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11 settembre 2017
11 settembre 1973
11 settembre Anniversario
del colpo di Stato in Cile e della deposizione del governo legittimo di
Salvador Allende
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2 luglio 2014
Sintesi: Il Maesto - primo atto - ripensare la civiltà e ripensare l'essere umano
Clara Agazzi:
Aspetta, calma. Ma questi profeti, questi maestri come si collocano; che ruolo
sociale hanno. Qui si ragiona di categorie umane che sembrano calare dalle
nuvole o cadere dagli alberi come i frutti. Avranno un ruolo, un mestiere, un
loro posto. I maestri sono insegnanti, sono istruttori, sono educatori, cosa
sono?
Franco: Forse. Mi resta difficile indicare il
posto di lavoro di un maestro di vita, di un rivelatore di valori e di ragioni
dello stare al mondo in un contesto come questo dove individuo, socialità,
comunità d’origine, storia personale e collettiva sono realtà dissociate ma
messe artificiosamente assieme quando serve dal discorso politico o dalla
pubblicità. Sicuramente è un soggetto che riesce a proiettarsi oltre i limiti
del proprio tempo e a comunicare delle verità, dei valori, un sapere autentico,
talvolta un mestiere; perché il mestiere è anche sapere, saggezza, conoscenza
accumulata nei secoli o nei decenni e
tecnica.
Stefano Bocconi:
Ma qui c’è un problema, parli di società, di tradizione, di autentica
comunicazione fra generazioni quando intorno a noi tutto sembra degenerare e
spegnersi in un privato egoismo e in bisogni ora primari ora voluttuari. Forse
è il mio mestiere che mi porta a vedere nelle tipologie di merci che popolano
il tempo libero il passaggio da generazione a generazione. Fra i soldatini di
plastica o di carta di quattro decenni fa e i videogiochi in 3d di oggi c’è
l’abisso. Lo stesso posso dire dei dischi in vinile e dei giradischi o messi a
confronto con i telefonini tuttofare che memorizzano interi file musicali e persino uno o due film più
centinaia d’immagini. Questo è un mondo nuovo che ha fatto fare un salto che in
passato avveniva solo nello scorrere dei secoli.
Paolo Fantuzzi:
Hai parlato bene, ma c’è anche il negativo. Mestieri che spariscono, saperi che
si perdono, precariato nel mondo del lavoro, concorrenza di operai e disperati
provenienti dai quattro angoli del pianeta, e poi la dispersione di risorse e
di materie prime dovute al sistema di produzione e consumo. E il relativo danno
all’ecosistema del pianeta. C’è da chiedersi cosa ne sia della civiltà.
Franco: Allora
ecco il punto. La civiltà!, quale civiltà? Di solito si confonde lo sviluppo
tipico della civiltà industriale con la civiltà propria, ossia con quella cosa
che comunemente è detta nazione. Non è la stessa cosa. La civiltà è l’insieme
delle forme dell’organizzazione politica, culturale e sociale di una popolazione che ha raggiunto
una stabilità, ha assunto una forma per quanto malleabile e mutevole possa
essere. Ma la civiltà non è lo sviluppo industriale, non è questo o quel genere
di prodotto o di merce e neanche questo o quel capo politico o fazione
politica. La civiltà è un complesso, è un sistema all’interno del quale vivono
esseri umani che sono una comunità organizzata, che provengono da una o più
storie comuni, che discendono dai secoli e magari hanno perfino un rapporto con
il territorio che abitano. Colui che appartiene alla civiltà propria sa di non
essere casuale o fortuito ma di provenire dallo scorrere dei secoli, da una
sedimentazione di fatti, storie, battaglie, eventi, fondazioni, dinastie
familiari, alberi genealogici. Questo tipico soggetto è oggi messo in
difficoltà da un modello di civiltà industriale che punta a una massificazione
dei consumi, all’omologazione, all’inquadramento dell’essere umano e del suo
vivere in una logica di produzione – vendita -consumo di beni materiali che immancabilmente, in un
modo o nell’altro, diventano spazzatura . Oggi qui nel Belpaese quando si parla
di civiltà occidentale si parla del nulla. La civiltà occidentale nel
Mediterraneo ci fu al tempo dei Cesari quando l’Impero Romano fu diviso in due
l’Oriente e l’Occidente. Chi parla di civiltà Occidentale qui in Italia
dovrebbe mettere il soggetto: Stati Uniti. Tuttavia proprio la vita degli
esseri umani di oggi è attraversata ogni anno da decine di migliaia di messaggi
pubblicitari diretti o indiretti che modificano la percezione della realtà e la
percezione della società e il senso di ciò che è davvero importante. Questo
processo di consumismo indotto e secolarizzazione dei costumi ha nel corso di cinque decenni prodotto uno
svuotamento di senso delle fedi laiche nello Stato, delle tradizioni religiose,
delle culture popolari, operaie, perfino contadine. L’uomo della civiltà dei
consumi, oggi in decadenza e scomposizione, doveva essere un consumatore e non
un cittadino, un credente, un buon uomo, un soldato di chissà quale patria.
Oggi nel tempo della decadenza di questa civiltà abbiamo uomini e donne
spiazzati. Il passato è finito, il presente è debolissimo e precario e il
futuro sembra lontano o altrove.
Clara Agazzi: In
altre parole questo è un tempo funesto. Ci sarà pure qualcosa di buono: uomini
e donne che s’impegnano nel sociale, gente che fa volontariato, qualche
amministratore onesto, qualche politico che non sia un ladro. Non può esser un
precipitare nel vuoto come tu affermi.
Franco: Questo è
un discorso difficile da confutare, ma ci proverò. Ritorno indietro all’infanzia,
al tempo nel quale davano Mazinga Z in televisione. Avete presente.
Paolo Fantuzzi:
Ovvio, chi non conosce i cartoni animati giapponesi di robot dei primi anni
ottanta. Ma cosa c’entra. Questa è una vera e propria follia.
Stefano Bocconi:
Lascialo dire. Forse sa qualcosa che non sappiamo. O forse vuole stupirci con
una parabola, farci sognare con un discorso di fantasia.
Franco: Invece
no. Molto meno. Avete presente la sigla italiana di Mazinga quella che fa
“Quando udrai un fragor a 1.000 decibel/ veloce e distruttore come un lampo non
dà scampo…”
Stefano Bocconi:
Sì ricordo. Sono vaghi ricordi.
Paolo Fantuzzi:
C’erano delle immagini, mostri, città in fiamme, aerei, carri armati, e
Mazinga.
Franco: Appunto
le immagini. Tornate indietro negli anni. Nelle immagini finali della sigla si
vedeva lo schema delle parti meccaniche del Mazinga Z, giusto! E’ importante!
Clara Agazzi:
Vagamente mi ricordo di qualcosa, non era il io preferito. Cosa c’entra lo
schema tecnico del Mazinga superobot peraltro fatto immaginario e prodotto dall’industria
giapponese dell’animazione?
Franco: E dal
maestro del genere ovvero Go Nagai. C’entra perché per fare barriera contro una
forza ostile tremenda e le sue conseguenze non basta la volontà o la buona
disposizione d’animo e meno che mai i buoni propositi. Ci vuole quello che si
vedeva nel Cartone Animato in questione: organizzazione, un gruppo di tecnici e
di specialisti, un team pronto a battersi composto di gente leale e coraggiosa,
uomini e donne pronte allo scontro anche in situazioni di netta inferiorità e
un simbolo che unisse tutti in quel caso Mazinga stesso. Oltre a questo gli
eroi avevano spirito di squadra, volontà
di prevalere, capacità di sacrificarsi e, tornando all’immagine che ho evocato,
i mezzi sofisticati. L’interno del Mazinga Z che si vede nella sigla è questo:
ci vuole la potenza dei mezzi e i mezzi sono parti complesse di un corpo
unitario. Invece cosa vedo in questa realtà. Tanta gente perbene, magari seria,
ragionevole fa grandi proclami e poi davanti al male che arriva non fa gruppo,
non fa squadra, non crea i mezzi, spesso rinuncia a combattere e cerca una via
di fuga, magari studia per avere qualche espediente o qualche privilegio.
Prendete Mazinga Z come metafora della difesa di una civiltà. Si può difendere
una civiltà o affermarla senza le cose che ho detto? No. Questo è sicuro.
Quelle buone azioni e buone prassi che esistono e di cui dici Clara sono di
solito separate le une dalle altre. Come spesso capita non è uno più uno uguale
due, ma uno e uno ossia due singolarità che non fanno coppia. L’individuo, il
singolo staccato e dissociato da un corpo sociale di cui fa parte e dal quale
in una pur minima misura è difeso e tutelato è azzerato davanti allo strapotere
dei mezzi di oggi. Come può un singolo opporsi davanti a processi commerciali,
industriali, economici che muovono miliardi e che ridefiniscono e scombinano la
sua vita, le sue certezze, le sue possibilità economiche. Pensate alla crisi
del 2008 e alle vite che ha travolto nel mondo. Basta il singolo, con il suo buonsenso,
con i buoni propositi, con la sua carità aleatoria o perfino occasionale per
fare barriera? Io dico di no.
Stefano Bocconi:
Ma insomma, ci sarà pure un modo, un sistema. Voglio dire. E’ proprio
necessario che le forze positive siano frammentate in mille pezzi mentre quelle
negative sono esercito, sono unità.
Franco:
Positive, negative. Che vuol dire. No non ci sbagliamo qui non c’è una lotta fra il bene e il male come
la si può intendere comunemente. Qui ci sono egoismi e desideri alimentati o
indotti che producono per prima cosa consenso e a seguire fatti politici, culturali,
azioni militari. Si tratta di un sistema di terza civiltà industriale oggi governata
da un sistema finanziario capitalista. Non c’è un mondo buono di cavalieri
della Tavola Rotonda che deve arrivare qui, il mondo che vedo è già questo.
Piuttosto invece di aspettare l’eroe con il robot o con la spada divina perché
non pensare di assumere qualche caratteristica positiva dell’eroe; che ne so:
lo spirito di squadra, la speranza nel futuro,
un sano altruismo, la volontà di battersi…
Paolo Fantuzzi:
Ovviamente questo discorso è assurdo. Certo l’immagine è suggestiva ma assumere
su di sé un qualcosa di eroico fra il bollo auto e la dichiarazione dei redditi
è una cosa da scemi anche solo il pensare una cosa del genere.
Franco: Ma io
non parlo di andar a giro con robot alti quanto una casa di dieci piani o di nascondere
armi incredibili e partire alla ricerca di non si sa che cosa. Questo è
qualcosa di manicomiale, una roba da ricovero coatto. No dico che per
affrontare questo momento di sfascio di valori e di forme della vita sociale
sommerse e spaccate da una ridefinizione dell’economia capitalista che volge al
dominio su tutta la realtà umana da parte
della finanza, delle multinazionali e
di poche famiglie di supermiliardari occorre che chi per motivi
umanitari o politici si oppone faccia gruppo, si dia un coordinamento, si ponga
degli scopi altruistici. In una parola faccia propria l’evidenza che per
combattere forze ostili organizzate, specializzate, amorali, dotate di enormi
mezzi tecnici e finanziari occorre far
gruppo, creare una rete, diventare quello che si chiama un soggetto politico e
sociale. Mille iniziative benefiche separate
le une alle altre non sono gruppo, non sono movimento, non sono trasformazione.
Sono dei singoli che fanno cose simpatiche, divertenti, suggestive, magari
perfino faticose. Ma singoli. Non quindi Mazinga Z che è una cosa unitaria ma
tanti bulloni e viti che schizzano via in libertà. Prendo un fatto immaginario.
La multinazionale XYZ in accordo con politicanti corrotti ha deciso di
trasferire gli stabilimenti dalla provincia X allo provincia K che sta in un
paese povero e governato da una dittatura e fa questo per non mettere agli
stabilimenti i depuratori e pagare poche tasse. Chi ferma una cosa del genere
che risulta essere un danno economico e un potenziale disastro ecologico? Il
singolo?
Clara Agazzi:
Vuoi dire che occorre creare qualcosa di simile ai vecchi partiti, strutture
organizzate.
Franco: Non
proprio. Occorre un senso diverso della cittadinanza. Occorre una popolazione
che sia essa stessa responsabile e che sia in grado di stabilire la differenza
fra ciò che è importante e ciò che non lo è e che se presa in giro o danneggiata
dai grandi colossi finanziari o commerciali imponga dei politici capaci di stroncare
i processi degenerativi. Occorre una tipologia di cittadino, o se si vuole di
essere umano, che non è il consumatore. Certamente il consumatore è nel suo piccolo un lavoratore
specializzato, un tecnico, un detentore di un qualche sapere ma per certo esso
non è quel soggetto che si mobilita per reagire alle forme perverse, pericolose
e degenerative di questo modello di civiltà industriale.
Paolo Fantuzzi: Ma
questo presuppone un riciclaggio, anzi una riqualificazione di milioni di esseri
umani. Da consumatori a cittadini responsabili, questa è metamorfosi. Ma allora
è vero che sei un mago, questo è un grande incantesimo, tu pensi in termini tali
da credere possibile il cambiamento della realtà.
Franco: Io penso
che nella vita sia ragionevole a un certo punto darsi uno scopo. Uno scopo vero,
un disegno personale, uno scegliere un percorso di vita e non il seguire come una pulce ammaestrata i modelli
adulterati che passano nei programmi televisivi dove si vedono e si sentono le cose
più strane e folli.
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12 gennaio 2014
Sintesi: Immobilismo sociale e Belpaese
Una sintesi dei pensieri di questi
giorni è necessaria. Il problema principale
e determinante del Belpaese sono le condizioni sociali e culturali nelle
quali vive la stragrande maggioranza della popolazione. I ceti medio-bassi e
bassi che formano la maggior parte delle popolazioni della Penisola si sono sostanzialmente
impoveriti o vivono a diversi livelli e
condizioni situazioni di precarietà e disagio.
I fatti di cronaca criminale e di cronaca politica di questi ultimi cinque
anni se non fossero tragici sarebbero ridicoli, ma su questa materia c’è stata abbondanza
di documentazione su quasi tutti i quotidiani del Belpaese e quindi non aggiungo
altro.
Alle analisi e alle descrizioni lucide
e chiare da parte di tanti che ragionano e cercano di capire questo presente e
l’immediato futuro da molto tempo non corrispondono altrettanto lucide e chiare
misure di correzione e di riforma. Il Belpaese gira su se stesso senza una
direzione, in particolare quel che si può chiamare società italiana tende a
riprodurre se stessa con le stesse gerarchie sociali, gli stessi ruoli e
professioni che passano di padre in figlio. Questo è particolarmente vero per
le professioni di maggior prestigio e guadagno. Il figlio del notaio che fa il
notaio, il figlio del medico che fa il medico, il figlio del giornalista che fa
il giornalista, il figlio dell'imprenditore che fa l'imprenditore, il figlio
del proprietario terriero che fa il proprietario terriero, il figlio del
cantante che fa il cantante sono figure ormai da barzelletta, da luogo comune. Tuttavia
queste figure rappresentano una condizione reale ed esistente. Esiste, e non lo
si vuol veder, un consenso trasversale a questo congelamento della mobilità
sociale. Non ci sono solo le famiglie dei ceti medio-alti direttamente interessate. A sostenere questo stato
di cose c'è una massa grigia di
carattere elettorale, che pesa alle elezioni, che sa e approva. Per quel che mi
riguarda è inutile cercare nelle rovine del passato e nei miti perduti i segni di una resurrezione di non si sa bene
qual regime politico, o peggio di qualche miracolo di natura riformistica.
L’esistenza dell’essere umano nel qui e ora del proprio tempo esige di pensare in questo tempo con i
rapporti di forza reali e concreti in atto. Quello che manca è una forza
politica, sociale, culturale realmente esistente in grado di tradurre le troppe analisi impietose
in proposta, riforma, trasformazione. Al
fondo della condizione presente c’è uno sprofondare che è una forza inconscia,
una specie d’inerzia, di peso culturale che porta a ripetere gli stessi atti e
a riprodurre le stesse condizioni di vita, le stesse concezioni del mondo e
della vita sociale. Milioni d’italiani si sforzano di fingere che non sia cambiato
nulla nel corso degli ultimi tre decenni, io vedo un gigantesco sforzo collettivo
di sfuggire alla realtà presente. Il grande
sforzo di milioni di famiglie italiane è stato quello di adattarsi per quel che
è possibile a qualche concetto pseudo-liberale e a due o tre parole inglesi
alla moda che vengono ripetute in modo ossessivo da molti politici e dai
mass-media. Questo sforzo si è però sfilacciato e disgregato: è un fatto che i
partiti politici della Prima Repubblica si sono sciolti da decenni, nuovi
partiti sono nati senza che la mentalità di fondo sia cambiata, spesso si
tratta delle stesse persone con anni di carriera politica alle spalle. Grattando
la crosta dei tanti liberali e riformisti del Belpaese di oggi a mio avviso riemerge
di solito il democristiano, il conservatore, l’autoritario, l’opportunista e
perfino il socialista e il comunista. Tutto cambia e tutto resta
drammaticamente uguale, gelido, immobile; e tutto è drammaticamente inadeguato
e senescente. Inadatto alla sfida dei
nuovi tempi del XXI secolo. Ancora una volta sono forzato alla descrizione di
quel che osservo e noto, addirittura studio molti aspetti della realtà e di essi
non scrivo quanto meditato e ragionato. In realtà mi sto autocensurando da
tempo perché mi rendo conto che il disgusto che provo fa sbandare il mio
pensiero e il mio scrivere e devo controllarmi per non offendere la sensibilità
dei miei venticinque lettori.
Alle analisi fondate, meditate,
ragionate non corrisponde una risposta concreta, reale, efficace. Non
corrisponde una visione del mondo, uno sforzo politico collettivo perché la
realtà dei singoli italiani si è frantumata, spezzata in mille rivoli.
Coalizioni politiche vigorose e leali e alleanze onorevoli fra popolo e governanti sembrano fantasie; o
peggio: roba da romanzi fantasy. Molte
soluzioni che vengono presentate in rete, e non solo, sono lucide utopie,
illusioni collettive, desideri che prendono la forma di un programma politico,
perfino pulsioni e passioni che prendono forme pseudo-ideologiche. Ma non trovo
reali e concrete forze in grado di pensare un percorso per trasformare nel
profondo la società italiana. Quello che osservo sia nei partiti politici più o
meno tradizionali sia nelle proposte di quelli meno tradizionali è di fatto un
necessario aggiustamento per salvare, per quel che è possibile, il presente
così come è. Si tratta in fondo della continuazione e della conservazione di
una società italiana a bassa se non nulla mobilità sociale verso le gerarchie
che contano. I vertici del sistema, ovviamente, hanno a disposizione una
capacità di acquisto di beni e servizi clamorosamente superiore alla massa che
sta in fondo, quindi la questione della mobilità è un fatto sostanzialmente
materiale e di calcolo economico. So che questo suona provocatorio. Ma si
tratta di ciò che penso da anni. Io non vedo nell’Italia di oggi altro che
calcoli di natura materiale e finanziaria, tutto si gioca qui e ora ed è
concreto come la terra, l’acqua, l’aria, la casa, i figli, l’automobile, il
carrello della spesa, e le scarpe nuove. Temo che la soluzione a questo
immobilismo decadente non arriverà dalle forze interne del Belpaese ma da
qualche disastro epocale, ossia da
qualche fatto drammatico di carattere planetario. Nei secoli passati è accaduto
che eventi traumatici di dimensioni enormi hanno forzato civiltà e popoli a rimettersi in
discussione e a ricostruirsi. IANA
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19 dicembre 2013
Si fa presto a dire scuola: tagliare dove il filo è più corto?
Si fa presto a dire scuola: tagliare dove il filo è più corto?
Ricapitolo i fatti per quel che sono: il Ministero e
il ministro di centro-sinistra stanno organizzando una curiosa sperimentazione
che è la presa delle misure per ridurre il liceo di un anno e tagliare altri
40.000 posti di lavoro nel settore. Il
fatto è noto al pubblico come agli esperti del settore. Al termine della mia
riflessione presento una scelta dei molti scritti comparsi sulla rete sul
ponderoso tema. Tuttavia a titolo strettamente personale descrivo quel che si
chiama un leggerissimo sospetto con un proverbio chiaro e sintetico:” il filo si taglia dove è più corto”. Per fare tagli di cassa dei governi e
dei gruppi dirigenti possono far diverse scelte. Una è la meno inquietante sul
piano elettorale: “tagliare dove le forze sociali e lavorative colpite possono mettere in campo minori
ritorsioni politiche e rivendicazioni sindacali e atti che tolgono voti e
consenso”.
Questo mi pare sia il caso della scuola in quanto essa
è frammentata in tante realtà lavorative e sociali. Basti pensare che esistono
scuole materne, elementari, medie e superiori con il loro personale, le loro
esigenze, i loro problemi. A livello poi di personale che lavora nella scuola
esso è diviso in ambiti di lavoro diversissimi. C’è il personale ATA (i vecchi bidelli per capirsi) , il personale
di segreteria, i docenti, i vicepresidi, il dirigente scolastico che un tempo
era denominato preside, il personale che
si occupa di laboratori e aule computer, e altro ancora…
Per esempio in un liceo può far parte dello stesso
consiglio di classe riunito per uno scrutinio un supplente con la prospettiva
di una supplenza breve, un professore con incarico annuale magari precario da
dieci o dodici anni, un docente che ha vinto un concorso nel millennio scorso (ossia nel 1999),
un docente prossimo alla pensione. Questa frammentazione aiuta a indebolire il
momento della rivendicazione e della protesta sindacale e rende facile attuare
tagli nel settore o intervenire sulla scuola. Aggiungo poi che i sindacati
nella scuola sono più di uno e non è scontata la collaborazione fra essi. Non
vedo un disegno diabolico nel trasformare e tagliare sulla scuola, o se c’è
esso è il frutto di convergenze e d’opportunismo, piuttosto vedo la solita
politica neoliberale tipica della destra statunitense che vede nello Stato che
si occupa di sociale e di collettività il problema e nel privato la soluzione.
Dal momento che sul sociale si deve tagliare ecco che la scuola appare come un
terreno dove forze disperse si prestano ad esser colpite separatamente. Nulla
di strano. In tempi come questi dove fra le forze politiche non c’è un terreno
di valori di natura collettiva e comunitaria condivisi e stabili la politica
tende a pensarla alla maniera della sofistica e ai colpi bassi e a considerare
la volontà della maggioranza o del più forte la legge legittima. Usando un
facile paragone mi permetto di scrivere che: “La corda della scuola è strappata
in più punti. Si taglia facile. Basta recidere dove i fili sono più sottili”.
Riporto alcune fonti per provare le basi oggettive
della mia riflessione:
http://www.repubblica.it/scuola/2013/10/23/news/ministro_carrozza_d_il_via_al_liceo_di_4_anni_si_risparmierebbero_1_380_mln_di_euro-69238917/
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=12706
http://www.flcgil.it/scuola/docenti/corsi-di-riconversione-su-sostegno-per-i-docenti-appartenente-ad-insegnamenti-in-esubero.flc
http://www.corriere.it/scuola/13_dicembre_01/riforma-cicli-liceo-quattro-anni-316bbfb2-5a6b-11e3-97bf-d821047c7ece.shtml
http://www.partitodemocratico.it/doc/262587/liceo-di-4-anni-carrozza-e-puglisi-perch-no.htm
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4 gennaio 2013
Diario Precario dal 27/12/2012 al 3/01/2013
Data.
Dal 27/12/12 al 3/01/2013
Note.
Solite
cose, giornate che girano a vuoto.
Nuovo
anno
Prima
impressione delle folle festeggianti il passaggio: tanta voglia di dimenticare
il 2012.
Seconda
impressione: C’è disagio nella società e la festa collettiva in piazza ha
mascherato per una notte, ma fino a un certo punto, il negativo di questo
presente.
Terza
impressione: il tempo che passa lascia dei ricordi materiali, una saracinesca
chiusa da anni la ritrovi e ti ricordi
che era un negozio che frequentavi spesso. Si tratta di un fatto materiale, ma
nello stesso tempo è anche un ricordo personale.
Considerazioni
A
questo punto non penso al lavoro. Osservo. Qualche volta ascolto.
Mi
sono chiesto dove sono finito. Che tempo è mai questo. La civiltà industriale
sta trovando dei limiti evidenti di ogni tipo: risorse, irriducibilità di
culture altre, conflitti interni, guerre, minacce all’ordine pubblico, crollo
di valori e di credenze religiose o loro corruzione e perversione in forme
aperte di fanatismo, incapacità del potere politico, inettitudine e
avidità delle sedicenti classi dirigenti. Manca un pensiero politico realmente
concreto e possibile per uscire da questa caduta e avvitamento verso il peggio.
Non è che non sono state pensate forme altre di civiltà industriale, anzi. Il
problema è che esse non hanno modo di diventare una probabile alternativa perché
questo sistema in Europa e non solo ha
ancora la capacità di mantenere gerarchie burocratiche, plebi elettorali, forze
armate e di polizia, ceti privilegiati, gruppi editoriali, interi sistemi
radiotelevisivi e così via…
Il
che denota una certa vitalità, ma non offre una soluzione al fatto che il
pianeta azzurro è circa 51 miliardi di ettari, moltissimo. Tuttavia non è
infinito e i 2/3 del pianeta sono mari, fiumi, oceani, laghi …
Questo
fa sì, insieme ad altri fattori, che gli umani sviluppino le loro forme di
civiltà su poco più di 12 miliardi di
ettari, prendo i dati dall’ultimo libro di Serge Latouche: “Limite”.
Pertanto
il pianeta Azzurro non può sostenere una crescita illimitata di più civiltà
industriali umane in conflitto,
contrasto, competizione. Questo fatto a mio avviso è il massimo sistema che sta
dietro di quell’infelicità nel vivere così comune, il limite di questa civiltà
c’è e viene toccato ogni giorno in molti settori. Questo è il punto da cui
prende forma il disagio del vivere, un sistema che si è pensato infinito e
superiore alla natura deve riconoscere di esistere entro limiti dati e ha
difficoltà gigantesche a superarli, per ora cerca d’ignorarli e di tirare
avanti.
I
“grandi” che esercitano il potere
all’interno dei sistemi imperiali politici, finanziari, militari delle diverse
forme di civiltà ad oggi sembrano intenzionati a portare avanti i loro
interessi, a realizzare agende politiche, militari, economiche che sono in
relazione con la situazione generale ma non sembrano prevedere risposte comuni,
altruistiche, fondate sul rispetto e sull’amicizia fra i popoli. Del resto come
potrebbero fidarsi di altri simili a loro, non c’è ad oggi un solo sistema di
dominio e controllo di carattere imperiale che sia esente da critiche e spesso
più è efficace nel perseguire i suoi scopi più si rivela poliziesco,
militaresco e autoritario.
Sono
quindi qui a livello di massimo sistema, ma nel mio piccolo esiste il
quotidiano, il lavoro, il fatto di ogni giorno, l’orario da rispettare, le
scadenze. Esiste una cascata di fatti, spesso spiacevoli, che si collegano a
livello grandissimo con il quadro generale appena abbozzato. Mancano gli Dei e
gli Eroi in grado di rimettere assieme la civiltà industriale con il dato
materiale del pianeta, i limiti del possibile con il pensiero illimitato, la volontà di esprimere
potenza divina con la fisicità del corpo umano. La decadenza che vedo ovunque
non è solo l’ordinario dato per così dire biologico interno alle leggi naturali
di questo pianeta ma è anche il frutto della scoperta silenziosa ma crescente ed
evidente dei limiti al progresso della civiltà industriale come è
ordinariamente inteso. Questo mi pone ogni giorno la domanda intorno a quale
possa essere il corretto atteggiamento davanti a questa situazione, anche
ammesso che prenda corpo un generalizzato miglioramento economico questa
questione dei limiti dello sviluppo e del pianeta è presente ed è il limite non
riconosciuto della civiltà industriale, ossia la realtà nella quale vivo, lavoro,
agisco, penso. In fondo proprio perché in quanto essere umano singolo devo
pormi il problema del senso di questa totalità che è il mio mondo umano nel
quale sono calato e in un certo senso parte. Di cui, per altro, conosco bene per
esperienza diretta solo una piccola parte di questa totalità, ossia l’Europa.
Quanti
doveri verso se stessi esistono nella vita di un precario della scuola?
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27 dicembre 2012
Diario Precario dal 22/12/2012 al 23/12
Data.
Dal 22/12/12 al 23/12/2012
Note.
Vacanze
di Natale… scuola chiusa.
Periodo
difficile. Otto anni di precariato ormai evidenti mi fanno avvelenare le feste.
Del
resto tutto il Belpaese pare in sofferenza.
Ho
visto molti negozi chiusi, molti cartelli su case e fondi con la scritta “in
vendita”.
Cattivo
anche il Natale di questi tempi.
Considerazioni
Osservo
un fatto: il detto CHI SA FARE FA, CHI NON SA FARE INSEGNA rivela che nel
Belpaese si dà per scontata la separazione fra produzione e ricchezza e conoscenza e docenza.
Il
sapere è un disvalore perché praticato da cialtroni o incapaci, questa è la
sintesi del proverbio. Se non fosse così perché stacca in modo così forte il
FARE dall’INSEGNARE.
In
effetti questa cosa mi è venuta all’occhio da una saggia osservazione di un
carissimo amico.
In
Italia rimane dominante l’idea che tutto
ciò che esiste sia materiale nel senso di merce da comprare e vendere. Non c’è
spazio per altro e questo spiega le ossessioni e le paure degli italiani che
possono ridursi a una sola: farsi fregare la roba e quindi i soldi. Del resto
c’è un solo principio l’interesse del singolo è tutto, il DENARO è il DIO a cui
la maggior parte degli abitanti della Penisola guarda con ammirazione,
devozione, paura reverenziale. Banca e finanza si sono fatte potere politico perché
la popolazione ormai in forme diverse tributa forme di culto al Dio–quattrino.
Del resto come può essere altrimenti, io stesso devo ammettere che se fossi
ricco, ma davvero ricco, avrei superato i tre quarti dei miei problemi
semplicemente comprando le soluzioni ad essi. Non tutti certo. Ma i tre quarti
sì. In effetti come potrebbe esser altrimenti. La forma dominante di
comunicazione oggi è la pubblicità commerciale, essa esce da tutte la parti.
Presente nella rete, in quasi tutti gli spettacoli televisivi, al cinema, in
strada, in radio, dovunque in una parola. Questa comunicazione mette spesso e
volentieri in relazione strettissima la felicità, il successo, la credibilità
del comune essere umano con il possesso e il consumo di beni e servizi rigorosamente
in vendita. Non si sfugge a questa cosa ed essa piano piano trasforma la mente,
la plasma, fa dell’essere umano una bestia addomesticata asservita al senso
dell’esistenza che trasmette la pubblicità commerciale. Così è normale che la
vita sia in relazione non con la realtà in quanto realtà ma con la sua immagine
distorta, con la sua rappresentazione più o meno consumistica. Il modello in
testa è quello della pubblicità commerciale, i desideri sessuali son plasmati
da decine di migliaia di immagini di modelle seminude o velate, gli oggetti
desiderati sono quelli proposti con maggior insistenza o abilità, la macchina è
quella del professionista con i superaccessori, la casa dei sogni è lo
stereotipo della casa della classe medio-alta dei ricchi di successo ossia la
villa o il villino con tetto, camino, giardino, cane, bambini biondissimi,
albero con altalena, guardie private e così via... Quando mai una pubblicità
mostra condomini popolari alla Fantozzi? Inoltre, a meno che non si tratti di
materiale di cancelleria o affini,
quando mai compare nella pubblicità il maestro o l’insegnante?
Il
modello di consumi e d’immagine dell’essere umano consumatore non è un sogno,
che inteso come destino da forgiare da se stessi è scelta, è una prescrizione,
quasi di tipo medico. Se esci dal modello sei uno con problemi, un tipo strano,
uno che non sta alle regole con cui giocano gli altri. La “partita” che è
comunemente giocata è quella di fare i soldi o almeno di trovare un lavoro per
avere accesso ai beni di consumo, alla roba, al conto corrente. In breve quasi
tutti inseguono gli stereotipi e i luoghi comuni della pubblicità commerciale,
anche senza rendersene conto, per una forza d’inerzia e per una pigrizia
mentale presente nell’essere umano.
Quindi
tornando al discorso quel pregiudizio contro il sapere e a favore del fare,
come fonte di guadagno ovviamente, ben rappresentato dal proverbio si fondo con
il mondo parallelo delle illusioni della pubblicità commerciale, con le
immagini dell’essere ricchi e felici. Il
tutto senza nessuna mediazione, senza capacità di distinguere, di approfondire.
Così l’immagine del docente diventa meschina agli occhi di milioni di umani del
Belpaese; l’immagine in particolare del docente di materie umanistiche.
Io
credo che questo proverbio tante volte sentito indichi proprio questa sfiducia
in colui che insegna, e non è solo una consolazione tesa a svilire chi sale in
cattedra. Si tratta di autentica sfiducia.
Questo
è il mio problema: prendersi la credibilità. Perché è proprio la credibilità
del docente l’oggetto del proverbio, l’insegnante deve dimostrare che per
qualche motivo suo non rientra in quella categoria, ossia deve dimostrare e
fondare con la sua quotidiana attività il senso di ciò che fa. Deve da sé
creare la sua credibilità. Il che non è cosa facile e tanto precariato non
aiuta.
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21 dicembre 2012
Diario Precario dal 18/12/2012 al 21/12
Data.
Dal 18/12/12 al 21/12/2012
Note.
Quiz.
Il concorsone esito 34,5. Tragica beffa di Natale.
Ormai
è argomento del telegiornale e strumento della tattica pre-elettorale dei
diversi partiti e movimenti.
Domande…
Considerazioni
Quanto
mi è capitato è, a mio avviso, estraneo
al normale lavoro che svolgo.
Questo
è stato uno degli errori più grossi della mia vita finora da me compiuti. Va
assieme al primo incidente d’auto, ad amori non ricambiati dell’adolescenza e
cose del genere.
Dovevo
rifiutarmi di farlo. Invece ho partecipato alla cosa.
Finito
l’esame mi sono chiesto a che punto fossi arrivato della mia vita… anzi che
storia era quella in cui mi trovavo dopo otto anni di contratti con la scuola
pubblica italiana da me onorati e rispettati e non senza successo. Ero caduto
in balia del caso, per un quiz in più o perfino in meno si decideva del senso
di otto anni di vita e di lavoro, più i due della SSIS.
Questo
mio partecipare mi ha squalificato ai miei occhi. Grave errore. Ci vorrà tempo
per riparare.
Per
mia enorme disgrazia non ho trovato una forza politica e sindacale abbastanza
potente e credibile in grado di sostenere un NO.
Intendo
un NO radicale, con concrete alternative alla partecipazione.
Così
ho preso parte alla cosa durante uno dei periodi di maggior l’intensità di
lavoro a scuola. Manco l’avessero fatto apposta.
O forse sì?
Il
problema a questo punto è il dopo.
Occorre anche prendere atto dell’errore
compiuto, del disagio che mi sono procurato, della valanga di disistima e
disprezzo che è caduta sulla categoria quando le notizie riportate in modo
discutibile hanno scatenato provocatori del WEB e della carta stampata.
Qualcosa
era errato, stupido, cretino. In me.
Occorre
riconoscere che dentro la mia concezione del posto di lavoro è rimasto
appiccicato ancora qualche residuo di corrotto buonismo, di fiducia in cose
strane, di ottimismo irragionevole e stolto. Questo è male.
La
presente civiltà industriale ha le sue logiche. Autentiche, perfette,
comprensibili.
Se
sei precario sei precario e non sei come chi può dall’alto di cattedre
immaginarie o giornalistiche urlare decreti di carta contro la categoria, se sei
uno che sta sotto allora non stai sopra; se sei fra gli esclusi allora sei non fra coloro che sono inclusi. Quindi se sei
debole in un mondo di finti forti, di finti sani, di finti liberali, di finti
dotti, di finti in generale sei in guai
grossi.
Devo
ricordarmi questa cosa, tutti i giorni.
Devo evitare di trasmettere a coloro che sono
vicini a me sul lavoro e nella vita privata cattive speranze, cattivi pensieri,
cattive aspettative. La malvagità della calunnia è inutile quando una verità
aperta e giusta si mostra. Basta la verità del presente e dei suoi reali
meccanismi a rendere l’essere umano inquieto, diffidente, timoroso d’essere aggredito
in diecimila forme diverse di violenza. Nella
presente civiltà industriale arrivata al suo terzo atto esiste solo una folle
dimensione d’egoismo assoluto e illimitato, se necessario autodistruttivo e
questo fatto che è il vero centro della vita collettiva nei grandi imperi come
nei piccoli paesi è qualcosa che dall’enorme, dal grandissimo cala fino al caso
più piccolo e limitato. Il singolo viene preso da meccanismi sociali e
collettivi estranei a ciò che è; e se va bene questo individuo chiede solo di
essere lasciato in pace o di conservare un pezzo di garage o di cantina per
riporre le cose che gli sono care. Scatole e scatoloni che troppo spesso mutano
nel cenotafio, fatto di pezzi spesso finti,
di vite immaginarie rivissute con le lenti del ricordo distorto e della
nostalgia. Nulla del male di vivere
accade per caso, certo che avviene in tempi e modi diversi ma con sue regole. Tutto
questo processo d’aggressione al singolo avviene con precisione meccanica, con
passo sicuro e senza nessuna pietà; questo è un mondo meccanico e informatizzato
che finge di essere altro che non è.
CITAZIONE
Questo
è attribuito al filosofo Stirner
Tu hai diritto di essere ciò che
hai il potere
di essere.
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21 dicembre 2012
Diario Precario dal 9/12/2012 al 17/12
Data.
Dal 9/12/12 al 10/12/2012
Note.
Ho
preso il 2° Dan di Judo.
Quiz.
Ancora quiz.
Cerco
di capire di cosa si tratta, andando a buonsenso vado verso un vicolo cieco.
Quindi aprire il portafoglio e comprare un libro adatto.
Poi
lavoro, attività scolastica.
Considerazioni
La
grande cosa è avere un libro per il concorso computerizzato. Con CD poi. Ho
provato e alla prima ho trovato il libro per il test. Fatto in tempi record e
stampato in velocità dalle Edizioni Simone. 39 Euri, come “dicono a Livorno”. Ormai
faccio fatica a scansare le contraddizioni di questa vicenda. Ora che il governo
Monti è prossimo al termine la stampa e la televisione non risparmiano
frecciatine al concorsone. Bella prova. Ci voleva la fine del governo per
avvicinare il grosso della stampa e della televisione a quello che da mesi
vanno osservando e talvolta urlando sindacalisti, insegnanti precari, comitati,
studenti, associazioni…
Di
nuovo è la politica da cui parte tutta la questione della scuola, perfino nella
sua rappresentazione presso i mezzi di comunicazione di massa.
Anche
questa è una contraddizione. La scuola interessa i grandi media solo in
congiunzione con precisi momenti dell’attività politica, quasi a ribadire che
non ha una sua autonomia di senso. Certo che la cifra di 330.000 fa scena, fa
spettacolo, a suo modo il concorso ha riaperto la discussione sulla scuola. Ci
vorrebbe Socrate. Me lo vedo davanti al grande schermo che fa: ma voi come
scegliereste l’insegnate di vostro figlio? Con dei quiz?”. Non ci voleva. Il
sistema scolastico italiano non ha
assorbito tanta parte dei suoi supplenti e precari e il concorsone non risolve,
mischia le carte, ma non risolve e crea altri ricorsi, altre polemiche, altro
disagio. Un giorno qualcuno mi spiegherà perché questa cosa è andata avanti e
sta andando avanti.
Piccola
soddisfazione. L’esame di judo è andato bene. Passato di livello. Sono felice
per questa cosa, anche se questa aggiunge responsabilità.
Data.
Dal 11/12/12 al 16/12/2012
Note.
Quiz.
Il concorsone ha monopolizzato la mia quotidianità. Non solo la mia del resto.
Ormai
è argomento del telegiornale come la guerra di Siria o la tattica
pre-elettorale dei diversi partiti e movimenti.
Impegni
lavorativi di continuo. Lezioni, riunione sindacale, ricevimento pomeridiano,
consiglio...
Non
è facile prepararsi al test lavorando e rincorrendo i fatti di ogni giorno.
Considerazioni
La
grande informazione si dà da fare. Ormai il concorso è uno spettacolo, un fatto
notevole di cronaca, e quindi sotto elezioni di cronaca politica e spuntano
lettere, interviste, articoli, riflessioni erudite. La mia categoria d’insegnanti
precari non è mai stata sotto i riflettori di stampa e televisione quanto in
questa settimana. Mi aspetto anche qualcosa in più durante e subito dopo la
pre-selezione. Comunque qualcosa non va se la scuola diventa oggetto di
spettacolo e d’informazione solo in occasione di fatti notevoli e di
preparazione alla campagna elettorale. Manca il suo senso. Non si ragiona di
cosa sia la scuola in Italia. La si usa per fare informazione-spettacolo, per
fare proprio in questi giorni
giornalismo in salsa elettorale. Cosa è la scuola oggi? Perché il
concorso? Come mai 330.000 iscritti alle prove?
Eppure
adesso che la stampa e la televisione sembrano aver scoperto la scuola dovrei
aspettarmi mobilitazioni collettive della popolazione, un dibattito nazionale,
impegni seri dei politici in campagna elettorale; dovrei, in sintesi,
aspettarmi un cambiamento di mentalità a livello collettivo. Prevedo che non
accadrà. Perché?
Provo
a pensare la risposta: l’istruzione in Italia è slegata da reali e diffuse
possibilità di ascesa nella scala sociale. Già, in passato il successo
dell’istruzione era dovuto anche alla volontà di emanciparsi di masse di
popolazione urbana e rurale, milioni d’italiani e italiane nell’Ottocento
e nel Novecento vedevano nella scuola una via per vivere meglio, trovare lavori
decenti o umanamente accettabili, migliorare se stessi e gli altri. Questo è ciò che si è perduto
nello scorrere del tempo. La recessione poi non aiuta. In Italia per decenni le raccomandazioni di politici,
patroni, boss di varia natura, di famiglia hanno disgregato ogni credibilità al
merito e alla valorizzazione dei talenti. L’incontenibile fuga dei cervelli e
dei professionisti ambiziosi in Europa e nel mondo ne è la prova più aspra e
dura. L’immobilismo sociale, pratiche corporative nelle libere professioni, la
corruzione, la disonestà di fondo di tanta parte della popolazione spingono
molti a non aver fiducia nelle possibilità di elevazione della scuola pubblica.
Certo occorre saper leggere e scrivere, aver il diploma, forse la laurea, ma il
punto di svolta delle vite di milioni di persone non è ciò che sono e cosa
sanno ma chi li raccomanda, li protegge,
li supporta, fa la cosa giusta per loro al momento giusto.
Il
premio desiderato è sempre il denaro, staccato anche dal senso del far bene il
proprio lavoro o una qualche professione. Il punto di svolta nella testa di
milioni d’italiani non è il sapere, il percorso formativo e di vita dell’individuo,
ma qualcosa che è altro e altrove.
Cosa
può fare la scuola in un contesto dove il primo problema è avere i soldi per
farsi i fatti propri?
La scuola dovrebbe rifare la società, la
politica e l’economia? Con quali forze? Con quali denari? Con quali uomini
e donne?
Nessuno
si fa la domanda, pure indispensabile, che cosa è a livello di vita sociale e
di preparazione dell’individuo la scuola oggi; sì perché c’è anche la l’utenza
nella scuola ossia le famiglie, gli allievi, le allieve e poi il mondo che
ruota intorno ad esse. Forse questi soggetti dovrebbero essere oggetto d’attenzione
da parte del sistema dei media. Sembra che il loro punto di vista non serva
mai, non sia mai sensato, non abbia diritti se non quando l’informazione deve
farsi spettacolo e allora devono dire qualcosa su qualcosa che turba la
tranquillità, che fa sensazione. La scuola esiste nel sistema dell’informazione
solo in funzione di altro, questa è l’idea che mi son fatto.
Il
nodo da sciogliere è cosa vuol essere L’Italia. La scuola non cambierà il
Belpaese, lo seguirà con i suoi tempi e le risorse che avrà.
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8 dicembre 2012
Diario Precario dal 24/11/2012 al 30/11
Data.
Dal 24/11/12 al 26/11/2012
Note.
Fine
occupazione con possibilità di portar avanti la didattica, prove,
interrogazioni, verifiche.
Nominato
docente ora alternativa a quella di religione.
Sto
costruendo un percorso di cultura e di metodo per dare sostanza all’ora
alternativa.
Intanto
le proteste studentesche della provincia sono finite o in via d’esaurimento.
La
categoria docente rimane comunque in allarme, si percepisce preoccupazione e un
continuo interrogarsi sul senso e sulla collocazione sociale della propria
categoria in questi anni di trasformazioni radicali e di povertà vecchie e
nuove.
La
data del concorso si avvicina, il test a quiz è il mio cruccio, confesso che mi
disturba l’idea di esser valutato da cinquanta risposte a crocetta in cinquanta
minuti mentre deve pensare all’ordinario e a ciò che è più dell’ordinario nel
mio lavoro.
Considerazioni
La
scuola ritorna ai suoi ritmi e alle sue ordinarie vicende, l’istituzione pare
riuscire ad assorbire i traumi del momento. Tuttavia c’è qualcosa che dovrebbe
prima o poi esser argomento da precisare: cosa chiede davvero la società
italiana e il territorio alla scuola? Una scuola auto-centrata su se stessa oggi
nel 2012 non pare possibile. L’autonomia quali risposte soddisfa? Ci sono
autentiche domande di formazione e supporto che emergono dal territorio e sono
rivolte alle istituzioni scolastiche? Ci sono esigenze educative realmente
nuove? Il vivere la scuola come lavoro impedisce di vedere i suoi limiti?
Queste
sono domande da porsi ogni tanto.
Data.
Dal 25/11/12 al 30/11/2012
Note.
Prime
prove come docente ora alternativa a quella di religione.
Sto
lavorando sui termini e sui vocaboli che dovrebbero far capire il determinarsi
della complessità della presente civiltà industriale.
Intanto
nuove notizie sul concorso e sulla prove del test d’ammissione, la famosa
pre-selezione, si precisano i termini della cosa.
Vivo
molto male l’attesa, sinceramente avrei preferito la sparizione dalla realtà
del concorso; sono iscritto da anni nelle graduatorie su cui incide il concorso
e se non lo passo la possibilità del ruolo si allontana di chissà quanto. Per
me è la sconfessione di anni di vita, di lavoro e di studio. Dovrei provare a
rovesciare questa sfortuna che si è manifestata nella mia esistenza professionale
e umana, non so come in verità. Dovrei passarlo ma se ci sono 11.000 posti più
o meno a fronte di oltre 300.000 candidati temo che la cosa si metterà male. Su
trenta è probabile che ci sia uno più bravo, più fortunato, meglio protetto
dalla sfortuna da qualche santo taumaturgo che gli fa la grazia. Questa non è
una considerazione estemporanea, è un fatto abbastanza oggettivo.
Considerazioni
La
condizione del Belpaese è tragica ma non definibile perché è troppo difficile,
se non impossibile, osservare natura e destino della civiltà italiana. Del
resto chi fra i politici parla di civiltà italiana esistente qui e ora? Quando
si parla di civiltà italiana se ne parla al passato di solito il discorso cade
nella lode, spesso interessata, di principi e artisti del Rinascimento e
talvolta è chiamato in causa qualche
patriota dell’Ottocento, per il presente i riferimenti delle piccole minoranze
al potere in Italia sono forestieri, come il loro linguaggio. La loro mentalità
sembra essere l’ombra di quella di un ricco WASP di Londra o New York. Manca un
senso forte di esistenza e appartenenza alla civiltà italiana da parte delle
minoranza nostrane al potere, quando di patriottico si è mostrato al pubblico
negli ultimi vent’anni pare il frutto di una rielaborazione del patriottismo
statunitense mutuato dai telefilm e dai divi del cinema che si mettono la mano
sul petto quando sventola la bandiera a stelle e strisce e parte la colonna
sonora con l’inno. Del resto basta pensare a quanto arte, archeologia, scuola
siano poco considerate dalle minoranze al potere il cui maggior interesse sono
le proprietà immobiliari, i soldi all’estero e le case e le società nei paradisi
fiscali. Di solito gli scandali di cui si occupa la patria cronaca giudiziaria
coinvolgono onorevoli, proprietari delle squadre di calcio, banchieri,
finanzieri, immobiliaristi, commendatori, politici si riferiscono a reati di
materia fiscale o a forme più o meno fantasiose di truffa. Non ricordo di
uomini italiani ricchi e potenti travolti per reati di carattere ideologico o
che hanno mollato tutto per andare a sacrificarsi per qualche causa romantica o
patriottica. Per la verità neppure di donne italiane di questo tipo. La civiltà
italiana se sarà, sarà nel futuro. Quelle del passato son macerie e miti morti,
il presente non ne ha una, o se c’è è praticamente invisibile. Ci vorrebbero
esseri umani coraggiosi che con spirito profetico rimettono assieme l’aspra
realtà della terza civiltà industriale con i frammenti di passati immaginari e
fantasie perdute. Questi temerari dovrebbero arrivare a una sintesi del tutto
nuova, a una dimensione altra, a pensare il Belpaese del XXI secolo e forse
crearlo per la prima volta. Si tratterà tuttavia per questi coraggiosi di
ritrovare un senso comune e di mettere assieme i pezzi di un percorso nuovo
essendo quelli precedenti dissolti o schiantati. Certo che a pensarci bene far
schiantare i miti patriottici, politici,
e di superiorità culturale dell’Italia è stata cosa da poco. Il supermercato e
la televisione hanno distrutto le pretese della cultura alta del Belpaese, l’evidenza
che l’altro che già da decenni aveva il frigo pieno, l’auto, la televisione ha
spazzato via in meno dieci anni tutte le illusioni culturali prima e un
decennio dopo il grosso delle allucinazioni politiche con la fine del comunismo sovietico e l'evidenza dell'affarismo in politica. Nel 1994 alla fine della
Prima Repubblica c’era un solo autentico mito di massa rimasto in piedi: Il
DIO-DENARO.
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1 dicembre 2012
Diario Precario dal 16/11/2012 al 23/10
Data.
16/11/12 Note. Assemblea
istituto. I
relatori non sono arrivati, adunanza riuscita alla buona. Invitato
dagli studenti ho detto qualcosa in quella sede, mi capita alle volte. Non
dovrebbe essere la regola e per fortuna non lo è. Fatta
sorveglianza. Considerazioni La
giornata mi è parsa all’insegna della beffa. Data.
Dal 17/11/12 al 19/11/2012 Note. Giorni
difficili perché vuoti. Notizia
di occupazione sede principale. Ancora
turbamenti personali per il concorsone. Sul
giornale notizie indigeribili, brutte, squallide. Considerazioni La
solitudine è la grande arma del potere in quanto potere sugli esseri umani di
oggi. Milioni di esseri umani scissi e rinchiusi nel loro piccolo mondo
d’interessi materiali e in competizione per non si sa bene quali premi e quali
privilegi sono incapaci di creare modelli di comportamento e di prassi di
valori altri rispetto a quelli mercantili oggi dominanti. Lo vedo guardando
indietro nella mia esperienza di vita passata. La solitudine è più di una condizione esistenziale, è forma del dominio
delle merci sulla mente umana perché il soggetto solo ha bisogno di stimoli che
vengono dalla moda, dalla pubblicità, da forme artefatte di socialità, sente il
desiderio di seguire il gregge umano, la massa, la spinta di collettività
anonime. Un milione di anime solitarie sono l’utenza fissa di ogni buon centro
commerciale. Chi è l’essere umano di oggi? Chi è l’essere umano della terza
civiltà industriale? Lo
squallore dei nostri tempi è anche il frutto di un a perdita di senso della
vita umana, la mancanza di fini ultimi, di visioni mistiche, di grandi sistemi
ideologici consegna ogni privato al suo intimo squallore privato; e si pensi al
vero. Non quel che innalza a vette di comprensioni mistiche o sublimi ma allo
squallidissimo interesse egoistico privato e quotidiano. Ciò che affonda
l’essere umano è più forte di qualsiasi cosa lo porta in alto. L’abisso mostra
la dimensione dominante dell’essere umano; è ciò che è eccelso e sublime cosa
rara e difficile da prendere anche quando si presenta nella vita banale di
tutti i giorni. Questo è un tempo di abissi, per carità spesso portatori di
verità e di descrizioni del reale veritiere, ma il contrario dell’abisso è
raro; come se fosse lì solo per confermare ciò che sprofonda e va nel torbido.
Il pensiero politico dominante neo-liberale è la giustificazione del
capitalismo della terza rivoluzione industriale che risulta essere globale e
iper-tecnologico e nello stesso tempo attraversato da volontà di potenza di stati
neo-imperiali. Ma il pensiero neo-liberale nei fatti è poco più di una
giustificazione dei rapporti di forza e di dominio di una minoranza di
super-ricchi e del presente sistema capitalista, non ha un disegno finale, un
senso della storia, del percorso storico di una civiltà o dell’essere umano; di
fatto è anche una rottura con il pensiero liberale classico che era
profondamente intriso di un suo, sia pur discutibile, senso morale. Non c’è un
fine nel sistema ma solo il perdurare del sistema stesso, almeno finchè durano
le condizioni generali delle risorse e dei rapporti di forza militari, politici e sociali che lo consentono. Data.
Dal 20/11/12 al 23/11/2012 Note. Occupato
il Liceo, occupazione con possibilità di portar avanti la didattica. Nei
limiti del possibile. Poteva
finir peggio. Intanto
le proteste studentesche della provincia sono finite sul giornale. Socializzazione
con i colleghi nell’occasione della sovversione studentesca dell’ordinario
ordine di cose. Lezioni
un po’ surreali con una parte degli allievi che occupa e altri no. Spesso
non-lezione con le sedie vuote nelle classi. Considerazioni La
condizione straordinaria dell’occupazione mi ha fatto passare un po’ di tempo
con i colleghi in aula docenti. Certo che un divano per i docenti in queste
situazioni non sarebbe malvagio, mi
ricordo di aver trovato nella mia esperienza di precario delle aule professori
con un vecchio divano un po’ sfatto ma tanto comodo. In questo mio incarico non
è in dotazione. Certo che parlare di scuola con i colleghi usando il divano dà
un senso di pace borghese da Primo Novecento. Riesci ad essere quasi pacato,
riflessivo mentre magari parli del concorsone del 2012. I divani rendono una
comodità che la sedia ordinaria, anche quella con i braccioli, non ha. Per
esempio se uno si confronta con un collega di storia e filosofia intorno alla storia della Cina
Contemporanea con rivista o articolo alla mano e al successo internazionale del
capitalismo autoritario creato dal partito comunista cinese è bene avere vicino
un divano. Si può parlare pacatamente e con lucidità del fatto che quel modello
è invidiato da fin troppi manager di colossi finanziari, commerciali e
industriali in Europa e non solo, che l’autoritarismo, la tecnocrazia e il
dirigismo cinese stanno facendo scuola, suscitano spirito di emulazione perché
è un modello, visti i tempi, vincente. Una cosa del genere è brutto discuterla
in piedi. Il divano filosofico-storico-letterario dovrebbe essere posto fra le
dotazioni non necessarie ma auspicabili. Una
cosa che è opportuna, ma forse più del divano, è una seria attenzione della
stampa locale per la scuola. La scuola appare magicamente sui giornali per
fatti gravi di cronaca, occupazioni, eventi come adunanze straordinarie alla
presenza delle autorità, sinistri nel senso di tubi rotti o soffitti che
cadono. L’ordinario e il banale della scuola non compare mai, così tanti
pensano che la scuola sia quella di trenta o quaranta anni fa quando al
contrario è successo di tutto. Per far capire al Mario Rossi di turno cosa
accade nella scuola di oggi ci vorrebbe un vocabolario minimo per termini come:
“POF, pentamestre, trimestre, quadrimestre, moduli, unità didattiche, terza
prova, simulazione terza prova…”. Perché di solito si occupano di scuola le
signore e per un periodo della loro
vita. Il resto degli italiani, di solito, uscito da scuola si disinteressa di
ciò che capita e di ciò che cambia nel sistema della scuola. Quindi è naturale
che i più ignorino che nel giro di un paio di generazioni la scuola è profondamente
mutata. La stampa forse dovrebbe dirlo, ma non lo fa e così anche la
televisione, infatti ciò che fa spettacolo o può essere confezionato come
spettacolo è preferito alla descrizione un po’ triste del mondo umano dove uno
vive. Lo spettacolo fa i grandi numeri, pubblicità, fama, crea personaggi.
L’ordinario, il banale, l’ovvio mette tristezza, fa pensare la tempo che
scorre, al senso dell’esistenza propria e altrui. Proprio non va per la
pubblicità. La pubblicità paga i giornali, programmi televisivi, riviste, tutto
ciò che è comunicazione e pretende
grandi numeri. Mi chiedo come potrebbe essere la scuola vista da un marziano
che con l’UFO in questi giorni capita per la provincia e osserva le
occupazioni. Che potrebbe capirci? Come potrebbe fare una mappa concettuale di
ciò che vede e dei meccanismi sociali e di relazione e comunicazione? Cosa
potrebbe mai dire di una scuola occupata dagli studenti? Magari su Marte la
scuola viene occupata da assessori, sindaci, presidi e vicepresidi e gli
studenti chiamano la polizia. Oppure posso figurarmi che il marziano con l’UFO
ritenga che volantinaggi, cortei e proteste per la scuola siano manifestazioni
di protesta tipiche non degli studenti ma di genitori, insegnanti, dirigenti
d’impresa, capi politici al governo. In fondo se l’istruzione comune va male è
ragionevole pensare che in prospettiva vada male tutta la società e si fermi il
progresso, la scienza, l’arte, la continuità con il passato, le manifestazioni
di sapere o di creatività individuali e
collettive.
Considerazione surreale
Oggi c’è bisogno di un
marziano con l’UFO che dall’alto del suo essere alieno e superaccessoriato e
tecnologico che descriva questi formicai impazziti comunemente chiamate civiltà
umane ormai arrivate al tempo della decadenza della civiltà europea, sedicente
occidentale, e della globalizzazione.
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