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20 luglio 2013
Diario Precario Dal 14/6 al 18/6/2013
Data.
Dal 14/6/2013 al 18/6/2013
Note.
Scrutinio
alle 8.00.
Fine.
Davvero
la fine di questo periodo d’insegnamento
Secondo
rito: restituzione dei registri personali.
Poi
considerazioni personali sull’anno scolastico che tengo per me.
Delle
due quinte quattro non ammessi in una, e due di questi miei allievi alle
lezioni alternative, e nell’altra tre non ammessi.
Il numero dei non ammessi mi disturba.
Considerazioni.
La
mia disposizione d’animo è tale che ho avuto un cattivo sogno la notte del 17 e
sdoppiato perfino.
Ossia
ho sognato male, mi sono svegliato, mi sono riaddormentato e di nuovo un
cattivo sogno.
Ne
deduco che il mio inconscio ha qualcosa d’inquieto.
Una
stagione di lavoro è finita. Un nuovo anno di lavoro si prospetta.
Così
va nel sistema del precariato si passa da un anno scolastico all’altro spesso
senza continuità.
Osservazioni
Quando le lezioni cessano si chiude un ciclo
iniziato nel momento in cui metti piede in aula. Se hai il contratto da
precario non hai garanzia di continuità e devi farti una ragione della
scissione fra la natura intima del tuo lavoro e il senso del tuo contratto. Ho
fatto due sogni che indicavano in modo brutale la cessazione del ruolo che
avevo. Uno era una specie di cartone animato sulla presa di una fortezza una
roba da pirateria del settecento, dove un tesoro grande non veniva né conteso
né bramato dai conquistatori intenzionati a far chissà che cosa. L’altro invece
mi trovavo a far lezione ed erano spariti gli strumenti della lezione, perfino
al lavagna, gli studenti dell’ultimo anno non mi davano retta e alla fine
interrogavo me stesso e poi spariva tutto. I due sogni li ho interpretati come
l’evidenza della cessazione dell’esperienza lavorativa. Il tesoro che lasciava
indifferente era probabilmente quel che avevo cercato di comunicare e
d’insegnare, e la lezione inutile era la percezione onirica dei limiti del mio
lavoro. Così ho interpretato i due sogni, ho cercato di dare un senso a quanto
mi comunicava l’aspetto onirico della mia esistenza, credo che cominci a pesare
sulla mia coscienza questa condizione di precariato nella scuola pubblica che
si protrae da otto anni nella quale ogni anno la mia esperienza lavorativa
viene rimessa in discussione senza nessuna continuità se non casuale. Non mi sento
valorizzato dal sistema, c’è poco da fare così stanno le cose.
Poi
c’è la grande questione del tempo dell’essere umano che è relativamente breve,
quindi tempo che va e non torna. Per questo il tempo di lavoro assume una certa
importanza perché finisce con l’esser una parte della propria vita, si lega
alla tua identità personale e alla vicenda umana che porti avanti con il tuo
esserci in questo mondo e in questo tempo. Quindi la restituzione delle chiavi
del cassetto e, dopo gli scrutini, dei registri segnano la cessazione di quella
esperienza che compone una parte del tempo e della vita; e nello specifico del mio tempo e della mia vita. In effetti quando si è dentro
il lavoro non si visualizza come esso sia parte del flusso d’esperienze che
formano un pezzo della propria personale vita, eppure proprio la natura del mio
lavoro dovrebbe indicarmi l’importanza del pensare quanto faccio nel corso dell’anno
scolastico come parte di un percorso unico. Comunque sia su quest’anno
scolastico fatto l’ultimo scrutinio e consegnato i registri cala la parola
fine, ci potrebbe essere una riconvocazione a settembre per la commissione
giudicante gli esami di riparazione, comunque sia è andata.
Ora
ho bisogno di riposare e di lasciar che la mia mente s’abitui alla cessazione
di questo quotidiano rapporto di lavoro e sia pronta a un nuovo incarico fra
circa tre mesi. Vita e lavoro a mio avviso sono strettamente connessi in questo tempo, per
questo, in generale, il lavoro dovrebbe esser qualcosa di più e di diverso da
una serie di aridi rapporti mercantili, di dati numerici, di “produttività”. Il
lavoro potrebbe esser una parte della costruzione del senso della propria
esistenza qui e ora.
Ma capisco che è chiedere troppo di questi
tempi, la completa realizzazione di se stessi nel proprio tempo stride con le
difficoltà del momento, il qui e ora punisce le aspirazioni senza fondamento.
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4 luglio 2013
Diario Precario Dal 7/6 al 8/6/2013
Data.
Dal 7/6/2013 al 8/6/2013
Note.
Lezioni
mancano meno due, meno uno…
Fine
lezioni per Nappini
Mini-rito
della restituzione delle chiavi del cassetto.
Ultima
ora di lezione: reazioni opposte da parte degli allievi chi si dimostra riconoscente,
chi quasi infastidito.
Va
bene così. Sta nel divenire delle cose.
Prima
riunione della commissione a tre su una proposta per l’ora alternativa da
presentare a settembre
Sabato
notte scrittura via internet di voti e giudizi
Considerazioni.
Il
rito della riconsegna delle chiavi è
stato un lampo, una breve formalità. Meglio così.
Le
mie lezioni cessano, per motivi d’orario, quest’anno prima dell’ultimo giorno
di lezione, di solito l’ultimo giorno è difficile da gestire. In effetti scavando
nei ricordi mi è capitato proprio d’assistere a una sorta di primordiale e
infantile scatenamento, l’energia con cui escono dalla scuola l’ultimo giorno
non è paragonabile a niente di simile durante l’anno scolastico. Talvolta i
presidi mandano circolari apposite perché gli studenti cercano di forzar la
mano sulla disciplina e di non far nulla; e poi fuori dalla scuola, di solito,
si vedono gavettoni e lanci di uova. Talvolta qualche passante s’arrabbia, specie
se la scuola è nel centro di una città. Questo
stavolta non mi riguarda. Finisco il giorno prima.
La
scuola è finita e ora c’è lo scrutinio
finale che inizia con la messa online sul sistema Argo delle votazioni e dei
giudizi.
Io
preferisco lavorare di notte, dopo aver riletto più volte il registro personale
e segnato quel che devo inserire. Nella mia zona dopo le 23 comincia a scendere
un silenzio rotto solo da qualche auto e camion che supera i limiti di velocità
o strombazza in piena notte, da qualche urlo, da qualcuno che sbatte porte e
portiere. Così con la finestra aperta mi metto al computer e lavoro per il
giudizio, quello conclusivo. Il silenzio della periferia quando si riesce a
percepirlo è una fotografia del proprio mondo interiore, è come vedersi
riflessi nell’acqua scura. Il lavoro diventa dialogo con se stessi e ripercorri
cosa hai fatto, cosa credevi di fare, quali risultati hai raggiunto, voti e
giudizi ti forzano a dare l’estrema sintesi al lavoro che è anche un pezzo di
vita e di memoria. La periferia di notte è un silenzio rumoroso e quindi ti lascia solo
con i tuoi ricordi e i tuoi pensieri.
C’è
qualcosa d’artigianale, di medioevale nel lavoro del docente, proprio perché è
in uso la registrazione informatica emerge con forza la necessità di far
entrare in formule e numeri quel che si è fatto. Più si usano cifre e frasi
fatte o griglie più emerge che qualcosa sfugge sempre al dato numerico. Il
docente ha a che fare con l’irriducibile singolarità dell’esser umano e non è
facile inquadrare il singolo e la sua vicenda dentro una griglia di valutazione
che pensa in termini generali e collettivi.
Dal
momento che l’insegnamento impartito darà i suoi frutti nel corso della vita
del singolo, se di un serio insegnamento si tratta, è facile osservare che c’è
qualcosa di profetico, di destinato al dopo e al domani nel lavoro del docente.
Osservazioni
Spesso
mi sembra d’essere un profeta che predica alle rocce.
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17 giugno 2013
Diario Precario Dal 30/5 al 2/6/2013
Data.
Dal 30/5/2013 al 2/6/2013
Note.
Lezioni
mancano meno cinque ormai.
Ora
la prospettiva è lo scrutinio e fare le medie.
Domenica
faccio il presentatore del Judo club alla festa dello sport di Sesto
Sabato
e domenica fuori a cena.
Considerazioni.
La
mia testa pensante va alla fase degli scrutini.
Ho
le ultime ore per decidere, interrogare, calcolare le assenze, fare le somme e
le sottrazioni del caso.
Mi
sono messo nell’aula vuota di fisica con un righello in mano e la matita per far
il punto sulle assenze, in quel momento l’insegnate sembrava un contabile dell’ottocento,
poi i risultati finiranno sul sistema di registrazione elettronica della
scuola. In quel momento come ero sospeso
fra l’ottocentesco registro di carta e il XXI secolo digitale.
Lo
scrutinio finale è il momento dove è necessaria maggior precisione, dove lo
strumento dell’Ottocento incontra il XXI secolo dove il dato numerico
registrato su carta dovrà diventare digitale.
Sbagliare
vuol dire prestar il destro a un ricorso di eventuali bocciati o delle loro
famiglie.
Lo
scrutinio non è iniziato e già sono al punto di pensare ad esso, mi proietto
già verso la fine prima che arrivi la parola stop.
Sono
giorni piuttosto intensi.
L’Italia
intanto mi par sempre più triste. La cronaca continua ad essere pessima,
notizie di delinquenza, cronaca politica fusa con la giudiziaria, confusione,
incapacità di affidarsi a voci credibili o autorevoli, venti di guerra nel
Mediterraneo, troppe storie di povertà e disoccupazione.
La
manifestazione sportiva a Sesto con l’occasione dell’anniversario della
Repubblica è andata bene, con dei volenterosi e con i maestri si è portato il
materiale, allestita la postazione, fatta l’esibizione e ho presentato la
palestra. La giornata di sole era bella, temperatura ottima, c’erano nel parco
le più importanti realtà sportive del territorio di Sesto Fiorentino. La folla di curiosi e amatori del parco di
quest’anno rispecchia una popolazione del Belpaese molto variata con una
percentuale crescente di popolazione proveniente dai quattro angoli del
pianeta, l’Italia da questo punto di vista come prima impressione si presenta sempre di più come
una sorta di Stati Uniti in miniatura, o se si vuole come una caricatura degli
USA.
C’è
una sorta d’Italia sospesa fra passato ingombrante, un presente estremamente
provvisorio e un futuro imprevedibile.
Da
tempo credo che questi ultimi due decenni nei quali mi trovo a vivere qui in
Italia siano una sospensione, una lunghissima
pausa in attesa che ben altre potenze
impegnate in lotte titaniche definiscano
il futuro dell’Europa e di gran parte della razza umana e delle risorse del
pianeta.
Occorre
precisare che le risorse sono abbondanti ma finite.
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3 giugno 2013
Diario Precario Dal 24/5 al 29/5/2013
Data.
Dal 24/5/2013 al 29/5/2013
Note.
Lezioni
quasi finite, quindi vicina la chiusura del rapporto di lavoro.
Conto
i giorni, conto alla rovescia per la fine delle attività scolastiche.
Subito
furto dei tergicristalli.
Tempo
variabile.
Notizie:
netta flessione del Movimento di Grillo alle Comunali e peggiora la guerra
siriana.
Considerazioni.
Ho
subito un furto, mi han smaterializzato i tergicristalli, 36 euro di danni. Meno
male che non avevo urgenza d’usarli altrimenti un furto lieve poteva
trasformarsi in un qualche tipo d’incidente. Fatta segnalazione alla polizia.
In effetti nella mia zona capita talvolta qualche episodio di piccola
delinquenza come: furto di gomme, di benzina, aggressioni, rumori molesti di
notte, perfino furto di gomme d’auto. Il fastidio e il senso d’essere
vulnerabile è più grave del danno nel mio caso. In effetti un mascalzone così
come può rubare i tergicristalli o rapinare della benzina col sistema dei tubi
può far di peggio. Come alcuni anni fa quando ci furono diversi episodi
d’incendio ad opera di uno o più piromani. Vulnerabile. Ecco la sensazione che
mi prende. Posso esser colpito con grande facilità. Reagire è difficile. Come
si fa. Proprio le abitudini e i ritmi di vita forzano ad esser ripetitivi e quindi
facile bersaglio dei malintenzionati. Quest’anno son forzato a riconoscere i
miei limiti ossia considerare quanto son vulnerabile, infatti è facile colpire
un tipo che ha un lavoro di fatto precario, che ha orari fissi, disposizioni,
tre o quattro attività sociali. Sono stanco. C’è in me un malessere che deriva
dalla condizione di precarietà troppo a lungo protratta e dall’ossessione per
il denaro coltivata da grandi masse della popolazione che squalifica qualsiasi
attività umana che non produca rapidamente
profitto in denaro. Il parere dei molti pesa e può schiacciare quando
diventa una sorta di spirito dei proprio tempo. Mi sento come se fossi incapace
di attaccare chi si muove contro di me, purtroppo l’avversario non ha né nome né
volto; si tratta della mia condizione di
precariato che provoca una sensazione di debolezza, inadeguatezza, infelicità.
Di per sé la cosa è comune e dovrebbe esser l’incentivo psicologico a darsi da
fare, in realtà porta spesso a un malessere persistente e diffuso. Da quando il
precariato si è unito alla globalizzazione voluta e imposta dalla finanza
inglese e statunitense all’Europa e al mondo il male di vivere è aumentato e la
piccola borghesia italiana si è impoverita nel giro di un paio di decenni. Mi sono visto come uno che è debole, uno dei
tanti che non riesce a trovare il punto per colpire il nemico, l’oggetto che deve
esser rimosso, il bersaglio. Quindi essendo debole la mia percezione è di esser
potenziale vittima, potenziale oggetto di prepotenza o violenza altrui, in
questo caso l’occasione per questa considerazione è stata un piccolo furto. Chi
ha fatto il furto è sparito e non so chi possa essere, probabilmente resterà
ignoto. Il problema tremendo del declino italiano è che la persona comune non
riesce a capire da che parte arriva l’aggressione, da dove comincia il processo
che porta allo smantellamento di interi pezzi del Belpaese e di dissoluzione di
cose che riteneva certe e sicure. In questo non vedere e non sentire il nemico
è causa di un crollo dell’autostima, è come combattere contro l’aria o l’acqua del
mare. I fatti prendono la forma del furto, pezzi d’esistenza, cose date per
certe spariscono, e rimangono solo cause apparenti o mezze verità o congetture
su cosa sia davvero successo o cosa possa esser davvero accaduto. Le piccole
storie di tanta gente comune sono mosse da fili invisibili, da grandi eventi
finanziari e da guerre vere o anche solo politiche che avvengono lontano spesso
oltre il confini nazionali, ma qui nel Belpaese si vedono solo le ombre e spesso
solo gli effetti. In questo non sapere rimane al singolo il Italia resta difficile
il dovere della ricerca, il trovare una risposta non banale e non cretina fra
una scadenza sul lavoro e una cosa urgente da fare; l’urgente impedisce di
pensare, toglie capacità di trovare quelle risposte spesso lontane e perfino
oscure che sono dietro il declinare di gruppi sociali e lo spegnersi lento di
un a vecchia Italia.
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24 maggio 2013
Diario Precario Dal 17/5 al 23/5/2013
Data.
Dal 17/5/2013 al 23/5/2013
Note.
Lezioni
regolari, qualche prova scritta.
Conto
i giorni.
Contare
mi spinge a pensare sul tempo e sul tempo che è finito.
Tempo
variabile, qualche dolore fisico.
Notizie
bruttissime sulla stampa: povertà, suicidi, violenza, omicidi
Considerazioni.
Mi
prende male. Da mesi ormai quando leggo il giornale scopro fatti di sangue o
suicidi legati al disagio psichico o alla miseria o tutte e due le cose, e questo in Italia non in
qualche luogo oscuro dell’Asia.
I
suicidi poi sono spaventosi. Un italiano che si suicida non ha neppure il
conforto della propria cultura tradizionale o della religione dei padri e dei
nonni. Il suicidio dell’Italiano è un gesto di disperazione assoluta, e avviene
tragicamente spesso dandosi fuoco o creando le condizioni per sfracellarsi da
qualche parte. Non è il suicidio dei senatori della Roma dei Cesari o dei
filosofi di qualche perduta dottrina, si
tratta di distruggere se stessi e il
proprio mondo, è azione negatrice, dichiarazione di odio insanabile verso questo
presente, impossibilità manifesta di vivere dentro storie e regole sentite come
mostruose, aggressive, persecutorie. Ma cosa è successo al Belpaese che mi
scuote, da anni è irriconoscibile; certo non è mai stato un giardino di rose ma
quel che accade oggi è clamoroso. Questo dato rende ancora più amara la
riflessione sulla mia adolescenza quando mi son illuso che la cultura e
l’attivismo politico o qualche forma di volontariato potesse cambiare qualcosa
in meglio. I fatti del quotidiano sono tutti contro di me. Questo errore era
frutto di una qualche forma di millenarismo inconsapevole che mi accompagna da
decenni e dalla cultura politica di allora mediata dai giornali, dai presunti
intellettuali e dalle televisioni. C’è un modo per misurare grossolanamente
quanto mi sono sbagliato ed è la mia reazione davanti a storie tragiche di
suicidi per povertà, di gente che uccide la madre anziana perché non può
mantenerla, di padri che sparano ai figli e poi s’ammazzano perché travolti dai
debiti, di adolescenti e persone ritenute normali che si danno alla devianza. Ad
esempio oggi 23 maggio leggo sul “Corriere della Sera” a pag. 21 un trafiletto
su un tale disoccupato e privo di mezzi che ha ucciso la madre vecchia e
inferma e poi si è consegnato ai carabinieri, ha dichiarato d’aver compiuto il
delitto perché non poteva più assisterla ed era disperato. Quando la cronaca è
questa e non sono più fatti isolati, slegati fra loro ma inseriti in un
contesto di grande disagio è evidente la dimensione catastrofica delle mie
illusioni adolescenziali. Quando l’impressione negativa quotidiana per me è aggravata dal fatto che
non avevo nella mia adolescenza allora una connotazione politica estrema o come
si dice eversiva. Un eversore, uno che è sempre e comunque contro il sistema ha
meno difficoltà sul piano psicologico davanti a una simile cronaca. Il mondo
degli altri per l’estremista di destra o di sinistra è funestato da forze
infernali a cui dà nomi diversi: capitalismo, mondialismo, banche, illuminati, comunisti,
fascisti, servizi segreti, congiura sionista e chi più ne ha ne metta. In
questa visione minoritaria della realtà il mondo di tutti è impregnato di male
e la purificazione una necessità consegnata al futuro. Quindi la riforma a
partire da forze interne o il progresso lento e necessario del sistema in nome
di una comune civiltà sono da escludere; il male è tale da non poter credere
nel sistema e in chi ci vive dentro. Quindi l’estremista vive come straniero in
un mondo che sente ostile, estraneo, irrecuperabile alla civiltà o alla società
giusta che arriverà prima o poi. Non ha
illusioni o belle speranze. Io che ho coltivato in gioventù una sorta di speranza
civile mi son dovuto ricredere e ho dovuto osservare la pesante ingenuità che
avevo dentro di me. Forse avevo in testa troppi esempi virtuosi, invece se
avessi meditato con maggior attenzione le molte figure di umani delinquenti e
squallidi che la televisione mostrava nei film polizieschi o nelle commedie avrei
capito l’impossibilità di riformare in modo pacifico e civile il Belpaese in
tempi ragionevoli e non biblici. Oggi che devo contare le ore e i giorni per
arrivar bene alla fine del servizio, in quanto precario, peso di riflesso il
tempo andato e son forzato a giudicare come infantili e ingenue certe illusioni
che erano al fondo di molti mie scelte adolescenziali. Oggi sono amare ma senza
passione, perché gli anni passati hanno sfocato la forza di quei sentimenti e
di quei pensieri e riesco così a incasellarli in qualcosa che era e ora non è
più, una vicenda di storia personale. Nulla di più.
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