliatelle?
Franco: Qui sono
buone anche le tagliatelle, comunque sia possiamo fare come fa di solito il
professore con gli amici, ossia una scelta di primi da dividere fra commensali.
Proporrei visto che siamo in cinque una scelta sui tortelli e sui ravioli.
Clara Agazzi: Calma
uomini. Almeno un primo vegetariano lo
esigo, siate signori!
Stefano Bocconi:
Io intanto liquido quel che avanza delle focacce. Olio. Buono anche l’olio con
un po’ di sale e pepe faccio una sorta di fettunta.
Vincenzo Pisani:
Consiglio di scegliere i principali piatti di tortelli e di dividerli secondo i
gusti, se volete parlo io con il padrone, mi conosce (sic). In fondo anche
questa è cultura, cultura gastronomica.
Franco: Già il
Belpaese è famoso per il cibo, sembra che siamo messi meglio degli altri in
materia.
Stefano Bocconi:
Assolutamente. Infatti copiano i nostri prodotti alimentari, si divertono a
imitare pizza, sughi, formaggi, salumi, tutto. Poi fanno una bella confezione
ci stampano sopra qualcosa di pacchiano che ricorda le nostre genti e lo
mettono nei loro supermercati. Fanno i soldi vi dico. I soldi veri. Dove sono
le nostre multinazionali nel settore alimentare? Chi le ha viste?
Paolo Fantuzzi:
Non lamentarti sempre. Cosa volevi essere? Un australiano che vende la pasta e
il vino rosso e magari la polenta fritta con il sugo di funghi?
Franco: Sulla
pasta non so. Per certo ti dico che il vino ormai è un prodotto dell’Australia,
e di sicuro l’enologia non è una cosa tipica né degli aborigeni e meno che mai
degli anglosassoni. Ma da tempo discuto e ho discusso con il professore e con
il Pisani qui sul fatto che all’estero non solo si copia ma spesso si prendono
cose che riguardano questo paese e si spacchettano, si scompongono e poi si
ricompongono per far mille prodotti. Alle volte basta poco: un campanile, un piatto
tipico, una torre del Rinascimento, un paesaggio tipico, un nome. Basta
prendere il riferimento, toglierlo dal contesto e il gioco è fatto. Una roba da
alchimisti del marketing. Devo dire che presto prendere ad altri qualcosa per
cambiargli di segno e sfruttarlo per i propri fini è tipico anche delle forme
della propaganda occulta o palese.
Clara Agazzi:
Questo tuo ragionamento ci porta dal cibo al quotidiano. Basta pensare che oggi
è possibile con le risorse multimediali togliere dal contesto delle immagini e
collocarle in uno diverso, con i fotomontaggi e i ritocchi si può creare una
vera e propria realtà illusoria. Pensate alle foto delle riviste di moda o alle
foto della cronaca scandalistica. Avete notato che in estate nelle foto dei paparazzi
che ritraggono i VIP che vanno al mare non piove mai. Anche con un’estate tormentata
dal maltempo le signore famose sono
sempre seminude in spiaggia con fidanzati, mariti, figli, manager,industriali e
gente del genere. La famosa nuvola dell’impiegato non esiste per loro ma solo
per i comuni mortali. Siamo talmente abituati agli stereotipi da essere prevedibili
per quel che riguarda la nostra immagine del mondo.
Stefano Bocconi:
Il falso tecnologicamente calcolato non é solo del commerciale in senso
stretto. Non c’è un solo settore dalla pornografia alla politica che si sottrae
alla manipolazione. Oggi la
manipolazione delle immagini, delle parole, dei contesti è costante. Da anni
vado maturando una sorta di reazione a questo schifo. Mi sento come se ogni
giorno qualcosa volesse trarmi in inganno, magari è solo un ritocco per provare
con qualche immagine a far passare nella mia testa un marchio o un prodotto.
Vincenzo Pisani:
Già a questo mondo poco conta arrivare a una propria verità e talvolta può
esser cosa imbarazzante o pericolosa. In realtà siamo in un mondo dove tanta
parte dell’umanità si compone d’ingannati e d’ingannatori. Ci si meraviglia se
in questo quotidiano tutto volge alla decadenza e alla corruzione? Comunque,
con il vostro permesso io ora farei l’ordinazione ovvero una scelta di tortelli
e ravioli della casa con ragù, ragù di cinghiale, burro e salvia, funghi,
pomodoro piccante. Cinque sapori per cinque commensali. Mi pare una cosa buona.
Poi sul vostro discorso volevo dire che dovete pensare anche ai luoghi comuni.
Quanti stereotipi abbiamo in testa? Per esempio i VIP. Ma perché devono per
forza stare al mare o sul veliero di turno. Ma uno di loro che se ne va in
Nepal o in Tibet a respirare l’aria rarefatta fra le nevi perenni in mezzo a
terre di ancestrale spiritualità? Una di queste attrici o presentatrici che sale sulle montagne più alte del mondo a
bere tazze giganti di tè con sale e
burro di yak non c’è mai? Non vi sembra una coazione a ripetere, anzi una
grande finzione? In fondo siamo noi comuni mortali del ceto medio, ma anche
medio-basso, che li vogliamo vedere così. Io per assurdo m’immagino che certi
di questi signori e di queste attrici, presentatrici, e Dio solo sa cosa, che
mollato il palcoscenico della spiaggia corrono con la valigia piena di
antibiotici e medicinali per lo stomaco verso il tetto del mondo o le rive del
Gange. In fondo per loro sarebbe questo un modo per distinguersi da noi banali
piccolo-borghesi che li scrutiamo dalle pagine di un rotocalco. Anzi, a pensarci bene è di gran lunga più esclusivo e
degno di nota l’andare a giro con una borsa di antibiotici, antidolorifici, disinfettanti
che non quello che ritraggono di solito i paparazzi sulle spiagge di Sardegna e
Toscana e che finisce spessissimo sui
portali dei motori di ricerca.
Franco: Sagge
parole amico mio. In fondo i luoghi comuni sono armi comuni per tutte le forme
di propaganda e di plagio. Cosa c’è di meglio di uno stereotipo per far credere cose altrimenti soggette a critica, a
verifica, a serio esame. Con un luogo comune, con uno stereotipo, con immagini
ripetute migliaia di volte si raggiunge lo scopo, si crea un genere, si
costruisce una serie di discorsi. Funziona così anche la propaganda di guerra.
Pensate a l fatto che in fondo per creare l’immagine e la paura del nemico non sono necessari più
di dieci luoghi comuni sul nemico ripetuti migliaia di volte in forme diverse
da tutti i mezzi di comunicazione. Pensate solo al discorso banalissimo che si
fa di solito raccontando che il nemico uccide i bambini o che sevizia gli
animali domestici dei vinti. Funziona. Masse enormi di disgraziati finiscono
con credere a queste idiozie e a qualsiasi altra favola venga loro propinata. Il
che non vuol dire che in guerra non ci siano cani, gatti e bambini che vengono
accoppati, solo che essi sono un luogo comune facile da sfruttare da parte della
propaganda. Il potere politico in fondo è per motivi suoi di carattere
professionale. L’attività politica organizzata usa abitualmente slogan e luoghi
comuni per veicolare l’immagine del mondo che vuol far passare. Attenzione non
sempre l’immagine della realtà che il politico presenta è quella in cui crede
davvero, di solito il soggetto politico distingue fra ciò che deve far credere
agli altri e ciò che davvero sa. In fondo anche Machiavelli raccomandava a chi
volesse raccapezzarsi intorno alle intenzioni dei potenti di meditare sugli
atti concreti dei principi e dei re. Da ciò che è concreto nell’azione politica
spesso si deduce cosa davvero sa il politico e cosa davvero vede. Ma questo
vale anche per l’ordine delle cose attuale, occorre sempre vedere il lato
concreto dell’agire politico. La politica è un fatto concreto, non sempre lo è la
sua immagine costruita con arte e sapienza illusionistica.
Si sente
una voce: “Allora se il Pisani ha finito di chiacchierare verrei a prendere
l’ordine. Avete deciso? Le specialità
della casa. Bene. Subito questo foglio in cucina”.
Vincenzo Pisani:
Il padrone qui mi conosce, a suo modo è un tipo importante da queste parti. Uno
che si è fatto da sé. Poi c’è da ordinare il secondo. Che vogliamo fare pizza o
bistecca, chiedo al padrone di farci vedere che pezzi ha. C’è anche la
selvaggina se vi va. Qui son bravi un po’ con tutto.
Paolo Fantuzzi:
Certo che questo posto lo conosci davvero bene. Mi sembri uno di quelli che
fanno la pubblicità occulta e lasciano dei messaggi per far girare il nome del
prodotto per cui lavorano. Del resto oggi non è più necessario neanche far lo
spot basta far sapere e far ripetere che il VIP tal de tali ha comprato questo
o quello e l’effetto desiderato è raggiunto.
Vincenzo Pisani:
In gioventù quando ero studente ho lavorato nelle pubbliche relazioni. Comunque quelli di cui ragioni si chiamano
trendsetter, un termine inglese per indicare coloro che orientano o determinano
una certa moda specie nel vestiario o
negli accessori. Evidentemente coloro che sono già famosi e piacciano a un
vasto pubblico sono soggetti ideali per veicolare una moda, certi accessori,
certe merci della categoria dell’elettronica di consumo. Perfino gli snack
vengono lanciati sul mercato attraverso campagne pubblicitarie mirate che usano
i trendsetter,.
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28 luglio 2014
Sintesi: Il Maesto - secondo atto - Vino, focaccia e destino
Stefano Bocconi:
Veramente buono. Ci voleva proprio e poi il vino.
Paolo Fantuzzi:
Ecco il Bocconi che finalmente ha trovato la sua pace davanti a vino e
affettati. Certo è facile metter d’accordo la gente davanti a piatti pieni e
pance da riempire.
Vincenzo Pisani:
Giusto. Vedo che hai capito. In altri tempi quando in questa penisola giravano
più soldi e la maggior parte della popolazione aveva più speranze si sentiva parlar davvero poco
di disobbedienza, disperazione, malattia, uso di farmaci per la mente. In realtà il relativo benessere degli anni
ottanta e dei primi anni novanta aveva per così dire occultato le differenze, i
traumi, i problemi. Poi l’incantesimo è finito, da Tangentopoli in poi la magia
si è dissolta e i castelli fatati dei nostri illusionisti della politica son
scomparsi lasciando il posto a fetide paludi, a foreste popolate di mostri e rovine tristissime. Uno come me è rimasto
in parte sorpreso e in parte no. Devo dire che la grande illusione mi aveva
preso. Forse perché quelli erano per me gli anni della gioventù dove si
coltivano speranze fuori luogo, pie illusioni e dove s’imparano tante cose
sulla vita e sul mondo umano.
Paolo Fantuzzi:
Certo che l’adolescenza è proprio un momento difficile. Comunque ciò che prima
formava per così dire qualcosa di collettivo si è perso in quel periodo. Il
senso d’appartenenza di milioni d’italiani a gruppi, a partiti, a sindacati, a
un quartiere si è poco a poco disfatto.
Vincenzo Pisani:
Ed è emersa la verità: un mondo di uomini e donne singoli dove comanda solo il dio-quattrino. Mi sono fatto delle
illusioni da ragazzo, poi si è svelata davanti a me una società che in basso
come in alto aveva perso tutti i valori del passato sostituiti da una corsa
forsennata e irragionevole verso l’arricchirsi e lo star bene nel senso del
possesso della propria proprietà privata.
Franco: Amici vi
prego. Pensate al lato buono della cosa. Perché esso esiste. Per prima cosa per
quanto amara possa esser la cosa ha in sé due elementi. Il primo è che si è
manifestata una verità volutamente ignorata, la seconda è che i molti ora
devono pensare con la loro testa, devono darsi da sé le loro ragioni di vita e
i loro valori. Non credete forse che i valori siano il frutto di una vita
vissuta e meditata. Non dico i valori che passano dalla televisione e dalla
pubblicità commerciale ma quelli che vengono dalla memoria, dai sentimenti,
dalle passioni.
Stefano Bocconi:
Intanto portano gli altri antipasti. Bel colore sono delle focacce con delle
salse, bei colori verde, rosso, rosa. Allora. Pomodoro e olio, tritato di
wurstel e salsiccia, e questo. Carciofo! Questa cosa nera sembra un tritato di
funghi. Ci vuole altro vino. Questa cosine mettono sete. Il vino è davvero un
dono divino, come sarebbe triste il mondo senza di lui.
Clara Agazzi: Se
a ogni portata arriva una brocca nuova all’uscita del locale ci faranno il
test. Ho l’impressione che la discussione ne risentirà.
Franco: Non
credo. Intanto già così è emerso molto dai discorsi. Gli amici hanno bisogno di
buone parole, spesso di buon cibo e vino. Ma c’è qualcosa che Vincenzo deve
ancora dirci. Scusa se te lo chiedo. Se tu parli in questo modo è perché in
fondo hai già una soluzione in tasca.
Vincenzo Pisani:
Esatto. Sto pensando di cambiar paese. Sto facendo da tempo i miei conti e
penso che rifarmi una vita altrove sia possibile. Certo dovrò pensarci bene,
far i miei conti. Ma in fondo cosa mi lega a un Belpaese che ha voltato le
spalle ad almeno un paio di generazioni di gente che lavora e che produce qui;
mi sento tradito. Proprio così. TRADITO.
Clara Agazzi:
Questo è un discorso che sento spesso. C’è molto malessere in Italia. Credo di
sapere il perché. Aspettative troppo alte… Accidenti buona questa roba, croccante, delicata.
Paolo Fantuzzi:
Aspettative troppo alte?
Clara Agazzi:
Certo. Spesso ci si fanno illusioni complice tutto un mondo di false credenze e
illusioni alimentati da ogni sorta di potere che comunica. Gli esseri umani
sono turlupinati da vere e proprie rappresentazioni false della realtà
presentate da poteri politici, ecclesiastici, commerciali, e del mondo dello
spettacolo, della pubblicità e della comunicazione. In tanti pensano a crearsi
un mondo di fantasie nelle quali fanno progetti, s’immaginano cose, credono a
vere e proprie illusioni collettive. In breve la vita di una persona comune è
pervasa da migliaia di messaggi diretti o indiretti che condizionano la sua
capacità di vedere la realtà, e cosa ancor più grave da anni è veicolato una
vera e propria ideologia dell’uomo di successo e della donna in carriera. Se
uno non s’avvicina al modello di colui che è vincente finisce con il perdersi
d’animo, star male, accusare problemi psicologici. In verità bisognerebbe
mettere tra parentesi le illusioni e i falsi miti che ci vengono propinati ogni
giorno.
Paolo Fantuzzi:
Il problema è che questo modello come lo chiami tu non è propriamente reale.
Spesso in tanti hanno in testa i modelli della televisione, la gente della
televisione e le donne e gli uomini ritratti sulla pubblicità o sulle riviste
di moda. In altre parole ciò che è finto perché parte del sistema dello
spettacolo e del cinema e dell’intrattenimento spesso si confonde con il mondo
concreto. Diventa nella testa dei molti come i pastoni, i pastoni per i cani.
Dentro ci finisce di tutto. Così è la testa di tanti, molti dei quali non hanno studiato o hanno
studiato poco e male. La realtà, la fantasia, le speranze, i rancori, i
desideri, le ambizioni, i calcoli tutto diventa una cosa sola senza né capo e
neppure coda. Eppure dovrebbe esser chiaro che non tutti possono avere il loro
quarto d’ora di successo, la loro vincita alla lotteria, la loro carriera da
dirigenti. Ma spesso non è così. Molti vivono d’illusioni.
Vincenzo Pisani:
Un momento! Io non chiedo miracoli televisivi o di esser l’amante di
ereditiere, principesse, e cose del genere. Io voglio solo poter costruire una
vita mia nella quale esprimo la piena potenza dei miei talenti e in cui mi è
concesso di diventare ricco nella misura del lecito e dell’onesto. Ma qui e ora
non vedo come. Quindi penso davvero di lasciare questa terra d’inganni e
d’ingannati. Lo faccio mal volentieri. Ho creduto in qualcosa nel passato e ho
fatto anche politica. Franco lo sa bene.
Franco: Questo è
vero. Lo posso testimoniare. Ma torno ora al concetto tuo d’inganni e d’ingannati. Molti voglio esser ingannati.
Molti vogliono vivere nelle illusioni pietose e in finzioni tragiche. Perché la
verità in quanto tale è scomoda. Poniamo, per assurdo, che il Belpaese soffra
atrocemente per la mancanza di serietà, onestà e competenza fra le gerarchie
della politica e del mondo degli affari. Poniamo sempre per assurdo che si
renda necessaria una soluzione a tale disastro e che anche potenze forestiere
siano interessate alla soluzione. Cosa si può dedurre da questo caso qui
inventato. Ad esempio espropriazioni massicce a danno delle categorie sociali
che hanno prodotto questo sfacelo ossia dei ricchissimi e dei politici che sono
diventati ricchi con la politica, l’espulsione dal mondo degli affari e della
politica di decine di migliaia di soggetti, l’allontanamento dal territorio
nazionale o il carcere per altrettante migliaia. In una parola la soluzione
diretta al grave problema comporta un conflitto civile e forse anche qualcosa
di peggio. Allora una volta dimostrato questo vediamo cosa è l’insieme che
abbiamo davanti e scopriremo che è una massa di compromessi e finzioni
incastrate e incollate. Se si toglie il velo di finzione e ipocrisia la natura
di casta e autoritaria del Belpaese si
mostrerebbe apertamente, costringendo evidentemente a far a meno di molte
finzioni, di molti distinguo, di molte pietose bugie. Il Belpaese, in verità,
non si divide in rossi e neri ma in ricchi e poveri. Qui il conflitto e l’astio
personale ha sempre una concreta ragione sociale e quindi economica, non credo
esistano al mondo popoli più concreti e materialisti di quelli che popolano la
nostra penisola. Le illusioni e l’enorme produzione di bugie sono l’altra
faccia della medaglia delle genti nostre integralmente materialiste, consumiste
e di per sé illuse. Un mondo senza ideali e senza neppure quelli finti, come
sono i nostrani, si condanna alla disintegrazione per l’incapacità di tener
ferme le pulsioni individualiste, nichiliste e autodistruttive che sempre si
producono nelle società industriali. La finzione collettiva di credere in
valori non creduti e non credibili ma soltanto recitati, spesso a comando, è un mezzo per fingere che qualcosa unisca
ciò che è irrimediabilmente diviso, singolo e mortale. Vogliamo forse far un
torto all’amico Vincenzo non riconoscendo quanto questo sistema capitalistico e industriale tenda a degradare
e a far degenerare la natura di tutte le cose e in particolare dell’essere umano.
Stefano Bocconi:
Assolutamente no. Del resto come può oggi tanta parte del commercio non vivere
d’illusioni, non eccitare la vanità, l’ambizione, l’ostentazione. Se questo
Belpaese risulta insopportabile a causa delle sue morali farisaiche e delle
pietose finzioni del vivere quotidiano perché non andar via, rifarsi una vita
altrove. Sempre che sia possibile. Mi risulta che la civiltà industriale sia
arrivata in tutti i mari e in tutti i continenti, quindi certi problemi nostri
sono proprio quelli del sistema in quanto tale. Inoltre se io fossi un governo
straniero avrei un forte sospetto nei confronti di uno che arriva con il nostro
passaporto.
Paolo Fantuzzi:
Non abbassiamoci troppo. In fondo anche gli altri hanno i loro casini. In fondo
non si sente di tanto in tanto di guerre, guerre civili, attentati nei paesi
forestieri. Segno che il male di vivere e le lotte per il potere e le ricchezze
sono vivissime anche fuori dai confini nazionali. Chi sono gli altri per
giudicarci?
Franco: Giusta
riflessione. Tuttavia ne voglio precisare il mio discorso per assurdo fatto
prima. Poniamo una penisola dove una il male di vivere è arrivato a punti
inquietanti e insopportabili. Poniamo che Questa condizione di sofferenza e
minorità ad in questa nazione X sia dovuta a una classe politica imbelle e
dissoluta e poniamo anche che questi politici siano la servitù di poteri
finanziari e commerciali forti. Poniamo che questa servitù composta di
politici, gente di spettacolo, tecnici dell’intrattenimento e della
comunicazione, della sicurezza e cose del genere sia una massa di un milione di
esseri umani. Il popolo del paese X è,
poniamo questo come dato, di sessanta
milioni di umani. Cosa deve fare la maggioranza
di cinquantanove milioni? In fondo deve solo sbarazzarsi di un milione di
aderenti alla sua comunità. Qui le strade sono due a mio avviso: una breve e
una lunga. Quella breve prevede la soppressione fisica o l’allontanamento di
quel milione di tali creature problematiche che in fondo son meno del 2% della
popolazione totale. L’altra quella lunga prevede un processo di crescita civile
e culturale della durata almeno due o tre generazioni evitando così bagni di sangue, guerre civili e regolamenti di conti.
Clara Agazzi:
Questo tuo ragionamento per assurdo è privo del senso della realtà. Queste cose
non avvengono per profezia o per calcolo. Avvengono e basta quando diverse
condizioni e situazioni portano una trasformazione rapida e decisiva. Quindi
non c’è una scelta da parte dei molti ma al contrario i molti seguono gli
eventi e i fatti che prendono forma, come se fossero scritti nella volta
celeste.
Franco: Infatti,
io credo che esista un percorso in queste cose. In mancanza di uomini e donne
di straordinaria qualità e di tanta gente seria fra i molti il destino di una
nazione è simile a quello di una pianta. Nasce, si sviluppa, degenera,
invecchia, muore. Il termine chiave è decadenza. Da antenati e padri spirituali
alti e potenti a governanti tratti dalla feccia umana che ne risulta la
versione grottesca e contraria degli antenati fondatori. Questo è simile al
discorso per il quale dall’età dell’oro si passa all’età dell’argento e infine
del ferro. Questo è un corso ciclico che solo in pochi casi può esser rotto per
mezzo del rinnovamento e della trasformazione della società umana.
Stefano Bocconi:
Parlate troppo difficile voi due. I nove decimi degli abitanti del Belpaese oggi come oggi non sono in grado di capire né
l’argomento e meno che mai i riferimenti storici o culturali. Vi invito a
lasciar da parte i ragionamenti complicati, le dimostrazioni, le astuzie della
retorica. Andate al dunque. Alla verità intima che sentite con il cuore. Intanto
beviamo e mangiamo quel che ci hanno portato.
Vincenzo Pisani:
Clara e Franco non hanno detto cose in contrasto. Un processo degenerativo di
carattere collettivo e la sua soluzione può davvero apparire come naturale, proprio
come se fosse scritto nelle stelle.
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15 luglio 2014
Sintesi: Il Maesto - secondo atto - Pane, vino e salame
Secondo atto
Vernio,
notte. Interno: ambiente popolare, riproduzioni
di quadri francesi alle pareti, rumori da ristorante.
Franco apre la porta ed entra. Fa dei cenni,
va verso un tavolo. Chiama i suoi convitati. I quattro si seggono
Franco: Dopo
tanta strada buia, eccoci finalmente. Abbiam fatto tutta la lunghezza della
Calvana per arrivare fin qui. Siamo proprio sulle montagne.
Paolo Fantuzzi: Ci
hai fatto scollinare, ma per davvero. Comunque il posto sembra gradevole.
Clara Agazzi: Sì.
Ricorda il passato, i tempi delle Case del Popolo in ogni quartiere, delle
feste dell’Unità. Cose semplici, popolari. Cose di tempi ormai andati.
Stefano Bocconi:
Ma è quello il tuo amico, e l’altro dove sta?
Franco: Infatti
non vedo il professore
Vincenzo Pisani:
Grande Franco, amico mio che piacere! Anche voi qui. Avvicinatevi, facciamo un
solo tavolo. Se volete. Si capisce.
Franco: Mi pare
una cosa buona, va bene allora s’aggiunge un posto a tavola. Vieni con noi
vecchia volpe. Racconta che cosa hai fatto. Ti vedo bene.
Vincenzo Pisani:
Avvicinatevi. Mi è capitato di venir qui con il professore ma per combinazione
oggi si ritrovano in questo posto certi vecchi allievi della sua palestra di
arti marziali e così nell’occasione del primo lustro della morte del loro
vecchio maestro han fatto un tavolo per loro laggiù per ricordare il passato e
onorarne la memoria. Si è scusato e mi ha lasciato qui da solo.
Franco: Certo
che aver avuto un maestro è una cosa importante, se ne ragionava proprio oggi con gli amici. Anzi te li
presento: Clara Agazzi, Stefano Bocconi, Paolo Fantuzzi. Rispettivamente
insegnante, commerciante, operaio.
Vincenzo Pisani:
Poi c’è Francone qui presente saggio, contadino e molte altre cose. Hai messo
assieme su questo tavolo i tre settori: primario, secondario e terziario. Un
tavolo che è specchio della piramide sociale almeno per quel che riguarda le
categorie. Il sottoscritto può esser iscritto nel terziario alla voce servizi
visto che messo su un piccolo ostello.
Franco: Certo che è proprio vero. Alla fine si viene
giudicati per il mestiere che si fa.
Vincenzo Pisani:
Invece no caro Franco. Si viene giudicati oggi in questo tempo in misura del
denaro. Del denaro che si guadagna. Ma è una cosa antica il professore mi
diceva che queste cose già accadevano al tempo dei filosofi dell’Antichità
Classica, anche allora il possesso delle ricchezze segnava la differenza fra
gli schiavi, i poveri, e i padroni fossero essi aristocratici o volgari
arricchiti. L’appartenenza a una gerarchia, a un gruppo di potenziali
consumatori di certi beni e servizi determina l’immagine e quindi la forma con
cui uno si manifesta ai suoi simili.
Franco: Certo, ma questo riguarda il passato. Un passato
lontano e antico che a fatica si può ricostruire e immaginare.
Vincenzo Pisani:
Non lo credo. Il passato forse sarà per noi un mistero ma certi fenomeni
sembrano proprio manifestazioni dell’essere umano. Con una differenza di non
poco conto da stabilire fra questo presente e il passato. Nella civiltà
industriale che esiste da solo tre secoli il denaro è l’unico metro. In antico
l’onore, la discendenza, la patria, il sapere, la credenza religiosa o
filosofica potevano segnare un distinguo. Oggi le uniche patrie che sembrano
rimaste sono le multinazionali e le banche. Sono loro che decidono quali
prodotti lanciare sul mercato, quali pubblicità mandare a giro, quali parole
nuove far calare in testa alla gente comune, quali gusti e quali mode seguire,
quali guerre fare, quali paci accettare magari di controvoglia. Gli Stati, e
sottolineo gli Stati, oggi si dividono in quelli che riescono ad attirare
investimenti e capitali e a far girare l’economia e quelli che si ritrovano con limitate risorse
domestiche, con enormi debiti pubblici o con problemi interni gravissimi. Dal
momento che il successo o l’insuccesso di una comunità umana complessa come lo
Stato oggi si misura sul metro del successo di mercato ne deriva che tutte le
altre forme d’appartenenza diventano marginali o secondarie.
Franco: Poi c’è
il singolo, uomo o donna che sia che deve trovare le sue ragioni di vita, i
suoi scopi, i suoi sentimenti. Dall’alto dei grandi poteri e delle segrete
stanze al basso tutto è un correre dietro ai soldi. In fondo il denaro virtuale
è l’unica cosa che può crescere all’infinito in un pianeta azzurro limitato per
dimensioni e risorse. Ma dimmi ora che siamo a tavola tu personalmente sei
soddisfatto di quanto hai?
Vincenzo Pisani:
Una domanda difficile. Intanto se permetti faccio un cenno alla cameriera che
porti subito acqua e almeno un litro di vino e l’antipasto della casa, doppio
ovviamente salumi e crostini della casa..
Vincenzo fa dei gesti e poi ordina il solito
per cinque persone.
Allora, ti devo
una risposta.
Franco: Se vuoi,
non obbligo nessuno. In fondo ti ho chiesto una cosa personale e davanti a
personale che conosci appena. Ma sono curioso. Su rivelati.
Vincenzo Pisani:
Vedi nella maggior parte degli esseri umani c’è bisogno di un piccolo spazio di
potere, proprio così. Questo bisogno non è uguale, ognuno ha il suo. C’è chi ha
bisogno di questo potere nel senso di poter mutare qualcosa nella realtà che
vive tutti i giorni e ognuno ha il suo. Ad esempio c’è chi vuole esser al centro dell’attenzione, chi
vuole riconoscimenti formali anche con certificati, chi vuole i soldi, chi
vuole la pubblica ammirazione, chi vuole una famiglia numerosa, chi cerca
l’amore. Questi sono esempi presi a caso fra tanti. Ma di sicuro un soggetto
deve avere la volontà e qualche strumento anche minimo, anche solo la propria
fisicità e corporeità per arrivare alla soddisfazione del suo desiderio. O
almeno provare ad arrivare al punto, perché anche la volontà conta. Cosa è oggi
il denaro per i molti. Bene, io dico che per i molti è esattamente questo:
POTERE. Perché i soldi, anzi mi correggo i tanti soldi sono ciò con cui si
misura tutto e con cui si compra tutto qui nel Belpaese. O almeno essi sono lo
strumento che sembra deputato a far questo. Allora, venendo al mio caso, il mio
spazio di potere lo giudico inadeguato, la qualità della mia persona per
esprimersi avrebbe bisogno di ben altre condizioni di lavoro e di vita.
Purtroppo qui non trovo le condizioni per afferrare la realtà e la fortuna e
scuoterla fino a realizzare il successo personale nel mio ramo che è quello
turistico.
Paolo Fantuzzi: Sei
un tipo dalle concezioni chiare, se il successo non arriva è colpa del sistema.
Se arriva invece è solo opera tua. Così è facile non ti pare.
Clara Agazzi: Aspetta,
magari ha i suoi buoni motivi per dire queste cose. Comunque è vero nella vita
si finisce con il fare delle scelte e scegliendo o si è o non si è. Quando si
prende una direzione per fare un lavoro o per scegliere un percorso di vita ci
si lascia alle spalle altri percorsi possibili. Quindi se lui ha scelto una
carriera ha fatto quella scelta e ciò che poteva essere altrimenti sarà per
sempre un mistero. C’è dà stupirsi se è così categorico. Io credo di no.
Stefano Bocconi:
Ma insomma. Ricordiamoci che questo Belpaese non è esattamente il Regno di
Camelot e non ci governano i santi cavalieri di Re Artù o i paladini di
Carlomagno. Difficoltà negli affari. Di questi tempi mi sembra normale,
l’importante è non farne una malattia anche se riconosco che è difficile non
identificarsi con il successo o con l’insuccesso sul lavoro. Se sei in proprio
e rischi del tuo, come dire. Il lavoro spesso diventa il tuo sangue, lo senti
che scorre dentro di te.
Franco: Siate
certi che il nostro sa bene di cosa parla. Tante ne ha fatte e tante ne ha
viste. Ma vi invito a pensare che non sempre nella vita si può scegliere e che
talvolta lo scorrere degli anni o i casi della vita ci spingono in direzione
magari non voluta o inattesa. Pensate per un momento a quanti non hanno
coronato il loro sogno d’amore, a quelli che non hanno ereditato, a quelli che
hanno dovuto scegliere un mestiere pressati dalle necessità e cose simili.
Vogliamo forse far loro un torto e dire che era solo colpa loro, che era una
debolezza di volontà o di fortuna. Prendiamo anche in considerazione la
questione del denaro.
Clara Agazzi:
Aspetta, il denaro è tanto. Ma non usiamolo per nasconderci e negare proprie
responsabilità.
Stefano Bocconi:
Vero. Ma se il metro è il denaro tutto viene passato da quella misura. Allora
come misurare la propria debolezza, i propri limiti, la propria cattiva
volontà?
Paolo Fantuzzi:
Ma l’umano, il tipico umano. Voglio dire… saprà misurarsi. Magari non con
parole alte e nobili ma riconoscere i suoi limiti, ammettere le mancanze,
capire chi è. Poi va bene, il metro è il denaro. Con questo. Cosa ci si fa con
questo. Cosa si misura con il denaro se non i beni, il successo, la capacità di
comprare e di possedere. Questo è l’essere umano o c’è di più. Che ne so
famiglia, affetti, sensibilità, perfino tenerezza. Queste cose non stanno nel
foglio del dare e dell’avere del commerciante.
Vincenzo Pisani:
Vedi io intendo che il denaro è il metro perché lo è per le cose che
all’apparenza contano davvero in una società industriale e mercantile come
questa. Quando comanda l’apparenza del possesso una non guarda i bicipiti o la
cicatrice ma la catena d’oro, l’orologio di marca, le scarpe, gli abiti e per
certissimo il cellulare. Molte delle mie relazioni nel mio settore sono
totalmente o parzialmente mercantili, quindi è sicuro che sarò giudicato e
pesato sulla base dell’apparenza di quanto possiedo. Poi si può esser più o
meno sobri, più o meno cafoni in certe manifestazioni di sé ma questi sono i
fatti. Come misuri la tua automobile, il tuo cellulare, il tuo orologio. Vuoi
farmi credere che hai una dimensione affettiva e di rispetto per tutto, suvvia non è possibile.
Paolo Fantuzzi:
Ma ora parli d’oggetti di beni. Di cose materiali e concrete.
Vincenzo Pisani:
Ma questo è il punto. La realtà oggi è dominata dal calcolo, si parla da anni
d’investimenti affettivi. Voglio dire… ma ci rendiamo conto che nel vocabolario
comune il metro è il denaro, i termini sono i termini del commercio e molte
espressioni sono prese di peso dalla lingua commerciale per eccellenza, ovvero
quella inglese. Non voglio esagerare la natura dei tempi ma io vedo qui nel Belpaese
una gran parte della gente ripiegata su se stessa e che guarda il quotidiano
alla luce del successo apparente e del
risultato economico. I molti vedono e
pesano quel che vogliono pesare e misurare.
Franco: Amici vi
prego. Stanno portando il vino e gli affettati. Intanto distribuiamo questo e
poi passiamo ad ordinare i primi. Comunque mentre verso voglio aggiungere una
cosa in questo mondo tutto è sottoposto all’usura e alla scorrere del tempo e
se non si hanno scopi fortificati dal conoscere bene se stessi e il proprio
piccolo mondo si rischia di correre dietro al vento, di perdersi nel mutare
delle cose e di restare dopo una vita d’affanni prostrati senza aver trovato il
senso e lo scopo della propria vita. Quindi osserviamo che usare sempre lo
stesso metro e la stessa misura per cose diverse può far precipitare
nell’errore e nell’idiozia.
Stefano Bocconi:
Intanto dividiamo il pane e versiamo il vino e poi sotto con il companatico.
Siamo qui per star bene assieme. Allora iniziamo. E un brindisi alla salute,
perché senza la salute della mente e del corpo nessuna impresa umana è
possibile.
Clara Agazzi:
Ben detto.
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3 luglio 2014
Sintesi: Il Maesto - primo atto - Invito a Cena
Clara Agazzi:
Ricapitolo il senso del tuo ultimo ragionamento: siamo in presenza di una
trasformazione della civiltà industriale. La maggior parte della popolazione
non ha gli strumenti psicologici e culturali per affrontare questo mondo nuovo.
Occorre una nuova consapevolezza, forse un nuovo senso della cittadinanza
perché la carità o la liberalità del singolo non basta. Tutti discorsi
interessanti, reggono alla prima confutazione. Ma dimmi da dove viene questo
mutamento, da quale storia arriva questa emarginazione di milioni di umani
rispetto a una società e a una civiltà di cui sono parte?
Franco: Un
quesito simile esige un seminario universitario, ma proverò a dare una
risposta. Dunque. Cercate di capire che taglierò con la mannaia i concetti e
banalizzerò moltissimo, ma questa cosa è essenziale per dare il senso del corso
storico. All’inizio di questa storia c’è la Grande Guerra che causò la lenta ma
inesorabile disgregazione del dominio che i grandi imperi coloniali dell’Europa avevano sul resto del mondo e che
fece emergere da un lato la potenza della Russia Sovietica e degli Stati Uniti.
Da quella prima grande tragedia del Novecento, di cui solo in tempi recenti si
è compreso l’enormità e la gravità, scaturì un disagio enorme che portò tanta
parte della piccola borghesia, o ceto medio, a simpatizzare per le diverse
forme di fascismo. Del resto lo sviluppo del capitalismo e della tecnologia a
livello internazionale creavano le condizioni per l’espansione dei ceti poveri
e operai e dei ceti piccolo-borghesi dominati ovviamente da una minoranza
ridotta di ricchissimi che detenevano i capitali e i mezzi di produzione. Poi si scatenò una Seconda Guerra Mondiale
che costò sicuramente più di cinquanta milioni di morti. I vincitori si
spartirono una cosa da niente: il mondo e la razza umana che ci sta sopra. Dopo
la Seconda guerra Mondiale qui e in Europa Occidentale ci fu la ricostruzione e
uno stato sociale di cui entrambe le classi antagoniste beneficiarono; erano
gli anni della socialdemocrazia in Europa e qui della Democrazia Cristiana. Nei
fatti questi governi né rossi e né neri,
e tendenzialmente centristi o di centro-sinistra, erano una forma di contrasto
al comunismo che prevedeva l’espansione del ceto di mezzo e l’avvicinamento di
vasti strati della popolazione disagiata ai benefici dello stato sociale e va da sé alla società dei
consumi dominata dalla pubblicità commerciale di cui si è detto. Bene questo
modello diventa spiacevole e indigesto per le minoranze di ricchissimi nel
momento in cui cessa il pericolo del comunismo e il pericolo di una rivoluzione
scatenata dai ceti poveri e dalla classe operaia. Fra l’altro con le
multinazionali della finanza, della produzione e della distribuzione e
commercializzazione e del mondo dello spettacolo i ricchissimi sono diventati
fra la Seconda Guerra Mondiale e l’inizio del nuovo millennio i padroni delle
vere potenze nazionali e internazionali
di oggi. Le corporation sono il nuovo potere con la P maiuscola. Quindi ecco la
ragione di quanto accade: il grande potere finanziario di una ristretta
minoranza di ricchissimi ha la capacità di condizionare e di imporre la
politica alle grandi potenze quando non capita che i leader delle grandi
potenze siano essi stessi espressione di questi poteri economici. Ora dal
momento che i rapporti di forza sono cambiati questa minoranza si sta
riprendendo quanto per decenni ha dovuto cedere ali ceti medi e in una certa
misura ai poveri e ai lavoratori. Si tratta di una trasformazione interna alle
stanze del potere. Al posto del generale, del leader politico conservatore, del
tribuno del popolo carismatico ci sono
dei team di specialisti delle pubbliche relazioni
e di avvocati detti lobbisti che per conto delle loro corporation condizionano il potere politico, l’attività legislativa
e la società in generale.
Paolo Fantuzzi:
Ma tutto questo è forse la ragione per cui sento l’assenza di una mia
condizione di potere nelle cose del quotidiano?
Stefano Bocconi:
Forse è questa la ragione per la quale non trovo più conforto nel passato e
nelle credenze ereditate dalla mia famiglia?
Paolo Fantuzzi:
In effetti da anni mi sento privo della sicurezza che riguarda le mie faccende
domestiche almeno quanto quelle che riguardano al società nel suo complesso. Mi
spiace vedere tanta corruzione, disfacimento, perdita di senso delle cose. Ma
se questo potere finanziario è così enorme perché non assume lui stesso il potere, perché
non fa da sé e si assume le sue responsabilità.
Clara Agazzi: Mi
sembra chiaro. Se le multinazionali della finanza e della produzione dovessero
assumersi le loro responsabilità dovrebbero destinare gran parte dei profitti a
riparare i guasti che provocano. Ma se i loro danni vanno in carico alla
collettività scaricano su tutti, cioè su ciò che è collettivo, il danno e il
guasto causato dalla loro sete di profitto. Fare profitti privati e
socializzare i danni e le perdite ecco di cosa si tratta. Di sicuro una roba
del genere davanti a una reale minaccia di natura fascista o comunista avrebbe
le sue difficoltà perché questo loro privatizzare i profitti e socializzare le
perdite crea milioni di esseri umani risentiti, arrabatti e perfino violenti.
Ma aldilà delle favole della politica questa minaccia non esiste, almeno non per
ora. Quindi per molto tempo avranno la possibilità di contare su governi deboli
o compiacenti o su politici che si comprano con il biblico piatto di
lenticchie.
Franco: Il
biblico piato di lenticchie. Era da un pezzo che non ne sentivo parlare. Davvero.
Mi piace. Certo è curioso come il potere politico nella civiltà industriale sia
sottoposto al condizionamento fortissimo di coloro che controllano il denaro,
davvero questa forma di civiltà concede al potere finanziario un margine di
comando e controllo che non ha mai avuto nell’antichità. In un certo senso non
è solo cedere un diritto di primogenitura per un piatto di lenticchie, è che
strutturalmente la civiltà industriale tende a vincolare società, politica e
vita quotidiana alle forme con le quali il capitale crea la produzione, il
consumo, l’innovazione. La civiltà industriale è un tempo altro, è una
scissione fra il mondo di prima e questo singolare spirito dei tempi dove
tecnica e investimento dei capitali creano, distruggono e riaggregano la
società umana e la sua identità. La potenza che è preposta a ridefinire e a
determinare valori, consumi, aspettative e speranze della stragrande
maggioranza degli esseri umani in questa società industriale è la pubblicità
commerciale collegata all’enorme industria dello spettacolo. Il capitale
investito in intrattenimento e comunicazione plasma la mentalità di milioni di
umani, è la nuova forma di egemonia sulle coscienze. Per questo io stesso ho
difficoltà a dare delle indicazioni più precise avendo come certezza il fatto
che è difficile uscire da un sistema come questo. Il condizionamento è ormai
educazione permanente al consumo, il consumo è divertimento e il divertimento consenso.
Per questo è
umano ed è comune quel senso di sofferenza quando si ha la percezione di
trovarsi davanti al dispiacere per l’assenza di una propria dimensione di potere
sia sulle piccole cose sia su quelle grandi e notevoli. Questo senso di
minorità e d’inferiorità è acuito e reso ancor più aspro dalla continua visione
dei guasti che porta questa civiltà industriale e della corruzione e del danno
che fa cadere sulla società, anche quella dei piccoli comuni o delle realtà
nostre di provincia.
Paolo Fantuzzi:
Ma ora voglio dire una cosa io. Se questo
potere fosse davvero minacciato o insidiato ai vertici della piramide
sociale sotto cui stiamo ci sarebbero uomini e donne eccellenti e di
talento. Un po’ come accade nella vita
umana, senza sfide o pericoli l’uomo si sdraia sulla poltrona a vedere la
partita con la sua birra in mano. Se invece capita un guaio grosso, bè se non
si muove è direttamente la donna che gli toglie la poltrona da sotto il culo e
lo forza ad agire. Quindi se abbiamo questa spazzatura a giro e tale vergogna
ci governa è perché chi sta sopra di loro sa che non ha veri sfidanti.
Stefano Bocconi:
Oppure ha sotto il tavolo il famoso piano B e quindi una diversa forma di
governo e di governanti. In fondo da gente che non prova sentimenti o
compassione per i danni e i disastri che provoca perché dovrebbe farsi scrupolo
a toglier di mezzo dei pupazzi facenti funzione… di leader democratici.
Clara Agazzi: Mi
pare che siamo dentro dei problemi belli grossi eppure eravamo venuti qui per
delle risposte semplici, lineari. Volevamo una cosa rapida, quasi si fosse al supermercato.
Franco: Ma non
sempre è possibile trovare risposte semplici. Capita che dietro una risposta
semplice ci siano decine di cose complicatissime e intricate. Certo il male di
vivere è acuito spesso da aspettative gonfiate dalla pubblicità e dal mondo
dello spettacolo. Ma da dove viene questo mondo della pubblicità e dello
spettacolo? Come vedete una risposta semplice apre decine di domande difficili.
Clara Agazzi: Ma
così non finiremo mai. Quanto detto finora rischia di perdersi, di finir dimenticato.
Franco: No, non accadrà.
Comunque tutte le cose devono avere una conclusione in questo mondo. Almeno
questa sembra esser la regola. Quel che nasce si sviluppa e poi degrada verso
la sua fine. Il che fa pensare che prima o poi per ragioni interne alla fisica
e alla logica della vita su questo pianeta azzurro anche questa civiltà nata
dalla terza rivoluzione industriale cesserà d’essere. Comunque vi faccio questa
proposta visto che l’ora è tarda. Stasera avevo intenzione di andar per colline
fino a Vernio dove nel ristorante vicino al ponte della stazione so che troverò
i miei amici Vincenzo Pisani e il Professore che là spesso si recano per mangiare
i tortelli di patate. Vi propongo di andare tutti assieme stasera e di finire là
i discorsi che qui abbiamo iniziato assieme a questi miei due amici che di solito non si sottraggono al ragionare
di massimi sistemi. Seguitemi quindi. Sono sicuro che sarà una felice occasione
conviviale.
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2 luglio 2014
Sintesi: Il Maesto - primo atto - ripensare la civiltà e ripensare l'essere umano
Clara Agazzi:
Aspetta, calma. Ma questi profeti, questi maestri come si collocano; che ruolo
sociale hanno. Qui si ragiona di categorie umane che sembrano calare dalle
nuvole o cadere dagli alberi come i frutti. Avranno un ruolo, un mestiere, un
loro posto. I maestri sono insegnanti, sono istruttori, sono educatori, cosa
sono?
Franco: Forse. Mi resta difficile indicare il
posto di lavoro di un maestro di vita, di un rivelatore di valori e di ragioni
dello stare al mondo in un contesto come questo dove individuo, socialità,
comunità d’origine, storia personale e collettiva sono realtà dissociate ma
messe artificiosamente assieme quando serve dal discorso politico o dalla
pubblicità. Sicuramente è un soggetto che riesce a proiettarsi oltre i limiti
del proprio tempo e a comunicare delle verità, dei valori, un sapere autentico,
talvolta un mestiere; perché il mestiere è anche sapere, saggezza, conoscenza
accumulata nei secoli o nei decenni e
tecnica.
Stefano Bocconi:
Ma qui c’è un problema, parli di società, di tradizione, di autentica
comunicazione fra generazioni quando intorno a noi tutto sembra degenerare e
spegnersi in un privato egoismo e in bisogni ora primari ora voluttuari. Forse
è il mio mestiere che mi porta a vedere nelle tipologie di merci che popolano
il tempo libero il passaggio da generazione a generazione. Fra i soldatini di
plastica o di carta di quattro decenni fa e i videogiochi in 3d di oggi c’è
l’abisso. Lo stesso posso dire dei dischi in vinile e dei giradischi o messi a
confronto con i telefonini tuttofare che memorizzano interi file musicali e persino uno o due film più
centinaia d’immagini. Questo è un mondo nuovo che ha fatto fare un salto che in
passato avveniva solo nello scorrere dei secoli.
Paolo Fantuzzi:
Hai parlato bene, ma c’è anche il negativo. Mestieri che spariscono, saperi che
si perdono, precariato nel mondo del lavoro, concorrenza di operai e disperati
provenienti dai quattro angoli del pianeta, e poi la dispersione di risorse e
di materie prime dovute al sistema di produzione e consumo. E il relativo danno
all’ecosistema del pianeta. C’è da chiedersi cosa ne sia della civiltà.
Franco: Allora
ecco il punto. La civiltà!, quale civiltà? Di solito si confonde lo sviluppo
tipico della civiltà industriale con la civiltà propria, ossia con quella cosa
che comunemente è detta nazione. Non è la stessa cosa. La civiltà è l’insieme
delle forme dell’organizzazione politica, culturale e sociale di una popolazione che ha raggiunto
una stabilità, ha assunto una forma per quanto malleabile e mutevole possa
essere. Ma la civiltà non è lo sviluppo industriale, non è questo o quel genere
di prodotto o di merce e neanche questo o quel capo politico o fazione
politica. La civiltà è un complesso, è un sistema all’interno del quale vivono
esseri umani che sono una comunità organizzata, che provengono da una o più
storie comuni, che discendono dai secoli e magari hanno perfino un rapporto con
il territorio che abitano. Colui che appartiene alla civiltà propria sa di non
essere casuale o fortuito ma di provenire dallo scorrere dei secoli, da una
sedimentazione di fatti, storie, battaglie, eventi, fondazioni, dinastie
familiari, alberi genealogici. Questo tipico soggetto è oggi messo in
difficoltà da un modello di civiltà industriale che punta a una massificazione
dei consumi, all’omologazione, all’inquadramento dell’essere umano e del suo
vivere in una logica di produzione – vendita -consumo di beni materiali che immancabilmente, in un
modo o nell’altro, diventano spazzatura . Oggi qui nel Belpaese quando si parla
di civiltà occidentale si parla del nulla. La civiltà occidentale nel
Mediterraneo ci fu al tempo dei Cesari quando l’Impero Romano fu diviso in due
l’Oriente e l’Occidente. Chi parla di civiltà Occidentale qui in Italia
dovrebbe mettere il soggetto: Stati Uniti. Tuttavia proprio la vita degli
esseri umani di oggi è attraversata ogni anno da decine di migliaia di messaggi
pubblicitari diretti o indiretti che modificano la percezione della realtà e la
percezione della società e il senso di ciò che è davvero importante. Questo
processo di consumismo indotto e secolarizzazione dei costumi ha nel corso di cinque decenni prodotto uno
svuotamento di senso delle fedi laiche nello Stato, delle tradizioni religiose,
delle culture popolari, operaie, perfino contadine. L’uomo della civiltà dei
consumi, oggi in decadenza e scomposizione, doveva essere un consumatore e non
un cittadino, un credente, un buon uomo, un soldato di chissà quale patria.
Oggi nel tempo della decadenza di questa civiltà abbiamo uomini e donne
spiazzati. Il passato è finito, il presente è debolissimo e precario e il
futuro sembra lontano o altrove.
Clara Agazzi: In
altre parole questo è un tempo funesto. Ci sarà pure qualcosa di buono: uomini
e donne che s’impegnano nel sociale, gente che fa volontariato, qualche
amministratore onesto, qualche politico che non sia un ladro. Non può esser un
precipitare nel vuoto come tu affermi.
Franco: Questo è
un discorso difficile da confutare, ma ci proverò. Ritorno indietro all’infanzia,
al tempo nel quale davano Mazinga Z in televisione. Avete presente.
Paolo Fantuzzi:
Ovvio, chi non conosce i cartoni animati giapponesi di robot dei primi anni
ottanta. Ma cosa c’entra. Questa è una vera e propria follia.
Stefano Bocconi:
Lascialo dire. Forse sa qualcosa che non sappiamo. O forse vuole stupirci con
una parabola, farci sognare con un discorso di fantasia.
Franco: Invece
no. Molto meno. Avete presente la sigla italiana di Mazinga quella che fa
“Quando udrai un fragor a 1.000 decibel/ veloce e distruttore come un lampo non
dà scampo…”
Stefano Bocconi:
Sì ricordo. Sono vaghi ricordi.
Paolo Fantuzzi:
C’erano delle immagini, mostri, città in fiamme, aerei, carri armati, e
Mazinga.
Franco: Appunto
le immagini. Tornate indietro negli anni. Nelle immagini finali della sigla si
vedeva lo schema delle parti meccaniche del Mazinga Z, giusto! E’ importante!
Clara Agazzi:
Vagamente mi ricordo di qualcosa, non era il io preferito. Cosa c’entra lo
schema tecnico del Mazinga superobot peraltro fatto immaginario e prodotto dall’industria
giapponese dell’animazione?
Franco: E dal
maestro del genere ovvero Go Nagai. C’entra perché per fare barriera contro una
forza ostile tremenda e le sue conseguenze non basta la volontà o la buona
disposizione d’animo e meno che mai i buoni propositi. Ci vuole quello che si
vedeva nel Cartone Animato in questione: organizzazione, un gruppo di tecnici e
di specialisti, un team pronto a battersi composto di gente leale e coraggiosa,
uomini e donne pronte allo scontro anche in situazioni di netta inferiorità e
un simbolo che unisse tutti in quel caso Mazinga stesso. Oltre a questo gli
eroi avevano spirito di squadra, volontà
di prevalere, capacità di sacrificarsi e, tornando all’immagine che ho evocato,
i mezzi sofisticati. L’interno del Mazinga Z che si vede nella sigla è questo:
ci vuole la potenza dei mezzi e i mezzi sono parti complesse di un corpo
unitario. Invece cosa vedo in questa realtà. Tanta gente perbene, magari seria,
ragionevole fa grandi proclami e poi davanti al male che arriva non fa gruppo,
non fa squadra, non crea i mezzi, spesso rinuncia a combattere e cerca una via
di fuga, magari studia per avere qualche espediente o qualche privilegio.
Prendete Mazinga Z come metafora della difesa di una civiltà. Si può difendere
una civiltà o affermarla senza le cose che ho detto? No. Questo è sicuro.
Quelle buone azioni e buone prassi che esistono e di cui dici Clara sono di
solito separate le une dalle altre. Come spesso capita non è uno più uno uguale
due, ma uno e uno ossia due singolarità che non fanno coppia. L’individuo, il
singolo staccato e dissociato da un corpo sociale di cui fa parte e dal quale
in una pur minima misura è difeso e tutelato è azzerato davanti allo strapotere
dei mezzi di oggi. Come può un singolo opporsi davanti a processi commerciali,
industriali, economici che muovono miliardi e che ridefiniscono e scombinano la
sua vita, le sue certezze, le sue possibilità economiche. Pensate alla crisi
del 2008 e alle vite che ha travolto nel mondo. Basta il singolo, con il suo buonsenso,
con i buoni propositi, con la sua carità aleatoria o perfino occasionale per
fare barriera? Io dico di no.
Stefano Bocconi:
Ma insomma, ci sarà pure un modo, un sistema. Voglio dire. E’ proprio
necessario che le forze positive siano frammentate in mille pezzi mentre quelle
negative sono esercito, sono unità.
Franco:
Positive, negative. Che vuol dire. No non ci sbagliamo qui non c’è una lotta fra il bene e il male come
la si può intendere comunemente. Qui ci sono egoismi e desideri alimentati o
indotti che producono per prima cosa consenso e a seguire fatti politici, culturali,
azioni militari. Si tratta di un sistema di terza civiltà industriale oggi governata
da un sistema finanziario capitalista. Non c’è un mondo buono di cavalieri
della Tavola Rotonda che deve arrivare qui, il mondo che vedo è già questo.
Piuttosto invece di aspettare l’eroe con il robot o con la spada divina perché
non pensare di assumere qualche caratteristica positiva dell’eroe; che ne so:
lo spirito di squadra, la speranza nel futuro,
un sano altruismo, la volontà di battersi…
Paolo Fantuzzi:
Ovviamente questo discorso è assurdo. Certo l’immagine è suggestiva ma assumere
su di sé un qualcosa di eroico fra il bollo auto e la dichiarazione dei redditi
è una cosa da scemi anche solo il pensare una cosa del genere.
Franco: Ma io
non parlo di andar a giro con robot alti quanto una casa di dieci piani o di nascondere
armi incredibili e partire alla ricerca di non si sa che cosa. Questo è
qualcosa di manicomiale, una roba da ricovero coatto. No dico che per
affrontare questo momento di sfascio di valori e di forme della vita sociale
sommerse e spaccate da una ridefinizione dell’economia capitalista che volge al
dominio su tutta la realtà umana da parte
della finanza, delle multinazionali e
di poche famiglie di supermiliardari occorre che chi per motivi
umanitari o politici si oppone faccia gruppo, si dia un coordinamento, si ponga
degli scopi altruistici. In una parola faccia propria l’evidenza che per
combattere forze ostili organizzate, specializzate, amorali, dotate di enormi
mezzi tecnici e finanziari occorre far
gruppo, creare una rete, diventare quello che si chiama un soggetto politico e
sociale. Mille iniziative benefiche separate
le une alle altre non sono gruppo, non sono movimento, non sono trasformazione.
Sono dei singoli che fanno cose simpatiche, divertenti, suggestive, magari
perfino faticose. Ma singoli. Non quindi Mazinga Z che è una cosa unitaria ma
tanti bulloni e viti che schizzano via in libertà. Prendo un fatto immaginario.
La multinazionale XYZ in accordo con politicanti corrotti ha deciso di
trasferire gli stabilimenti dalla provincia X allo provincia K che sta in un
paese povero e governato da una dittatura e fa questo per non mettere agli
stabilimenti i depuratori e pagare poche tasse. Chi ferma una cosa del genere
che risulta essere un danno economico e un potenziale disastro ecologico? Il
singolo?
Clara Agazzi:
Vuoi dire che occorre creare qualcosa di simile ai vecchi partiti, strutture
organizzate.
Franco: Non
proprio. Occorre un senso diverso della cittadinanza. Occorre una popolazione
che sia essa stessa responsabile e che sia in grado di stabilire la differenza
fra ciò che è importante e ciò che non lo è e che se presa in giro o danneggiata
dai grandi colossi finanziari o commerciali imponga dei politici capaci di stroncare
i processi degenerativi. Occorre una tipologia di cittadino, o se si vuole di
essere umano, che non è il consumatore. Certamente il consumatore è nel suo piccolo un lavoratore
specializzato, un tecnico, un detentore di un qualche sapere ma per certo esso
non è quel soggetto che si mobilita per reagire alle forme perverse, pericolose
e degenerative di questo modello di civiltà industriale.
Paolo Fantuzzi: Ma
questo presuppone un riciclaggio, anzi una riqualificazione di milioni di esseri
umani. Da consumatori a cittadini responsabili, questa è metamorfosi. Ma allora
è vero che sei un mago, questo è un grande incantesimo, tu pensi in termini tali
da credere possibile il cambiamento della realtà.
Franco: Io penso
che nella vita sia ragionevole a un certo punto darsi uno scopo. Uno scopo vero,
un disegno personale, uno scegliere un percorso di vita e non il seguire come una pulce ammaestrata i modelli
adulterati che passano nei programmi televisivi dove si vedono e si sentono le cose
più strane e folli.
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