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19 ottobre 2009
Per un futuro possibile
La valigia
dei sogni e delle illusioni
Per un futuro possibile
Il Belpaese
dovrà in un lontano futuro determinare i confini di una sua propria civiltà.
Nei fatti le difforme genti della Penisola non
costituiscono una civiltà oggi come oggi perché non esistono dei valori comuni
condivisi, prevale nella difforme popolazione del Belpaese o spirito di parte,
l’adesione a gruppi politici o d’interesse spesso coincidenti con vicende
private del singolo o familiari.
Noto anche
che, a dispetto delle apparenze, la capacità di dividersi, di querelarsi
attraverso gli avvocati e di far volare parole grosse non corrisponde presso le
genti del Belpaese a un vero fanatismo, a quell’odio netto e puro che è
l’ingrediente delle guerre di religione e dei grandi conflitti ideologici. Sì
certo ci sono stati conflitti ideologici in Italia specie fra comunisti e
democristiani e i loro alleati ma a ben vedere son cose del passato e dietro
c’erano i poteri stranieri attivi in Italia nel periodo della guerra fredda e i
conflitti sociali interni fra classi sociali che le opposte ideologie
mascheravano appena. Per i leader nazionali e i loro partiti di riferimento
oggi si fa il tifo, tifo da stadio. Questo non è però indice di una fedeltà
sincera, di un essere parte di qualcosa che è vita e biografia delle persone,
come poteva benissimo capitare alle origini della Repubblica quando il Mario
Rossi di turno prendeva la tessera di un partito o sceglieva di militare in
qualche formazione politica. Leggo questa condizione come l’ennesima riprova
che oggi l’Italia è caduta in uno stato di decomposizione della vita morale e
civile. Comunque inutile pensarci troppo, prima o poi questo dolore cesserà e
questo tempo funesto della Seconda Repubblica tramonterà nel remoto passato
senza aver nulla di nobile o glorioso, chi verrà dopo di noi probabilmente
escluderà questi anni dalla storia Patria trattandoli come qualcosa di strano e
pazzo, come un momento che della storia delle genti della Penisola nel quale
qualcosa di profondo e di sano si è spezzato e dopo si è dovuto ricostruire,
rigenerare far rinascere.
Quale
potrebbe essere il futuro dopo questo tempo funesto?
L’Italia ha
sempre avuto qualcosa di metafisico nel suo manifestarsi, per i patrioti del
Risorgimento era una sorta di nuova Roma antica che risorgeva, Per gli Italiani
della Grande Guerra era l’entità che chiedeva il sacrificio umano di intere
generazioni di maschi adulti, per il Fascismo la promessa imperiale di un
dominio su un pezzo del pianeta azzurro. Questo far discendere l’Italia da
realtà metafisiche si è rivelato disastroso, era sottinteso in
quest’atteggiamento una volontà
d’ignorare o di mettere fra parentesi il dato reale e concreto. L’Italia che
sarà deve nascere dal dato brutale e concreto, da una sorta di attaccamento
alla terra e solo ad essa, dalla constatazione di tante parti disperse e diverse che devono trovare valori comuni e
ragioni di star assieme. L’elemento più forte è quella cosa elementare che è
l’essere parte di una realtà politica e territoriale; lo straniero identifica
come italiano l’abitante della penisola, quale che siano le sue origini, questo
discrimine fra loro e noi sarà molto probabilmente la prima pietra di una
costruenda civiltà italiana. Dal bollo di diversità imposto dai forestieri può
nascere una prima ragione d’identità che somma le comunità straniere di nuova
emigrazione e quelle che in Italia
vivono da secoli o da due o tre millenni.
.IANA per
FuturoIeri
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28 aprile 2009
Controllare tutto, controllare un bel nulla!
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Controllare tutto, controllare un bel
nulla!
Questa nuova mania del controllo, del
vigilare intasando le città nostrane di telecamere, di poliziotti privati
antitaccheggio, di ronde più o meno politicizzate rivela una paura di fondo del
potere politico e dei ceti dominanti che legano le loro fortune materiali e
patrimoniali al sistema di potere ad oggi vigente. Controllare, reprime,
investigare, dominare su un territorio sempre meno controllato, in mutazione
continua, in perenne stato d’alterazione. Tutto cambia, il potere economico e
politico dovrebbe accettare il fatto di dover cambiare uomini, mezzi e riti. Di dover costruire i suoi poteri e i suoi
valori da contrapporre a quelli dominanti che sono pubblicitari e finanziari. Il
potere politico ha esaurito da tempo la sua capacità di dominio sulle persone
per mezzo delle suggestioni ideologiche, le grandi narrazioni sui massimi
sistemi e i grandi destini si sono lentamente dissolte. Alla dissoluzione del
suo futuro si è sostituito un generico senso di fedeltà ai modelli pubblicitari
e di senso comune dominanti, I ceti sociali che vivono di politica hanno
sostituito la grande filosofia e l’economia politica con i consigli per gli
acquisti e con le campagne pubblicitarie organizzate e portate avanti da
esperti al soldo. Non ci vuole molto per capire che i mezzi della pubblicità
commerciale hanno finito per dominare l’immagine della politica, il mezzo è
diventato il fine; della politica i molti vedono l’aspetto della propaganda
commerciale, i manifesti, gli slogan, le frasi fatte, i discorsi fatti per i
giornalisti della televisione che si risolvono fra i venti e i trenta secondi
di trasmissione televisiva. Se poi
osserviamo l’aspetto critico verso la società e il sistema vigente di
produzione e consumo si osserva che l’aspetto critico oggi ricade su soggetti
eccentrici, comici, giornalisti atipici
e artisti; ossia la riflessione sul presente è affidata a soggetti
marginali e non deputati a far questo. E’ un fatto che Caparezza ha
recentemente fatto uno spettacolo di grande richiamo nel quale prende in giro
ferocemente: le Grandi Opere, i VIP, la politica, la criminalità organizzata ,
e molto altro ancora. Caparezza è un cantautore di successo che mischia
sonorità rap alla tradizione musicale pugliese e classica. In un paese normale
personaggi come lui non dovrebbero essere centrali nella critica del sistema ,
eppure...
La
politica sta scappando dalle sue responsabilità, in pratica interi ceti sociali
vivono di essa e sopra essa e non hanno idea della sua intima essenza. La
politica degli ultimi quindici anni di Seconda Repubblica è una gestione a
mezzadria con i poteri finanziari e criminali da parte di mediatori sociali,
più o meno abili, che gestiscono, più o meno rozzamente, il consenso politico di
quelle masse di cittadini che riescono a raggiungere. Il controllo del
territorio che ritorno ossessivo nel discorso politico lo percepisco da una
parte come volontà di cavalcare le paure del signor Mario Rossi, dall’altro
nell’incapacità dei poteri politici di vedere la realtà del Belpaese con gli
occhi e le prospettive dei cittadini che non sono parte di minoranze al potere.
Inoltre nessuno mi ha spiegato come integrare, o convivere, con i milioni di
nuovi “ italiani” che catapultati da noi da tutti e cinque i continenti qui
vivono, mettono famiglia e, secondo logica, non vogliono più andarsene.
IANA per FuturoIeri
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25 aprile 2009
Ma la politica?
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Ma la politica?
Quelle grandi questioni, quelle domande
fondamentali che agli inizi della Prima Repubblica erano parte della cultura
politica e della vita sono di fatto un terreno affrontato da chi vive di satira, d’arte, di musica. Mi
riferisco alla critica della vita quotidiana, sociale e politica che traspare
dalle opere di Caparezza, dall’impegno politico di Beppe Grillo, dalle vignette
di Vauro, dalle imitazioni di Sabina Guzzanti. L’opposizione dura e graffiante,
dissacrante e tenace sembra ormai il terreno di artisti a metà strada fra
l’apparizione televisiva e l’impegno politico, ammirati e stimati da un
pubblico loro di fedelissimi. Ma la politica, quella per la quale i cittadini
di questa Repubblica pagano cifre enormi dove è finita? Non è forse compito del
potere politico entrare in relazione con i problemi del quotidiano, osservare
la montagna del potere dal basso e dall’alto per capire gli elementi di
rottura, i pericoli, i percorsi difficili; comprendere quanto un sistema
rischia di essere travolto dal discredito, dal disprezzo, dalla diffidenza, dai
nemici che si moltiplicano e dalla diserzione di alleati e sodali. Eppure se si
mettono assieme le sole opere recenti di questi artisti, e non ci sono solo
loro, emerge un Belpaese che non è in grado di star in piedi sulle sue gambe, disgregato
al punto da non poter essere più visto nella sua interezza tanto è diviso
moralmente, politicamente ed economicamente. Di che si occupa oggi la politica?
Certamente non della realtà e della
banalità di un vissuto quotidiano delle diverse genti del Belpaese, non delle
minute difficoltà del signor Mario Rossi, non delle molteplici inquietudini che
prendono alla gola milioni d’italiani che in questi anni si sono impoveriti o
che semplicemente vedono il loro piccolo mondo mutato oltre ogni più fantasiosa
previsione. L’impressione generale è che la politica italiana ai grandi livelli
parli di se stessa e ragioni delle sue questioni interne, sia lontana dai
cittadini e dalla vita banale perché essa è collocata in un limbo di
privilegio, in una condizione sociale straordinaria. Alla fine l’apparenza del
potere politico crea i suoi riti e le sue ragioni e cerca di mascherare la
realtà concretissima di un paese in sofferenza in qualcosa che somiglia al
Belpaese, in una mascherata permanente, in una finzione che vorrebbe essere
collettiva ma in realtà è solo la recita grottesca orchestrata da esperti di
pubblicità, di giornalismo e di pubbliche relazioni perlopiù prestati alla
politica ma in verità a libro paga dei veri poteri che sono finanziari. Come
dimostrano gli ultimi anni della vita di Montanelli l’editore che paga conta
più del direttore del suo giornale. La finzione, la grande recita ha un suo
limite: l’impatto con questo mondo reale e concreto; prima o poi quella realtà
volutamente ignorata o mascherata , edulcorata o colorata si riprende la sua
dura rivincita e presenta il suo conto. Per tutti. A tutti!
IANA
per FuturoIeri
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10 febbraio 2009
La Grande Pedagogia del Belpaese
Ma quando fu solo, Zarathustra parlò così al suo cuore “E’ mai possibile! Questo santo vecchio nel suo bosco non ha ancora sentito dire che dio è morto!” .( Friedrich Nietzsche, Così parlo Zarathustra )
La Morte di Dio. Patria e Famiglia
La Grande Pedagogia del Belpaese
C’è una lapalissiana evidenza che una recente trasmissione della RAI ha mostrato: la scuola pubblica in Italia è in sofferenza. Ma il senso pedagogico profondo e comune dell’essere italiani oggi non è il saper molte cose o il lavorare per costruire una casa e la famiglia, è tirare a campare, fare cose diverse per raggranellare soldi, il vivere nel bisogno o nella incessante, nella brama di porre fine al male di vivere attraverso il possesso dei beni, della roba, dei quattrini. La Grande Pedagogia italiana è ognuno per sé e Dio contro tutti, fino all’auto-distruzione, fino alla fine del mondo e del Belpaese. La vicenda della scuola tanto bistrattata e alla quale viene sottratto il denaro che serve illumina su quanto sia profondo l’egoismo suicida delle nostri sedicenti classi dirigenti. Non c’è un futuro perché non si vuole avere un futuro, credo di capire perché: le nostre genti sono atomi, ognuno è un singolo e quando il singolo muore, tutto il suo mondo muore: affetti, vita, beni. Il mondo cessa di esistere quando io cesso di esistere. Questa visione dell'umano discende dall'alto delle gerarchie del Belpaese e fa scuola fin dentro la casa dell'ultimo italiano. Quindi non c’è posto per cose ingombranti come il dovere, la morale, Dio, la Patria, la famiglia. Le nostre genti sono malate di una cosa che si chiama nichilismo, non è un nichilismo filosofico o estetico, è semplicemente che occuparsi degli altri, inclusi i propri figli, costa e uno che vuol godersi la roba faticosamente strappata alla malvagità della vita sente tutto questo come uno scippo. In fin dei conti per l’italiano comune per il Mario Rossi di turno esiste un solo mondo e una sola realtà: la propria. Questa è dunque la grande pedagogia e se ne ricava che il futuro non c’è perché nell’intimo nessuno dei nostri sedicenti personaggi di potere vuol lasciare un futuro a chicchessia, domani la sua nera ombra potrebbe esser chiamata a rispondere ai pronipoti. Il suicidio della propria civiltà è il grande tema con cui il Belpaese deve confrontarsi. I pochi che ci dominano bramano la fine delle nostre genti e la loro distruzione? Le loro azioni portano a questo esito. Tutte le crisi di cui soffriamo siano esse il problema dei rifiuti, il degrado umano e urbanistico o la pericolossima esposizione nelle guerre dell’Alleanza sono il frutto di politiche parziali, faziose quando non casuali e del profondo disinteresse con cui finanzieri, industriali, politici hanno sempre guardato alla Penisola e alle sue genti. Per primi coloro che esercitano il potere guardano agli italiani come a delle genti straniere dai costumi bizzarri così diversi da quelli dei grandi leader inglesi e statunitensi che onorano e che ammirano. Prova ne sia che è costume dei nostri ceti sociali più elevati mandare i figli ad istruirsi all’estero magari in qualche costosa università americana e parlare una lingua piena di parole forestiere o di rabberci fonici a metà fra l’inglese e l’italiano delle barzellette. Le nostre sfortunate genti se avessero avuto due lire di cultura e buonsenso da tempo avrebbero ripudiato i nostri leader o ne avrebbero preso per tempo le distanze, ma adesso il guasto è compiuto.
Quando ritroveremo il nostro futuro, ritroveremo noi stessi.
IANA per FuturoIeri
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17 gennaio 2009
La Morte di Dio. Patria e Famiglia (2)
Ma quando fu solo, Zarathustra parlò così al suo cuore “E’ mai possibile! Questo santo vecchio nel suo bosco non ha ancora sentito dire che dio è morto!” .( Friedrich Nietzsche, Così parlo Zarathustra )
1. Sulla Grande Crisi e sulla Palestina
E’ avvenuto un miracolo e la cosa mi era sfuggita. Siamo messi così bene che nel Belpaese ci si può permettere di passare ore a discutere del problema della Palestina e dello Stato d’Israele. Personalmente non so più dove sia il Belpaese che ho conosciuto nell’infanzia, nel giro di venticinque anni è talmente cambiato da essere irriconoscibile. Da qualche settimana l’attenzione politica e il dibattito si è spostato dalle vicende interne e della crisi alle luttuose vicende della Palestina e di Gaza. Credo di conoscere ancora qualcosa dell’italiano da stereotipo, del Mario Rossi di turno. So quindi per certo che ai nostri, fatte salve le solite anime sensibili, di quei tapini che si scannano o vengono truicidati dai bombardamenti non gliene può fregar di meno. Se il Mario Rossi è sempre il solito Mario Rossi so che cosa è importante per lui quando davanti alla televisione, intorno alle 20, guarda le tristi processioni di squartati e di carbonizzati: “la pasta scotta o salata due volte è per lui di gran lunga più inquietante e dolorosa di tutte le stragi del mondo e della Terrasanta”. Questo i nostri politicanti e giornalisti lo sanno bene. Perché insistono? Cosa li muove davvero? Credo che questo improvviso sentimento di passione per cause che ai più non possono fregar di meno sia dovuto alla passione nazionale per le chiacchere e per l’aria fritta e per il sottile piacere di dividere il pubblico e di far una facile ricreazione dai problemi nostri raccontando i mali altrui. Suscitar fazioni su cose di questo tipo è divertente per i nostri, non si tratta mica di cose serie come gli appalti pubblici i piani regolatori delle grandi città con terreni agricoli che diventano edificabili, o l’aereoporto di Malpensa dove in mezzo ci sono milioni di euro in forse. Un danno su queste cose è irrimediabile, crea vere inimicizie, ma una strage in Palestina! Ma quando mai! Chi rinuncererebbe fra i nostri politici di professione ad entrare in una coalizione politica rilevante per i cadaveri di una lontana terra. Proviamo a pensare a una programmazione televisiva, l’unica di cui si può ragionare con Mario Rossi, che inizia con:”L’Inghilterra ha perso trecentomila posti di lavoro nei primi tre mesi di questa crisi e migliaia di persone si trovano senza casa e senza stipendio. Mario Rossi domani può toccare a noi, può toccare a te.” Credo che con un discorso del genere Mario Rossi smetterebbe di pensare alla pasta scotta o salata due volte. Proprio come i nostri politicanti che per la maggior parte non vanno oltre il loro specialissimo particolare il signor Mario Rossi non va oltre il proprio lato del marciapiede, e solo quando va bene. Figurarsi se gli frega qualcosa dei drammi immani che avvengono lontano al di là del mare, presso genti diverse per storia, fede e cultura. La nostra politica rispecchia fedelmente il nostro lato peggiore, a suo modo ci rappresenta. Sarebbe stato semplice per me limitarmi a far un elenco dei morti da una parte e dall’altra per osservare come immancabilmente il più forte e il più ricco è nel Belpaese il più amato da classi dirigenti e giornalisti, e certamente anche dalla maggioranza della popolazione. Ragionare di facili moralismi non era per me semplice ma comodo, un po’ troppo. Preferisco parlare del mio Belpaese e del fatto che esso non riesce a guardare oltre l’orizzonte della propria parte di marciapiade, e solo quando va bene.
IANA per FuturoIeri
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