14 luglio 2015
Ripubblicata la favola di Bananìa
La Favola di Bananìa
Dove
in poche righe si parla di Bananìa
Il popolo di
Bananìa era uscito a pezzi da una serie di grandi macelli di natura militare
che sono soliti dare un senso e un cammino alla razza umana, nonostante il
difetto di ridurre il numero di facenti parte della stessa. Del resto a tale specie di bipedi, senza
troppe pretese, i Bananiani appartenevano, e per così dire, non si erano
sottratti alla generale spinta suicida.
Di solito quando quei vasti insiemi di umani associati, comunemente
detti stati, imperi o anche regni, sono travolti da grandi stragi e
devastazioni essi traggono dal meglio della loro gente i capi e regolano le
cose della politica verso quel bene supremo che è la mera sopravvivenza. Bananìa a onor del vero seguì proprio il
consiglio opposto, anche per il
consiglio dei vincitori della Seconda grande spartizione del mondo ebbe in
sorte la cleptocrazia più nota e biasimata in cielo e terra per incapacità,
idiotismo, ignoranza, spirito ebete, malafede, e destino tapino.
Quindi, fino
all’inverosimile e nel più grave momento,
i capi di Bananìa seguirono il consiglio e l’indirizzo di fare il bene
degli approfittatori, dei ladri, dei mascalzoni, e della peggior gente del
consorzio umano. La Cleptocrazia è
dopotutto il governo dei poteri criminali organizzati e in ciò le genti di
Bananìa ebbbero una sorta di coerenza politica. La classe politica e imprenditoriale, che
senza adeguato senso del ridicolo si definiva Classe Dirigente, fu una sorta di
poesia al contrario: politici arrivisti e cialtroni, imprenditori pronti alla
fuga con la cassa, banchieri dediti alla fuga con l’argenteria, intellettuali
mercenari un tanto al chilo, signorine e signore della più alta società che
parevano uscite dal braccio femminile di qualche carcere di massima sicurezza. Questo troiaio moltiplicato per migliaia di
soggetti con masse di nullafacenti parassiti adulatori, servi sciocchi sporchi
e laidi e seguagi pazzoidi e psicolabili andò avanti per tre generazioni protetti
da equilibri geopolitici pericolosissimi e dalle bombe degli eserciti stranieri
che bivaccavano nella terra dei Bananiani.
Questo era un frutto
amaro della precedente spartizione del mondo di cui si è già detto. La presuntuosa e impunita ladrezza dei capi
e la loro meschinità al rovescio produsse nei molti uno spirito di
emulazione che fece del popolo di banania
uno dei più ignoranti e ladri del pianeta, ma poiché non si può esser ladri se
non c’è niente da rubare la volontà di trafficare e di barare al gioco triste e
malvagio del commercio varcò i confini e produsse la prima industria del paese
quella del crimine organizzato.
Il denaro dei
malavitosi doveva però anche esser ripulito e da qui si generò una grande
attività industriale e commerciale che fece la fortuna del suddetto paese di
criminali organizzati e di mascalzoni impuniti e che permise alle sue anime
belle di vivere senza sporcarsi le mani impegnandosi in tante e diverse attività
più o meno oneste. Coloro che erano
onesti mostrarono dunque ai forestieri fino a che punto il vivere onestamente
fosse una suprema e artistica forma
d’ipocrisia sapendo che tutto il denaro del
sistema era il frutto di numerose attività indegne e questo enorme capitale
veniva lavato e lustrato a nuovo attraverso il sistema bancario.
La ripulitura
del denaro sporco ebbe conseguenze surreali in quanto per mascherare la natura
della ricchezza i ricchissimi si diedero a manifestazioni di mecenatismo e di
filantropia di conseguenza: con il traffico dei rifiuti tossici in paesi sfortunati
vennero indirettamente finanziate attività editoriali e culturali, con i traffici di armi e droga fu creato un
sistema finanziario articolato che finì per avere come ricadute il
finanziamento di gallerie d’arte, musei, industrie avanzate, depuratori,
infrastrutture.
Una piccola parte di questa massa monetaria si
trasformò in prestiti allo Stato per pagare l’esercito e le scuole con il
meccanismo del debito pubblico. Fu
tuttavia il fantasioso e multiforme commercio dato dalla tratta delle bianche, dallo
sfruttamento della prostituzione e dal traffico di umani detti immigrati
clandestini, questo in verità possibile solo grazie ad estese complicità, che arrivò
dove il resto non era arrivato. Questo
grande mare in movimento di denaro venne
riciclato in uno straordinario fervore edilizio che avrebbe fatto impallidire e
umiliato i costruttori delle piramidi o delle cattedrali medioevali;
sull’intera penisola si rovesciò una massa oscena e informe di periferie
squallide, di capannoni nati male, di centri commerciali senza senso e brutti,
ma così brutti che sembravano uscire da un incubo frutto di menti drogate con
sostanze pericolose e molto pesanti da reggere, e poi stadi, galere, e case
popolari e ville per siuri. Miracolosamente
neanche un solo edificio era umanamente passabile.
Questo regno del
brutto e del deforme creò milioni di posti di lavoro fra edilizia e
indotto, e come esito la popolazione
vivendo in tali luoghi divenne cattiva, ladra e stupida, e per gradire ignorantissima
di ogni cosa.
In tanta rovina
le passate culture di Bananìa, che pure avevano avuto nel remoto passato una
loro discutibile dignità, sembravano dei fantasmi che vagavano sulle rovine e dentro
i castelli medioevali, quelli di cui si favoleggia ma dei quali mai si trova la
prova della loro esistenza.
Il crimine organizzato
e un ceto politico di scellerati e di miserabili dementi con queste premesse
organizzò un paese talmente corrotto, osceno e inaffidabile che nessuna specie,
nemmeno del regno vegetale e minerale, dava a questi bananiani il minimo
credito o la minima stima.
La bestialità
della vita e la rozza ignoranza della maggior parte della popolazione facevano
di questo paese una terra di diavoli senza ritegno e dignità; ma anche senza
inferno, cosa che avrebbe almeno concesso loro la grandezza del male.
La mancanza di
dignità era un dato originale, in quanto a causa delle sciagure di questo
popolo, la popolazione aveva preso a chiamare padrone chiunque potesse elargire
un pasto o una mancia o l’occasione per portare ad effetto qualche espediente
per guadagnare del denaro. Tale era il
vivere dei potenti e dei loro satelliti e ugualmente tale era quello di coloro
che vivevano nel bisogno o del proprio
lavoro.
Come
la degenerazione fu fonte di salvezza
Il risultato fu
un popolo talmente privo di quelle caratteristiche di decenza, onestà e forza
di coesione che quando le grandi potenze uscite vincitrici dalla Seconda Grande
Spartizione del Mondo, presero la risoluzione, dopo uno stillicidio di piccole
guerre, stragi, azioni indegne e vendette di porre in essere una Terza Grande
Spartizione del Mondo nessuno prese sul serio i bananiani che furono lasciati
sul limite del grande macello di popoli.
I Grandi della
terra non presero in considerazione un popolo così miserabile, l’onore di far
parte degli eletti che sparivano nel regno delle ombre fu quindi lasciato a
gente più degna; i quali stavano annientando un patrimonio unico di beni, umani
utili, animali, piante.
Solo le grandi
banche nei paradisi fiscali gioirono degli straordinari profitti che la guerra
generava, anche se non era certo se sarebbe sopravvissuto qualche bancario o
finanziere per contare il malloppo. Ma come è noto per banchieri e finanzieri
la sopravvivenza della specie umana e dei viventi in generale non ha spazio nei
loro calcoli e nei loro progetti; la morte di tutto e di tutti è irrilevante,
il capitale è un Dio che può vivere in astratto anche all’interno di un pianeta
morto.
Il popolo
bananiano fu felice di non venir massacrato per gli imperi altrui e con
indifferenza videro partire gli occupanti dediti a rischierarsi, così si
espressero, in punti strategici e quindi ad unirsi a quelle masse di armi e
armati che le città del mondo stavano vomitando sul pianeta azzurro. I politici screditati di Banania
rigettarono sulla malevola loro gente tutte le
scemenze che la loro fertile mente partoriva, mentre le città del mondo
sprofondavano, colpite a morte dalle armi chimiche e nucleari di nuova
concezione, e venivano avvolte nelle
nubi tossiche.
Fu con la fine
delle grandi masse che venne meno il monoteismo, forma di adorazione del divino
costruita apposta per gruppi di fedeli numerosi da riportare a una regola di
vita e a una legge unitaria. Come conseguenza di tanta strage, resuscitarono
dagli inferi gli Antichi e subito essi presero a scrutare quella strana umanità
che li aveva abbandonati.
In verità non fu
tutta gloria, i rappresentanti del Dio unico avevano da tempo intrapreso forme
di proselitismo e adorazione che puntavano su personaggi carismatici,
introducendo nel monolite dei culti del
Dio Unico forme di adorazione pagana e idolatria.
Gli Dei della
guerra molto si rallegrarono del massacro e di vedere tutte le arti degli
umani, che del resto a ciò sono votate, piegarsi alla sua prediletta. Felice vide il mondo sprofondare in lutti
infiniti e con lui Plutone signore dei morti e Mercurio dio dei mercanti e dei
ladri assai soddisfatti lodavano il gioioso momento dove i denari venivano
spesi, i furti e i crimini erano cosa di tutti, e le gole del tartaro erano
colme di anime di trapassati; le ombre popolarono di nuovo gli inferi degli Dei
pagani. In fondo la distruzione delle masse di viventi ebbe l’effetto di
costituire un grande rito di evocazione che cancellava un tempo e riportava
sulla terra il dominio dei molti Dei.
Solo Bananìa fu
causa dello sdegno del Dio Rosso, ovvero
di Marte.
Si chiese come
poteva esistere un simile popolo e in una terra che gli pareva ai suoi tempi,
che nella sua mente divina erano lontani nel ricordo ma lieti perché li
associava a fresche e violente stragi, popolata da ben diversa gente. Lui per
prosperare aveva bisogno di uomini e donne di forte tempra, aggressivi, con
corpi pronti alla lotta, i mercenari infidi, i grulli dal grilletto facile, gli
sciagurati in divisa erano un problema, anzi una disgrazia. Ancor di più questo
quadro gli appariva negativo osservando la natura imbelle, dissoluta e scema di
tanta parte delle genti di Bananìa.
Crucciato
osservò un popolo talmente scellerato che veniva bandito dalla guerra. Meditò una vendetta e stabilì offeso che
avrebbe mutato l’odiata cleptocrazia che si permetteva di sopravvivere a tanta
strage truccandosi malamente da
Democrazia.
La quale,
essendo la forma di governo dei criminali, era prossima al collasso.
Come accade talvolta un fatto
lontano provoca disastri a grande distanza e presso popoli ignari e incolpevoli
e così fu per questa guerra altrui che mutò nel fisico e nella mente i Bananiani.
La classe
dirigente, se così la possiamo definire, di Bananìa aveva subito una selezione
al contrario parallelamente alla raffinazione e selezione dei principali leader
dei gruppi criminali. Alla barbarie
della degenerazione politica, commerciale, umana e sociale faceva seguito la crescita in
termini di potere e consenso dei principali gruppi criminali. I quali per non far brutte figure e per
meglio farli passare inosservati infiltravano fra i politici solo ed
esclusivamente i peggiori elementi, i cialtroni patologici, gli ignoranti
cronici, i narcisisti con problemi di droga, i mitomani scemi .
Tuttavia la
delinquenza organizzata aveva bisogno di una situazione politica e militare ben
diversa dai macelli immani che si venivano a creare in quel periodo, senza
umani vivi venne meno il commercio delle armi leggere, lo sfruttamento della
prostituzione, lo spaccio di sostanze stupefacenti, il traffico di organi, il
furto e lo smaltimento illegale dei rifiuti, l’incendio, doloso, gli omicidi e
i ricatti e ancor di più i sequestri
vera industria mondiale che dava lavoro a centinaia di migliaia di operatori e
a decine di banche e a un paio di paradisi fiscali.
Le prime cento
bombe nucleari, per maggior celia gli esperti le chiamarono tattiche,
chiarirono che era inutile fra i milioni di ombre nere e gli scheletri di
centinaia di migliaia di edifici cercare chi potesse pagare un riscatto,
praticare attività moralmente riprovevoli o comprare droghe, fosse un governo o un privato. Ciò che rimaneva era il collasso di ogni
civiltà industriale e di massa, e senza la società di massa non c’è criminalità
organizzata e quindi neanche cleptocrazia.
Quel consorzio
umano cessò, finì d’improvviso senza nemmeno un congedo accettabile, cosa che
implicò il collasso dei poteri criminali e quindi anche del sistema politico di
Bananìa.
La debolezza del
potere politico e della società aveva fatto prosperare la criminalità, la quale
di contro aveva finanziato e favorito l’ordine costituito, in qualche caso
aveva concordato con le forze dell’ordine la consegna di qualche delinquente
reo di delitti infamanti per distrarre l’opinione pubblica. Stavolta il gioco era finito, niente grandi
truffe coi soldi, e con le perversioni delle grandi masse imbelli e dissolute della
civiltà industriale post-fordista, per un semplice e banalissimo motivo: le
grandi masse stavano venendo meno per motivi biologici. Gli effetti della
guerra si fecero sentire in tutta Bananìa con drammi indicibili, la vita divenne
dura anche per i delinquenti costretti ad assistere al crollo del loro mondo;
il Dio della guerra volle soddisfazione dei torti subiti da tali genti
scellerate, e liberò l’antica Dea della giustizia dalle catene dette “del
civile buonsenso e della ragion di Stato” e la condusse nella penisola triste
ed empia. Il Dio voleva il ritorno di popolazioni forti e audaci perché voleva
seguaci degni di lui.
Il suo spirito
dimenticato da troppe generazioni iniziò a risvegliare in molti una rabbia, non
proveniente dalla testa ma semmai dal basso ventre.
Fu così che nel
volgere di una mattinata, mentre gli addetti si sbarazzavano delle carcasse di
umani, cani, gatti e altre bestie decedute per le pestilenze scatenate dagli
attacchi con i virus e per la carenza di medicinali, tutta Bananìa si fermò; fu
una paralisi contagiosa, anzi uno sciopero, e nella notte divenne una
rivoluzione irreversibile, alla quale non partecipò un solo politico in disarmo o in carriera che fosse.
Il sistema
politico-criminale sparì e si disgregò nel giro di una settimana, lo Stato e le
Istituzioni da decenni cadaveriche impiegarono un pomeriggio soltanto.
L’intero potere
della criminalità organizzata, ormai privato di un consenso popolare e di una
giustificazione politica, sopravvisse solo pochi minuti alla fine del sistema che lo aveva generato. Il malvagio consorzio dei paesi sedicenti civili
stavolta aveva ben più gravi questioni e non riuscì, come era suo costume, ad aggredire
quelle genti sconsigliate per trarre profitto dal loro male e dal disordine
altrui, o a far da stampella alle diverse mafie e ai centri di potere
affaristico-criminali.
La Randocrazia fu resa possibile
dalla dissoluzione delle civiltà vicine
e dal venir meno delle forze interne e forestiere che sorreggevano il
regime di malcostume criminale e
criminogeno.
Quindi, forse
per la prima volta, la gente di Bananìa fece da sé e accoppati, con la
brutalità sadica di chi ha troppo subito, i passati leader e i loro seguaci più
compromessi non trovò di meglio che prendere atto del suo punto zero di partenza.
Inventarono
quindi con le risorse che avevano, alcune delle quali si erano salvate dalla
guerra, un nuovo sistema che chiamarono con un neologismo tutto loro
“Randocrazia”.
Con gli
strumenti informatici in possesso misero i posti di potere e di comando in
sorte del caso malaugurato, considerando che dopotutto la politica è questione
di posti, poltrone di seta e raso, titoli altisonanti ma perlopiù vani e fatui,
e strapuntini e seggiolini metaforici in comitati ad hoc e consigli
d’amministrazione per i meno malvagi e i poco raccomandati.
Forti delle
cattive esperienze del loro passato i bananiani passarono a considerare il
problema a partire dai posti da occupare.
Fu deciso di darli assolutamente a caso senza prendere in considerazione
cose errate e sconce come consenso, benpensanti, moralità privata dei
candidati, e meno che mai le elezioni più o meno democratiche che fossero.
Fu quindi il
sorteggio duro, puro e fino in fondo e non si fecero scrupolo i Bananiani di mettere fra i sorteggiabili
pure i carcerati e i militari di carriera.
Fu un clamoroso e inverecondo successo, e le cose pubbliche e quelle
private iniziarono ad andare molto meglio.
I saggi incaricati stabilirono che il caso evitava alcuni problemi della
democrazia: spezzava in primo luogo il rapporto fra l’eletto e i suoi
finanziatori e sostenitori fondamento questo di ogni sorta di manipolazioni
della legge e di travisamento dei delicati incarichi che costoro ricevevano
dalle urne il sorteggi liberava il sorteggiato dalla riconoscenza e dalla
condizione ricattatoria in cui si trovava l’eletto dopo le elezioni, il quale
per essere rieletto in qualche carica doveva rispondere del suo operato a
gruppi di potere palesi ed occulti nel totale disinteresse della cosa pubblica
e della gran massa dei cittadini.
Il sorteggiare
imponeva, proprio per la casualità del risultato, regole, vincoli e controlli,
questo faceva sì che il politico e l’uomo di potere fosse controllato e
giudicato da personaggi che non erano suoi pari e nel suo agire non poteva fare
appello a responsabilità di gruppo o di casta o peggio a indicibili complicità
e a giochi di ricatti incrociati.
Inoltre questo
creava curiose e non chieste novità: ergastolani tratti di galera per fare i
sottosegretari trovandosi a recitar una ben diversa parte in commedia si
rivelarono probi, giusti e disinteressati e pure assidui sul lavoro, scellerati
e tossici collocati nei consigli d‘amministrazione di municipalizzate e società
miste migliorarono meglio che in una comunità di recupero e i risultati del
loro operare furono superiori a quelli registrati dai consigli composti da avvocati,
esperti e famigli di potenti del precedente regime democratico. Addirittura qualche ex politico, categoria
spesso peggiore e solitamente inclusiva delle tre precedenti, libero finalmente
dai vincoli di partito e di gruppo agiva nel disinteresse suo e per aiutare la
popolazione tutta in così tribolato periodo.
Una regola che
proibiva il ricoprire l’incarico per due volte nella vita dell’equivalente di
parlamentare, ministro e presidente del consiglio e ancor di più di
sottosegretario e capo-commissione parlamentare si rivelò una mano santa che
guarì molti dalla prevaricazione e dall’ambizione; quindi rese migliore ciò che
può solo peggiorare in un sistema parlamentare affidato a fazioni e partiti
sempre pronti a tirare dalla loro parte il potere legislativo e l’esecutivo,
per tacere del giudiziario. La
randocrazia rese quindi i tapini e afflitti abitanti di bananìa, per quanto ciò
sia banale, uguali perché ognuno era eleggibile e potenzialmente destinato a
ricoprire cariche pubbliche in virtù del malaugurato o benigno caso.
Vennero meno
quindi la preparazione di una carriera, il ruolo dei protettori e dei
finanziatori e le bande di seguagi e parassiti che di solito per loro esclusivo
tornaconto prestano interessata fedeltà
ai politici in carriera o alle ricche mance elargite dalle agenzie di
spionaggio dei paesi stranieri. Il
tempo di Marte iniziò a declinare, gli dei oscuri che tormentavano le
anime e aumentavano in ricchezza e
potenza grazie al numero di dannati che precipitavano nel regno delle ombre
erano un potere che oscurava le glorie di tutti gli Dei guerrieri. Milioni di
morti per volta, innumerevoli masse di tormentati, di pazzi, di disperarti erano
la grande ricchezza degli Dei infernali, con una sola moneta per morto, matto,
disperato avevano creato una grande ricchezza. Avevano perfino il problema di
gestire la loro ricchezza e il loro potere su una tale masse di morti e di
schiavi sottomessi alla loro volontà. Una simile carneficina era roba da
inferno del Dio Unico non da Dei pagani che quando aprivano le porte del
Tartaro e dell’Erebo al più accoglievano trentamila ombre per volta. Mille diavoli furono incaricati di contare
gli oboli versati per i defunti e per coloro che resi folli o malati si
raccomandavano ai signori dell’oscurità, ma le misere creature non riuscivano a
tener il conto. Troppo lavoro! Un mondo intero era morto e uno nuovo sorgeva
per servire gli Dei Antichi. Grande fu lo sconforto dei risorti Dei Antichi le
grandi masse dei consumatori trapassati avevano distrutto, con il loro
trapasso, i poteri forti, non c’era più aristocrazia di casta e del denaro, si
erano dissolti i ceti privilegiati, ed i poteri dispotici sui quali far leva per
ricostruire la pace e l’ordine erano spariti. Erano rimasti loro, rovine,
disperazione e un mondo da far rifiorire per mezzo di quanti si erano salvati
dalla catastrofe bellicista; nel disastro si erano di nuovo impadroniti della
dispersa umanità. Come è noto gli Dei si dividono in Dei Celesti o antichi, Dei
Oscuri di rango inferiore ai celesti, e poi messaggeri, demoni e diavoli ovvero
servitori di basso lignaggio delle due categorie; c’è chi semplifica tutto
questo ordine di cose chiamandoli in blocco alieni. Comunque questa gerarchia
non umana era votata a ricostruire l’umanità e la vita sul disgraziato pianeta
azzurro.
La guerra fu inizio fine e nuovo
cammino per l’umanità confusa e per i Bananìani.
In effetti il
sistema era complessivo, le masse consumavano tanto e male e consumavano beni e
servizi legali esattamente come quelli illegali, i criminali prosperavano;
inoltre i ricchi e i potenti, all’ombra di istituzioni politiche ridicole e di
reali poteri finanziari e criminali, potevano organizzare e compiere di tutto. Finite
le masse era finito il potere che esse generavano; di conseguenza coloro che
avevano lanciato i terribili ordigni che avevano bruciato intere città a
temperature inaudite, o distrutto popoli interi con sostanze chimiche e
radioattive di straordinaria potenza si erano annientati con le loro mani.
Come tutte le
cose umane e divine la guerra doveva finire, e iniziò a spengersi per un bieco
istinto di sopravvivere alla propria razionale natura di esseri scellerati, violenti
e avidi.
Coloro che erano
dalle ombre della fortuna ascesi alla luce del potere trovarono una buona
occasione per essere felici, ora con poco si era potenti e temuti, e dopo
qualche difficile anno di lotte e scontri cominciò a formarsi una nuova casta
di privilegiati che subentrò alla precedente che venne macellata e dispersa
durante i primi anni del conflitto. Per
certi aspetti questi nuovi potenti erano ancor più transnazionali e cosmopoliti
dei precedenti signori del mondo, in verità più per disperazione che per
convinzione si erano trovati in questa condizione di privilegio.
Volendo essi
staccarsi dal recente passato colsero al volo il fatto che al declino di Marte
sovviene sempre il regno di Venere, anche perché l’umanità inquieta dovrà pur
ricostituire il suo popolamento sulla superficie della terra e ragionare di
ricostruire quel mondo di cose e affetti disintegrato. Quindi il tempo della pace, intesa come è
giusto che sia come preparazione a nuove guerre e ricostituzione del materiale
umano per nuovi orizzonti di gloria, prese ancora una volta forma.
Il dio che
iniziò ad influenzare gli uomini con la decadenza di Marte fu Apollo il quale
da buon Dio devoto alle cose precise e ordinate comandò che venisse fatto
ordine e che, risolte le questioni più gravi, e fra queste lo sciagurato popolo
di Bananìa venisse ricondotto a più miti consigli. Non si può dare esempi
troppo positivi all’umanità inquieta, sentenziò il Dio di Socrate.
Quindi seguendo
il Dio e il nuovo tempo dell’amore i
nuovi potenti si circondarono di servi e tutori armati del loro nuovo ordine
costituito e si volsero a consolidare il loro potere, i loro beni, i loro interessi,
a far fuori i soliti illusi, a dare una nuova possibilità di vita a delatori,
parassiti, personaggi dello spettacolo, faccendieri, procuratori, e gente del
mondo dello sfruttamento della prostituzione.
Sistemare alla
meglio le cose loro, essi presero a considerare le vicende del popolo di Bananìa,
cattivo esempio essi dissero: si era salvato dal terzo grande inutile macello
per spartire il mondo, come è arcinoto le altre specie di viventi sono o troppo
stupide o troppo intelligenti per fare loro la
spartizione del mondo, vivevano meglio di tanta parte dell’umanità,
ringraziavano ancora il Dio Unico per averli risparmiati e per aver dato loro
la forza di liquidare fisicamente ed economicamente quella gente riprovevole
che di mestiere ha scelto di comandare gli altri e, addirittura, vivevano molto
bene per i parametri consueti pareva proprio che la vita media fosse addirittura di
cinquant’anni contro i quaranta scarsi- scarsi dei paesi più potenti e felici.
Venne quindi
stabilito di riunirsi fra i potenti
della terra, di metter fine alle liti, e di considerare le cose di bananìa;
quindi con discrezione ma con molta decisione fecero pervenire ai Bananiani un
vero ultimatum. Esso era un po’
sgrammaticato perché non erano rimasti vivi molti diplomatici dopo i primi
trenta minuti di deflagrazioni nucleari tattiche e delle nuove superarmi a
energia diretta. Questa volta non c’era da minacciare un governo o un capobanda
ma una nazione intera, ossia la popolazione tutta; era una Randocrazia
dopotutto.
Invano sperò il
Dio rosso che nell’ultimo giro della ruota della fortuna l’abisso di Plutone e degli Dei
oscuri s’aprisse ancora una volta, che
le genti si sterminassero di nuovo per sete di saccheggio e per il gusto di
uccidere. Ben altro fu tessuto col filo
del destino, e non vi fu un altro eroico macello per la conquista del nulla.
Pur
rammaricandosi per l’ingiustizia che veniva fatta loro, le genti di Bananìa
avevano l’enorme fortuna di avere dei capi casuali e quindi disinteressati:
ergo potevano anche prendere in considerazione l’idea di perdere il loro
personale potere per favorire la collettività.
Tenendo fermo il
fatto che mai si sarebbero rimessi in mano a una Repubblica irresponsabile o a
qualche altra forma di invereconda e temibile e oltretutto finta Democrazia,
stabilirono che si poteva placare lo sdegno di questi potenti accordando loro delle forme di modifica della
struttura politica che non snaturassero i principi e i benefici effetti di
quanto avevano istituito.
Scelsero il più
ambizioso e magnifico dei nuovi padroni e gli offrirono di regnare su Bananìa
con una sua dinastia a patto che per sua maggior gloria e potenza conservasse
quanto di meglio il regime Randocratico aveva prodotto.
Fu così che fra
lo sconcerto di tutti e con la benevolenza di Bacco, Dio sempre propizio alle
genti di Bananìa, ebbe luogo la Monarchia Aleatoria. Uno stato monarchico
temperato e moderato dalla casualità dei ministri e dei funzionari tratti a
sorte prese forma; e del resto Dei e uomini erano stati esauditi il regime
politico era mutato e un sire aveva il suo trono e la penisola e tutto il
potere politico nel suo scettro e nella sua corona, Il monarca, per dirla in breve, consumava molto meno dei vecchi
parlamenti democratici, era molto meno osceno, avventuriero e scandaloso dei vecchi politici che avevano
portato alla rovina l’umanità, era più affidabile nella gestione della cassa
dello Stato e di quella sua personale e
si rimetteva alle cose del potere sostanzialmente per fingere di far qualcosa
lasciandosi il diritto di punire qualche temerario o qualche testa calda o di
seguire il popolo minuto nelle sue richieste, perlopiù poco ragionevoli e anche
irresponsabili. Gli Dei visti esauditi i loro desideri benedirono la nuova
istituzione e tutte le genti di Bananìa
concedendo loro benevolenza, prosperità, antichi saperi, benefici fisici e
mentali dovuti alla loro grande scienza segreta che presso gli umani è chiamata
manipolazione genetica.
Fu così che il
nuovo regno ebbe ministri ora eccellenti ora pessimi, ma sempre disinteressati;
e comunque rappresentativi della popolazione e di ogni ceto sociale, il sire
ebbe il suo regno da megalomane, il quale era ancora integro in molte sue parti
e ebbe in sorte di essere abbastanza al riparo da congiure e intrighi, data la
natura del suo potere e delle istituzioni.
Così andarono le
cose e il popolo ebbe quel poco di felicità e prosperità che la specie umana
può concedere a se stessa.
Poi per una
serie di fattori qualche generazione dopo il numero degli umani tornò sopra i
due miliardi e si riformò in nuove forme la società di massa e con essa i
consumi, la rappresentanza democratica, i cartelli industriali, il sistema
della comunicazione e come è giusto altre guerre totali, altre armi di
distruzioni di massa e nuovi equilibri
del terrore.
Bananìa tornò
allora Repubblica, immemore del grande male subito e del bene che ebbe dalla
monarchia e dalla pace.
Dedicato
al Dottor Sandro Nappini
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