30 dicembre 2012
Diario Precario dal 24/12/2012 al 26/12
Data.
Dal 24/12/12 al 26/12/2012
Note.
Natale…
Periodo,
in generale, di feste finte, intristite.
Il Belpaese non ha più il tono festoso di venti o trent’anni fa.
Ritorno
ai luoghi dell’infanzia. Suggestioni e pioggia su di me.
Considerazioni
A
Natale mi capita di passeggiare dopo il pranzo di rito. Lo trovo utile e
positivo. Passeggiando nel Parco delle Cascine è sopraggiunta la notte, ci
vuole poco a dicembre. Tutto il mio mondo antico mi è sembrato calare in quelle
tenebre che si fanno marea di cui tanto scrivo, anche perché una nebbiolina era
giunta assieme alla fine della luce naturale e in effetti l’oscurità pareva
aver preso una consistenza fisica e la realtà concreta a distanza di pochi
metri sfumava lentamente ma inesorabilmente. Alla fine ho avuto una
rappresentazione fisica di quel che scrivo senza bisogno di andar in terre
esotiche o altro. Sono sicuro e persuaso di aver trovato una formula corretta
per descrivere questa presente realtà: Le tenebre si fanno marea. A questo
punto devo riconoscere che questa mia espressione è frutto di una personale
identificazione con quel piccolo mondo antico di fine anni settanta e primi
anni ottanta che si è dissolto perché logorato dal tempo e dalle trasformazioni
del mondo umano. La constatazione della lenta sparizione e trasformazione della
realtà mi si presenta come la dissolvenza lenta e inesorabile di un grande
racconto vissuto in prima persona. Un po’ come il sipario del teatro che si
chiude lentamente con un fare solenne. In effetti è comune che nel corso della
vita un qualsiasi essere umano osservi trasformazioni anche radicali e viva
esperienze fortemente differenziate, perfino che il suo mondo di abitudini e di
costumi si stronchi tutto assieme con la velocità del lampo. Qui nella mia
vicenda assisto alla decomposizione e dissoluzione lenta, ingloriosa e triste
di quel che è comunemente chiamato “Prima Repubblica” che era molto di più
della somma di migliaia di ladri in politica e di moltitudini di corrotti e
corruttori. Era la scenografia politica e sociale del palco immaginario dove si
svolgeva l’esistenza di una cinquantina di milioni di abitanti del Belpaese,
milione più, milione meno, quindi qualcosa che era anche nella vita privata dei
singoli. Questo palco, questo teatro, questa platea dove si recitava la
commedia tragica della Prima Repubblica e dei suoi ultimi anni si è dissolto, è
rimasto solo il sipario chiuso e dietro di esso il rumore di suoni spettrali, e
di facchini che mettono via il materiale, non si sente più neanche i fischi del
pubblico e le urla d’indignazione. La recita è finita nel peggiore dei modi e
perfino il teatro è finito, resta solo un sipario immerso nell’oscurità e nelle
tenebre che lentamente sparisce nella notte senza limiti e senza luce. Per mia
sfortuna non si è dissolto solo il mondo politico di allora ma anche quella
società di cui era in parte espressione. Questo mi forza a pensare la mia vita
fuori da un mondo umano di fatto oggi scomparso, proprio l’esperienza del
precariato mi rivela quanto sapevo già dalla filosofia: ossia che l’essere umano
sente il bisogno di radici, di origini, di avere dietro le spalle un punto da cui
è partito e davanti, forse, un punto d’arrivo anche immaginario. Questo sentire
non è una consolazione o una vanità, al contrario è una necessità della
vita quotidiana che si rivela nei
momenti nei quali l’essere umano deve prendere decisioni importanti o si trova
davanti a cose pericolose e impreviste; avere un elemento di stabilità propria,
una certezza psicologica, una visione certa di se stessi aiuta nell’indirizzare
l’azione e il pensiero. Il senso autentico della mia espressione è la denuncia
di questo venir meno delle proprie origini e del proprio quotidiano che è fonte
di forza, di pensiero, di capacità d’agire davanti al male che prende forma e
alle trasformazioni del mondo umano.
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