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22 gennaio 2011
Il Belpaese: Scala Sociale
Le Tavole delle colpe di Madduwatta: Secondo Libro
IL
BELPAESE E LE SUE PAURE NASCOSTE: Scala sociale
Il
Belpaese è nei fatti popolato da una maggioranza di umani che sono dipendenti
per stipendi e salari dallo Stato o dai privati. Quindi la maggior parte degli
italiani non sono imprenditori, manager, liberi professionisti. Ora capita che su tutto il Belpaese cali una
forma di persuasione pubblicitaria, televisiva, cinematografica che individua
proprio nelle minoranze di ricchi che sono in alto nella scala sociale la
miglior forma di vita sociale in virtù della loro capacità di accedere a beni
di consumo superflui. Quindi tutti coloro che vivono al di fuori della
ricchezza ostentata, della notorietà televisiva o politica e dei privilegi
presi con l’astuzia o ereditati cadono nella condizione di esseri grigi,
anonimi, ignoti ai più e in generale di stipendiati, di essere a modo loro
lavoratori. Si tratta delle forme
visibili della scala sociale di oggi, in essa gerarchie antiche vengono
dissolte e spariscono e nuove caste di ricchissimi e nuove categorie di potenti
s’innalzano. Oggi nella scala sociale ai livelli più alti si presentano facce
nuove e nel loro essere novità
spaventano e turbano i molti, il tutto nell’indifferenza arrogantissima e
crudelissima di chi vive di politica e ormai da decenni è estraneo alla storia
e alla vita delle diverse genti d’Italia. La nostra politica di professione è
fatta da specialisti del consenso e della mediazione sociale e legale, esseri
estranei alla sofferenza e alla quotidiana fatica di milioni d’italiani. Queste
minoranze che fanno della rappresentanza politica una professione lucrosa si
rivolgono all’elettorato per ragioni di consenso, di voti referendari, di
conteggio fra di loro per dividersi posti elettivi e cariche di
responsabilità. Tuttavia alcuni fenomeni
turbano la sicurezza relativa di chi vive di politica e dei ceti professionali
o parassitari miracolati dall’iniqua redistribuzione della ricchezza e del
carico fiscale creata ad arte dal sistema sociale e politico. Nella scala
sociale nostrana da un paio di decenni fa capolino l’immigrato di colore o
asiatico che è diventato piccolo imprenditore e talvolta assume perfino
personale italiano o è in grado di fornire merci e servizi diventando così un
soggetto importante dei fatti sociali ed economici di un territorio. Questo
accade con regolarità in Veneto e in Toscana ma sono sicuro che altre regioni
sono interessate da questo fenomeno, e così l’altro ascende nella scala sociale
e sotto di lui milioni di umani originari da più generazioni del Belpaese che
si trovano scavalcati e non sanno che cosa pensare o cosa raccontare a se
stessi e agli altri. Per chi scrive il razzismo nostrano è principalmente, ma
non solo perché è una massa informe di fenomeni diversi, il terrore di vedersi
travolti dall’altro che ascende e lascia indietro chi da secoli è presente sul
territorio con la sua famiglia e le sue storie. Una vertigine prende lentamente
e inesorabilmente le genti del Belpaese che voltandosi indietro con la memoria
osservano il passato dell’infanzia e della gioventù e non ne trovano più
traccia in questo presente che ha forse l’unico merito di aver dissolto le
troppe illusioni inquinanti del passato. Così persa la continuità con il
passato anche in relazione alla scala sociale e la speranza in un Belpaese che
assunto una forma inedita e non voluta resta solo la concretezza dei soldi, dei
terreni, delle case, dei fabbricati e capannoni posseduti. Alla fine il nostro popolo si conferma
permeato da brama di cose materiali e di piaceri misurabili in termini di
denaro contante. La sua natura collettiva sembra nel complesso estranea a
qualsiasi astrazione spirituale o metafisica, a qualsiasi giustizia che non sia
misurabile in denaro contante, a qualsiasi potere che non sia espressione di
una forza fisica e coercitiva presente e forte. Ma quanti si sono abituati a
vivere nelle certezze e nelle rendite di posizione del Novecento dovranno
subito far i conti con questo pesantissimo nuovo millennio che si presenta
dissolutore di tutte le antiche illusioni del passato e permeato di minacce e
inquietudini apocalittiche. Quando la crisi comincerà a determinare il volto
delle presenze sulla scala sociale del Belpaese quel che sarà dell’Italia sarà
qualcosa di estraneo alle vicende dei padri e dei nonni, l’altro avrà
modificato in profondità la natura stessa della composizione sociale e
personalmente stimo anche delle ragioni intime dell’attribuire senso a questa
vita. La scala sociale diversificata con l’apporto delle nuove comunità porterà
anche nell’immaginario collettivo le ragioni intime e vitali degli altri e le
genti difformi e disperse del Belpaese saranno forzate a determinare che cosa
sono e cosa sono state e cosa vogliono essere in futuro. La scala sociale non è
più un fatto dei soli italiani-italiani ma oggi appartiene anche
all’Italiano-Marocchino, Italiano-Cinese, Italiano-Filippino, Italiano-Rumeno
ecc…
La
fortuna di nostri che vivono di politica è che la maggior parte delle genti del
Belpaese che hanno l’abitudine di votare non ha ancora capito questa cosa e
pensano di vivere nel 1986 o giù di lì, dentro l’Italia dei sogni impazziti.
Una bella fortuna davvero per costoro.
IANA per FuturoIeri
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13 giugno 2010
La Guerra degli altri-pezzo ripubblicato
13 Giu, 2010
De Reditu Suo - 2° Libro: un pezzo ripubblicato da Franco Allegri su Empolitica

De Reditu Suo - Secondo
Libro
La Seconda Guerra Mondiale degli altri
26/02/2010
Del Prof. I. Nappini
Se è difficile scrivere della Seconda Guerra Mondiale in Italia, È
DIFFICILE ANCHE SCRIVERE DI UN FILM CHE NE MOSTRA UN ASPETTO POCO NOTO e
portatore di dubbi e di nuove considerazioni.
Quasi per caso e a pezzi su Youtube ho potuto vedere qualcosa di un film
sulla guerra in Italia fatta dalle truppe francesi golliste al seguito
delle forze armate Statunitensi.
Sto prendendo in considerazione il film nominato in lingua inglese Days
of Glory del 2006, in francese è noto sotto il nome di “Indigènes” il
regista è Rachid Bouchareb.
Si tratta della storia di una forza armata di Marocchini, Tunisini,
Marocchini e montanari del Nord-Africa arruolati nella Prima Armata
Francese che combatté sul Fronte di Montecassino in Italia, in Francia
del sud e infine in Alsazia-Lorena ai confini della Germania.
A onor del vero queste truppe nel Belpaese si son fatte una fama
tremenda, DEL RESTO SECONDO UN VECCHIO GIUDIZIO E PREGIUDIZIO LE
GENTI D’ITALIA AMANO CONSIDERARE COME LIBERATORI SOLO GLI STATUNITENSI
CHE ERANO UNA DELLE TANTE FORZE che combattevano il
Nazi-Fascismo nel Belpaese nel periodo 1943-45.
L’immagine dello statunitense in divisa e elmetto che regala Coca-cola e
cioccolata ai bambini, vera o falsa che sia, è per così dire quella
alla quale s’affezionano le genti del Belpaese.
Gli altri Marocchini, Inglesi, Greci, Nepalesi, Maori, Sudafricani,
Neo-Zelandesi, Brasiliani e quanti altri ora sul momento non ricordo,
sono poco considerati o dimenticati da una certa retorica ufficiale e da
una certo modo di pensare la Seconda Guerra Mondiale.
Del resto a onor del vero c’è da dire che le truppe francesi che
sfondarono le difese tedesche e aggirarono la posizione di Montecassino
erano proprio quelle di cui si racconta nel film in una cruda scena di
combattimento ed esse ricavarono dalla campagna d’Italia una fama
sinistra di violenza gratuita contro le popolazioni civili.
Occorre precisare che questa triste fama è stata sfruttata dalla
pubblicistica della Repubblica Sociale molto attenta alle paure
fondamentali della piccola borghesia italiana e in particolare al
terrore che suscita il diverso, anche in quanto negro o magrebino, e il
comunista ateo in quanto distruttore della proprietà privata dei ricchi.
Quel che considero interessante tuttavia è l’emergere della guerra degli
altri, OSSIA DI COLORO CHE NON SONO PARTE DI UN CERTO MODO
STEREOTIPATO E RETORICO DI DESCRIVERE LE VICENDE BELLICHE DELLA SECONDA
GUERRA MONDIALE; i quali peraltro hanno anche pagato con la
vita la loro partecipazione al conflitto.
Credo che fra non molto anche nel sonnolento Belpaese si aprirà, fra
l’indifferenza generale delle diverse popolazioni, il problema della
cultura degli altri che non sono affatto delle pagine bianche ma recano
con sé le loro ragioni e i loro modi di vivere anche in materia di
storia comune.
Le genti del Belpaese si son illuse: hanno chiesto braccia e badanti e
son arrivate intere famiglie e son qui per restare e portano la loro
storia e la vicenda umana; questo film ne è la dimostrazione.
—-
Il professor Nappini cura il sito
http://noglobalizzazione.ilcannocchiale.it
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29 marzo 2010
L'Italia delle antiche rovine e degli eroi immaginari

De
Reditu Suo - Secondo Libro
L’Italia delle antiche
rovine e degli eroi immaginari
Le genti del Belpaese si
devono dividere fra i resti di macerie e rovine delle antiche civiltà del
Belpaese e fra una miriade di eroi più o meno immaginari siano essi politici,
santi elargitori di miracoli, artisti meravigliosi, architetti abilissimi,
condottieri e altro ancora. Rovine di miti e tempi perduti ed eroi morti persi
in ricordi lontani, in appunti frettolosi, note a margine di qualche guida
turistica o pagina WEB di qualche Agriturismo o
hotel di questa lunga penisola. Dismessi i panni imperiali e fascisti o
para-Risorgimentali da decenni il mondo umano del Belpaese si accontenta di
eroi minimi televisivi, pubblicitari, banalmente propagandistici e talvolta in
mancanza di meglio anche di quelli dei cartoni animati giapponesi.
Personalmente dal 2005 ho riscoperto il grandissimo Capitan Harlock che fu un
eroe dei cartoni animati al tempo della mia infanzia. Tuttavia rimane il
problema che gli eroi apertamente finti, o virtuali o trapassati possono ispirare azioni concrete e assolutamente materiali; ma
l’oggetto dell’ispirazione non è mai lì è sempre aldilà dell’azione e del gesto
concreto e materiale. Questo vale anche per le rovine di cui è ornata la
penisola ed esse sono un monito e una sfida: superare gli antichi ed evitare di
fa la loro fine. Pure in questo caso si
è quasi perso il senso di monito e di sfida che il passato rivolge al presente.
Le rovine diventano occasione per un turismo di massa frettoloso e poco audace
che si accontenta dei pacchetti delle agenzie e che non cerca di scoprire
qualcosa di personale trovando una via propria per decifrare un popolo con la
sua storia e il suo passato. Io mi ostino a credere che sia possibile decifrare
il passato in quanto tale e far di esso qualcosa di potente, qualcosa che
diventa parte del singolo perché da ad esso un punto di partenza di una storia
umana che è sua e che è di tutti gli altri e che dona la certezza di non essere
al mondo solo di passaggio, casuali, piovuti sulla nera terra tanti anni fa per
una bizzarria, dovuta all’amore o alla passione. Questa mia convinzione mi
porta ad affermare che c’è bisogno di modelli, di punti di riferimento per
giustificare i proprio stare al mondo, per dare un senso alle proprie azioni,
per tendere più o meno consapevolmente a produrre una propria interpretazione
del proprio ruolo nel mondo dell' uomo Avere una percezione del proprio passato
e comprendere il proprio stare al mondo è utile per darsi una personalità con
la quale si possa misurare la distanza propria dal mondo degli Dei e degli
Eroi. Ognuno ha poi i suoi modelli, i suoi Dei e i suoi Eroi; personalmente non
trovo quasi nulla di eroico e di divino dei capitani delle squadre di calcio di serie A, al contrario milioni di
umani miei simili sono così affascinati dal gioco del pallone che si
sentirebbero offesi da questa mia persuasione. Alla fine di questi anni
indecorosi e inverecondi qualcuno che verrà farà il confronto fra le rovine e i
miti del nostro remoto passato e questa cosa informe che si va formando tra la
morte della Prima Repubblica e il lento
decomporsi della Seconda. Il silenzio delle cose morte cadrà allora sui tutte
le illusioni e i falsi idoli della propaganda e della pubblicità.
IANA per FuturoIeri
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18 gennaio 2010
Comunità straniere e pietose finzioni
De Reditu Suo
Comunità straniere e pietose finzioni
Il Belpaese è
ad oggi una somma di egoismi sociali e di differenze, quindi ad un esame
superficiale non dovrebbe esser così difficile includere le molte comunità
straniere di recente immigrazione in questa massa di gente difforme incattivita
e piena di rancore che forma la stragrande maggioranza degli italiani. Eppure
c’è una banalità assoluta che rende complicato riconoscere il diritto di
voto e la cittadinanza agli stranieri:
la consapevolezza che riconoscere ciò in questa situazione vuol dire mettersi
in discussione. Quando andati distrutti i grandi partiti di massa, morte le
ideologie del Novecento, cancellati o ridicolizzati i principi della politica propri
delle origini della Repubblica è emersa
una politica italiana dalle basi incerte, di fatto ridotte alla sola propaganda
politica che ricalca quella della pubblicità commerciale o della campagna
elettorale permanente di alcuni privati diventati dei leader. Quindi
l’inserimento della forza lavoro che forma i livelli più bassi del sistema non
vuol dire solo per l’Italia politica il farsi carico di problemi sociali che
son stati rimossi e lasciati
incancrenire ma affrontare un problema di ordine civile enorme: come
ricostruire l’Italia. Nel momento in cui verranno dati i diritti politici le
nostrane sedicenti classi dirigenti dovranno spiegare alla stragrande maggioranza
di Italiani-Italiani che cosa è il loro Belpaese che fino a ieri essi
consideravano il loro e, per così dire, la casa privata dove fissare regole
proprie al riparo dagli altri e dai diversi. L’immissione di nuovi soggetti
politici legati alle comunità di nuova immigrazione inizierà a ridefinire le
diverse identità degli italiani, dovranno gli abitanti del Belpaese far conto
che il loro municipalismo e provincialismo da strapazzo verrà distrutto
rimettendo in discussione i poteri locali
che dovranno far i conti con consiglieri comunali e imprenditori cinesi,
egiziani, nord-africani, albanesi e chissà forse perfino rumeni. Lo straniero
che si fa, mi spiace per lui, italiano porterà qualcosa in più e di diverso che
metterà in crisi quell’ultima barricata che è la convinzione di poter fare gli
affari propri con le regole scritte in casa almeno a livello locale. Al posto
del coraggio che impone di considerare il problema e costruire una civiltà
italiana che sostituisca questo casino criminogeno e deforme ereditato dalle
precedenti generazioni si è preferita la strada della finzione, dell’ipocrisia,
del fingere che il problema sia solo di natura delinquenziale e possa esser
risolto con i soldati che presidiano qualche piazza e qualche viale. A parziale
discolpa del presente governo, che in quanto governo è comunque responsabile
per lo stato delle cose, devo dire che nella maggior parte dei casi le diverse
genti del Belpaese hanno infilato la testa sotto la sabbia e non hanno voluto
mettersi in discussione. Tutto ciò che rompeva la banalità dei propri affari e
del proprio piccolo lavoro o interesse era lo sporco da rimuovere o da far
sparire, l’altro era l’altro e alla fine il suo inquadramento rientrava nella
vecchia categoria del barbaro invasore o nel saraceno predatore ereditata dal
medioevo più cupo. Al posto delle soluzioni necessarie son venute fuori pietose
finzioni, falsi moralismi, invocazioni del fantasma della civiltà italiana
verso il quale queste nuove genti dovrebbero ostentare una sottomessa
devozione. Si son avute troppe fantasie della retorica giornalistica e della politica
e non l’autentico tentativo di rispettare e d’includere sapendo che la
diversità è importante e che essa non è solo un valore culturale ma quando
viene accolta in un sistema complesso e turbolento come il nostro è una messa
in discussione di salari, posizioni dominanti, carriere politiche, ordinamenti
sociali costituiti. O forse son ancora tanti
i folli che credono che i figli di un raccoglitore di frutta da grandi si
faranno sfruttare per 25 euro al giorno? Perché se così è consiglio di recarsi
dal medico perché questa non è cultura o politica italiana ma follia e delirio.
Quando la pietosa finzione diventa delirio è tempo di affrontare la realtà per
ciò che è ed essere ciò che si dovrebbe essere.
IANA per FuturoIeri
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10 novembre 2009
Sepolture simboliche per i ricordi del tempo morto
De Reditu Suo
Sepolture simboliche per i ricordi del tempo morto
Un caso, è stato un caso e ho rivisto e udito nei
montaggi che fa una trasmissione di Raitre la vecchia sigla di Lady Oscar. Il
contesto era fuori luogo, ma comunque la mia memoria è andata ad anni molto
lontani, a un mondo ormai morto e sepolto con le sue illusioni, le sue logiche,
perfino con le sue virtù. Già perché quella serie animata, dalla quale mi sento
lontano, è stata parte di un mondo dell’infanzia che era inserito in una
vecchia Italia decadente che conservava dei valori e delle logiche un minimo
decenti; quella sigla mi spediva a tradimento in un tempo diverso e altro, oggi
morto. Per me la constatazione della morte di quel mondo è un fatto doloroso,
eppure devo rendere omaggio a una vecchia Italia che non c’è più e forse anche
a una sigla per quei tempi coraggiosa e decisamente fuoriclasse. Se avessi i
soldi dovrei conservare in delle teche da museo o in una specie di cassettiera
a metà strada fra quelle della sala professori e l’ossario i resti pietosi di
quel tempo perduto. Penso ai dischi in vinile, alle pubblicazioni ERI dedicate
agli eroi del piccolo schermo, ai trasferelli, agli album di figurine e ai
primi robot di plastica, ai giocattoli dell’Atlantic, ai filmini che si
vendevano allora e che venivano usati con dei proiettori casalinghi. Ricordi di
un tempo morto, non tutti piacevoli. Meriterebbero queste cose una sepoltura
simbolica, non per cattiveria o per feticismo da strapazzo ma per delineare un
prima e un dopo, un esser qui e ora avendo alle spalle qualcosa che forse ha
cercato di raccontare, in modo strambo e un po’ pazzo, anche le speranze
l’inquietudine di un tempo lontano. Per me è doloroso, ma devo far i conti con
un tempo che è ormai altro, dove le illusioni di natura sublime o le fantasie
del periodo hanno lasciato il passo a un mondo umano ben più triste e meno
portato a slanci eroici o generosi; è rimasto poco della natura problematica,
altruistica e contestataria degli anni settanta che era, sia pur sottotraccia e
da decifrare, presente in alcune serie animate giapponesi. Oggi tutto è
stritolato dalla macchina dell’industria dell’intrattenimento e lo spazio per
l’arte e la provocazione sembra essersi ristretto anche nelle serie animate
dell’Arcipelago. Rimane quindi nel nostro ossario ideale anche il rispetto per
un piccolo mondo antico e l’amarezza per questi anni così meschini. Quindi
essendo vano il piangere a oltranza sul tempo perduto, anche se può avere una
sua dignità, occorre pensare al qui e ora e al futuro. Evidentemente per
descrivere le speranze e le paure concrete di questi anni sarà necessario non
far affidamento sulla dimensione commerciale; occorre che nasca l’esigenza da
parte della gente perbene di creare le condizioni per scrivere, disegnare, fare
cose di carattere civile e culturale. Occorre che quasi con una spinta dal
basso si formino quelle spinte a descrivere in forma fantastica o allegorica le
passioni e le paure di questi anni. Credo che la potenza creativa dei nostri
anni ancora non emerga in forma compiuta perché tarpata dalla difficoltà di
attivare canali paralleli rispetto a quelli lucrativi, ma forse il rimedio già
c’è la rete e i nuovi mezzi per moltiplicare messaggi, disegni e scritti
potrebbero favorire la formazione di spinte culturali dal basso, forse questa è
illusione, o forse è il futuro.
La libertà inizia da sé stessi.
IANA per FuturoIeri
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8 novembre 2009
Quale forma per la propria libertà?
De Reditu Suo
Quale forma per la propria libertà?
Per caso mi
è caduto l’occhio su Youtube su uno dei tanti montaggi che intendono onorare
Capitan Harlock, il pirata spaziale dei tardi anni settanta inventato dal
maestro del fumetto giapponese Leiji Matsumoto. Uno di questi montaggi di
sigle e spezzoni della serie si concludeva con una frase che credo una volta
tradotta suonasse così: “Tutti gli uomini cercano la loro Arcadia”. Arcadia è
la corrazzata spaziale del pirata Harlock e nello stesso tempo è il simbolo
della libertà coincidente con la vita dell’eroe, visto che è l’arma con cui
porta a effetto le sue imprese e con la quale si difende dai tanti nemici. Si
tratta di una metafora poetica: l’astronave spaziale da guerra è il simbolo di
una libertà assoluta e di un luogo nello spazio nel quale si è liberi dalle
costrizioni dei poteri scellerati e corrotti sedicenti democratici e dai
sovrani sanguinari e bellicisti che fanno solitamente da antagonisti all’eroe e
alla sua ciurma. Ora c’è qualcosa di vero in questo frase e in questa metafora.
La libertà,
inclusa la libertà di avere le proprie opinioni ha bisogno di strumenti, ha
bisogno sempre di strumenti materiali e intellettuali per difendere se stessa
da quelle forze che in modo palese o occulto vogliono plagiare la mente degli
esseri umani. Oggi si fa questo con la propaganda più o meno politica, con le
concentrazioni editoriali che si spalmano su certe posizioni o che sollecitano
certe paure collettive, con la cattiva televisione, con la pubblicità
commerciale che martella sempre gli stessi messaggi e le stesse modalità
d’intendere la vita. La prima di tutte le libertà quella del pensiero esige un
livello minimo di conoscenza degli strumenti del plagio, esige un po’
d’esperienza se non politica almeno di come si muove la società in cui uno
vive, impone riflessioni ora dolorose ora penose sui propri errori; questa è
quindi appropriazione di sé e affermazione di un proprio mondo interiore.
Purtroppo viviamo in un tempo di decomposizione delle democrazie e delle
libertà, forse questo avviene perché questa è una transizione verso qualcosa di
nuovo che ci aspetta come esseri umani alla fine di questa terza rivoluzione
industriale. Forse fra qualche decennio l’umanità sarà talmente integrata con
gli strumenti tecnologici e il vivere quotidiano talmente cambiato che sarà
impossibile riconoscere le tracce delle abitudini e delle fobie di questi anni.
In questo contesto internazionale, e nel caso italiano in particolare, la
libertà di pensiero deve essere curata con grande attenzione perché nella
cultura materialista delle difformi
genti d’Italia l’individuo è coincidente non con ciò che è ma con ciò che ha.
Questo fa sì che i pensieri, le opinioni, le speranze più forti siano viste
dalla stragrande maggioranza delle popolazione come divagazioni poetiche; al
contrario le raccomandazioni, i soldi, la casa, le proprietà,la villa, la
macchina di lusso son percepite come cose serie, certe, buone perché reali.
Ecco allora il difetto principale della libertà di pensiero in Italia: essa è
considerata dai più una cosa strana. Avere
le proprie idee e ostentarle è una cosa da gente eccentrica, meglio ripetere
quelle di cui si sente dire in giro o non dir nulla, o non pensare affatto. La
libertà di pensiero è quindi anche auto - determinazione e affermazione di sé
come individui, essa è uno dei principali strumenti per decifrare questa realtà in
trasformazione, ma nel Belpaese ora vanno forte gli inganni.
IANA per FuturoIeri
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31 ottobre 2009
Adesso il Belpaese è tutto il mondo, quindi non sa chi è
La valigia dei sogni e delle
illusioni
Adesso il
Belpaese è tutto il mondo, quindi non sa chi è
La penisola
ne ha viste tante: invasioni barbariche, eserciti medioevali e rinascimentali
messi in piedi con tutta la feccia umana del Vecchio Mondo e non solo, e poi
l’età Moderna con gli stati italiani messi in palio durante le guerre fra le
potenze d’Europa nel Settecento e nell’Ottocento e i loro eserciti che han
fatto il comodo loro per tutta la lunghezza del Belpaese da nord a sud. Il
Novecento è stato fin troppo umiliante, e gli esiti delle due Guerre Mondiali
hanno manifestato le troppe debolezze dell’Italia e delle sue genti difformi e
la totale irresponsabilità e viltà delle sue sedicenti classi dirigenti. Queste
amarissime vicende storiche han fatto sì che lo straniero nel Belpaese sia
sinonimo d’invasore, di barbaro, di assoldato razziatore e delinquente, di
saraceno venuto dal mare per bruciare le chiese, sterminare la popolazione e
rapir le donne. Questo macigno non può essere rimosso nemmeno dalla pessima
pubblicità commerciale dove bambini di tutti i colori ostentano prodotti
commerciali magari prodotti nei paesi poveri da una forza lavoro adolescenziale
sfruttata e vessata, da mitologie del tutti belli e buoni, dal buonismo
farisaico dei partiti moderati, da un comune buon senso che è solo chiudere gli
occhi davanti alla realtà, dal fingere con pertinace indifferenza che nulla è
cambiato. Questo fatto si combina con la doppia morale tipica degli italiani
per mezzo della quale si fanno certe affermazioni in pubblico e in privato si
pensa o si opera in modo completamente diverso secondo le proprie inclinazioni
e il proprio interesse. Ritengo che la maggior parte degli italiani non riveli
pubblicamente ciò che pensa davvero sulle trasformazioni che sono avvenute nel
Belpaese e in particolare sull’evidenza che si sono inserite in Italia comunità
di recente immigrazione con altre culture e altri costumi.
Per gli
abitanti della Penisola il rimescolare le popolazioni presenti sul territorio
non è una novità e l’abbiamo condiviso con tanti altri popoli al tempo dell’Impero Romano che ha portato a spasso
per la Vecchia Europa perfino i Samarti un popolo delle steppe dell’Asia,
arruolati nelle forze armate imperiali. Alcuni di loro, a quanto pare, finirono
nella Britannia romana. L’Italia ha attirato popolazione dall’Africa e dalla
grande massa di terre emerse dell’Europa e dell’Asia. Oggi con l’emigrazione da
tutti e cinque i continenti completiamo il percorso intrapreso due millenni fa,
l’Italia ha dentro di sé popolazioni di tutto il pianeta azzurro, ogni grande
città italiana, quasi per una burla del destino, ha al suo interno comunità che
rappresentano quasi tutte le popolazioni umane. Come al tempo dei nostri Cesari
non sappiamo più molto bene chi siamo, dove andiamo, che cosa si dovrebbe
essere. Per ora questi problemi sono
taciuti o hanno il bavaglio; l’eccezione al grande silenzio si è manifestata ed
è quella della manifestazione rabbiosa della comunità cinese che si è fatta
sentire in modo clamoroso a Milano qualche anno fa per questioni locali. Di
fatto le comunità di recente immigrazione non hanno ancora visibilità politica
e televisiva, ma questo dato ha i giorni contati; presto non sarà più possibile
ignorare la realtà, fingere che queste genti siano solo di passaggio, che
resteranno solo nei quartieri e nelle realtà dei loro padri. La seconda generazione nata e istruita in Italia chiederà
per sé qualcosa di diverso e d’altro. Cosa
sia il Belpaese è assolutamente ignoto, non so quale sia il volto del Belpaese,
forse oggi non è possibile ricostruire l’immagine di qualcosa che si sta
trasformando così rapidamente. Rimane allora l’immagine personale e privata, confusa
e distorta che mette assieme vecchie rovine, storie del tempo che fu, volti di
gente un tempo conosciuta e oggi trapassata e le quotidiane immagini della
televisione. E’ qualcosa, ma è anche troppo poco per capire quello che sta
prendendo forma.
IANA per
FuturoIeri
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19 ottobre 2009
La reggenza d'Italia e i fumetti
La valigia
dei sogni e delle illusioni
La reggenza d’Italia e i fumetti.
Capita di
leggere cose strane, talvolta esse fanno capire più di tanti saggi l’immediato
quotidiano di questo Belpaese. Il mio pensiero va a “Politicomics, raccontare e fare politica attraverso i fumetti” di Federico Vergari edito da Tunuè a Latina nel 2008
In Questa pubblicazione
si chiede l’autore se esiste ancor oggi il fumetto politico in Italia. Può
sembrare una cosa bizzarra, una distrazione da eruditi, tuttavia se si
considera il fumetto come una tipica espressione artistica della civiltà
industriale allora questa nota sconsolata va iscritta entro i termini di un
declino delle capacità delle genti del Belpaese di guardare a sé stesse con
lucidità e da parte della politica di pensare alla concreta realtà dei
cittadini. Del resto c’è un pregiudizio diffuso nella Penisola che indica i
fumetti come una cosa da bambini o da ragazzini e i fumetti che trattano
l’attualità o la politica come dei prodotti di scarto del giornalismo e della
polemica politica.
I fumetti
italiani sono la solita occasione perduta di dar corpo a una cultura popolare
che non sia la pura e semplice estensione della pubblicità commerciale e delle
logiche da grandi magazzini; mancano i volti e le voci per dar corpo alle
diverse genti d’Italia. C’è qualcosa d’arcaico e un senso d’inferiorità
rispetto ai grandi processi della civiltà industriale; la quale esprime parte
di una certa cultura popolare attraverso i fumetti. Questa condizione italiana è
anche il portato di una ostinazione
delle generazioni anziane del Belpaese che da decenni rifiutano il dato
di fatto che il mondo umano in cui vissero non esiste più e che l’apertura ai
controversi e insidiosi strumenti e segni della civiltà industriale è una
necessità vitale per un consorzio umano che aspiri a non essere travolto da una
realtà in rapida evoluzione. E’ il senso della continuità fino alla sua fine
ultima di un mondo antico in politica come negli aspetti della vita civile, un
segno ulteriore della senescenza della società italiana. Eppure adesso c’è
bisogno di contare le forme e le voci che emergono dalla Penisola
e dai suoi abitanti vecchi e nuovi, le cose cambiano e questa reggenza
finirà prima o poi.
Come ho scritto
tante volte, e di ciò chiedo scusa ai miei lettori abituali, i vecchi poteri
declinano e i nuovi ancora non prendono forma, l’Italia è come se fosse in una
condizione di reggenza al tempo del Medioevo: il re è morto e deve essere
sostituito dall’erede, ma il principe è troppo giovane o malato e non può
prendere il potere. Al suo posto, e a seconda dei casi, governa in suo nome un
cardinale o uno zio o un consiglio dei nobili o la regina-madre.
Questa crisi
della politica che non riesce a darsi un nome e un volto e ricorre a tutti i
travestimenti e a tutte le maschere ideologiche è il portato di una crisi di
modello di riferimento e segnatamente del capitalismo finanziario senza regole
e del liberismo sfrenato e senza limiti della civiltà Inglese e Statunitense. La
crisi economica e l’emergere di nuove potenze finanziarie che fanno riferimento
alla Cina, alla Russia, all’Europa, all’India e adesso perfino al Brasile
consegnano agli Stati Uniti un solo primato: quello militare. Nei fatti solo
l’enorme e smisurata potenza militare, e per mantenerla gli statunitensi
sacrificano gran parte delle loro risorse umane ed economiche, sostiene la
potenza dell’Impero USA nel mondo. Essere se stessi qui e ora non è un male, è
necessario.
IANA
per FuturoIeri
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19 ottobre 2009
Per un futuro possibile
La valigia
dei sogni e delle illusioni
Per un futuro possibile
Il Belpaese
dovrà in un lontano futuro determinare i confini di una sua propria civiltà.
Nei fatti le difforme genti della Penisola non
costituiscono una civiltà oggi come oggi perché non esistono dei valori comuni
condivisi, prevale nella difforme popolazione del Belpaese o spirito di parte,
l’adesione a gruppi politici o d’interesse spesso coincidenti con vicende
private del singolo o familiari.
Noto anche
che, a dispetto delle apparenze, la capacità di dividersi, di querelarsi
attraverso gli avvocati e di far volare parole grosse non corrisponde presso le
genti del Belpaese a un vero fanatismo, a quell’odio netto e puro che è
l’ingrediente delle guerre di religione e dei grandi conflitti ideologici. Sì
certo ci sono stati conflitti ideologici in Italia specie fra comunisti e
democristiani e i loro alleati ma a ben vedere son cose del passato e dietro
c’erano i poteri stranieri attivi in Italia nel periodo della guerra fredda e i
conflitti sociali interni fra classi sociali che le opposte ideologie
mascheravano appena. Per i leader nazionali e i loro partiti di riferimento
oggi si fa il tifo, tifo da stadio. Questo non è però indice di una fedeltà
sincera, di un essere parte di qualcosa che è vita e biografia delle persone,
come poteva benissimo capitare alle origini della Repubblica quando il Mario
Rossi di turno prendeva la tessera di un partito o sceglieva di militare in
qualche formazione politica. Leggo questa condizione come l’ennesima riprova
che oggi l’Italia è caduta in uno stato di decomposizione della vita morale e
civile. Comunque inutile pensarci troppo, prima o poi questo dolore cesserà e
questo tempo funesto della Seconda Repubblica tramonterà nel remoto passato
senza aver nulla di nobile o glorioso, chi verrà dopo di noi probabilmente
escluderà questi anni dalla storia Patria trattandoli come qualcosa di strano e
pazzo, come un momento che della storia delle genti della Penisola nel quale
qualcosa di profondo e di sano si è spezzato e dopo si è dovuto ricostruire,
rigenerare far rinascere.
Quale
potrebbe essere il futuro dopo questo tempo funesto?
L’Italia ha
sempre avuto qualcosa di metafisico nel suo manifestarsi, per i patrioti del
Risorgimento era una sorta di nuova Roma antica che risorgeva, Per gli Italiani
della Grande Guerra era l’entità che chiedeva il sacrificio umano di intere
generazioni di maschi adulti, per il Fascismo la promessa imperiale di un
dominio su un pezzo del pianeta azzurro. Questo far discendere l’Italia da
realtà metafisiche si è rivelato disastroso, era sottinteso in
quest’atteggiamento una volontà
d’ignorare o di mettere fra parentesi il dato reale e concreto. L’Italia che
sarà deve nascere dal dato brutale e concreto, da una sorta di attaccamento
alla terra e solo ad essa, dalla constatazione di tante parti disperse e diverse che devono trovare valori comuni e
ragioni di star assieme. L’elemento più forte è quella cosa elementare che è
l’essere parte di una realtà politica e territoriale; lo straniero identifica
come italiano l’abitante della penisola, quale che siano le sue origini, questo
discrimine fra loro e noi sarà molto probabilmente la prima pietra di una
costruenda civiltà italiana. Dal bollo di diversità imposto dai forestieri può
nascere una prima ragione d’identità che somma le comunità straniere di nuova
emigrazione e quelle che in Italia
vivono da secoli o da due o tre millenni.
.IANA per
FuturoIeri
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20 aprile 2009
Cieli grigi e notti nere
Il Belpaese: quarantanove passi nel delirio
Cieli grigi e notti nere.
I poteri che dominano nel Belpaese sono estranei alle difficoltà delle diverse genti del Belpaese, ultimamente questa caratteristica di banchieri, finanzieri, ambasciatori di potenze straniere, grandi faccendieri che si muovono fra la politica e i poteri economici occulti o palesi che siano, si è accentuata. Le vicende del terremoto aquilano e le censure la Santoro per la sua trasmissione rivelano quanto l’illusione di un paese irreale e virtuale cerchi di essere più forte di qualsiasi richiamo alla realtà. Anche quando esso parte dal sistema televisivo. L’irrealtà dell’Italia rappresentata travalica la dimensione del piccolo schermo. Negli ultimi due decenni le trasformazioni dovute al crollo delle grandi narrazioni ideologiche, l’infamia che è caduta sulle classi dirigenti e sulla politica al tempo di tangentopoli, le innumerevoli mutazioni che hanno trasformato la vita quotidiana, l’incapacità di riconoscere i luoghi della propria vita sottoposti ad un’incessante cambiamento hanno rotto la continuità fra l’italiano e la sua storia personale. Il Mario Rossi di turno vive in un paese che fa fatica a riconoscere, i cambiamenti sono arrivati come arrivano i ladri negli appartamenti quando i proprietari sono in vacanza. Un bel giorno si è accorto che ciò che conosceva, che credeva, che pensava è, ed era, falso, distorto, non più parte del suo vivere. L’amarezza per una realtà italiana difficilissima da decifrare con i suoi processi di trasformazione subiti e imposti dagli eventi e dai cambiamenti tecnologici ha preso il posto della capacità di pensarsi come parte di una realtà unitaria e forse comunitaria. Per questo la rappresentazione di un Belpaese finto, non conflittuale, non dominato dall’odio fra ceti sociali, non fazioso e disfatto nella sua capacità di star assieme, è apprezzato. La finzione irreale è un rimedio contro il male di vivere, è la grande fuga da ciò che non può più essere compreso, il Belpaese è orami indecifrabile. Così al posto della nuda verità di un mondo umano in conflitto e di egoismi sociali violenti e potenzialmente dannosi si ha una specie d’immagine rassicurante, di finzione allegorica del mondo reale, di racconto edificante e moralistico sull’Italia felice e capace, solidale, forte, rispettata nel mondo. Confesso che questo modo di rappresentare il Belpaese me lo rende odioso, preferirei assistere al nudo dramma del conflitto economico, all’esposizione delle passioni di parte, alla durezza di visioni del mondo diverse. Invece vivo al tempo della grande finzione, del racconto virtuale televisivo di un mondo che non mi appartiene, un modo che riesce ad uscire dal televisore per inquinare il vissuto quotidiano. La finzione televisiva viene amplificata e ripetuta dai giornali, dai politici e poi diventa luogo comune, discorso banale, frasi fatte. Da anni spero di veder cambiare qualcosa ma temo che solo un risveglio traumatico e doloroso come una grande catastrofe aprirà ai molti gli occhi sulla realtà.
IANA per FuturoIeri
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