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15 febbraio 2010
Antichi incubi e nuove paure

De
Reditu Suo - Secondo Libro
Antichi incubi e nuove paure
Ormai tre generazioni o
forse quattro dividono questo tempo dalla Seconda Guerra Mondiale e dai suoi
orrori e dalla sua dimensione totale. I massacri di intere popolazioni inermi,
i bombardamenti a tappeto, le città distrutte o ridotte a torce che prendono
fuoco nella notte si sono semplicemente spostate. La guerra con il suo
potenziale distruttivo e tecnologico ha lasciato alcune zone dell’Asia e
dell’Europa per trasferirsi altrove dove grande è la miseria e dove molti sono
gli interessi economici e commerciali.
Le banche fanno affari con le industrie belliche e i cittadini buoni, onesti e
democratici mettono i soldi nel sistema bancario che lucra sulla guerra e sulla
povertà e perfino sui bisogni di milioni d’esseri umani. Ultimamente i poteri
finanziari stanno cercando, fra l’altro, di cavar lucro dalla privatizzazione
dell’acqua e dalle speculazioni nel mercato dei generi alimentari. Tutto questo
è considerato dal moralismo dominate cosa buona e giusta. I buoni democratici
d’Italia e d’Europa son troppo preoccupati dal loro privatissimo tornaconto per
concepire o comprendere i fatti che sono evidenti. Talvolta ho il sospetto che
si parli e si ragioni di cose futili per evitare il confronto aspro e duro con
la banalità di questo presente. Comunque sia i bombardieri Anglo-Americani non
trasformano più le città d’Europa in torce accese con le “tempeste di fuoco”, i
giapponesi non massacrano più i cinesi a decine di migliaia, l’Armata Rossa non
impone più il regime staliniano ai territori “liberati”, la Gestapo di Hitler
non terrorizza più i popoli vinti, e
anche la Wermacht non esiste più. L’esercito tedesco ha infatti cambiato
nome si chiama Bundeswehr ed è al fronte in Afganistan con l’alleato italiano,
con i marines statunitensi e con i reparti speciali inglesi e combatte la nuova
guerra a bassa intensità contro i nuovi nemici: insorti, terroristi e talebani.
Proprio come capita agli italiani anche i tedeschi ogni tanto riportano a casa
qualche “eroico caduto” con gli onori militari. La bara fa la sua scena assieme
ai soldati schierati con le divise
stirate e l’immancabile elmetto accompagnata dalla bandiera nera, gialla e rossa con l’aquila germanica bene in vista sul coperchio.
Nel Belpaese si ragiona
spesso di fantasmi con la svastica nera, eppure le nuove guerre e i nuovi
caduti sono lì, se arriverà un disastro sociale e militare per i regimi
democratici arriverà in conseguenza dei nuovi conflitti e non di ciò che ha
lasciato un passato ormai remoto. Inoltre le conseguenze della spartizione del
mondo operata dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale sono messe in
discussione dalla presenza di più potenze imperiali in competizione fra loro. Avanzo
l’ipotesi che dentro il Belpaese ci sia la volontà ferrea di scappare dalla
realtà, di fuggire in mondi di fantasia, di creare mostri immaginari per non
pensare alle mostruosità reali; la fuga
dalla realtà è come la peste medioevale può contagiare tutti dal popolano
miserabile al potentissimo principe.
IANA per
FuturoIeri
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20 novembre 2009
L'inverno nel Belpaese
  

De
Reditu Suo
L’inverno
nel Belpaese
Forse solo
l’inverno fra le quattro stagioni riesce a comunicare l’esigenza del rinnovarsi
della vita, davanti all’evidenza di una natura che è giunta al termine di un
ciclo la mente umana capisce l’esigenza di rinnovamento. Questo tempo freddo, umido
e un po’ triste mi porta ad associare il concetto di vita – morte - rinascita
alle faccende politiche e culturali dell’Italia. Credo che questo nella vicenda pubblica si sia giunti all’inverno,
sicuramente uno degli ultimi della vecchia Italia. Una sorta di tenebra fredda
che nasconde la decomposizione delle cose morte nasconde la banalissima
evidenza che tutto ciò che era stato prima ha cessato d’essere da tempo; vuoti simulacri
e ombre del passato tormentano i viventi. Quando questo freddo inverno della vita
cesserà d’essere le diverse genti del Belpaese dovranno restituire un qualche senso alla loro esistenza
ed uscire da questa prigione di pregiudizio e paura che è tutta nelle loro
teste. La morte del mondo di prima, delle sue ragioni, delle sue certezze,
delle sue ideologie prepara il terreno al nuovo, la politica politicante del
Belpaese e le minoranze al potere hanno finora avuto l’interesse a far vivere
le diverse genti d’Italia entro i confini di una fredda fantasia da cultori
dell’orrore e delle cose morte. L’illusione di un qualcosa d’’immutabile, di
immobile che si ripete nelle trasformazioni di facciata dei poteri politici ed
economici. Eppure non è così la cella
frigorifera buia e tetra nella quale son precipitate le genti d’Italia si sta
sfasciando, le pareti cedono, il termometro sale, entra la luce dalle pareti
rotte. In realtà da qualche anno vado pensando che da tempo proprio chi vive di
politica sfrutti questa situazione e si faccia forte di cose morte per
catturare un facile consenso e bollare come comunista o fascista non il rivale
politico o il partito avverso ma il gentiluomo e la persona perbene che solleva
critiche e perplessità davanti ad una gestione della cosa pubblica che ai molti
appare criminale e criminogena. Questa cosa squallida, che aiuta gente anziana,
impaurita e ignorante a far finta di vivere in un trapassato remoto stramorto e
polverizzato, è forse l’arma più forte della politica politicante; chi fa
osservare che l’inverno è finito e la primavera sta arrivando viene
semplicemente zittito, offeso, preso per un demente o per uno che ha vissuto
troppo tempo fuori dal Belpaese. C’è in tutto questo una forza d’inerzia nelle
cose che si muove contro i lestofanti di casa nostra, una specie di movimento
degli uomini e delle cose che sta togliendo la terra sotto i piedi a chi
pretende di vivere in un tempo morto. Se conosco bene l’Italia e le sue
disperse genti so come andrà a finire:
“un bel giorno tutto comincerà a crollare e arriverà un momento di schianto, a
quel punto i fanatici propagandisti delle illusioni e delle fregature si trasformeranno
nei più accesi lodatori del nuovo e di ciò che prenderà forma”. In fondo fare
certi mestieri legati alla politica, alla pubblicità, alle pubbliche relazioni
e alla persuasione politica e culturale è solo fare un mestiere. Perché
stupirsi se un bel giorno certi personaggi cambieranno padrone o modello
politico, o culturale; in fondo è solo una faccenda di busta paga, di arrivare
bene alla fine del mese. Forse c’è una morale in tutto questo, solo che io
personalmente non la vedo.
IANA per FuturoIeri
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20 ottobre 2009
Basta Obama! Voglio scrivere di cose di provincia
La valigia
dei sogni e delle illusioni
Basta Obama! Voglio scrivere di cose di provincia
Ho seguito con crescente timore le cronache di otto
anni di guerre di Bush, adesso mi si racconta la favola felice del buon
principe che arriva a raddrizzare i torti, si chiama Barak Hussein Obama e
ancor prima di qualsiasi risultato tangibile prende il premio Nobel per la
pace.
Quale pace?
Di cosa si favoleggia in questi pazzi tempi dove le
parole hanno smarrito il loro senso e il loro suono?
Potrei fare delle facili ironie e raccontare di Nobel
inventore della dinamite, sbeffeggiare pacifismi di maniera e ipocrisie
farisaiche. Invece basta Obama!
Voglio scrivere per i miei venticinque lettori cose di
provincia, sestesi addirittura.
Il 16 e il 17 ottobre 2009 a Sesto Fiorentino presso
un parco cittadino e nella Villa San Lorenzo è stata onorata la memoria di Ivan
Della Mea cantautore popolare e comunista atipico recentemente scomparso con
convegni, buffet popolare, canti e musica. Si trattava a suo modo di un
maestro, di un cavaliere d’altri tempi che in questi decenni di decomposizione
e corruzione ha cercato di cantare le disgrazie e le piccole gioie dei ceti
operai e contadini d’Italia, le loro lotte spesso di sinistra, la delusione di
tanti militanti rossi davanti al destino avverso e alla loro incapacità di
fermare i processi distruttivi e creativi della civiltà industriale e del
consumismo edonistico e acritico. Un piccolo eroe della parola e della musica
in questa valle di lacrime e duro fango. Certo questa qui è una cosa di provincia,
marginale, quasi privata per certi aspetti. Eppure mi ha fatto impressione la
folla di circa trecento persone di ogni età che ha sfidato il freddo, non c’era
riscaldamento al concerto nel parco, che è stata per ore ad ascoltare il
ricordo cantato degli amici di costui, che ha riascoltato in video qualche sua
parola, il pubblico stesso si è più volte unito ai canti di lotta e di protesta
di Ivan e di altri. Per parlare davvero di pace in questo consorzio umano
residente nel pianeta azzurro ritengo che ci sia bisogno da parte dei singoli
della cognizione di quella elementare solidarietà umana che esce fuori dal fare
una cosa tutti assieme, dall’essere uniti da un ricordo, dal condividere
qualcosa di certi valori, dal provare una gioia primitiva nello star con gli
altri a far una cosa bella. Si tratta di un sentire e di un fare estraneo alla
persuasione pubblicitaria, all’intrattenimento televisivo dei predicatori delle
sorte magnifiche e progressive della civiltà industriale, di qualcosa di
estraneo nel senso più profondo alla solitudine che è parte costitutiva della
civiltà dei consumi. La pace di cui si narra in televisione e sui sistemi
d’intrattenimento e d’informazione è la naturale continuazione della propaganda
di guerra, da una parte i buoni, dall’altra i cattivi. Come in certi brutti
film o in certi fumetti per adolescenti: qui sono collocati i buoni dipinti e
vestiti da buoni, là i cattivi dipinti e vestiti da cattivi e guai a chi la
pensa diversamente. Sarebbe bene dare alle cose il loro nome, quello vero e non una qualche
fantasia creativa da pennivendoli e addetti alla propaganda di guerra. Se la pace
oggi è la banalità della “guerra di guerriglia” o il quotidiano di quella “a bassa intensità”
allora si usino i termini appropriati senza ipocrisie farisaiche.
Questo è il primo passo per far una cosa seria, anche
quando s’invoca la Pace come se fosse una divinità pagana.
IANA per FuturoIeri
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25 marzo 2008
SCUSATE MA... IL TIBET ?
Dov’è
il Tibet viene da chiedersi a questo punto, dopo che da settimane gli utenti
televisivi, e non solo, sono tempestati di litanie rozze e sgraziate sul fatto
che per ovvie ragioni di cassa non si può dar addosso al regime comunista
cinese e occorre buttar giù il rospo di vedere i giochi olimpici trasformati
nell’idolatria della Repubblica Popolare Cinese. Non è bene prendersi in giro, a meno di un miracolo questo sarà il finale di
partita: qualche anima bella protesterà per le repressioni brutali e l’assenza
di diritti umani, i governi sedicenti “occidentali” passeranno all’incasso per
l’appoggio politico dato al regime comunista, una parte cospicua della loro
opinione pubblica masticherà amaro e
guarderà basita l’emergere della potenza asiatica, gli atleti guadagneranno o
perderanno medaglie, la Cina ormai impero globale se avrà fortuna con i
giochi avrà forse la forza di giocare la sfida
finale per Taiwan e per il dominio su questo nuovo secolo, sponsor e affaristi
troveranno i loro tornaconti con buona pace dello spirito Olimpico e dei
diritti umani. Ormai con la dichiarazione
dei “Diritti dell’Uomo e del Cittadino” ci si può incartare il pesce ai mercati
generali, perché continuare ad infastidire quelle lontane genti dell’Asia con
cose che non stanno più né in cielo, né in terra?. C’è chi dice che il governo cinese ha
mostrato il suo volto idiota e ottuso, che ha ripetuto errori del passato, che
non conosce altro sistema che la violenza, la calunnia verso i nemici, e che un
giorno sarà sconfessato dal progresso economico e scientifico e dal suo stesso
popolo. Io che non credo al progresso
come lavacro dei mali dell’umanità, esso è frutto semmai di passioni ed egoismi
e anche di genio e volontà prometeica ma non certo di misticismo esoterico, mi
permetto di dubitare di tutto questo. Il
regime è solido e proprio la debolezza dei suoi nemici e le grandi possibilità
di sviluppo del fu Celeste Impero lo rendono la Nazione-continente che si
proietta come la nazione leader della razza umana in questo secolo, i cinesi
queste cose le sanno benissimo e uniscono alla volontà di potenza un
nazionalismo elementare e genuino che in Europa si è perduto da diversi decenni. Queste cose del resto sono note a chiunque si
sia interessato della crescita della Cina e della sua proiezione di potenza
economica politica e diplomatica in tutti e cinque i continenti. Ripeto in questo pezzo non solo dei luoghi comuni ma anche delle
analisi degne di fede.
C’è
da chiedersi semmai, e qui la cosa si fa interessante, cosa diavolo sia questo
“Occidente” che la mattina fa le pulci a Russi, Cinesi, Serbi e la sera fa il
suo in Iraq e in altri tristi luoghi della terra. Sarebbe poi ora di farla finita con
l’includere nel sedicente “Occidente” l’Europa continentale, l’Occidente è
atlantico, ossia è USA più UK, è solo ed
esclusivamente la proiezione della volontà imperiale dei popoli di cultura
Aglo-Americana e di alcune elites internazionali favorevoli ai loro disegni
egemonici. Chi ha vera fede negli Stati
Uniti è occidentale, chi non li ama non lo è.
Questo va detto con forza, a scanso di equivoci. Semmai c’è per l’Europa
Continentale la necessità di costruire un suo concetto di essere Occidente,
questo sì consacrato dalla storia e non dai pubblicitari pagati un tanto al chilo, che sia altro
rispetto al mondo Anglo-Americano il quale è diverso da ciò che in tempi
recenti loro stessi hanno chiamato la Vecchia Europa. Prima di queste cavolate sui
diritti umani a go-go e dello scontro di civiltà non c’era bisogno di tirar
fuori la favola dell’occidente. Bastava
dire NATO&Capitalismo e tutti capivano di cosa si trattava. In questa triste vicenda delle olimpiadi
cinesi c’è almeno un lato positivo, la maschera è stata tolta e il regime
comunista ha voluto vedere il volto dell’Occidente Democratico, Progressivo,
Buono, Leale, Statunitense, forse Cristiano, e più di ogni altra cosa Umanitario.
Non c’era un volto, perché non esiste
l’occidente.
IANA per FuturoIeri http://digilander.libero.it/amici.futuroieri
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